Sulla falce della luna
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About this ebook
Una storia d’amore paranormale tra adolescenti: il mammone Chester Hubert prende coraggio per chiedere alla nipote di una strega di andare al ballo della scuola con lui. Si ritroverà scaraventato in una moderna favola demoniaca.
La schiva ed elfica Flannery non è come gli altri ragazzi. Ha attirato l’attenzione delle fate: bellissime creature malvagie di un mondo misterioso, l’Altrove. Seducono le loro vittime durante rave di mezzanotte, poi le danno in pasto a un drago. Per divertimento, danno la caccia alle anime con un cane nero di una malvagità mostruosa. Le fate hanno preso Flannery come una di loro.
Finiti assieme nell’incantesimo oscuro dell’Altrove, Flannery e Chester scoprono di conoscersi meglio di quanto conoscano il loro stesso cuore… ma sapranno sistemare le cose prima che il cane nero li trovi?
E cos’era quella storia del drago?
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Book preview
Sulla falce della luna - A. A. Attanasio
Sulla falce della luna
Una graphic novel
(senza illustrazioni)
A. A. Attanasio
Illustrazione in copertina ad opera di Howard David Johnson
In segno della mia ammirazione per uno spirito meraviglioso, questo libro è dedicato a te.
Gli dei, i demoni, l’intero universo, non sono che un sogno che esiste nella mente, scaturisce dalla mente—
e torna a sprofondare nella mente.
—Katha Upanishad
Indice
Prima Parte:
La luna in silenzio canta
Preludio: l’oscuro rituale
La scena nascosta
La Donna Fatta di Fiori
Il cane nero
Qualcosa che non va in quella ragazza
La botta
L’Altrove
Una strega completamente pazza
Irruzione in casa
Animali festaioli
Un brutto posto
Quando sei qui, sei lì
Distruggere tutto
Niente a che fare con l’amore
Un fantasma in ghingheri
Fico
nel senso di strano
La scellerata sacerdotessa
Il fosso oscuro
La danza delle belve
Perversa
Un momento splendido
Seconda Parte:
Sulla falce della luna
Interludio: Portando a spasso il cane nero
Tirare giù la luna
Spacca il sedere alla strega
C’è un drago da sfamare
La classica idea di inferno
Una mattina confusa
Lontano dagli occhi
Bastonate malvagie
Una fredda rivelazione
Saccheggia l’inferno
Il terrore della caccia
Sulla falce della luna
Una speranza da folli
Un amore stemperato dalla paura
Quel che è ciò che non possiamo dire che è
Crisi sull’orlo del baratro
Sulla falce della luna
Angeli Furiosi
Un buco infernale
Il Recupero
I sogni passano come stelle cadenti
Prima Parte
La luna in silenzio canta
Ai tempi in cui Mab era la regina e il mondo conosceva molte cose della magia, i sogni erano le avventure dell’anima nell’Altrove. Talvolta l’anima si perdeva o trovava maggiore felicità nell’Altrove piuttosto che nel nostro mondo, e l’addormentata non si sarebbe più svegliata. E così l’amato dell’addormentata, se la passione tra i due fosse stata abbastanza forte, avrebbe intrapreso un viaggio all’ombra della luna nell’Altrove ... e laggiù, per mezzo dell’ardore del loro amore, avrebbe persuaso l’anima a ritornare. Tale viaggio era chiamato dalle antiche genti ‘il Recupero’.
Capitolo 1
L’oscuro rituale
Una strega d'una stregoneria così potente da manovrar le fasi della luna.
—William Shakespeare, La Tempesta
Nedra Fell, dal volto simile alla corteccia di un noce e dai capelli come ragnatele, si trovava di notte nel bosco davanti a un altare ricavato dal ceppo di un albero. Sotto i suoi piccoli balzi, la nebbia intorno a lei illuminata dal chiaro di luna si avvolgeva in vaporose spirali luccicanti.
