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L’Impresa Dei Giovani Eroi: L’Incredibile Avventura di un Gruppo di Ragazzi, un Affascinante Viaggio nel Tempo e nella Storia dell’Italia Antica
L’Impresa Dei Giovani Eroi: L’Incredibile Avventura di un Gruppo di Ragazzi, un Affascinante Viaggio nel Tempo e nella Storia dell’Italia Antica
L’Impresa Dei Giovani Eroi: L’Incredibile Avventura di un Gruppo di Ragazzi, un Affascinante Viaggio nel Tempo e nella Storia dell’Italia Antica
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L’Impresa Dei Giovani Eroi: L’Incredibile Avventura di un Gruppo di Ragazzi, un Affascinante Viaggio nel Tempo e nella Storia dell’Italia Antica

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About this ebook

L’incontro con un eccentrico scienziato e un evento inspiegabile rischiano di segnare il destino di un gruppo di adolescenti.
Le loro vite vengono sconvolte, ritrovandosi catapultati in un’epoca remota, nella quale rimangono intrappolati.
La via per tornare a casa sarà inaspettata, e i ragazzi dovranno affrontare un viaggio lungo e insidioso, all’apparenza impossibile da terminare.

Valerio, introverso e sognatore, si ritroverà al centro di quest’impresa, in un ruolo difficile e pieno di responsabilità che lo segnerà per sempre…
Lui e i suoi compagni dovranno imparare a cavarsela da soli affrontando innumerevoli pericoli, nonché le proprie paure e debolezze, in un intreccio di amicizie, amori e rivalità che metteranno a rischio l’unità del gruppo e la sua stessa sopravvivenza…

Un romanzo d’avventura per ragazzi coinvolgente e appassionante, ambientato fra i paesaggi mozzafiato di un’Italia antica dilaniata da guerre e divisioni, in cui storia, fantasia e fantascienza s’intrecciano in un mix avvincente.

RECENSIONI

Il romanzo mi è piaciuto molto. È facile da leggere.
I personaggi sono ben delineati e molto credibili.
La vicenda è ben ambientata, le descrizioni sono precise e accurate.
Ottime le tecniche di scrittura e i dialoghi, semplici ma credibili.
Commento finale: è un romanzo unico nella sua semplicità. Quando una storia è avvincente e ben descritta non c’è bisogno di storie violente o che seguono la moda del momento pur di avere consensi. Proporrei il libro anche a un pubblico adulto.
Simona Taddei
Lettrice e collaboratrice del servizio “Lettura Incrociata”

Il romanzo è buono, scritto in maniera molto fluida, con un italiano semplice e accattivante.
Buone anche le “perle di saggezza” disseminate lungo il racconto, che inducono il giovane lettore a riflessioni e considerazioni che vanno al di là del racconto stesso, per incunearsi nella quotidianità della vita reale.
Quindi, una buona metafora di vita, dove la fantasia s’intreccia alla trama dell’esistenza, dove vengono insegnati valori che sono il fondamento del viver civile: amicizia, coraggio delle proprie azioni, amore, lealtà, e non ultimo, affronta in modo garbato il dramma della morte.
Sintetizzando, promosso, e di piacevole lettura anche per gli adulti che hanno dimenticato di essere stati adolescenti.
Alfredo Sasso
Lettore del servizio “Lettura Incrociata”

Un romanzo avventuroso e fantastico, ricco di allegorie, rivolto soprattutto ai lettori giovani, ma non solo, apprezzabile in primo luogo per il suo contenuto altamente pedagogico, poi anche per lo stile narrativo dell’autore.
Francesco Belotti
LanguageItaliano
Release dateJan 11, 2019
ISBN9788829594405
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    L’Impresa Dei Giovani Eroi - Roberto D’Agostino

    felicità"

    Capitolo I

    UNA STRANA VISITA

    Tutta la sua vita era stato un lungo ed emozionante viaggio immaginario: tredici anni d’interminabile irrequietezza giovanile, in cui la fantasia lo aveva fatto volare in posti lontani ed esotici, proiettandolo all’interno dei libri e dei film che, come dei veri amici, gli avevano tenuto compagnia soprattutto nei momenti più difficili, ispirandolo sin dall’infanzia.

    E così Valerio si era ritrovato a fianco di Gandalf, di Bilbo e dei Nani nel viaggio volto alla riconquista del loro antico reame dalle grinfie dell’avido e potente drago Smaug; aveva accompagnato Bastian, aiutandolo a salvare Fantasia dall’incombere del Nulla; si era prodigato al fianco di Luke Skywalker e dei Jedi a difesa della Repubblica e dell’intero Universo di Star Wars…

    E aveva viaggiato indietro nel tempo, al centro della Terra e negli abissi marini nei racconti fantascientifici di Verne, nonché in compagnia del prode Corsaro Nero di Salgari e dei pirati di Stevenson, tra isolotti sperduti, giungle misteriose e oceani immensi.

    Era sempre in mezzo a mille pericoli e avventure, dunque, come un piccolo Indiana Jones…

    Eppure, allo stesso tempo, Valerio nutriva una certa insoddisfazione all’interno della sua giovane anima: il mondo reale non rispecchiava affatto i suoi sogni a occhi aperti e il continuo desiderio di avventure fantastiche.

    Ci dev’essere qualcosa di più di questa realtà noiosa, di queste giornate sempre uguali pensava il ragazzo, diviso fra la tristezza e la speranza. Non può essere tutto qui….

    Valerio desiderava con tutto il suo cuore di adolescente introverso che quelle storie avventurose, che egli viveva da protagonista nella propria mente intuitiva come un vero eroe, fossero la realtà.

    Tutto questo accadrà un giorno o l’altro! proseguiva la voce veemente dentro di sé, lo spirito d’avventuriero che fremeva in cuor suo. Non può essere tutto così grigio e cupo….

    Il flusso costante dei suoi pensieri fu interrotto dallo stridere del vento e dalle chiome degli alberi che ondeggiavano minacciose oltre le finestre dell’aula, quella fosca mattina d’aprile del 2015. Sulla porta, nell’angolo in alto a sinistra, c’era la targa III B.

