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Il Figlio Punico
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Ebook739 pages10 hours

Il Figlio Punico

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About this ebook

Riuscirà Isabel, figlia di un noto antropologo inspiegabilmente assassinato, a scoprire i mandanti del crimine? Per poterlo fare dovrà affrontare una drammatica avventura nel deserto libico alla ricerca del segreto custodito da un sepolcro cartaginese, dal quale emergerà una sconvolgente verità. Servizi segreti, industrie farmaceutiche, manipolazioni genetiche, amori improbabili, introspezione, conflitti morali. Fin dove può spingersi il confine del lecito? Nulla sarà più come prima.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateOct 9, 2017
ISBN9788892678460
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    Il Figlio Punico - Enrico Di Bernardo

    Indice

    Note introduttive

    Antefatto

    PARTE PRIMA

    1

    2

    3

    4

    5

    6

    7

    8

    9

    10

    11

    12

    13

    14

    15

    PARTE SECONDA

    16

    17

    18

    19

    20

    21

    22

    23

    24

    25

    26

    27

    28

    29

    30

    31

    32

    33

    34

    35

    PARTE TERZA

    36

    37

    38

    39

    40

    41

    42

    43

    44

    45

    46

    47

    48

    49

    50

    PARTE QUARTA

    51

    52

    53

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    57

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    60

    61

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    63

    64

    65

    Epilogo

    Enrico Di Bernardo

    Il Figlio Punico

    Romanzo

    Youcanprint Self-Publishing

    Titolo | Il Figlio Punico

    Autore | Enrico Di Bernardo

    Immagine di copertina a cura dell’autore

    ISBN | 9788892678460

    Prima edizione digitale: 2018

    © Tutti i diritti riservati all’Autore

    Youcanprint Self-Publishing

    Via Marco Biagi 6, 73100 Lecce

    www.youcanprint.it

    info@youcanprint.it

    Questo eBook non potrà formare oggetto di scambio, commercio, prestito e rivendita e non potrà essere in alcun modo diffuso senza il previo consenso scritto dell’autore.

    Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata costituisce violazione dei diritti dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla legge 633/1941.

    Dedicato alle mie ragazze,

    Arianna e Rebecca

    Note introduttive

    Ho scritto questo romanzo alla fine degli anni novanta, ambientandolo, senza una ragione precisa ad onor del vero, nel 1982, quando molti degli avvenimenti che avrebbero cambiato il mondo altro non erano che visioni futuristiche. Alcuni di essi, tuttavia, stavano germogliando sottotraccia come espressioni secondarie delle correnti progressiste attraverso le quali giovani innovatori si erano proposti di migliorare la vita sul nostro pianeta. Proprio tramite manifestazioni di virtuoso idealismo si generò, del tutto spontaneamente, un fenomeno di aggregazione che, per la prima volta nella storia moderna, avrebbe coinvolto con effetto globale l'umanità intera.

    Tralasciando per ragioni d'ovvietà la vicenda più condizionante in assoluto, la caduta del muro (Berlino, 1989) e la disgregazione del blocco comunista, citerei, in ordine sparso, alcuni degli eventi che nell'ultimo quarto del secolo XX°, seppur privi di apparenti analogie, si sono interfacciati e nutriti l'un l'altro, rinforzando il desiderio di cambiamento:

    la pratica clinica dell’inseminazione artificiale (Louise Brown, 1978) e del trasferimento in utero di embrioni preventivamente congelati, procedure che hanno scatenato un dibattito nel quale la contrapposizione laico-teologica è parsa per anni prevalere su ogni altro aspetto di contingenza terrena. Va ricordato che il decennio degli '80 ha consentito il perfezionamento di tecniche procedurali che si presentavano ricche di incognite ma che (parallelamente alla pratica del trapianto di organi) per loro stessa natura, sollevarono il conflitto etico/morale;

    l’accettazione della destabilizzante idea che gli esseri viventi potessero essere facilmente duplicati, o meglio, replicati: una copia geneticamente identica a noi stessi! (la pecora Dolly, 1996);

    lo strisciante malessere delle gioventù imbrigliate, culminato nelle rivolte studentesche iraniana (Tehran, 1979) e cinese (Tienanmen, 1989), o la pressante necessità di indipendenza e libertà deflagrata nei moti indipendentisti balcanici (1990) e nelle più recenti sommosse tunisine (2010) e libiche (2011), la 'primavera araba'; eventi dai quali possiamo estrapolare un episodio simbolico, la caduta di Gheddafi (Sirte, ottobre 2011), che riassume l'espressione di un disagio sociale molto radicato e universalmente esteso, e che peraltro sembra ancora distante dall'aver assolto al suo incipit ispiratore;

    la commercializzazione dei telefoni cellulari (Motorola, 1983) confluito in un fenomeno di massa divenuto episodio propedeutico all’avvento di un virus privo di antidoto: Internet (World Wide Web, 1991), una vera e propria rivoluzione in ambito relazionale che, per quanto in forma virtuale, ci ha permesso di eludere le barriere costruite sulle convenzioni, proiettandoci dentro un’illusione dalla quale è diventato legittimo rivendicare con forza l'accesso alla virtù che più di ogni altra ci può avvicinare all’onnipotenza: il dominio del tempo e dello spazio.

    Bene, negli anni ottanta tutto ciò era solo proiezione.

    In breve sostanza, perché questo preambolo?

    Credo che contestualizzare la narrazione, artificiosamente privati delle lusinghe proposte dalla tentacolare contemporaneità per quei brevi momenti dedicati alla lettura, sia l'approccio più funzionale con cui avvicinarsi a quanto hanno da offrire i personaggi che si intrecciano nel romanzo, nonché la giusta occasione per fare un viaggio all'indietro nel tempo, sensibilmente dilatato rispetto i pochi lustri considerati, assecondando l'intendimento di chi scrive. La consapevolezza che gli anni ottanta rappresentano il contenitore degli avvenimenti di un periodo storico-sociale molto distante da quello attuale, è il modo migliore per cogliere le motivazioni che determinano comportamenti e scelte dei protagonisti, ma anche le emozioni con cui vivono le loro esperienze.

    Concludo; sulla base di queste premesse è possibile sostenere che l’immaginazione e la fantasia – e non dico quindi fantascienza – possano anticipare la realtà, o quantomeno, alla stregua di un’altra dimensione, correre lungo binari paralleli ad essa?

    Antefatto

    Tripoli, primavera 1982

    La pregiata moquette verde di Kashan, gradito omaggio dell’emiro del Qatar, Khalifa Al Thani, rivestiva le pareti verso l’alto per tre quarti, aumentando progressivamente la tonalità dell’ombreggiatura; un effetto cromatico piuttosto inconsueto, che avrebbe generato un senso di incompletezza qualora lo sguardo non avesse ultimato il proprio percorso. Un invito che non poteva essere ignorato. Cosicché l'attenzione veniva inevitabilmente catturata dal soffitto, sul quale un avvolgente affresco dalla prospettiva tridimensionale rappresentava con drammatica enfasi la battaglia di Badr, preambolo dell'entrata trionfale di Maometto alla Mecca.

    Distesi sul pavimento, sopra un mosaico di variegate piastrelle laccate, giacevano quattro enormi tappeti di manifattura berbera, tessuti ad incrocio con filamenti di canapa e cotone a disegnare arabeschi e ghirigori nelle varie sfumature del verde.

    La porta blindata d'ingresso alla stanza era ricoperta da pannelli di mogano peruviano, cesellati in bassorilievo ed ordinati in senso antiorario nella rappresentazione di scene di vita tratte dal quinto capitolo del Corano.

    In perfetta simmetria, nella parete antistante, una porta di raffinata lavorazione artigianale sembrava rimpicciolire al cospetto delle due enormi gigantografie, uguali per forma e dimensione, che ritraevano in posa autoritaria il Segretario del Comitato Generale, il Capo dello Stato. I lembi alle due estremità della bandiera libica, fissata al muro sopra l'architrave della porta per mezzo di tasselli dorati, sfioravano i quarti superiori dei ritratti, quasi a volersi congiungere ad essi nel segno di un indissolubile e divino legame.