Le fiamme di due mozziconi di cera nera risplendevano sull’altare ancora più brillanti, e illuminavano i lineamenti spigolosi della donna, ulteriormente inaspriti dalla disperazione.
«Obbeditemi!» disse in trance a gran voce alle ombre lunari proiettate dagli alberi. «Obbeditemi, spiriti!»
Le sue mani artritiche sollevarono un calice fatto col teschio di una lepre. Un liquido denso, scuro come il sangue, si increspò sull’orlo mentre intonava alla luna frastagliata una roca formula d’apertura. Sorseggiò la pozione per poi sollevare in aria una pesante bacchetta ottenuta dal femore di un alce. Questa si scosse per tutta la sua nodosa lunghezza sotto la sua stretta tremula, andando a toccare, prima, un pugnale in vetro nero, poi, una grande conchiglia ricolma di zanne e incisivi gialli.
«Spiriti della notte, prolungate i miei giorni!» saltava da un piede all’altro. La sua veste di canapa ruvida sobbalzava come formulava il rituale. «Comandate il successo affinché le mie azioni attorni! Custodite la vita, la salute mi adorni! Respingete la morte, che per sette anni non torni! Spiriti della notte, prolungate i miei giorni!»
Dimenandosi come un burattino, la donna danzava attorno all’altare. La veste a maniche lunghe luccicava al chiaro di luna con i suoi ricami di spirali e di simboli magici. Le braccia ossute, sottili come rami in quelle larghe maniche, falciavano l’oscurità.
«Spiriti della notte, concedetemi udienza! Lungi, per sempre, la morte, dalla mia presenza! Spiriti della notte, concedetemi...»
Un ringhio fuori dalla foresta lasciò di ghiaccio la vecchia strega. Le sue braccia si irrigidirono sopra la testa grigia e con le mani strinse più forte la bacchetta d’osso. Fissò lo sguardo tra gli alberi con grande attenzione, dove i rami filtravano la luce lunare in una nebbia argentata.
«Ti sento!» gridò avvicinandosi lentamente al bordo dell’altare, dove si chinò per afferrare il pugnale di vetro nero. «Sento la tua fame, ma non mi avrai, Hela! Non ancora! Ti ho ingannato ancora una volta. Già, proprio così!»
Dalle ombre della luna comparve un grosso cane. Tra le sue larghe spalle spuntava un muso piatto di una malvagità prodigiosa. La muscolosa bestia nera si trascinò con fare aggressivo nella radura. Le orecchie si appiattirono, gli occhi chiari scintillarono e le labbra si sollevarono all’indietro in una smorfia crudele.
Nedra Fell sussultò. «Troppo tardi!» le sue dita storte si serrarono attorno al pugnale. «Il rituale è completo! Gli spiriti della notte mi proteggono! Ormai non puoi più toccarmi, Hela. Ritenta la fortuna... tra sette anni!»
Con un latrato improvviso, il cane possente scattò in avanti, mentre la strega barcollava all’indietro e brandiva davanti a sé il pugnale. Il grosso cane meticcio si schiantò sull’altare spargendo da tutte le parti le candele, il calice e le ossa feticce. Le fauci spietate si dimenarono. La bava si sparse in fili luminosi e i latrati colpirono la vecchia come pugni invisibili.
«Sparisci!» Nedra sferrò un fendente col pugnale, e una stoccata con la bacchetta d’osso grossa quanto una mazza. «Sei arrivata tardi, l’incantesimo è completo. Non puoi toccarmi!»
La cagna attaccò e con i denti grondanti di saliva afferrò la manica del braccio con cui la strega brandiva il pugnale. Tirata per terra dal peso dell’aggressore, la vecchia rugosa perse la presa sull’oggetto. La lama roteò, brillante, sotto i raggi della luna per poi infrangersi sul ceppo d’albero in mille pezzi tintinnanti.