    Valerio osservò quello scenario oltre la trasparenza del vetro, sospirando con sguardo malinconico, mentre la vocetta stridula della professoressa Paderini lo riportava alla sgradevole realtà: la terribile lezione di matematica sulle espressioni, davvero utili alla sopravvivenza e alla felicità del genere umano!

    Distogliendo lo sguardo dal mesto paesaggio che lo circondava e mettendo a fuoco l’aula, notò il solito scompiglio che si creava in classe a quell’ora: alla sua destra, nella fila centrale, Simone e Michele, i gemelli spilungoni che, eretta una barriera protettiva davanti a loro, usavano il banco, pasticciato a dovere, come campo di calcio, giocando con una pallina di carta; dall’altra parte Alberto e Antonio, in ultima fila, che lanciavano elastici a mo’ di fionda contro Maria e Valentina e non disdegnavano l’uso di certe biro come cerbottane; dietro di lui c’erano Thomas e Paolo, che smanettavano frenetici con i loro smartphone, mentre Livio ascoltava beatamente heavy metal con l’iPod ben nascosto sotto il banco, masticando compiaciuto un chewing gum.

    – Speriamo non mandino mai in pensione la profe di mate! – sussurrò una voce accanto a Valerio.

    Lorenzo, suo migliore amico e compagno di banco, gli diede una pacca sulla spalla, ridacchiando di gusto.

    – Ogni volta a quest’ora è uno spettacolo! – aggiunse mentre staccava gli occhi da una sequenza piuttosto macabra di Dylan Dog. – È incredibile: soltanto Pier e le secchione lì davanti stanno ad ascoltare la Racchia e le sue stramberie matematiche.

    – Forse è perché sono costretti a farlo – biascicò Valerio, con lo sguardo di nuovo immerso oltre i confini della scuola.

    – Finalmente! È la prima frase di senso compiuto che ti sento dire da stamattina! Oggi sei più silenzioso del solito… Sì, riguardo alle ragazze hai ragione, ma Pier il secchione è un caso a parte!

    – Beato lui, se capisce la matematica.

    – Non so come faccia!

    – E comunque non ti credere, Lore. Fra due mesi ci sono gli esami e ci sbatteranno fuori da qui molto presto. Credo che la profe ti mancherà molto…

    – Anche a te Vale, lo so, anche se non lo ammetti. Così io non potrò più godere della sanguinaria carneficina di Dylan Dog e tu dei tuoi sogni a occhi aperti…

    La voce dell’insegnante (detta la Racchia) li interruppe:

    – Ordunque, adesso passiamo a risolvere l’espressione numero 54 a pagina 99.

    Strani versi di disapprovazione percorsero l’aula, comprese alcune imitazioni strambe e fantasiose del tono di voce e dei modi dell’insegnante che, ahimè, era mezza sorda oltre che prossima alla pensione. Tra gli sbuffi e le risate generali, non tutti aprirono il libro. Alberto e Antonio reputarono più interessante fiondarsi sui propri smartphone; Livio chiese e ottenne di andare in bagno per via di un non ben precisato bisogno impellente, mentre Lorenzo voltò pagina, proseguendo la lettura del suo amato Dylan.

    – Guarda tu il caso, pagina 99… Nessuno mi dica che non ho aperto il libro a quella pagina!

    Qualcosa succederà! riprese a parlare con se stesso Valerio, con piglio corrucciato, sbattendosene dell’espressione di fronte a lui che aspettava di essere risolta. Ne sono convinto….

    In effetti, quel giorno di primavera del 2015 si sarebbero recati in gita scolastica nelle campagne di Parma, per scoprire le bellezze locali: avrebbero trascorso le giornate successive sempre all’aperto, pranzando al sacco, accampandosi la notte ed esplorando le zone circostanti, nella migliore delle tradizioni boy scout. Sembrava interessante, ma certo era ben poca cosa rispetto alle avventure che il ragazzo sognava di vivere…

    I suoi pensieri furono interrotti dalla campanella che suonava le tredici: si alzò sbuffando e si preparò per uscire.

    Non poteva ancora immaginare quello che sarebbe accaduto di lì a poco e che gli avrebbe sconvolto la vita al di là delle sue più ferventi fantasie…

    – Allora ci vediamo qui oggi alle 15 per la partenza – disse Michele rivolto agli altri compagni, riuniti nel vialetto della scuola.

    – Un momento, ragazzi – intervenne Pier con fare calmo, alzando le mani per ottenere silenzio. – Vorrei farvi una proposta. Vi ho già parlato di quel mio amico, il professor H 2O…

    – Sì, mi ricordo – ribatté Livio con una smorfia sprezzante e con il tono di solita indifferenza che lo caratterizzava. – Non mi sembra che abbia tutte le rotelle a posto, il tipo…

    Proseguì noncurante ad ascoltare con un orecchio la sua musica spaccatimpani.

    Pier lo squadrò con un’occhiataccia, ma proseguì:

    – Allora, mi ha chiesto se oggi, finita la scuola, potevamo andare a casa sua per vedere una macchina molto speciale che ha creato con le sue mani. Non ha voluto dirmi cosa sia di preciso, ma mi ha garantito che è un qualcosa di eccezionale che rivoluzionerà la storia dell’umanità!

    – Addirittura!? – replicò Livio il metallaro, schernendolo con lo sguardo.

    – Posso garantire per lui: quando mi fa vedere una delle sue invenzioni, non è mai banale. Mi ha detto che ci tratterrà solo pochi minuti. Che ne dite?

    – Mi sembra una buona idea – convenne Valentina. – Abbiamo ancora tempo prima di partire per la gita e mi hai fatto venire una grande curiosità di scoprire che cos’è questa macchina!

    – Già, e io non vedo l’ora di conoscere finalmente questo misterioso professore di cui parli tanto – aggiunse Maria, l’altra ragazza del gruppo. – Dev’essere una persona molto strana…

    – Almeno quanto il nostro Pier l’Archimede – commentò con scherno Alberto.