    Il resto della stanza non faceva concessioni ad altre forme di opulenza - fatta eccezione per un maestoso tavolo esagonale in cedro libanese laccato - dominata dalla stessa austera freddezza di cui si fregiava, riconducendovi le stimmate della superiorità, colui che abitualmente la frequentava.

    Al solo lampadario era lasciato il compito di rendere l'atmosfera meno formale; irradiava una luce dalle diverse gradazioni, la più intensa delle quali era stata strategicamente orientata nel punto in cui l'uomo di Sirte era solito aspettare in piedi i suoi convenuti.

    Istintiva ed incontrollabile. È la pulsione che ci induce a giudicare una persona sulla scorta di sensazioni primitive, suggerite in genere dal primo approccio visivo. Una pulsione quantomeno ingannevole, spesso fuorviante.

    Nonostante ciò, il colonnello Emaish El-Dersh aveva costruito su questa convinzione una personale filosofia di vita, ed in ossequio ad essa utilizzava la propria immagine per aggredire la controparte, evocando suggestioni con le quali, fin da subito, riusciva ad incutere una sorta di ineludibile sudditanza. Era una questione di forma: la postura, l’atteggiamento, la cura del dettaglio. Ma, innegabilmente, in prima battuta erano quei lineamenti duri, marcatamente magrebini.

    Assolutamente impeccabile nella sua divisa color kaki, sfoggiava una giacca in stile British perfettamente stirata, ornata da medaglie e lustrini che ne raccontavano, come in una sequenza di fotografie, la carriera militare. I galloni dorati, luccicanti di riflessi, davano l’impressione di protendere all’infinito le larghe spalle squadrate di un fisico prepotente. Sul taschino destro, il fregio da ufficiale superiore, l’aquila dal becco adunco con lo scudo in petto tra le ali semiaperte. Anche i pantaloni, dal taglio irreprensibile e con la piega mirabilmente centrata e cadente in perfetta verticale, suggerivano l’idea di perseguire un progetto comune in ambigua sinergia con i sotterfugi cognitivi escogitati da El-Dersh. Perfezione ed intuito. Infine, non potevano mancare tra gli oggetti in dotazione all'uomo condizionante gli anfibi lucidi e immacolati, ai quali sembrava venisse delegato il compito di riflettere l’anima prima ancora dell’immagine, proprio come lo specchio della coscienza.

    Ne scaturiva uno stridente quanto involontario contrasto con la variegata proposta cromatica esibita dalle uniformi del suo esercito; dall’eterogeneità dei colori, cangianti ove non sbiaditi, alle più ardite personalizzazioni con feticci che rimandavano al fanatismo sunnita piuttosto che a quello cameratesco, quasi sempre in associazione con atteggiamenti che irridevano senza pudore il codice di disciplina militare.

    Niente di più distante dal portamento dell’uomo di Sirte, la cui alterigia lasciava trasparire, proiettandole come vivide sequenze nel subconscio dell'interlocutore di turno, le riconosciute crudeltà di cui era stato artefice.

    Criminale di guerra. Processato e giudicato in contumacia dal tribunale internazionale dell’Aia. Tuttora, d’altronde, nessuno poteva dubitare che fosse il mandante delle più svariate efferatezze.

    Emaish El-Dersh non era abituato a ricevere spiegazioni su fatti accaduti nella sua Santa Patria di cui non conoscesse a fondo i risvolti più reconditi. Tanto meno era disposto a sentire i suoi uomini balbettare scuse a giustificazione di avvenimenti che non sarebbero mai dovuti accadere; in fondo sarebbe bastato attenersi disciplinatamente alle sue disposizioni.

    In quel momento il gerarca si stava voltando con movenze deferenti verso la bandiera libica, ed ora la stava contemplando con venerazione, mostrando le spalle al suo ospite. Cercherò di non dilungarmi in inutili preamboli, tenente. Lei ha facoltà di correggermi qualora dovessi dire delle inesattezze esordì ruotando il capo con studiata lentezza verso il soldato Fathy, guardandolo maliziosamente con la coda dell'occhio. Se ho ben capito, il nostro uomo ha sconfinato fuori del perimetro che gli era stato assegnato senza incontrare resistenza alcuna, giusto? Dal mio punta di vista si tratta di un’infrazione. Oppure possiamo pensare che si sia dedicato a... come potremmo chiamarla, una salubre, innocua escursione nel deserto? Ecco, una salubre, innocua escursione nel deserto! D’altra parte le attrazioni naturali dell’Akakus potrebbero essere un giustificabile invito alla trasgressione. Immagino che avrete pensato di assecondare la soddisfazione di quella che in fondo non è altro che legittima curiosità. Lo vogliamo interpretare come un gesto di cortese ospitalità, tenente? E dica, non si è mai posto il dilemma, quale devoto servitore della Patria, se fosse o meno il caso di intervenire? ostentò un sorriso ironico.

    Il tentativo di replica del tenente, tanto inopportuno quanto inutile, fu stroncato sul nascere. ‘Lei ha facoltà di correggermi’. Ad onor del vero, signore...

    Fulminandolo con gli occhi vitrei il colonnello non gli permise di proseguire; la domanda, del tutto retorica, in realtà non prevedeva risposta. E poi quello, nonostante le premesse, non era un contraddittorio. Ed il fatto che non ve ne siate accorti... Sfugge dalla mia capacità di comprensione la sola idea che non abbiate visto lo scienziato allontanarsi dal campo! E badi bene tenente, non a piedi, di nascosto, furtivamente, ma con una Jeep carica di attrezzi per rilevamenti geologici! Aspetto, mi permetta, che non mi lascia indifferente sulla valutazione delle sue virtù e con esse delle sue capacità di gestione dei subordinati.

    Non traspariva irritazione dal volto del colonnello, semmai un'aria pericolosamente sarcastica. Era una sua peculiarità. Dall’espressione del viso, sempre imperturbabile, non si sarebbe mai potuto cogliere niente di diverso dall’indifferenza tipica della superiorità. Anche nei momenti più delicati della sua rapida scalata al potere militare, quanto in quelli più intensi della vita privata, non aveva mai permesso che la componente emozionale del proprio carattere prendesse il sopravvento su quella razionale. Tanto da far dubitare, a chiunque avesse avuto modo di conoscerlo, d’esser provvisto d'anima. Narrano, le sue concubine, che anche nell'attimo della sublimazione dei sensi, quando gli spasmi incontrollati della muscolatura pervadono l'intero corpo, il suo autocontrollo non conceda spazio alla benché minima emozione.

    Per il suo esercito era diventato una leggenda, per i suoi nemici il peggiore degli incubi. Nel 1969, allora maggiore delle forze d'assalto della Milizia Nazionale, aveva contribuito in maniera determinante alla riuscita del colpo di stato con cui il colonnello Khalil Bashar si era insediato al potere. Le sue abilità organizzative e strategiche avevano permesso di coordinare perfettamente il tempismo dell'operazione e di ribaltare in poche ore i destini di uno dei paesi arabi più poveri ed arretrati, stritolato inesorabilmente dalle spirali di un arcaico governo a statuto monarchico, in cui dilagavano corruzione e nepotismo.

    Tuttavia, proprio in quel periodo la nazione stava cercando di rialzare la testa grazie alla scoperta di alcuni enormi giacimenti petroliferi. Fu in previsione di uno sfruttamento a proprio vantaggio dell'oro nero che Bashar ed il suo entourage decisero di anticipare il colpo di stato.