«No!» strillò la strega come se i polmoni le andassero a fuoco. «No!» la donna sferrò un violento colpo di bacchetta sulla testa feroce, e il ringhio rabbioso del cane si spezzò in un fragile guaito. Strisciando sulla pancia, il mostro indietreggiò rapidamente.
Nedra si tirò su in ginocchio, aveva gli occhi pulsanti d’indignazione e d’ira. «Maledetto meticcio infernale! Che il veleno di una serpe ti accechi! Non mi avrai!»
La bestia accovacciata le lanciò uno sguardo gelido come finestre d’inverno. Il grugno corrugato rivelò denti spaccaossa. La cagna tornò alla carica!
Nedra sferrò un nuovo colpo con tutta la forza distruttiva del femore d’alce in grado di frantumare un cranio, ma la cagna lo schivò, sfuggente come i raggi della luna. Si piegò sulle zampe e si lanciò di nuovo sulla donna cercando di azzannarla dietro al ginocchio. Barcollando di lato, la vecchia decrepita assestò col bastone un rovescio carico di scaltra malizia.
E di nuovo, il predatore riuscì a schivare, ma nella confusione del colpo evitato per un soffio si ritrovò costretto a ritirarsi, fondendosi con le ombre della foresta.
Un momento dopo, riapparve da una direzione inaspettata, costringendo la strega a girarsi dall’altro lato per coprirsi le spalle. Il bastone andò a vuoto, poiché la creatura non aveva ancora attaccato.
In silenzio, il cane osservò la sua preda dal punto in cui si trovava sotto il chiaro di luna, gli occhi pieni di rabbia e determinazione. Col suo ampio petto e le spalle ondeggianti, continuò a spostarsi da una parte all’altra, paziente. Attese, a fauci spalancate, che il femore si facesse pesante in mano a Nedra.
E il grosso femore d’alce era pesante di certo. Non appena il braccio sollevato iniziò a tremare, il cane si scagliò su di lei.
La bestia indietreggiò di nuovo per via di un altro fendente, attaccò ancora, poi si dileguò. Persistente come un incubo, non dava tregua alla strega balzando dentro e fuori dalla luce della luna, implacabile, instancabile.
L’anziana aveva il fiatone e ansimava, tutto il corpo le tremava dallo sforzo. Presto, quelle zanne frenetiche avrebbero lacerato tendini e nervi, e l’avrebbero fatta crollare. Presto, l’osso che continuava ad abbattersi sarebbe caduto, e denti affilati avrebbero squarciato carne e arterie, assaporando sangue caldo.
Presto. Doveva succedere presto poiché la mezzanotte era passata da un pezzo, e le stelle dell’est si stavano affievolendo. Se il cane omicida non avesse abbattuto presto la sua preda, la luce del mattino avrebbe rinvigorito la magia della strega, che si era infranta assieme al pugnale di vetro.
La donna intravide la luce fra gli alberi e il suo viso raggrinzito sorrise. «Troppo-tardi!» le fitte non davano pace alle sue articolazioni, ma lei continuava a fendere l’aria con forza col suo bastone d’osso, mentre ansimava e ridacchiava stridula. «Troppo-tardi! Ah-ah! Troppo-tardi-per-te!»
Nel tentativo disperato di ucciderla, la nera creatura ululò al cielo che si rischiarava e si gettò sulla strega. La bacchetta d’osso percosse il meticcio delirante sotto la mandibola, facendogli chiudere le fauci bruscamente e mandandolo a zampe all’aria.
Nedra Fell sentiva i polmoni doloranti e le gambe che le tremavano, ma derise con una risata stridula la bestia furiosa che si contorceva tra le foglie secche. Di scatto la cagna si tirò su, il muso schiumante d’odio e di rabbia. Gli occhi, che facevano trasparire un’intelligenza prodigiosa, fissavano l’anziana donna con uno sguardo pieno di collera.