    Gli altri accettarono di buon grado, altrettanto incuriositi da quell’inaspettata proposta.

    – Be’, non perdiamo tempo, ragazzi. Andiamo! – disse trionfante Pier, indicando loro la strada. – Vedrete che non rimarrete delusi!

    – Guarda che se non mi diverto ti meno, secchione – sogghignò Livio mentre s’incamminavano, zaini in spalla.

    Il laboratorio del professore non distava molto dalla scuola, situata in un tranquillo quartiere nel nord di Brescia. Era un edificio insolito, più unico che raro in città, abbastanza alto e lungo, di forma cilindrica e con il tetto a forma di piramide che aveva costruito lui stesso, non senza una gran fatica e non pochi improperi. Quella casa stonava con le file di appartamenti e condomini tutti uguali che l’affiancavano, ma come originalità e vitalità di forme e colori valeva senz’altro più di quegli ammassi di cemento messi insieme.

    Suonarono il campanello e, da una fessura nella parte superiore della porta, videro sbucare una specie di piccolo cucù con un canarino che diede loro il benvenuto; poco dopo venne ad aprire un ometto anziano ma piuttosto arzillo e gioviale.

    – Ehilà, mio carissimo Pier! Salve a tutti! Finalmente posso conoscere i famosi ragazzi della III B! Avete di fronte a voi il professor H 2O in persona, genio della creazione, e questo è il mio laboratorio e anche la mia casa. Sono davvero contento che siate venuti!

    Ci furono le presentazioni.

    Il professore aveva gli occhi scuri e molto piccoli, dietro i quali si celava un’aria divertita e furbetta al tempo stesso, e un folto cespuglio di capelli arruffati spuntava da tutte le parti, come se la sua testa fosse stata più rigogliosa di un campo di grano. Il naso un po’ aquilino e le orecchie a sventola contribuivano a caratterizzare ancor di più quello strano individuo. Era vestito con un camice bianco, sporco e macchiato in diversi punti, e ciò gli conferiva un aspetto stravagante che suscitava ilarità e una certa propensione allo scherno; non a caso molti ragazzi della scuola media lo consideravano pazzo.

    Gli sguardi del gruppo si posarono sull’ambiente circostante: si trovavano in un’entrata piuttosto stretta e angusta, dalle fattezze indefinite, così come la porta d’ingresso.

    Valerio, fissando stupito e divertito il professore, constatò subito una certa somiglianza con il dottor Emmett Brown, alias Doc, il famoso scienziato di Ritorno al futuro.

    – Venite con me – disse il professor H 2O – e state in fila per due. Lo spazio, purtroppo, è stretto, ma non m’importa: non ho tempo di ristrutturare la casa. Dedico il mio tempo solo al progresso della scienza e questo basta!... Ah, attenzione a dove mettete i piedi: ci sono aggeggi che valgono una fortuna, qui! Ricordatevelo! Non risponderei di me stesso se dovessi percepire anche un solo strano scricchiolio!

    In effetti, bisognava stare ben attenti a come muoversi, essendo il laboratorio in preda al più profondo disordine, almeno secondo i ragazzi, anche se H 2O era di parere diverso.

    S’incamminarono, dunque, lungo un corridoio profondo e ben illuminato a intervalli regolari.

    – Guardate che sofisticati impianti d’illuminazione! – esultò H 2O alzando le braccia con orgoglio.

    – È un tipo di gran talento, molto ingegnoso – parlò Pier agli altri, sorridendo compiaciuto. – È un amico di famiglia, ormai lo conosco da quando ero bambino, ma non smette mai di stupirmi. Lo ammiro davvero molto, sapete… Da piccolo gli dicevo che sarei diventato uno scienziato come lui, di quanto mi appassionava il suo lavoro!

    – Già, ecco da dove ti escono le sfilze di A nelle verifiche di mate e tecnica – lo canzonava Livio. – Temo che finirai come lui, se non peggio!

    Con la mano fece il gesto di uno che ha le rotelle fuori posto.

    – Per me è tutto suonato 'sto vecio – bisbigliò Paolo a Michele. – Chissà in quali guai ci cacceremo andando appresso a lui e dove ci starà portando. Voglio andare a mangiare qualcosa, ho fame!

    – Tanto per cambiare – rise l’altro. – Con tutta quella ciccia che ti ritrovi nella pancia dovresti cercare di perdere chili, non di aggiungerli…

    – Ragazzi, rispettate chi collabora al progresso della scienza – s’intromise Valentina, sentendo che conversavano degli affaracci loro.

    – Progresso della scienza? – sorrise beffardo Livio. – Io finora ho visto solo il disordine della scienza. È molto meglio l’heavy metal! Perché non ce ne andiamo da questa fogna?

    – Piantala, cretino! Non hai nessun rispetto per lui – intervenne Maria. – Sarà pure stravagante, ma almeno s’impegna con passione per qualcosa di utile a tutta l’umanità.

    – Questo è ancora da vedere – ribatté Simone, mostrando il proprio scetticismo.

    – Ma quanto è lungo questo tunnel? – si lamentava Lorenzo.

    – Ehi professore, quanto ci vuole ancora? E cos’è che ci vuole mostrare di così rivoluzionario? – chiese Antonio impaziente.

    – Calma, ragazzo! Tieni a freno la tua curiosità… Ci vuole poco, ancora. Il tunnel è lungo circa… circa… Accidentaccio al mio cervello di burro e marmellata, ora non ricordo con esattezza! E dire che ho calcolato preciso al millimetro…

    – Insomma, è una casa o un labirinto, questa? – esclamò d’istinto Thomas. – Io sono stufo, me ne torno indietro! Qui rischiamo solo di perderci noi e di perdere la gita! E che caz…!

    – Giovanotto, non fare lo scurrile! – intervenne Alberto con ironico accento di rimprovero, imitando la parlata della Racchia.

    L’atmosfera attorno a loro fu pervasa da una risata generale, che contagiò pure il professore.