    La facilità con cui l'operazione venne portata a termine lasciò subito intuire una meticolosa pianificazione logistica, coadiuvata da una mirata strategia del terrore, messa in atto sul campo dagli uomini del maggiore. Così, complice la passività dei civili indotta dalla costante proiezione della sua virtuale onnipresenza, El-Dersh aveva in meno di quarantotto ore completato il golpe, ottenendo in cambio l'eterna e preziosa riconoscenza del futuro Capo dello Stato. Dopo di che, sconfessando di fatto le preventive promesse di aperture liberali con cui aveva assecondato le proteste diplomatiche delle potenze occidentali, aveva condotto la Libia verso anni di totalitarismo militare, camuffandolo agli occhi della demagogica tolleranza delle democrazie mondiali con l'ordinamento di Repubblica Araba Socialista Popolare.

    Non vi siete neanche accorti! Un accampamento in mezzo al deserto, cinque uomini, una donna, una ventina di operai, nessuna pista conosciuta percorribile se non quella di accesso al campo, e voi non vi siete neanche accorti!

    In realtà, si rese conto Fathy, l'aspetto davvero inquietante del colonnello El-Dersh, era la facilità con cui costringeva chi ne fosse al cospetto ad abbassare lo sguardo, annientandone ogni velleità. Ed il tutto attraverso una semplice variazione della tonalità vocale, applicata a sfumature di contenuto dal significato sottinteso. O forse era solo una questione di sudditanza dovuta al grado, alla riconosciuta influenza sul Generale ed all’indiscutibile talento psicoanalitico; non era forse lui l'eminenza grigia da cui dipendevano le sorti del Paese? Non sarebbero bastate le intenzioni per tenergli testa. Non per giustificare i miei uomini, signore, ma purtroppo l'escursione è avvenuta di notte, del tutto inaspettatamente, ed il professore si è allontanato a fari spenti. Nonostante in fase di pianificazione fosse stata prevista come l’eventualità più probabile... aggiunse con tono di voce che nulla faceva per celare un incipiente senso di colpa. La consapevolezza di non avere attenuanti con cui argomentare la propria difesa non era motivo sufficiente per preservare Fathy da un’umiliante vergogna. Sapeva che le sue parole avrebbero soltanto contribuito a sostenere l’accusa di El-Dersh, ma qualcosa doveva pur dire, se non altro per una forma di accondiscendenza che gratificasse, quasi fosse un omaggio scontato, l’irrefrenabile impulso al dominio dell’ufficiale. Decise che il suo onore, almeno quello, non ne doveva uscire mortificato, per cui si orientò sulla totale assunzione delle responsabilità. Non posso che farmi carico dell’accaduto, signore. Gli uomini sono sempre stati fedeli alle mie disposizioni. Che Allah me ne sia testimone.

    Ascoltando l’improbabile arringa dell'uomo gli occhi di El-Dersh si illuminarono di una luce gelida e penetrante che consigliarono al soldato di non insistere nell’autodifesa, in attesa della sua furiosa replica. Ma la furia si realizzò in un pacato quanto sarcastico commento. Oh certo! Le tenebre, l’astuzia di un accademico. Un alibi oltremodo suggestivo. Incapaci. Fannulloni. Eunuchi e pederasti. Siete tutti della stessa razza sentenziò.

    Era un accostamento poco pertinente - lui di certo non rientrava in nessuna di quelle categorie; poteva essere tacciato di negligenza, semmai - ma chissà in quel momento cosa passava per la testa del colonnello. D’altra parte, non c'era insulto peggiore per un ufficiale dell'esercito libico. Era il minimo che potesse aspettarsi, pensò deglutendo il tenente Fathy. Tentò un embrionale contrattacco, chinando il capo sotto l'influsso di una forza esterna più che della propria volontà. Non stavo cercando giustificazioni, signore.

    A me non sembra affatto! proruppe El-Dersh. Comunque adesso non ha più importanza, se non per lei ovviamente. Era la prima minaccia, per quanto solo allusa, che lasciava presagire provvedimenti severi. Quanti altri, oltre al professore, ritiene abbiano visto dei dettagli compromettenti?

    Nessuno signore, si è mosso da solo. In ogni caso, mi permetta, ritengo alquanto improbabile che il professore possa aver scoperto qualcosa, Fathy giocò una carta a sorpresa, la base è mimetizzata in maniera assolutamente impeccabile...

    Lo so, l'interruppe il colonnello con un moto d'orgoglio, è una mia creatura.

    Il tenente aveva segnato un punto a proprio favore, e lo sapeva. Inoltre i sistemi di rilevamento non hanno riscontrato nulla di anomalo, o quanto meno nessuna infrazione del perimetro. Nessun commento. Fathy si affrettò a continuare, rinfrancato da quello spiraglio di dialogo concessogli. In realtà, dubito che anche un esperto in armamenti ed infrastrutture militari sia in grado di riconoscere i segni di un insediamento produttivo in quella zona di deserto. Oltretutto, secondo le informazioni in nostro possesso, non ci risulta che l’uomo si possa definire un esperto in nulla di diverso che non sia l’antropologia. Fathy tacque per un attimo, il colonnello fece altrettanto, senza peraltro distogliere nemmeno per un istante lo sguardo dai suoi occhi timidi. Quel breve silenzio angosciante ebbe però il potere di incoraggiare il tenente; volle accennare ad una reazione d'orgoglio che gli consentisse di ritrovare un po' di dignità e, nel gioco simbolico dell’interpretazione corporale, di guadagnare considerazione almeno in quanto uomo attraverso un semplice gesto; si permise di alzare la testa e sostenere lo sguardo del gerarca, senza con questo sembrare irriverente. Fu un tentativo inutile.

    Devo dire che è molto lodevole la sua intenzione di spostare gli equilibri del nostro confronto, potrei definirla perfino astuta. Peccato che io non sono un ingenuo e soprattutto non sopporto i ruffiani! Davvero crede sia così semplice lavarsi le mani nel mio lavandino? Non era una metafora dall’immediata interpretazione, ma Fathy non ebbe dubbio alcuno circa il suo significato. Si guardi intorno tenente! Nulla di ciò che vede sarebbe così sublime se non avessi l’istinto di riconoscere l’opportunismo che rende l’uomo subdolo. Questa volta Fathy non fu in grado di cogliere in quelle parole pregne di fanatismo il riflesso della realtà con cui doveva confrontarsi quotidianamente. 'Sublime.' Guardandosi intorno non riusciva a percepire che miseria e malcontento strisciante, oltre che terrore negli sguardi. Forse El-Dersh era davvero succube della propria deriva ideologica. Resta il fatto che se le vostre informazioni sono attendibili come la vostra abilità nel sorvegliare gli ospiti indesiderati... Cercherò di fare uno sforzo per interpretare meglio le sue parole, tenente. Lei mi sta consigliando di sorvolare su quanto accaduto perché in base alle sue illuminate ipotesi il nostro professore non avrebbe visto, o quantomeno dedotto nulla, dico bene? Il tono vibrante della voce di Emaish El-Dersh lasciava intendere un'ostilità male augurante. La discussione era stata abilmente guidata in un vicolo cieco dal quale il tenente non sarebbe più stato in grado di uscire; lui se ne rendeva perfettamente conto, anche se solo pochi istanti prima, nell’umile stanzetta adiacente la sala verde in attesa di essere ricevuto, era sicuro che sarebbe riuscito a condurre l'interrogatorio in una direzione più favorevole ai propri tentativi di giustificazione. Sapeva che la sua carriera militare, lì in quella stanza ed in quel preciso momento, era arrivata al capolinea, ed i suoi timori erano ormai rivolti al proprio futuro di uomo, se mai ce ne fosse stato uno. Ma per Allah! Era pur sempre un ottimo soldato, il primo classificato all'accademia militare di Bengasi. Aveva trentadue anni ed era il più giovane tenente dell'Esercito Popolare Libico di stanza nel settore occidentale del paese; non poteva essere una sola disattenzione, per quanto grave, a cancellare i meriti finora acquisiti.

