I segreti del cuore
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Book preview
I segreti del cuore - Maria Rita Insolera
Maria
Capitolo I
Estate 1956
Ho ottenuto la laurea e con ottimi voti. Nonostante l’afa temporalesca, mi sentivo più leggera uscendo dall’Università e sono arrivata di passo svelto in via Crociferi. Abitiamo lì in una casa stretta, esternamente decrepita, internamente scomoda, che risale al Settecento e non ha avuto da allora che il minimo indispensabile di riparazioni. Irma, la domestica, mi ha aperto la porta scrostata che è diventata di un colore indefinibile. Senza che né la sua voce né il suo largo viso placido esprimessero un certo interesse, mi ha domandato:
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Calma come lei, ho risposto:
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Ha borbottato:
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E io ho salito gli scalini logori che scricchiolavano sotto i miei passi, sono entrata in salotto, una grande stanza rivestita di carta da parati sbiadita, con poche sedie, una tavola e un armadio. Vicino alla finestra aperta, mia zia stava lavorando a maglia.
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Mi sono seduta di fronte a lei. Mi guardava facendo scivolare l’uno contro l’altro i lunghi ferri da maglia. I suoi occhi chiari sbattevano leggermente sotto le palpebre grinzose. Ho provato di nuovo la sgradevole impressione che mi ha fatto più volte quello sguardo che si posa su me. Schietta come sono, mi pare di sentire la menzogna sotto la dolcezza studiata di quella fisonomia, di quella parola lenta e pacata.
Non ho mai voluto bene alla zia Emma e intuisco che neppure lei vuole bene a me. Tuttavia viviamo in buoni rapporti, ma freddamente, senza intimità. E se talvolta si accresce in me l’impressione di antipatia, riesco a non dimostrarlo. Perché qualunque carattere abbia mia zia, debbo esserle riconoscente. Mi accolse quando ero bambina, alla morte dei miei genitori e mi ha tirata su con i suoi mezzi, sebbene sia poco agiata. Sono cose che non si possono dimenticare quando si ha un po’ di cuore. Perciò mi sono sempre sforzata di circondare di attenzioni zia Emma, soprattutto ora che da due o tre anni, la vedo invecchiare e riempirsi di reumatismi. Inoltre, è la sola parente che mi rimane. Per un pezzo siamo rimaste zitte. Con un giornaletto mi sventolavo il viso arrossato. Mia zia mi guardava sempre, con quello sguardo di traverso che non mi piace. Infine disse:
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Ho fatto di sì con la testa, poi ho aggiunto:
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Mia zia ha approvato.
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Desidero proprio guadagnare un po’ di denaro per ricompensare mia zia dei suoi sacrifici. Debbo dire però che non me li ha mai rinfacciati. Ma la nostra vita misera mi fa capire che ha dovuto sacrificarsi per mantenermi e istruirmi, e voglio liberarla quanto prima possibile dal peso che rappresento per lei.
Sono salita in camera mia, al secondo piano, a tetto. È quasi una soffitta, ammobiliata molto semplicemente, glaciale d’inverno, caldissima d’estate; ma io ci sto volentieri perché dalla finestra posso vedere i tetti della parte storica della città.
Mi sono cambiata alla svelta il vestito che avevo messo per la cerimonia di laurea e mi sono ravvivata i capelli. Nel piccolo specchio incorniciato di bambù, ho osservato per un momento il mio viso circondato da riccioli castano chiaro che mi scendono per le spalle. Gli occhi, verdi, spiccano sul candore delicato della mia carnagione. So di essere bella. Nessuno me lo ha detto apertamente, ma spesso, fuori, incontro degli sguardi ammiratori molto eloquenti, che mi rendono più confusa che soddisfatta. Nel numero dei miei difetti non annovero la civetteria né la vanità, e sebbene sia giovane, so già che la bellezza è un ostacolo e un pericolo per una donna costretta a guadagnarsi da vivere, specialmente quando, come me, non ha una famiglia. Ma penso con fiducia: "Dio mi proteggerà. Mi farà passare incolume in mezzo ai pericoli, se mantengo integra la mia onestà".
Ho cominciato ad avvolgere i capelli in una coda con mano distratta ed ecco che il mio pensiero è andato a due grandi occhi scuri. Due occhi magnifici e vivaci, in un bel viso d’uomo. Fu ieri mattina. Per riposarmi dallo studio intenso di questi ultimi tempi, passeggiavo lungo i verdi vialetti di Villa Bellini quando, davanti a me, in senso contrario, avanzava un giovanotto. Vidi distrattamente che era alto, slanciato, di aspetto molto elegante, di una eleganza sobria e distinta poco comune, specialmente al giorno d’oggi. Quando mi passò accanto sentii che il suo sguardo mi sfiorava. Avevo fatto appena qualche passo che una voce disse dietro a me:
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Mi voltai. Il giovane teneva in mano il volume che avevo sotto il braccio e che era scivolato a terra senza che me ne fossi accorta.
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Presi il libro, arrossendo. Non sono particolarmente timida, ma la sorridente dolcezza di quegli occhi magnifici fissi per un istante su di me, aveva provocato un certo turbamento. Il giovane reso il libro fece un breve cenno con la testa e quindi si allontanò mentre io riprendevo la mia strada. Perché questo insignificante incidente mi è tornato in mente?
Il caldo m’intorpidisce e poi, il mio pensiero se ne va molto più lontano, verso l’Alsazia, il paese di mio padre e di mia madre... e anche di mia zia. Vola verso quei genitori sconosciuti, di cui sul mio atto di nascita ho letto i nomi Mark Herseng ed Irina Defrage. La zia mi ha sempre parlato poco di loro. Non è comunicativa e su questo argomento lo è meno ancora che su altri. Le è penoso rinvangare quei ricordi, dice lei, perché ha amato molto suo fratello. Perciò ignoro quasi tutto dei miei genitori. Non ho neanche una fotografia di loro. Mio padre, ribadisce la zia, non si era mai curato di farsi fotografare, né solo, né con la moglie. Diceva che era tempo sprecato. Un giorno domandai alla zia se somigliavo a mia madre. Lei mi rispose: No, a tuo padre
. La mia infanzia è stata triste, tra mia zia e Irma, tutte e due taciturne e fredde. Per fortuna ho un fondo di gaiezza naturale; in seguito lo studio mi ha molto aiutata.
Lo studio, che amavo molto, riempiva le mie giornate, mentre la zia lavorava sola sola in camera sua, oppure parlava con Irma. Tra loro parlano sempre in tedesco, perché la domestica conosce poco la lingua italiana. A questo proposito una cosa mi ha sempre meravigliata, ed è che mia zia non mi abbia fatto imparare il tedesco e mi abbia anzi proibito di studiarlo. Scegli l’inglese
mi disse, Ti sarà più utile
.
"Ma sono lezioni che ti