    Man mano che i suoi passi lo conducevano lungo quel tunnel infinito, Valerio provava una strana sensazione, come se stesse entrando a poco a poco in un’altra dimensione, in un mondo estraneo al suo. Quella specie di sotterraneo portava verso qualcosa d’ignoto ma affascinante al tempo stesso. E H 2O ne era il creatore: quel professore era proprio stravagante nel suo modo di parlare enfatico, quasi comico, nella sua ampia gestualità, nello sgranare gli occhi, ma anche con quel suo camice da pseudo scienziato pazzo dei cartoni animati e quella testa spettinata che chissà quali meravigliose idee faticava a contenere. Pareva un omuncolo comparso da chissà dove, da una dimensione remota, da un universo parallelo, così diverso dalla normalità che lo circondava, venuto a elargire un po’ di creatività e di mistero in quel mondo grigio e monotono degli uomini…

    Il ragazzo, silenzioso in coda al gruppo, affrettò il passo e affiancò l’uomo.

    – Professore H 2O… – esordì con fare timido, vincendo il proprio imbarazzo. – Scusi se glielo dico… ma lei assomiglia un po’ al professor Emmett Brown… Voglio dire il famoso Doc, quello di Ritorno al futuro…

    – Solo un po’? – ribatté il vecchio con un furbo sorrisetto. – Sei la seconda persona sulla faccia della Terra che me lo dice, dopo Pier naturalmente. Chissà perché, ma in tutti questi anni nessuno di quei pochi adulti con cui ho avuto a che fare là fuori se n’è mai accorto…

    – Quindi… ha visto i film della saga?

    – Sono anni che non vedo la TV, ragazzo, il che mi ha permesso di conservare parecchie delle mie cellule cerebrali e della mia lucidità mentale, al contrario della maggioranza dell’umanità… Ma certo che li vidi! Appena uscì il primo film nel 1985, trent’anni orsono: ero un giovane scienziato dilettante, all’epoca, in forte crisi esistenziale e creativa, e quel film fu per me una rivelazione!

    – In che senso?

    – Rimasi affascinato dalla figura di Doc, tant’è che diventò una fonte d’ispirazione per le mie ricerche. Fu grazie a lui, studiando la sua biografia, che scoprii e divorai tutti i racconti fantascientifici di Jules Verne, il che mi aprì la mente a un mondo di possibilità per me inimmaginabili… Molte delle sue previsioni tecnologiche sul futuro, ritenute dai più delle impossibili fantasie, si sono avverate!

    E da ciò ho tratto una lezione fondamentale: con la conoscenza, la pratica costante e la fede nelle tue idee, per quanto difficili siano da realizzare, puoi raggiungere qualunque risultato, a dispetto di tutto e di tutti!

    – Sa, anch’io ho letto un sacco di libri di Verne, ha proprio ragione! – replicò Valerio, contento di ascoltare qualcuno che parlasse la sua lingua. – È uno dei miei autori preferiti! Mi piace pensare che tutte le storie di fantascienza che sono venute dopo, come per esempio la mitica saga di Star Wars, siano state ispirate da lui.

    – Allora non è un caso che tu sia qui adesso, Valerio. Fra poco avrai una bella sorpresa…

    H 2O (o l’alter ego di Doc, come lo considerava con simpatia Valerio) gli sorrise di nuovo e il ragazzo proseguì al suo fianco in silenzio, domandandosi eccitato di quale sorpresa si trattasse.

    Dopo alcuni minuti di cammino che sembrarono un’eternità, uscirono dal tunnel attraverso un portone antincendio. All’inizio non si distingueva nulla e l’oscurità predominava.

    Il professore accese una luce molto potente che illuminò una sala piena di marchingegni.

    – Questa è la stanza delle mie invenzioni di grande mole, la mia preferita! – proclamò enfatico. – Seguitemi!

    La stanza era immensa e, sparsi qua e là, vi erano aggeggi voluminosi molto strani, incomprensibili nel loro complesso, che potevano vagamente somigliare a dei mobili di metallo.

    – Cavolo, che begli oggetti! – esclamò Maria, osservandoli con stupore.

    – Be’, ora non esageriamo – rispose Alberto. – Si riuscisse almeno a capire che caspita sono…

    Livio fu il primo ad avvicinarsi alle macchine.

    – Guardare ma non toccare, ragazzo! Sono creature estremamente delicate e potrebbero rompersi o mettersi in funzione senza motivo con un vostro tocco maldestro!

    – Addirittura! – replicò con finto spavento il ragazzo, che in realtà cercava una scusa per lasciare il ricordo del chewing gum che aveva in bocca.

    Il vecchio li lasciò guardare per un po’, controllando le loro mosse, come il guardiano di un museo di reperti antichi e preziosi, poi proclamò:

    – Adesso vedrete la più grande invenzione che abbia mai creato e che nessuno al mondo potrà mai eguagliare, manco morto! È la ragione per cui siete qui, ora. Ecco a voi… – disse dirigendosi verso il centro della stanza dove c’era un telo bianco, cercando di creare suspense con l’intraprendenza e le movenze di uno showman – … Voilà! Vi presento una delle Signore più eleganti e raffinate che abbia mai avuto l’onore di ospitare nella mia umile dimora… Ragazzi… ammirate la PRIMA E VERA MACCHINA DEL TEMPO DELLA STORIA!

    E tolse il velo.

    La Signora, in realtà, non sembrava così elegante, né appariscente: aveva la forma di una vecchia stufa a gas di colore grigio chiaro, con delle finestrelle trasparenti e apribili ad altezza d’uomo. Era davvero alta e imponente, tant’è che giungeva a sfiorare quasi il soffitto.

    – Ci ho impiegato anni per idearla, costruirla e modificarla in modo appropriato, impiegando una lega speciale di titanio e alluminio che, nonostante le dimensioni, la rendesse molto leggera ma resistente agli agenti esterni. Cosa ne dite?

    Valerio, come tutti i compagni, era rimasto sbigottito da quella rivelazione, anche se l’aspetto della macchina lo deluse un po’. L’unica cosa che l’accomunava con la mitica DeLorean di Ritorno al Futuro era il colore, niente più.