    Decise di fare un estremo tentativo per salvare la carriera, o quantomeno l’onorabilità. No signore. Tuttavia mi consenta di chiederle di non affrettare il giudizio. Per quanto mi riguarda, non è una questione di superficialità. È evidente che non mi permetterei mai di consigliare una strategia controproducente replicò quasi risentito. Il mio era un semplice tentativo di analisi oggettiva degli accadimenti, signore. Naturalmente dal mio punto di vista. Mi rendo perfettamente conto che non si devono assolutamente correre rischi quando c'è in gioco la segretezza di In Farden. Darei la vita pur di proteggere il Segreto. Ho giurato per questo.

    Ogni ufficiale che per questioni di sicurezza nazionale veniva messo al corrente dell'esistenza del 'Segreto' doveva sottostare ad un giuramento di fedeltà che vincolava il proprio destino alla salvaguardia di ciò che per El-Dersh equivaleva al lascito testamentario che si era proposto di offrire alla sua Libia, ma che rappresentava soprattutto un incontrovertibile sigillo d'immortalità.

    Il Segreto altro non era che In Farden, una base militare sotterranea attrezzata a laboratorio biochimico perfettamente camuffata con il territorio circostante. Si trovava nel sud del Fezzan, a sud-est di Ghat, ed era posizionata in prossimità del Tadrart Akakus, l'ultimo sperone che dal massiccio dell'Hahaggar algerino digrada in Libia verso ovest, nelle sabbie dell'erg di Uan Kaza, uno scampolo di terra brulla di poco meno di cinquanta chilometri quadrati, un territorio composto essenzialmente da rocce sedimentarie, intrecciate da letti inariditi di antiche vie d'acqua, piccole dune di sabbia alternate ad altre ben più maestose, una forma di bassa e rada vegetazione, pianure nerastre che sembravano riprodurre le distese laviche delle isole vulcaniche.

    Suggeriva un frustrante senso di fatalismo constatare quale fosse la portata della mutevolezza del territorio che fu dei nostri progenitori; non era certo l’aspetto con cui quelle lande si presentavano nel pleistocene, al punto che 10.000 anni prima venne considerato da una florida comunità nomade l’ambiente ideale nel quale insediarsi stabilmente.

    Furono quegli stessi artisti preistorici che scolpirono e disegnarono bassorilievi rupestri e pitture raffinate quanto complesse. L'importanza storico-culturale di queste opere assolutamente uniche venne riconosciuta perfino dall'Unesco, che incluse l'Akakaus e le sue sculture nella lista del World Cultural and Natural Heritage, patrimonio culturale e naturale dell'umanità. Ma era anche il luogo perfetto per un futuristico progetto dell’ambizioso Emaish El-Dersh. Sfruttando all'insaputa di tutti questa copertura, il colonnello fece realizzare in pochi mesi la base militare sotterranea di In Farden, utilizzando una delle poche aree sabbiose di dimensioni sufficienti per accoglierne le infrastrutture; queste ultime, per evidenti costrizioni di tipo morfologico, si districavano prive di un progetto convenzionale fra le conformazioni rocciose del sottosuolo superficiale. Era del tutto invisibile, sia da terra che dall'alto, fatta eccezione per le bocche delle tubazioni in alluminio che portavano all'esterno della base le sostanze derivanti dalle lavorazioni, nonché quelle del ricircolo dell'aria; per poterle vedere era necessaria una perlustrazione minuziosa del territorio, ed era stata proprio questa eventualità il principale motivo di apprensione nei confronti dell’escursione di Debon.

    L'unico mezzo di trasporto che permetteva di raggiungere la base era ovviamente l'elicottero, il quale riusciva ad atterrare, non senza difficoltà, nei pochi spazi concessi da quell’angusto fazzoletto di terra. Sfruttandone la duttilità venivano compiuti i rifornimenti di viveri e l'interscambio del selezionato personale, altamente qualificato e fedele al Segreto.

    Tuttora, nonostante la base potesse ospitare sessantacinque persone tra militari e scienziati, gli occidentali potevano solo sospettarne l'esistenza, ispettori dell'Unesco compresi.

    Sul rispetto dei requisiti che permettevano di mantenere l'assoluta riservatezza di In Farden, El-Dersh era assolutamente intransigente e Fathy questo lo sapeva. Lui non si reputava certo un incapace. Sentì crescergli dentro una sensazione di rivalsa che per qualche istante prevaricò l’angoscia alimentata dalla soggezione. Parlò: Le chiedo, signore, e voglia intenderla una necessità molto profonda, di concedermi una possibilità per riscattarmi agli occhi onniveggenti di Allah. Nonché della mia venerata patria, naturalmente. Una disordinata serie di microscopiche perline di sudore spuntarono dal nulla a punteggiargli la fronte. Accolga la mia richiesta di offrirmi volontario affinché possa eliminare tutti gli indizi che possano aver generato sospetto. Dovessi provvedere con le mie stesse mani a sotterrare ogni possibile testimone.

    L'espressione del colonnello non accennò al ben che minimo cambiamento, ma una parvenza di soddisfazione sembrò aleggiargli nello sguardo. Lei non si può permettere di offrirsi volontario, tenente. Lei è già stato reclutato. Qua dentro non si discute la sua fedeltà di patriota e integerrimo seguace del Profeta, e neppure la sua impellente necessità di riscatto. Era la verità. El-Dersh conosceva bene le qualità del tenente e la totale dedizione alla causa di cui andava fiero. E mi creda, vista la sua condizione si tratta di un privilegio. Le verrà affidata una missione della massima importanza, la sorpresa trasparì con evidenza dallo sguardo di Fathy, per trasformarsi subito dopo in cocente delusione, ...che naturalmente non svolgerà da solo. La sua negligenza ha già causato troppi danni. Lei agirà in subordine al capitano Shebel. Poi, con voce perentoria chiamò l’ufficiale: Capitano!

    La porta alle spalle del colonnello, tra le due gigantografie del generale Khalil Bashar, si aprì quasi senza far rumore, come per non alterare l'atmosfera di palpabile tensione che, ad arte, El-Dersh aveva provveduto ad instaurare.

    Basso, tozzo, di sicura discendenza ottomana, il capitano Shebel si distingueva da chiunque altro per lo sguardo sfuggente come quello di una faina. Era il più abile componente del settore 'Sorveglianza ed intercettazione' dei servizi segreti libici, un comparto strategico del controspionaggio. Il suo nome, ma non certo l’aspetto, era conosciuto dalla CIA quanto dal KGB, dall'MI6 come dal Mossad; le sue missioni di spionaggio bellico ed industriale nei paesi occidentali erano argomento di discussione in tutti gli ambienti militari arabi.

    Era al comando di un gruppo di uomini da lui stesso reclutati, dai lineamenti e dalla morfologia tipicamente europei. Nonostante fossero nati in Libia, figli di matrimoni tra libici ed anglosassoni, avevano avuto la possibilità di studiare in diverse nazioni occidentali, non dopo un indottrinamento religioso improntato sul fondamentalismo, impartito per anni in regime di clausura. Il tutto, naturalmente, su mandato del governo libico, che aveva programmato preventivamente il loro futuro destinandoli al servizio nel controspionaggio. Al termine del percorso, ognuno di loro era in grado di integrarsi perfettamente nella società in cui avrebbe dovuto interagire, sapendosi adattare con estrema elasticità alle esigenze locali. Shebel sapeva molto bene, già in fase di pianificazione del progetto, che alcuni di loro sarebbero stati inevitabilmente attratti dalle perfide sirene di una realtà ingannevole ed illusoria, tanto che si era più volte ingegnato nell’organizzazione di incidenti a prova di sospetto con cui sbarazzarsi dei disertori su territorio nemico.

    Tenente, lei certo conoscerà il capitano Shebel.

    Ne ho molto sentito parlare, come ogni soldato dell'Esercito Popolare Libico ed irrigidì ancor più la postura. Sarà un piacere lavorare con lei, capitano.

