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Pandemonio
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Pandemonio

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Fantasy - romanzo (119 pagine) - Ecco il Paradiso. Come non avreste mai immaginato di vederlo...


Cos’è considerato immorale in un Mondo dove la menzogna impregna ogni granello di polvere? A quali certezze ci si può aggrappare, se la voragine dell’ignoto ingloba la realtà? La presenza del Diavolo, in Paradiso, è davvero contraddittoria? Una storia di redenzione e sacrificio tra i meandri della coscienza più profonda, alla ricerca di una risposta interiore sui concetti di “Bene” e “Male.”


Francesca Bandiera è una ragazza di diciotto anni che vuole stravolgere la propria vita. La sua esistenza si basa su quattro semplici parole: famiglia, scrittura, pallavolo e lettura. Famiglia, perché l’ha resa quello che è, qualsiasi cosa desideri definirsi. Scrittura, perché se tutto esplodesse, essa sopravvivrebbe senza un ciuffo fuori posto. Pallavolo, perché le ha permesso d’incontrare Creature Speciali ignare di esserlo. Lettura, perché in un Pianeta a parte la sua presenza regna sovrana. Per Delos Digital ha pubblicato il racconto mainstream Corrosione (collana Narrazioni, 2017.)

LanguageItaliano
PublisherDelos Digital
Release dateJan 22, 2019
ISBN9788825407907
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    Pandemonio - Francesca Bandiera

    9788825403879

    A Francesco,

    perché Bill è simile a Elys, Elys è simile a un mostro,

    ma i mostri non sono simili a te.

    Fidati, la tua anima è quella di un principe.

    Antefatto

    Novecento giorni prima, Italia, Alleghe

    AMOS

    – Ha chiamato?

    Non riesco a sollevare lo sguardo, non ancora. Lo tengo incollato in questo maledettissimo punto, dove lo schermo è frantumato e la pellicola si è ingiallita. Me l’aveva regalata Mino in seconda media.

    Così non avrai più scuse aveva detto. Brutto scemo.

    Mino.

    – Amos, ha chiamato?

    Fisso il display del cellulare, premendo il polpastrello sulle casse per intercettarne le vibrazioni. Spero che il volume mi spacchi i timpani e che la suoneria s’incida nella carne. Ho alzato l’illuminazione al massimo, ma non socchiudo le palpebre: le tengo spalancate, in modo da captare qualsiasi notifica. Un corvo mi sta conficcando gli artigli nelle pupille, forse me le sta addirittura becchettando, perché dopo averle ridotte in poltiglia, le aspira come aspirerebbe dei vermi d’inchiostro. Concentrarmi sul bruciore, e in generale sull’esplosione dei capillari, mi sembra una buona soluzione, al momento. O la tentazione di prendere a cazzotti il cameriere, a un tavolino di distanza, sarebbe troppo difficile da gestire. Se lo picchiassi come avevo picchiato Mattia, una settimana fa, probabilmente verrei processato per tentato omicidio.

    Oh, Gesù. Che nervoso.

    Davvero quell’idiota di un cameriere non capisce che Mino è sparito, e che spolverare l’aria o sfiorare le tende non lo rende meno invadente, e che finché Mino non ricompare potrei sfogarmi sulla sua indiscrezione? È solo fortunato, perché la suoneria del telefono prevale sull’isteria. Raderei al suolo la hall, giusto per lasciargli una sala da pulire sul serio, però le gambe tremano. Magari è colpa del corvo, che adesso si sta divertendo a lacerarmi i pantaloni. Non posso muovermi, né respirare: si sa che i volatili sono piuttosto irascibili. Cinque secondi sarebbero sufficienti per scatenare l’apocalisse del dolore.

    – Forse non c’è campo. – Iaco è stravaccato sul divanetto di fronte e si sta pulendo le lenti degli occhiali, ben consapevole della smorfia di disgusto con cui lo sto trafiggendo. Sono abituato a disapprovare il suo ottimismo e lui è abituato a ignorarmi. Forse, che parola insignificante. – Il temporale potrebbe aver compromesso la ricezione.

    – Il temporale è finito da mezz’ora. – Non serviva ricordarglielo, lo intuisco dal sospiro che si sforza di trattenere. La sua gola vibra, se la circostanza non gli permette di essere il portavoce della ragione, e questa, di circostanza, ha un che di drammatico. – Internet arriva ovunque.

    – Internet non arriva ovunque, in montagna.