    – Vuol dire che questo ammasso di ferraglia ci trasferirebbe in diverse epoche temporali? – domandò a bruciapelo Livio.

    – Sarebbe davvero grandioso poter viaggiare nell’infinito dello spazio-tempo, in qualsiasi periodo della storia e in qualsiasi luogo del mondo, anche il più remoto. Oppure esplorare pianeti e mondi alternativi e fantastici… – intervenne Valerio infervorandosi.

    – … Se solo fosse vero – lo interruppe Simone. – Peccato che sia solo uno stupido sogno, così come le tue fantasie senza senso. In realtà non può esistere una cosa del genere, se non nei libri e nei film!

    – Infatti! Manco io ci credo! – approvò Thomas. – È fantascienza!

    – E pensate alle possibili conseguenze – rincarò la dose Alberto. – Anche se fosse possibile manipolare il tempo e lo spazio, mi sembra una cosa rischiosa…

    – Dipende dall’uso che ne fai – commentò Pier con senso critico. – Io sono favorevole a un progetto del genere se può aiutare l’umanità a progredire, specie poi se viene dal mio amico e maestro, di cui mi fido.

    – Troppo buono, Pier – s’inchinò H 2O, appoggiando la mano destra sul cuore. – Dopo la scuola, d’estate, ti assumerò come mio fido collaboratore per i miei esperimenti temporali…

    – Che bella coppia! – ironizzò Livio. – Di pazzi… – sussurrò poi sottovoce a Paolo, che replicò con una grassa risata.

    Le voci s’accavallarono, cercando di sopraffarsi.

    – Non è possibile che questo aggeggio riesca davvero a trasportarci indietro nel passato o avanti nel futuro! – ribadì a più riprese Simone, strenuo difensore dello scetticismo. – Credo che lei si sia lasciato influenzare un po’ troppo da quel film di fantascienza…

    – Provare per credere – replicò H 2O, che era rimasto in piedi accanto alla macchina accarezzandola con bramosia, mentre ascoltava i ragazzi che si dibattevano sui pro e i contro di quell’invenzione.

    – Questa per me è la prova che non ci sono limiti a quello che l’uomo può ottenere grazie alla scienza!

    Il professore non era per niente risentito della loro incredulità, anzi, era ancor più voglioso di testare subito la sua più grande invenzione. In fondo, era come una sfida per lui: la sfida della scienza moderna contro lo spazio-tempo, la possibilità della sua manipolazione, qualcosa di grandioso e inimmaginabile, magico e misterioso insieme…

    A quelle parole, tutti i ragazzi si voltarono verso il professore e tacquero, sorpresi e increduli davanti a una simile proposta.

    – Avanti, non si fa aspettare una Signora! – ridacchiò l’allampanato vecchietto, che aveva già aperto il portellone d’ingresso.

    Seppur titubanti, varcarono la soglia di quella strana Signora, verso l’ignoto…

    Capitolo II

    IMPREVISTI

    All’interno la Signora era molto più ampia di quanto non sembrasse dalla prospettiva esterna.

    – Ahi! – esclamò Michele dopo essere entrato. – Che botta! Mi sembra di aver sbattuto contro un muro d’acciaio!

    – E stai attento a dove metti i piedi! – sbottò Livio aggredendo Lorenzo.

    – Non si vede una mazza! – esclamò Alberto. – Qualcuno c’illumini d’immenso…

    Dopo un po’ di confusione, l’oscurità cedette il posto alla luce.

    – Scusate, ragazzi! – disse H 2O. – Ora è tutto a posto.

    – Finalmente si vede! – esclamò Maria. – Tutto quel buio qui dentro, per un attimo, mi ha fatto temere…

    – Che la macchina ci stesse teletrasportando? – completò la frase Alberto, sogghignando. – Sei proprio una femminuccia e un’ingenua!

    Maria gli fece la linguaccia.

    I ragazzi diedero un’occhiata generale alla macchina per qualche minuto, mentre la porta automatica si era chiusa alle loro spalle. Poterono osservare con curiosità, sul lato opposto all’entrata, un piccolo schermo incorporato alla parete e sotto, su un piano orizzontale, una sfilza di pulsanti e tasti di vari colori e dimensioni che costituivano i comandi interni del marchingegno.

    H 2O rispose con solerzia ed entusiasmo a tutte le domande dei ragazzi su quella bizzarra invenzione, finché Antonio non guardò l’orologio.

    – Bene – disse sporgendosi da una delle finestrelle aperte della macchina. – Ora sarà meglio andare. Dobbiamo ancora pranzare e alle 15 dobbiamo partire per andare in gita. La ringraziamo per la sua ospitalità, professore; torneremo a trovarla alla prossima invenzione.

    – D’accordo, ragazzi. Per me è stato un piacere conoscere gli amici di Pier, anche se mi sarebbe piaciuto farvi sperimentare le potenzialità di questa mia grande invenzione. Magari sarà per un’altra volta… Aspettate che vi faccio uscire.

    H 2O raggiunse un angolo della stanza in cui si trovava un apparato elettronico dall’apparente complessità, con il quale si poteva comandare la macchina dall’esterno, e premette i pulsanti per far aprire il portellone, ma questi non rispose. Il professore, con un gesto di stizza, riprovò, ma accadde l’imprevedibile: i comandi s’illuminarono da soli e la macchina emise uno strano rumore, non rispondendo più alla volontà di H 2O.

    – Cosa sta succedendo prof…

    I ragazzi non fecero in tempo a terminare la frase, che videro le luci interne spegnersi e l’aggeggio agitarsi senza freni, provocando un rumore infernale. Allora iniziarono a urlare e a chiedere aiuto, senza ricevere risposta, mentre venivano sballottati qua e là insieme ai propri zaini contro le pareti e i comandi della macchina del tempo.

    A un tratto non capirono più nulla e il marchingegno si mosse a una velocità impressionante, girando su se stesso. Il tutto terminò con un boato.

    La sala delle grandi invenzioni ritornò alla normalità, silenziosa e illuminata, come prima. Tutto quel chiasso si era svolto in pochi secondi e pareva esser stato il preludio alla fine del mondo.