    Senza rispondere al saluto militare di Fathy, il capitano Shebel volle per prima cosa stabilire le regole non scritte della loro prossima collaborazione. Mettiamo subito in chiaro, tenente, che io non ho affatto condiviso la decisione del colonnello. Di lei non mi fido. Muovendosi a piccoli passi con le mani dietro la schiena in direzione della finestra che dava direttamente sulla moschea di Sidi Bellimam, con quell'aria di assoluta superiorità propria degli uomini fieri, il capitano si rivolse nuovamente all’esterrefatto soldato. Lei fa in fretta a parlare di 'eliminazione dei testimoni'. Forse sottovaluta la complessità di un'indagine accurata che accerti, o escluda categoricamente, la possibilità che lo scienziato abbia confidato qualcosa a qualcuno.

    Per la seconda volta in pochi minuti il tenente Fathy si ritrovò nella condizione di dover subire l'umiliazione di chi viene tacciato di negligenza ed incompetenza, senza peraltro avere i mezzi per difendersi. Si sentiva succube dei due uomini, ma non ci stava a subire passivamente. Non da quel cafone, perlomeno. Rispose con una punta d’irritazione. Questa è una sua interpretazione, che non corrisponde a...

    Adesso basta! Il colonnello El-Dersh non era l'uomo davanti a cui si poteva pensare di risolvere le futili controversie tra soldati. I dettagli dell'operazione, così come i vostri problemi personali, li discuterete in altra sede, alla presenza del vostro controllo, il maggiore Al Kaled, facendomi pervenire puntuale e dettagliato resoconto. L'importante è che la missione si svolga nella più assoluta clandestinità. Non voglio sollevare un caso internazionale col rischio di attirare l'attenzione e la curiosità del mondo intero. Assicuratevi fin da subito che non ci siano state fughe di notizie. Scoprite se l'escursione del professore nel deserto seguiva una precedente pianificazione oppure se è stata un'improvvisazione dettata da qualche stravagante intuizione da archeologo, o antropologo che sia. Esigo un controllo a trecentosessanta gradi della sua vita, privata e professionale. Leggete i suoi scritti, controllate la posta e la gente che frequenta; in fondo, le opportunità concesse dal suo lavoro potrebbero aver incentivato un avvicinamento da parte dei servizi segreti occidentali. Cercate gli indizi di un eventuale coinvolgimento in attività spionistiche o contatti con agenti del Sismi, non tralasciate nulla. Avete a disposizione tutte le risorse della vostra Divina Patria, Jamahiriya al-'Arabiya al-Libiya, uomini e mezzi. Poi, dopo una pausa studiata, con aria solenne pronunciò le parole che i due uomini non avrebbero mai voluto sentire. E ricordatevi che ogni vostra azione sarà sottoposta al giudizio di Allah, oltre che al mio, naturalmente sottolineando così un accostamento tanto blasfemo quanto ovvio. Non credo sia necessario ricordarvi che in caso di fallimento la vostra prossima destinazione sarà Takarkury, e vi prometto che provvederò io stesso a rendervi piacevole il soggiorno.

    Takarkury. Un gelido vento polare investì virtualmente i due ufficiali. Takarkury. Quello che, con un eufemismo, veniva considerato un campo di lavoro per disertori, traditori e dissidenti politici.

    Anche Takarkury era stata un’idea di El-Dersh. In seguito all'intensificarsi dei controlli ONU e delle associazioni per la salvaguardia dei diritti umani dei detenuti politici, il generale Bashar aveva abolito la consuetudine di giustiziarli, o perlomeno non permetteva più che lo si facesse sotto la luce dei riflettori, puntati sulla Libia in particolare dagli Stati Uniti. E così si era rivolto a El-Dersh. Pochi mesi dopo il campo aveva aperto i battenti. Situato a sud-ovest del paese, anch'esso tra i pendii disegnati dalla catena montuosa dell'Akakus, prendeva nome dall'omonimo passo. Peculiarità del luogo era la spaventosa escursione termica tra il giorno e la notte, che rasentava in alcune occasioni i 40 gradi centigradi.

    La promessa del colonnello corrispondeva in tutto e per tutto ad una minaccia di morte lenta e dolorosa.

    Quando sarete sicuri, assolutamente sicuri di aver circoscritto l’eventuale diffusione di informazioni... sentenziò con voce grave in assoluta immobilità, con gli occhi fissi nel vuoto, e solo dietro mia esplicita autorizzazione, abbassò lentamente lo sguardo, provvederete a neutralizzare l’uomo. Poi vi occuperete di tutti coloro che abbiano acquisito conoscenze sufficienti per mettere in pericolo la segretezza della base.

    La reprimenda era terminata. Il colonnello tornò a girarsi verso la bandiera libica; un esplicito messaggio ai due subordinati, i quali si prostrarono in un saluto militare che il gerarca poté solo immaginare. Quando uscirono dalla stanza, sui loro volti si poteva chiaramente leggere la stessa preoccupazione: quella di dover rispondere del loro destino non solo ad Allah, ma all'uomo di Sirte.

    PARTE PRIMA

    Isabel

    1

    Stava camminando con passo spedito cercando di evitare i tranelli proposti dal marciapiede, trappole mortali per il suo tacco 12. Aveva sempre mal sopportato i ritardatari cronici e le patetiche giustificazioni con cui tentavano di scusarsi cercando nel contempo di non rendersi ridicoli. Quasi mai ci riuscivano.

    Mandò a quel paese senza troppi riguardi una zingara che cercava di bloccarla per il braccio per leggerle la mano e guardò nuovamente l’orologio.

    Isabel Debon era una donna determinata, profondamente fedele ad un empirismo di derivazione scientifica, con le certezze proprie di una formazione multiculturale e le insicurezze generate da una spiccata sensibilità. Lei stessa faceva fatica a collocarsi in una categoria predeterminata di persone. Altresì, a parer comune, il suo atteggiamento mutevole proiettava l’idea di una personalità enigmatica, che stuzzicava in coloro che la frequentavano un intrigante percorso d’indagine sulla sua personalità.

    Aveva da poco compiuto trentun anni e la vita, finora, le aveva assicurato una buona dose di soddisfazioni. Si era laureata all'università di Padova, facoltà di scienze biologiche indirizzo bio-molecolare, per conseguire poi la specializzazione in citogenetica e mutagenesi ambientale. Dopo un dottorato triennale allo Sackler Institute della New York University, aveva immediatamente trovato occupazione presso il laboratorio di ricerca diagnostica dell'università di Torino, non senza aver gentilmente declinato l’allettante offerta che le era stata avanzata personalmente dal rettore dello Sackler, ed in poco tempo era passata da un ruolo di semplice ricercatrice a quello ben più impegnativo e gratificante di prima assistente del primario.

    Aumentò il passo, mancavano pochi minuti e doveva attraversare ancora un paio di isolati. Ad Isabel piaceva camminare per le vie di Torino e vivere l’atmosfera sabauda, cupa e malinconica, che traspariva dall’architettura del centro storico; le dava un senso di protezione e, contrariamente a quanto si potesse pensare, di intimità. Per esaudire questa forma di primitivo autocompiacimento, aveva l’abitudine di parcheggiare l’auto piuttosto distante dal luogo d’incontro; questa volta però aveva sbagliato i calcoli, e lei odiava arrivare in ritardo. Si rendeva conto che un po’ di elasticità in certe occasioni non avrebbe guastato ma, ne era consapevole, stava vivendo una trasformazione irreversibile della quale il puntiglio per la puntualità non era che la punta dell’iceberg di questioni ben più sostanziali. In fondo, si disse, il suo carattere si stava lentamente plasmando su un’impronta decisamente pragmatica a discapito di un idealismo tipicamente giovanile, pregno di entusiasmo ma carente di sostanza. Non era un caso se aveva dedicato il suo credo al servizio della ricerca sperimentale, in particolare di quella genetico-molecolare, che riteneva baluardo insostituibile al diffondersi delle malattie infettive ma soprattutto delle mutazioni genetiche, ad iniziare dal cancro.