    – Andiamo nei bar del vicinato – interviene Gerry. Indica alla finestra il cielo cupo, che borbotta e scoppietta, facendo leva sull’ipotesi di Iaco. – Si sarà pur riparato da qualche parte…

    Con le loro rassicurazioni cercano di prelevarmi dallo stato d’irrequietudine in cui sto affogando da una quindicina di minuti. Mi ci sono tuffato a bomba, lì dentro. Gerry affonda il braccio nell’oceano e mi sprona, Allungati, afferra l’àncora, aggrappati, tuttavia la mia mandibola è contratta, la pelle emana calore, l’occhiata che gli riservo lo fa esitare. Sudo, e scivolo, e fingo di perdere la presa. Preferisco lasciarmi trasportare al largo dalla corrente, stordito dal canto delle sirene.

    Il cameriere scrolla le tovaglie accanto alla nostra postazione, drizzando le orecchie. Le vedo tendersi, allungarsi, come quelle dei cani da caccia. L’aroma di caffè impregna l’atmosfera di quotidianità, ammettendo Anche se siete preoccupati, la gente ignorerà la vostra tristezza. Mi spiace, ragazzi. Non otterrete nessun aiuto da chi si sta gustando la colazione in santa pace.

    – Non è andato a comprare le sigarette?

    – Mino ha smesso l’estate scorsa – ribatto, trattenendo a stento un’imprecazione. – Semmai le avrebbe comprate per me. Però ho sei pacchetti da parte e lo sa.

    Sei? Cosa te ne fai di sei pacchetti?

    – Li fumo.

    – Ti verrà il cancro ai polmoni.

    – Non sono affari tuoi.

    – Potrebbe averti raccontato una bugia – s’intromette Gerry.

    – Non è un bugiardo.

    – Non aveva pretesti per smettere.

    – Il medico. Ipocondria. Si è fatto prendere dall’ansia. – Fulmino il cameriere che, con un inchino, s’indirizza verso la cucina. Volete ordinare? pare chiedere, e il mio sorriso lascia intendere: Ti ordino di levarti dai coglioni. – L’ho obbligato.

    – Ah, proprio tu

    – E se una tizia l’avesse invitato in un appartamento? Non si concede questo lusso da mesi – prosegue Iaco, squadrandomi da sopra la montatura.

    – Giusta osservazione – rompe la tensione Gerry, ridendo. Un rumore secco, in netto contrasto con la disarmonia dell’ambiente. Si stiracchia sulla poltrona e accavalla le gambe come una signorina: non gli si schiacciano mai le palle, quando lo fa. Ecco starà riflettendo. Ecco dove si è cacciato! Inspiro. Espiro. Inspiro. Espiro. Gli fracasserei quell’orribile naso aquilino che indica le persone, chiamandole in causa. L’irritazione inietta nelle vene sostanze che corrodono lo stomaco. Paralizzando la spina dorsale. Perforando gli organi.

    – Piantatela, sparire senza preavviso non è nel suo stile.

    Silenzio. Sono intrappolato in un nido dai rami aguzzi: i pulcini vengono ammazzati in una dimora simile, non nutriti, e questo il corvo lo prevede. Non si sta affatto accontentando della vista. Mi ha adagiato su un letto di pungiglioni, cullandomi con melodie di morte, e anziché riempirmi di leccornie, mi risucchia i polmoni. È attratto dal bombardamento nel mio petto, all’altezza del cuore, tanto da voler beccolare la zona alla ricerca d’indizi. Comincio a scorrere la bacheca dei messaggi inviati, delle mail indesiderate, delle videochiamate rifiutate su FaceTime. Gli occhi si concentrano sullo smartphone, fuori dalle orbite, registrando l’inevitabile: Internet si è impossessato del Mondo e non è neppure capace di prelevare un coniglio dalla tana. Mino, di solito, odia giocare a nascondino.

    – Iacopo, Geremia – prorompo in un tono che non ammette repliche, ossia il solito, da prepotente. Quello che funziona. – Il parcheggio. Era andato a chiudere la macchina. Sarà là, nei dintorni. Mi sono stufato di aspettare.

    – E se nel frattempo arrivasse in albergo? – obietta Gerry. Non è intenzionato a sgranchirsi le caviglie: ha il sedere comodo, considerata la posizione da snob.

    Inarco le sopracciglia. O mi sta provocando, o si è instupidito. – Lascerò il mio numero alla reception.