    Il professor H 2O era stato scaraventato a terra da una forte scossa e ora se ne stava sdraiato lì, imbambolato, con gli occhi chiusi.

    Dopo un tempo che sembrò infinito riprese conoscenza e si guardò attorno, confuso: la stanza era uguale a prima, ma mancava qualcosa al centro… la macchina del tempo!

    – No! – esclamò. – No! Non è possibile! Non può essere vero! La macchina è sparita e i ragazzi erano dentro! Ma ha funzionato da sola, io non ho fatto nulla! Che Emmett Brown mi fulmini!

    Con insolito scatto da centometrista si fiondò sui comandi centrali, ordinando alla macchina di ritornare indietro, ma senza successo. I comandi parevano danneggiati e non rispondevano in alcun modo.

    – No! Maledizione! – urlò ancora. – Ora come farò a farli tornare indietro?! Cosa dirò ai loro genitori?! Sono morto! Sono finito!... D’accordo, ora cerca di mantenere la calma e trovare una soluzione…

    Munitosi di una serie di strani attrezzi, si mise al lavoro sulla plancia dei comandi per capire quale fosse il guasto, con il terrore radicato nel più profondo delle sue pupille: era preda di un delirio crescente, presagendo una qualche tragedia.

    – O macchina del tempo, dannata macchina del tempo! Tu che eri il fiore all’occhiello delle mie creazioni, la chiave d’accesso al mondo dei nostri antenati e al nostro futuro, all’avvenire dell’umanità intera… Torna qui, ti scongiuro! Come hai potuto ribellarti così, a me?! Eri sotto il mio controllo, era tutto sotto controllo, macchina infernale e traditrice…

    Un qualche destino superiore, inimmaginabile e incontrollabile, aveva preso il sopravvento sull’uomo, minando i suoi sogni e le sue certezze, manipolando beffardo gli eventi e prospettando una realtà molto diversa da ciò che doveva essere.

    Capitolo III

    LA SCONCERTANTE VERITÀ

    Il cielo volgeva al chiarore dell’azzurro, velato qua e là da soffici nubi che ne spezzavano la monotonia, formando una lunga striscia grigia che andava via via assottigliandosi a sud.

    Guardando in lontananza verso l’orizzonte, dove sbucava sorniona la luce del sole, si distingueva una sagoma grigia: la macchina del tempo.

    – Ahah, che dormita! – sbadigliò Maria con gli occhi socchiusi, ancora assonnati. Allungò una mano cercando a tentoni la sveglia sul comodino.

    – Dove accidenti è? – si chiese. – Mamma, è ora di alzarsi?

    Alla fine si ricordò che erano nel laboratorio di H 2O, dentro la sua bizzarra invenzione.

    – Ah già, è vero. C’è stato quella specie di terremoto mentre eravamo dentro la macchina. Professor H 2O? Mi sente?

    Non vi fu alcuna risposta. Chiamò ancora… Senza svegliare gli amici che erano ammassati accanto a lei, si rizzò in piedi ancora sonnolenta e, spingendo, riuscì ad aprire la porta della macchina.

    L’aria gelida le sferzò la pelle, facendole venire i brividi. Tutt’intorno dominava il silenzio, eccetto il canto delicato di alcuni uccelli.

    D’improvviso aprì bene gli occhi e, al posto della stanza delle invenzioni, inquadrò un boschetto pieno d’alberi, le cui foglie agitavano la propria nudità al vento indomabile. O almeno, così le parve di scorgere.

    Dev’essere un sogno.

    Si stropicciò gli occhi con vigore e, non contenta, ci aggiunse anche un bel pizzicotto, ma nulla cambiò. Lo spavento crebbe in lei.

    – Oh, no! LA MACCHINA DEL TEMPO HA FUNZIONATO! Ci ha portato in un posto diverso! Presto! Svegliatevi, ragazzi!

    In breve, tutti si alzarono e constatarono straniti che, in effetti, si trovavano in un ambiente completamente diverso da quello di Brescia e del laboratorio del professore.

    – No, non è possibile! – esclamò scettico Simone. – Quel vecchio stava scherzando con il fatto del viaggiare nel tempo. Avrà portato in qualche modo la macchina in un’altra stanza, magari per farci credere che la sua stramberia ha funzionato.

    – Sì, una stanza con gli alberi – aggiunse Antonio in modo sarcastico. – Si vede che stai ancora dormendo.

    – Magari sono pareti finte, sai com’è la sua stravaganza…

    – Dici un casino di stupidate, Simone – lo sgridò Pier. – Come poteva trasportarla da solo? Non mi risulta che sia una specie di roulotte con le ruote…

    – Allora l’avrà portata fuori casa sua… Questi devono essere gli alberi del parco vicino alla nostra scuola… Per convincerci che non è come dite, diamoci un pizzicotto – disse ancora. – Non vi rendete conto che è un’idea assurda la vostra? Vedete troppi film, o forse leggete troppi libri di fantascienza. Al massimo, staremo sognando…

    – Ci ho già provato con il metodo del pizzicotto, è tutto inutile – intervenne Maria.

    – Già, purtroppo è così – disse Livio, che se lo era dato più volte, come tutti gli altri, fino a quando non si trovò le guance rosse come un pomodoro. – Arrendiamoci all’evidenza, anche se non riesco ancora a credere che quel pazzo ci abbia tirato uno scherzo del genere.

    – Aspettate – intervenne il miscredente Simone. – Proviamo a chiamare il professore: sono sicuro che sarà qui da qualche parte nei paraggi…

    Tutti in coro levarono al cielo un unico grido d’aiuto e disperazione:

    Professor H 2O!

    Ma non ci fu alcuna risposta, se non quella incessante e melodiosa degli uccelli.

    Un silenzio attonito e tragico piombò come un macigno sul gruppo.

    – Ma come pretendete che vi risponda se siamo in un bosco e, a quanto sembra, nel bel mezzo di una zona disabitata che non è certo la casa del professore, né tanto meno Brescia?