    Adesso si stava recando all'appuntamento con uno dei pochi uomini che ammirava realmente, uno che avrebbe amato diversamente da come amava se solo avesse potuto; uno che non nutriva soggezione nei suoi confronti, anzi, sapeva catturarne costantemente l’attenzione. Questo adorava nell'uomo: che riuscisse a tenerle testa, che dimostrasse la sua tanto decantata superiorità di maschio - perché paradossalmente era questo che Isabel voleva credere, aveva solo bisogno che glielo si dimostrasse - e che gli portasse via il centro del palcoscenico senza esibizionismo, con la sola forza della determinazione.

    'Da Mario' era un classico locale rinascimentale d'inizio secolo XVI°, con i soffitti a volta tesi alla ricerca dell'armonia classica, affrescati da rappresentazioni dei grandiosi avvenimenti che avevano trasformato il mondo. In una sala la caduta di Costantinopoli; in un'altra una fucina per la produzione di armi da fuoco; nella sala-bar, ove sembra che nel corso del primo ventennio del milleottocento si svolgessero segretamente le riunioni della carboneria, la scena della firma del concilio di Ferrara. Appese ai muri le copie in scala delle riproduzioni originali dei capolavori architettonici di Brunelleschi e del Bramante, degli schizzi a carboncino di Donatello e di Michelangelo, delle pitture del Botticelli, di Piero della Francesca e tanti altri. Situato all'angolo tra corso Regina Margherita e via Rossini - punto privilegiato di osservazione dello spettacolo notturno offerto dalla Mole Antonelliana illuminata - era il luogo preferito per i loro sporadici incontri; non era affatto facile districarsi tra i vari impegni e trovare una serata libera che coincidesse per entrambi.

    Papà! Come stai? Bé, guardando il colore della tua pelle si direbbe che sei appena arrivato da un mese alle Maldive. Nessuno potrebbe immaginare che te la sei spassata nel deserto.

    Isabel, mia cara! Uhm... fatti vedere. Mi sembra che invece tu abbia approfittato un po' troppo dei piaceri della tavola, sentenziò scherzosamente l'uomo, ...oppure di quelli offerti dalla vita di coppia? Guarda che se è arrivata l’ora di diventare nonno lo devo sapere con buon anticipo. Credo mi ci vorrà un po’ di tempo per abituarmi all’idea. All’idea di invecchiamento, s’intende, non certo a quella di un nipote!

    Grazie per il complimento! È un modo elusivo per dirmi che ho messo su pancia? Comunque non ti preoccupare papà, dovesse mai capitare sarai il primo a saperlo rispose lei col sorriso sulle labbra, riuscendo a camuffare il velo di tristezza che ne stava modellando l’espressione.

    In realtà in quel momento Isabel stava nascondendo al padre un particolare importante della propria vita sentimentale, forse per una sorta di pudore di coppia. Di fatto non si trattava di un dettaglio esclusivamente personale - fosse stato così non avrebbe avuto remore nel confidarglielo - ma coinvolgeva direttamente il marito. Ora, lei non se la sentiva di violarne l'intimità né la fiducia, non a sua insaputa.

    Come coppia la loro rientrava nella casistica della cosiddetta 'popolazione infertile', contraddistinta cioè da condizioni fisiologiche che ostacolavano la possibilità di concepire naturalmente. Della loro difficoltà riproduttiva si erano accorti quando, dopo otto mesi di inutili tentativi, avevano deciso di sottoporsi ad una serie di esami clinici specifici. Gli esiti avevano indotto lo specialista a formulare una diagnosi assolutamente contraddittoria, almeno per loro; per un certo verso infatti i risultati si erano rivelati confortanti, per l'altro decisamente inquietanti. L’embriologo aveva parlato di 'sterilità idiopatica', riassumendo il concetto in poche parole. Voi non siete afflitti né da sterilità assoluta né da sub-fertilità; la vostra situazione potrebbe non essere correlata a nessuna causa evidente. E allora che fare? Il dottore non aveva escluso la possibilità di poter ancora concepire spontaneamente: 'fertilità residua' la sua sentenza. Solo che lei... lei ha trent'anni vero? aveva detto guardando Isabel. Poi aveva aperto un dossier e consultato una tabella. La vostra percentuale di ingravidamento spontaneo è pari al trentuno per cento, ma tenete conto che più passa il tempo più decresce il valore, fino a scendere al cinque virgola cinque.

    Era stato un boccone amaro da digerire, ancora più indigesto quando l'embriologo, senza giri di parole, li aveva consigliati sul da farsi. 'PMA' il termine che aveva usato.

    PMA?

    Procreazione Medicalmente Assistita. Avrete già sentito parlare di Louise Brown, no? Il primo essere umano concepito in provetta. Millenovecentosettantotto! Poi aveva tirato fuori un altro acronimo. Questa volta però provvide a spiegare senza bisogno di sollecitazioni. FIVET! Fertilizzazione 'in vitro' e trasferimento in utero di embrioni!

    E così Isabel avrebbe dovuto farsi prelevare degli ovociti affinché, in appositi terreni di coltura, potesse avvenire la fecondazione extracorporea con il seme del marito; solo successivamente allo sviluppo di un embrione 'in vitro' - in laboratorio - quest'ultimo sarebbe stato inserito nell'utero materno per il proseguimento della gravidanza. Se avessero mai accettato, e se solo il processo legislativo che doveva dare attuazione al decreto che legittimava la procedura avesse superato gli sbarramenti dei movimenti cattolici.

    Dopo un paio di settimane di discussioni, anche furiose, acconsentirono.

    Adesso, dopo che Isabel aveva subito un trattamento di stimolazione dell'ovulazione con specifici farmaci induttori, quattro dei suoi ovociti si trovavano presso il Centro di Medicina della Riproduzione di Torino, conservati in azoto liquido a 196 gradi sotto zero in appositi contenitori.

    Il liquido seminale del marito, contrariamente, sarebbe stato prelevato nel momento del bisogno, con una tecnica sicuramente meno complessa, immediata, e soprattutto più... piacevole.

    Attualmente i due erano in attesa di procedere alla fecondazione, che l'embriologo aveva preferito rimandare di qualche mese; prima dovevano aspettare i risultati di un programma terapeutico di nuova concezione prescritto alla coppia, nonché l’imminente autorizzazione all’applicabilità della norma giuridica. E tra pochi giorni avrebbero ricevuto il verdetto. Poi, in caso di esito negativo, avrebbero proceduto. Solo allora, a giochi fatti, si sarebbe confidata con l'uomo seduto al suo tavolo; l'avrebbe reso partecipe della propria gioia, facendo così di lui la persona più felice del mondo.

    La fama del professore Fernando Xavier Lopez Debon aveva ormai da tempo travalicato i confini nazionali. Antropologo di riferimento per tutti gli enti istituzionali di settore della Comunità Europea, laureato con il massimo dei voti in antropologia all'università delle Scienze Umane di Siviglia, si era dedicato fin da giovane alla ricerca sul campo, privilegiandola a quella che ancora studente pensava fosse la sua vera vocazione: l'insegnamento e la carriera accademica. Era sì titolare della cattedra di paleoantropologia all'università di Torino, ma inevitabilmente lasciava che fossero i suoi assistenti a portare avanti il programma didattico in aula, limitandosi ad alcune sporadiche presenze presso gli scavi archeologici di Ercolano ed il relativo museo di antropologia fisica, che costituivano uno dei campi di ricerca prescelto dall'università per lo svolgimento degli stages complementari e del tirocinio dei laureandi.