E tutto a un tratto, la creatura non c’era più.
La scena nascosta
Che cos’è un fantasma se non un doppio, un gemello astrale della carne, che vaga in un sogno oscuro, dove la notte traspira nei fumi lunari e all’ombra delle stelle, e che porta il tuo volto?
Capitolo 2
La Donna Fatta di Fiori
Evocata tramite la magia per essere data in moglie a un principe, la bellissima dea celtica Blodeuwedd portò il suo nome con orgoglio: ‘Viso di Fiori’. Sebbene fosse stata plasmata interamente da fiori di quercia, olmaria e ginestra, possedeva un volere e desideri propri. Ahimè, quando insistette per fare come aveva deciso e andare con l’innamorato da lei scelto, il mago che l’aveva evocata la trasformò in un gufo.
—Mito del Galles
Su una leggera curva di una strada in terra battuta in mezzo a una foresta, si ergeva una statua gigante fatta interamente di fiori. L’enorme manichino, grande quanto un carro allegorico, aveva le forme sinuose di una donna con una mano sul fianco e l’altra dietro la testa, e la posa di una pinup di un’epoca passata.
Gli asfodeli intorno e sopra alla sua testa, e sulle sue spalle, creavano l’illusione di una chioma d’oro fluente. Gli isopiri, con i loro petali bianchi e rosa, le coloravano il viso e le braccia di sfumature color carne. Le violette servivano per l’azzurro degli occhi, lo zenzero selvatico rosso, per le labbra. Le aquilegie, i gerani e le felci costituivano la sua veste ariosa.
Il manichino non era ancora completo. Sulla parte posteriore del corpo, in attesa che altri fiori venissero aggiunti, restava scoperta l’ossatura di vimini ricolma di argilla. Vaschette di giacinti, lillà e crochi erano adagiate sull’erba accanto a un grande cartello, incorniciato da ramoscelli, che dava sulla strada davanti alla gigante e informava i passanti del suo nome, sia con rune che con lettere a forma di fiore:
B l o d e u w e d d
[Blud—EYE—eth]
Donna Fatta di Fiori
Vicino al margine della strada in terra battuta, proprio di fianco alla Donna Fatta di Fiori, si trovava una sgangherata impresa commerciale abusiva, un chiosco di souvenir primitivi. Oggetti fatti a mano penzolavano da travetti e cornicioni scheggiosi: lanterne di zucca; campanelle a vento fatte con ossa d’uccelli; maschere rituali di corteccia e pigne e, infine, bamboline rituali di paglia dotate di visi intagliati nella polpa di mela, e laccati con espressioni lucenti di tranquillità sovrannaturale.
Davanti al chiosco traballante, un altro ampio cartello incorniciato da ramoscelli annunciava con colorate lettere floreali:
I curiosi feticci pagani celtici di Nedra
L’attrazione sul ciglio della strada si trovava di fronte a un ampio cortile pieno di erbacce aggrovigliate, infestato da nani da giardino in pietra. Erose, le statuette coperte di muschio, sbeccate a tal punto da essere quasi rocce informi, facevano capolino dall’erba. Un tortuoso sentiero di ghiaia, costellato da cardi selvatici, conduceva per il cortile a una vecchia roulotte sotto il muro della foresta. Un barile per l’acqua piovana, collocato in cima al tettuccio di latta accanto a un tubo storto di una stufa, portava uno scialle d’edera.
La roulotte occupava quel terreno da molto tempo, abbastanza perché i rampicanti la ricoprissero per intero e i blocchi su cui poggiava sprofondassero diventando invisibili. Altre bamboline erano appese alle finestre incorniciate dalla ruggine. Sopra la porta d’alluminio ammaccata, un unico chiodo teneva affisso un grosso ramo contorto, uno scolorito legnetto ritrovato in riva a un corso d’acqua e punteggiato da erba pignola gialla.
La porta si aprì e