    Valerio, fino a quel momento rimasto muto e in disparte, contemplando con desideri incerti e contrastanti quel panorama, aveva risposto al silenzio.

    Pier, come preda di un’improvvisa intuizione, frugò nel proprio zaino estraendone lo smartphone, ma la delusione pervase il suo sguardo.

    – Il mio cellulare si è acceso ma non posso navigare né tanto meno fare chiamate… è come morto…

    – Hai ragione – confermò Antonio, provando con il suo. – È come se non ci fosse campo! Siamo tagliati fuori dal mondo e non possiamo comunicare con nessuno…

    – Cosa facciamo, adesso? – chiese Paolo in preda alla disperazione. – Che diavolo facciamo?

    – Semplice – rispose Livio con tono superbo e spavaldo, cercando di assumere il controllo della situazione. – Basta mettere in moto la macchina e tornare nella nostra era, che ci vuole? Se non stiamo sognando…

    – Ma che scoperta, non ci aveva pensato nessuno – ribatté acido Michele.

    – E se non funzionasse? – gemette Valentina.

    – Non dire fesserie! – ribatté Antonio. – Se ha funzionato una volta, funzionerà ancora e ci riporterà a casa! Bisogna solo capire come fare…

    Ma tutti si guardavano incerti.

    – Ho cercato di farmi un’idea di quello che è successo – intervenne Pier, con il tono calmo e pacato che lo distingueva. – Quando siamo entrati nella macchina, dev’esserci stato un cortocircuito o qualcosa del genere, e sia i comandi centrali sia quelli interni sono andati in tilt e hanno funzionato per conto loro, stabilendo a caso un luogo e un tempo nel quale siamo capitati. È ovvio che H 2O non avesse intenzione di testare la macchina con noi dentro…

    – Magnifico! – esclamò Thomas. – Ci voleva proprio questo guaio. Tanto per complicare le cose!

    – A te non va mai bene niente – si lamentò di rimando Antonio. – Sei sempre la solita lagna!

    – Piantatela di litigare, raga! – intervenne Lorenzo. – Così non si va da nessuna parte.

    – Lore ha ragione – disse Valerio in tono serio. – Se rimaniamo qui a discutere, di certo non risolviamo la situazione… Penso che andrò a dare un’occhiata in giro. Pier, se non ti dispiace potresti rimanere qui a revisionare la macchina, dato che ne capisci qualcosa? Chi vuol venire con me, mi segua. Prima di disperarci, affrontiamo la realtà, qualunque sia. E non potremo farlo, se rimaniamo qui a lagnarci senza fare nulla…

    Il tono del ragazzo dai capelli castani mossi e dagli occhi dall’azzurro intenso era fermo e sicuro di sé. In genere era parco di parole e non era uno che si faceva notare nel gruppo. Ora, di fronte a quella situazione inaspettata e incredibile in cui erano finiti, persi chissà dove nel tempo e nello spazio, ciò su cui stava rimuginando fin da quella mattina a scuola e che era diventata una sensazione sempre più forte dopo l’incontro con H 2O, sembrava proprio essersi concretizzato in quel momento. Eppure, non ne aveva ancora la certezza.

    Senza attendere risposta, s’incamminò con passo deciso laddove il piccolo bosco sembrava terminare. Era proprio curioso di capire dove fossero finiti…

    Uno a uno lo seguirono tutti tranne Pier, Michele e Maria, che rimasero in compagnia del marchingegno.

    – Chissà dove diavolo siamo finiti – disse Paolo, il grassottello della compagnia, lungo la via.

    – Non c’è un cane qui. Sembra un cimitero – aggiunse Livio, masticando un chewing gum e passandone uno al compagno.

    – Forse siamo ancora nei pressi di Brescia, non si sa mai – parlò Antonio.

    – Suggerirei di non andare troppo lontano, giusto per cercare di capire dove ci troviamo – aggiunse Valerio che era in testa al gruppo, domandandosi ancora in cuor suo come fosse possibile tutto ciò. Ma era stato il primo a dimostrare subito una certa presenza di spirito, senza abbattersi o farsi prendere dalla disperazione. In fondo, ciò che stava accadendo rappresentava uno dei suoi tanti sogni che ora andava materializzandosi nella realtà…

    A un certo punto la vegetazione arborea cessò e si trovarono a risalire lungo una forte pendenza. Raggiuntane la cima, la loro vista si posò su un immenso spazio verde, una specie di oasi con in mezzo un grande lago e, sorpresa… vi trovarono l’inimmaginabile: creature enormi e possenti, vissute in tempi remoti, la popolavano.

    – Guardate! – urlò spaventato Antonio. – Ma quelli sono… DINOSAURI! Sono vissuti milioni di anni fa!

    – Non ci posso credere! Non saremo mica rimbambiti di colpo? – aggiunse Lorenzo.

    – Questo significa che siamo lontanissimi dal 2015! – esclamò ancora più in preda al panico Simone, che si strofinava con forza gli occhi come per cancellare quell’agghiacciante visione.

    – Sì, se non siamo stati proiettati in uno schermo cinematografico nei panni dei protagonisti di un nuovo episodio di Jurassic Park o del Mondo Perduto! – esclamò d’istinto Alberto, non perdendo il senso dell’umorismo pur in un momento come quello.

    – Direi che qui quelli perduti siamo noi – commentò Thomas sconsolato. – Sono veri, vivi e vegeti… e giganti! Incredibilmente giganti!

    – Se lo raccontassi a casa, nessuno mi crederebbe… – fece Paolo, rimanendo a bocca aperta.

    Osservarono sbalorditi più che mai i dinosauri che nuotavano e si abbeveravano sulle rive del grande lago. Ce n’erano di tutti i tipi, dai triceratopi ai brontosauri, dagli elasmosauri agli smilodonti, meglio noti come tigri dai denti a sciabola, e non erano né figurine né pupazzetti usciti dai Kinder Sorpresa.

    La calma e la tranquillità della natura regnavano incontrastate in quella terra incontaminata dall’uomo. E qui vi governavano queste possenti creature, alcune alte anche decine di metri, come o più di un grattacielo.