    Il professore aveva raggiunto la consacrazione professionale quando, dopo un'intuizione generata dall'utilizzo di un particolare programma informatico applicato alla sua materia, aveva cominciato a dedicarsi alla ricostruzione fisionomica dei crani e del viso delle mummie egizie attraverso il computer. Col tempo aveva perfezionato la 'sua' tecnica e adesso era in grado di riprodurre tridimensionalmente le fattezze di un uomo preistorico utilizzando come riferimento nient'altro che un mucchietto di ossa consumate dal tempo.

    Anche se ormai, all'età di sessantatré anni, cominciava ad accusare l'usura fisica di decenni di faticose ricerche nelle zone dei ritrovamenti più interessanti del Mediterraneo, le sue giornate erano totalmente assorbite da missioni - così le chiamava lui - di lunga durata nel nord Africa e nell'Asia minore.

    Quella sera, tra un viaggio e l'altro, era riuscito a ricavarsi qualche momento da dedicare completamente alla figlia.

    Isabel si chinò per baciare il padre sulla guancia, arrestandone nel contempo il cavalleresco tentativo di alzarsi per scostarle la sedia. Quindi andò a prendere posto di fronte a lui.

    Oscar, il maître, offrì loro gli eleganti menù rilegati in pelle, allontanandosi poi discretamente dal tavolo, non dopo aver lanciato un discreto sguardo al delicato décolleté della donna. Isabel amava valorizzare le proprie forme, ostentando il seno tornito e proporzionato e le sinuose curve dei fianchi, vestendosi con leggeri indumenti attillati. Era un modo certamente pretestuoso, per quanto lei cercasse di convincersi del contrario, per catturare l’attenzione degli uomini, sostenuto, bontà sua, dall’innata capacità di non sembrare mai volgare né vanitosa. Assicurava, in tutta sincerità, di non aver mai preso in considerazione l'idea di concedersi qualche distrazione, nonostante le insistenti avances di molti degli uomini più ambiti dell’alta società torinese. Anche se... senza ipocrisia alcuna, doveva ammettere che gli sguardi furtivi carichi di desiderio di mariti a braccetto non potevano che procurarle una sottile soddisfazione.

    Ora, senza dare il tempo al padre di posare gli occhi sulla carta delle portate, cominciò con ritmo incalzante a fare domande. Allora papà, come procedono le ricerche a... a... come si chiama quella remota località in cui ti sei rintanato? Ma prima dimmi, sei passato a trovare la mamma?

    La mamma, sua moglie; bastò il solo pensiero di Marta per farlo precipitare in un abisso di ricordi che vorticosamente lo inghiottirono, annebbiandone la proverbiale lucidità. In realtà in Debon si era auto generata la virtù grazie alla quale riusciva a non pensarci mai, allontanando la tentazione prima ancora che si presentasse. Era un meccanismo di difesa per evitare di perdere il controllo in maniera così traumatica. Ma nulla poteva contro i ricordi evocati da Isabel. ...Hadrumetum, ...il posto, ...Hadrumetum, gli occhi a fissare il vuoto, o forse l'immagine di Marta che mai come quando sua figlia gliela ricordava appariva nitida, quasi volesse farsi accarezzare.

    Papà stai bene? Io non volevo...

    No, scusa. Non ti preoccupare, non è colpa tua. Sai l'effetto che fa su di me il pensiero di tua madre. Quando sei tu a ricordarmelo poi... Sì, sono passato l'altro ieri, durante un soggiorno che ho dovuto fare a Roma per un seminario sull'evoluzione della specie umana dai tempi di Adamo ed Eva... ecco che l'espressione del professore riguadagnò vitalità ...a quelli di Paperon de Paperoni un accenno di sorriso accompagnò la battuta. Purtroppo i fiori che ho deposto non avranno vita lunga, ma poco importa, a Marta i fiori non sono mai piaciuti.

    Sì lo so anche lo sguardo di Isabel sembrò rincorrere qualche lontana reminiscenza del proprio rapporto con la madre.

    L'arrivo di Oscar riportò la loro attenzione su qualcosa di più attuale. Se i signori vogliono ordinare...

    Ma non avevano certo deciso cosa mangiare, anche perché non avevano ancora sfogliato il menù.

    Agnolotti ai tartufi. Brasato al Barolo. Nebbiolo d'Alba del settantanove. In omaggio alla radicata piemontesità della donna e a quella acquisita dell’uomo, la conversazione proseguì a ritmi serrati. Era loro abitudine, durante questi rari incontri, aprire la porta all'anima e lasciar fuoriuscire ogni emozione.

    I ricordi riaffiorarono in superficie ed i sentimenti li travolsero, ristabilendo quell'assoluto legame tra padre e figlia talvolta scalfito dalla lontananza.

    Giunti al termine della cena, come di consuetudine, si accomodarono ad un tavolino della saletta retrostante la sala da pranzo, dove dei separet di legno cesellati con motivi barocchi creavano delle intime nicchie tra divani, poltroncine e tavolini. Seduti davanti ad un bicchiere di sambuca - entrambi erano accomunati dalla stessa passione per l'anice - a conclusione di quel piacevole revival il professor Debon cambiò bruscamente argomento, come fulminato da un'oscura premonizione. Prendendo spunto dalla domanda con cui Isabel aveva introdotto il loro incontro, ed a cui non aveva ancora risposto, le disse: Tu sai che prima di recarmi ad Hadrumetum ho passato tre mesi nel deserto libico in una località chiamata Uan Amil, poco distante da Ghat.

    Certo, se non sbaglio dovevi andare con quell'archeologa di Bari, dottoressa Brumaldi...

    Brunoldi la corresse il padre.

    ...Sì Brunoldi, per l'appunto. Un presunto insediamento cartaginese risalente al quattrocento avanti Cristo, mi pare.

    Trecentonovantotto, per la precisione puntualizzò Fernando Debon degustando delicatamente il liquore dolciastro.

    Avete scoperto qualcosa? domandò Isabel imitando il gesto del padre.

    Eccome! È per quello che la spedizione si è protratta per tre mesi, ed è per quello che dovrò farvi ritorno tra due settimane. Nonostante il nostro scetticismo abbiamo trovato l'insediamento cartaginese. Accidenti! Eravamo decisamente fuori dai confini di influenza punica. Tuttavia non siamo stati in grado di motivare la nascita di un abitato di quelle dimensioni in un luogo così inospitale e distante da Cartagine, tra l'altro inutile dal punto di vista strategico-militare o commerciale. Ma non è di questo mistero che voglio parlarti, anche se ti accorgerai presto di una certa sorprendente attinenza con quanto sto per dirti. Il professore si guardò intorno, come per accertarsi che nessuno potesse sentire. Tu forse non lo sai, ma per ottenere il visto d'ingresso in Libia ed il permesso per aprire un'area di scavi in quella zona abbiamo dovuto coinvolgere l'ambasciatore italiano a Tripoli affinché facesse valere la sua influenza sul ministro della Difesa libico, un certo generale Muhammad Sufyan. Ebbene, alla fine ci hanno concesso un perimetro delimitato oltre il quale ci era tassativamente proibito uscire. Per non parlare poi della richiesta di prolungamento del soggiorno...

    Socchiudendo gli occhi a causa del bruciore provocato da un sorso troppo generoso di liquore, Isabel esternò tutta la propria sorpresa. Come mai queste difficoltà? Non mi pare che in altre occasioni il governo libico sia mai stato così ostile. Anzi, mi sembra che a livello di cooperazione e di scambio di informazioni ci fosse quasi una forma di alleanza in nome della ricerca. Parole tue.

    Abbassando la voce ed inclinandosi verso la figlia, come per rendere più intima la conversazione, Debon sussurrò: È vero, ma è la prima volta che lasciamo la costa e ci addentriamo così tanto nel deserto.

    Isabel dovette fare uno sforzo per sentire. Perché parli a bassa voce, papà?

    Oh, scusa piccola, ma è un po' di tempo che mi sono scoperto diffidente. Sai, ho una strana sensazione, come di essere costantemente osservato, addirittura seguito. E ho l'impressione che tutto sia iniziato proprio dal momento del mio ritorno da Uan Amil.