    Il vento ulula in mezzo ai monti. Il lago è un grosso stomaco in fase digestiva che gorgoglia, impregnando di tanfo l’erba sulla riva. Incastra al suo interno le ombre degli uccelli, delle case, del muso dei cigni che si abbeverano, e i rami, e la melma, e pezzi interi di corteccia galleggiano, infastidendo i pesci. L’acquazzone gli ha donato un colorito verdognolo, prossimo alla sporcizia.

    Iaco e Gerry si sgolano per attirare l’attenzione di Mino. L’eco raggiunge le vallate a nord, facendosi largo tra le cortecce degli alberi, e infesta, rimbomba, riempie di disperazione la vegetazione boschiva. La speranza s’impegna a resistere di fronte alla mia testa incappucciata, sul marciapiede, attorniata dalle tenebre. Lancio sassolini nel vuoto e, appena mi prudono le dita, congiungo i palmi al petto. Sono stato il primo a ritirarsi dal coro e mi costringo a osservare le automobili che transitano sulla via principale mentre le preghiere infestano il cervello. Una spina si è conficcata nelle costole e digrignare i denti è l’unica maniera per resistere all’impulso di urlare. Tra poco uscirà il sangue dalla pellicina del pollice che ho lacerato e mi toccherà succhiarlo via, mentendo a me stesso.

    La verità è che svenarmi, ora, sarebbe la soluzione più proficua.

    Una macchina sfreccia a una manciata di centimetri dai miei piedi. Non mi sposto. Resto immobile, qui, a soppesare la probabilità di essere abbandonato, col fiato mozzato, nonostante i clacson, nonostante il rischio. E mi gratto i lobi, e deglutisco, e contraggo le gambe, e fletto i bicipiti, e scrollo la nuca, e mi sento solo, e ho paura, e mi contorco, e mi tasto il viso per distinguere il naso dalla bocca, le orbite dalle gote, i lineamenti di un uomo da quelli di un cadavere, e non ci riesco, perché sono fatto di cenere, e di nuovo vengo oppresso da una valanga di terrore.

    Le sigarette. Dove ho lasciato le sigarette?

    – Propongo una ritirata. Mi t-tremano le ginocchia d-dal freddo.

    – Siete liberi di spostarvi dove vi pare – affermo.

    L’odore acido della pioggia è in circolazione. Gerry si accorge del sangue che mi scorre sul pollice e corruga la fronte. Sembra rimproverarsi di non aver portato con sé nemmeno un fazzoletto. – Non si fa vivo da due ore, Amos, mica è morto! Abbiamo tutto il pomeriggio davanti. Stai esagerando.

    – Sono d’accordo, non intestardirti. Beviamo un thè caldo e presto ci scherzeremo su. – Iaco fa per avvicinarsi, ma qualcosa di profondamente selvaggio e nero, nella mia espressione, lo arresta dopo tre passi. Al contrario, indietreggia di cinque.

    – Non provare a spostarmi, o giuro su Dio che ti ammazzo.

    Un corvo, in lontananza, gracchia.

    Il suo grido zittisce la natura.

    Primo.

    Paradiso, Sezione dei Guardiani

    CARMINE

    Antea porta i capelli sciolti, oggi. È un evento raro. Di solito la coda di cavallo le mette in risalto i lineamenti a zigzag, alterando il volto in forme geometriche che le danno un’aria mascolina. È il suo aspetto a intimorire a priori la gente: quando Antea guarda qualcosa, o qualcuno, lo fa con insistenza. Sarebbe in grado di scovare difetti perfino tra i petali di un fiore, a meno che quel fiore non sia il suo preferito. Sono sicuro, comunque, che anche le tette al vento influiscano nel provocare imbarazzo.

    Fissa il mio petto, un broncio a incresparle le labbra. Fingo di non notare il suo disappunto, ma il nervosismo mi sta alterando il colorito della pelle. Non sono pronto, non stamattina. Mi cucirei le orecchie con lo spago, piuttosto che stare a sentirla. Durante le pause dal turno di Guardia si esercita a parlare come se avesse la bocca piena, ed è evidente che preferirebbe morire soffocata pur di esprimere la propria opinione. Sembra già aver gonfiato le guance d’insolenze.

    – Quell’umano e la sua cavolo di depressione sono controproducenti per il tuo benessere – dichiara e mi stupisce dopo mesi, anni, secoli trascorsi a sopportarla, sebbene sappia in cosa si suddivida la sua mente: noia e pigrizia, lamentele e rifiuto. Mi stupisce che Satana non se la sia ancora caricata in spalla. L’ho presa! lo immagino

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