    Il sole, intanto, rifiutava di mettersi in mostra, a differenza delle nuvole.

    – Sarà meglio andarsene da qui, prima che qualcuno di questi bestioni ci scovi – suggerì Valerio, che fino ad allora li aveva fissati incantato. – Non so se gradirebbero carne umana e non vorrei provarlo di persona.

    Non sapeva nemmeno lui se fosse più emozionato per il fatto in sé di aver visto dal vivo quelle creature fino ad allora ammirate solo nei film o nei documentari, o perché quella era la prova inequivocabile che andava cercando, cioè che erano davvero in un’epoca e in un luogo del tutto diversi, nel bel mezzo di un’imprevedibile avventura...

    D’improvviso, il terreno sotto di loro iniziò a tremare in maniera crescente e una sequela di versi spaventosi percosse l’etere alle loro spalle. Tutti i dinosauri lì presenti reagirono a loro volta con versi veementi, fuggendo all’impazzata.

    I ragazzi si voltarono di scatto e videro avvicinarsi a una certa distanza la sagoma di un cucciolo di brontosauro; un’ombra terribile e minacciosa si ergeva dietro di lui, turbando la quiete circostante…

    Un profondo terrore li catturò all’istante alla vista del più temibile predatore mai esistito all’epoca: il tirannosauro! Incontrare quel carnivoro spietato, crudele e sanguinario significava andare incontro a morte quasi certa.

    I ragazzi non persero tempo. Cercarono di calmarsi a vicenda e si tennero pronti a scappare, attendendo il momento giusto. I nervi erano tesi al massimo, gli occhi spalancati dal terrore, le gambe tremanti.

    A un tratto Valentina, con uno scatto improvviso, si staccò dal gruppo e andò nella direzione dove correvano il piccolo brontosauro e il suo famelico inseguitore. In quel preciso momento sentì che doveva fare qualcosa per salvarlo.

    Gli altri rimasero attoniti: solo chi aveva molto coraggio, o forse una pazza incoscienza, si sarebbe avventato contro quel dinosauro.

    – Ferma! Che fai, Vale!? Sei matta, vuoi farti ammazzare?! Torna indietro!

    Ma Valentina non sentiva ragioni. Era come se una forza interiore, bloccandole la paura, la spingesse a salvare quel poveretto che correva, correva come un disperato… E il suo predatore si faceva sempre più vicino…

    La ragazza si fermò di colpo e cominciò ad agitare le braccia, cercando di attirare su di sé l’attenzione del carnivoro; questi, però, non si fece distrarre e proseguì l’inseguimento del cucciolo, più grande e appetibile di lei.

    Vedendo che era tutto inutile, Valentina cominciò a fare grandi cenni e a urlare nei confronti del piccolo brontosauro, affinché la seguisse e si mettesse in salvo. Poi iniziò a correre dietro agli altri ragazzi che le facevano segno di muoversi.

    – Dai, spicciati! Corriamo alla macchina!

    – Diamo un’occhiata a quest’aggeggio e sbrighiamoci – disse irrequieto Michele nel frattempo. – Ho un brutto presentimento, come dicevano Obi Wan e Anakin in Star Wars: temo che se davvero questa macchina ha fatto il miracolo di funzionare, ci abbia portato lontano da casa. E non mi piace stare in questo posto. Chissà quali losche creature o individui ci abitano!

    – Giusto! – approvò Pier. – Vediamo cosa si può fare.

    Si avvicinarono alla macchina ed entrarono. Pier fissò i comandi, incerto sul da farsi.

    – Purtroppo, non sarà facile scoprire le funzioni di tutti questi tasti. Dovremo affidarci alla fortuna e all’intuito.

    Il ragazzo era molto ingegnoso e s’interessava di costruire gli oggetti più svariati, anche i più folli, seguendo in qualche modo le orme del suo eccentrico amico, il professore H 2O. Comunque, in matematica, scienze e tecnica andava forte. E ora se ne stava lì, a cercare una soluzione. Mite e pacato di carattere, cercava sempre di essere ottimista, ma in quel frangente sembrava proprio triste: in quella situazione ingarbugliata si sentiva un po’ colpevole, considerato che era nato tutto dalla sua proposta di recarsi dal professore.

    – Sarà banale, ma l’unica cosa da fare è cominciare a provare i tasti – confermò.

    Questi si presentavano delle più svariate forme e colorati in diversi modi. Alcuni recavano delle scritte, mentre su un piccolo schermo in vetro vi erano dei numeri in rosso. In piccolo era scritto date in inglese.

    – Questa è la data! Qui compaiono il giorno, il mese e l’anno. C’è scritto… settanta milioni a.C.!

    – Cosa?! Siamo indietro di settanta milioni di anni rispetto al 2015?! – esclamò Michele, guardando sconvolto il compagno.

    – I numeri sono questi… Ma non perdiamoci d’animo. Bisogna trovare i tasti che facciano cambiare la data, prima di tutto – esclamò. – Poi, vedrete che torneremo sani e salvi ai nostri giorni e sarà tutto finito.

    Un tasto riportava la scritta reset, uno erase, uno warm up, un altro stop, uno ancora go e l’ultimo danger.

    – Uhmm… questi termini saranno pure da prima media, ma io l’inglese non l’ho mai potuto digerire. Chi mi traduce queste scritte?

    – Io no, per me è arabo! – si autoescluse Michele. – Ma ‘sto professore non poteva usare l’italiano, doveva per forza complicarci la vita?

    – A un’invenzione del genere c’era bisogno di conferire un carattere internazionale, a quanto pare! – ribatté Maria. – Talmente internazionale che non ne capite un fico secco! Va be’, ci penso io, altrimenti rimaniamo qua per sempre. Allora… reset significa azzeramento, erase mi sembra cancellare o annullare, stop fermare, warm up è il riscaldamento, go farla partire e danger… oddio, ho un lapsus... cosa significa? Accidenti, non ricordo. Eppure dev’essere facile… Sarà meglio non toccarlo, questo tasto.

    – Allora, con reset

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