    Isabel si accorse che il padre sembrava realmente preoccupato, quasi guardingo, e cercò pertanto di allentare la tensione. Andiamo papà, chi vuoi che si metta a seguire un vecchio antropologo come te, se non qualche piacente signora matura!

    Il tentativo cadde nel vuoto. Nonostante i propositi il padre si era lasciato coinvolgere emotivamente dai suoi stessi timori ed in quelle condizioni non riusciva che ad esprimere ansietà. Ma a chi poteva confidare se non alla figlia le angosce e le paure che lo tormentavano? A chi poteva esporre nei dettagli quanto accaduto, la sua versione dei fatti? Tra l’altro c'era una serie di avvenimenti e di informazioni la cui importanza avrebbe potuto cambiare la vita di entrambi.

    Poi, accortosi dell'apprensione con cui la figlia lo stava guardando, cercò di correggere il tiro. No, non fraintendere, non sono preoccupato, mentì, però ci sono delle situazioni che mi lasciano alquanto perplesso. Voglio dire, perché durante i tre mesi della nostra permanenza al campo siamo sempre stati sottoposti a stretta sorveglianza?

    Bé, tu stesso hai detto che non potevate uscire dal vostro perimetro, per cui il lavoro del personale libico era più che legittimo, anche se criticabile.

    No Isabel, non hai capito. Ad esclusione di una ventina di operai libici addetti agli scavi, non c'erano rappresentanti ufficiali del governo al seguito del gruppo. A parte Hamid Sukan, ovviamente.

    Isabel trattenne a stento una risata ma non poté evitare che la sua evidente perplessità si rivelasse dal tono delle parole. Non c'era personale libico al vostro seguito? Funzionari statali, oppure dei militari? Allora come fai a dire che eravate controllati, o peggio, spiati? E per quale motivo poi? E chi è questo Hamid?

    Calma, calma, una domanda per volta! Fernando Debon non era abituato ad essere trattato con tanto biasimo e sembrò quasi irretito dall'atteggiamento superficiale della figlia. Un risentimento che lasciò trasparire appieno nella risposta. Innanzi tutto il professor Hamid Sukan é il responsabile dei fondi statali libici per la ricerca archeologica. In secondo luogo è il sovrintendente alle antichità precristiane e nell'occasione direttore degli scavi. Ma soprattutto è un mio ottimo amico. E dovresti ben saperlo, visto che non è la prima volta che te ne parlo! E infine non ho certo avuto le visioni! Anche i colleghi hanno confermato la mia stessa sensazione, cioè che qualcuno, da qualche parte, ci tenesse gli occhi puntati addosso. In fondo non sarebbe certo stato difficile. Il nostro campo base è situato in una depressione altimetrica, e la morfologia del territorio sarebbe un perfetto nascondiglio per chiunque abbia l’intenzione di non farsi vedere. Per quanto riguarda il motivo, ...non ne ho la minima idea. Il sito, per quanto interessante, non prevedeva certo scoperte rivoluzionarie. Un lampo di luce apparve nei suoi occhi. ‘Almeno per ora’, pensò tra sé. E poi Hamid era tenuto a fare rapporto quotidiano al ministro dei Beni dell'Arte e della Cultura.

    L’accanimento con cui il padre si ostinava a perorare la propria causa fu determinante per stuzzicare l’innata curiosità di Isabel, la cui considerazione per Fernando, in occasioni come questa, prevaleva su qualsiasi fenomeno di scetticismo. Decise di concedergli il beneficio del dubbio; si propose di approfondire l'argomento, ma non sarebbe stato facile trovare un elemento concreto che giustificasse la sorveglianza di un normale sito di scavi archeologici. Papà, sei sicuro che non ci fosse nulla di compromettente da scoprire, che ne so, per la reputazione della cultura libica, o qualcosa del genere?

    Verosimilmente niente che non riguardasse la vita e le abitudini dei cartaginesi.

    E la zona degli scavi non avrebbe potuto nascondere un interesse diverso da quello archeologico, per esempio di tipo militare o industriale? Petrolio?

    Bé, vedi Isabel, noi eravamo pressoché nel bel mezzo del deserto libico, dove non si vede traccia di essere umano dal paleolitico, Tuareg esclusi, e non vedo che interesse di tipo militare possa suscitare un territorio di sabbia e rocce come ce n'è per migliaia di chilometri quadrati in Libia. Il professore si portò una mano alla nuca canuta per grattarsi i capelli. Petrolio? Non credo, non ho scorto traccia di pozzi o trivelle nell'arco di quattrocento chilometri dal sito, lungo l'unica strada che da Germa porta a Ghat. I giacimenti, per quel che ne so, sono più ad est.

    Non era una risposta soddisfacente, lasciava troppi dubbi sospesi: che senso poteva avere il controllo prolungato di un gruppetto di innocui ricercatori sepolti fino al collo nella sabbia rossa del deserto? Perché in gran segreto, quando la presenza ufficiale di funzionari libici non avrebbe destato sospetti? Da chi era partito l'ordine? Militari? Politici? Religiosi? Fondamentalisti? Servizi segreti? Troppe domande per poche risposte. Risposte che non rientravano certo nell’ambito delle competenze di Fernando Debon. Restava plausibile la prima ed anche la più spontanea delle spiegazioni: suo padre si stava sbagliando. Comunque, viste le difficoltà per ottenere il permesso dalle autorità, un motivo di diffidenza nei vostri confronti ci deve senz'altro essere stato. Così dicendo Isabel si accostò ancora più al genitore, sfiorandone affettuosamente con le labbra la guancia in un tenero bacio e sussurrandogli impercettibilmente: Se vuoi scusarmi, devo andare alla toilette.

    Fu in quel momento, alzandosi e sporgendosi dal separet per divincolare le gambe dall'angusto posto, che le sembrò di cogliere un repentino movimento da parte di uno dei due uomini che sedevano nell'angolino adiacente il loro. L’analogia con l’immagine di un bambino sorpreso in flagrante dalla madre mentre ritira furtivamente il dito dal barattolo della confettura fu immediato.

    Ora ricordava, i due si erano accomodati a quel tavolo pochi istanti dopo il loro arrivo, nonostante il locale fosse semivuoto.

    Sull'onda emotiva del momento diede all’avvenimento un significato profondo, volendo lei stessa che, come la tessera di un puzzle, si incastrasse perfettamente nel mosaico di rivelazioni che il padre le stava confidando.

    Al ritorno dalla toilette si impose di imprimersi nella memoria le facce dei due individui, che tuttavia, con movimenti apparentemente naturali quanto sapienti, si ritrassero nell'ampia zona d'ombra creata dai giochi di luce della lampada e dal pannello del separet. Purtroppo, nonostante gli sforzi per osservarli senza apparire impudente, non sarebbe mai riuscita a riconoscerli in altra circostanza.

    Si propose razionalmente di non dare troppa importanza all'accaduto. Con buona probabilità, altro non era che l’effetto della suggestione; la sua fervida fantasia le aveva insinuato il tarlo del dubbio, creando un perfetto elemento da romanzo suspense. E poi, come poteva interessare la vicenda di suo padre a due persone di aspetto latino - questo almeno era riuscita ad appurarlo - che forse la Libia l'avevano vista solo su una cartina geografica?

    Ad ogni modo, una certa irrequietezza la consigliò di continuare la conversazione col padre altrove. Che ne dici di avviarci verso casa papà? Mi pare che per un uomo della tua età le undici e un quarto rappresentino un orario di tutto rispetto.

    Te l’ho già detto mille volte Isabel; il giorno che tirerai tardi più di quanto faccia io, ma solo quel giorno, allora potrai parlare.

    Pagarono il conto con la Mastercard di lui e si avviarono lungo Corso Regina Margherita, in una sera luminosa

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