La città delle ombre
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C’è chi non presta molta attenzione alle ombre, in fondo sono solo sagome inoffensive proiettate dai corpi. Ma la nonna di Elia non la pensa allo stesso modo. Lei sostiene che sono vive e che ci usano come scudi contro la luce in un disperato atto di affermazione. Per quanto le ignoriamo, non possiamo farne a meno. Vi domanderete se è possibile che abbiano influenza sulle persone. Pensateci bene, perché stanno qui deliberatamente: ci seguono, ci circondano, si muovono tra di noi e osservano tutto ciò che facciamo.
Un romanzo in cui realtà e fantasia sono così intimamente unite che risulta quasi impossibile distinguerle.
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La città delle ombre - Rafael Estrada
La città delle ombre
Rafael Estrada
Un’ombra è una proiezione di noi stessi, un’immagine oscura che ci perseguita instancabilmente per tutta la vita
.
Aspettavo Noelia. Erano le dieci di sera e le ombre erano già scese sulla città. Dalla finestra della mia stanza osservavo il parco, guardando un lampione che agonizzava: la lampadina lampeggiò e alcune scintille saltellanti proiettarono forme inquietanti attraverso il coperchio, dei piccoli lampi che si ripetevano a intervalli regolari. Era una stregoneria. Se guardavi troppo a lungo quella danza luminosa ti pervadeva un sonno che non era un sonno, e finivi col pensare che non era dovuta a un contatto o a dei cavi scoperti mordicchiati dai topi, ma che vi era nascosto un messaggio con un invito, un invito terribile o meraviglioso, chissà. In ogni caso, un invito che non ti riguardava e che non avresti mai conosciuto. Quello era il messaggio. Ora che lo sapevi, dovevi dimenticarlo e non interferire, perché ciò che stavi vedendo di nuovo erano dei cavi scoperti o un contatto senza nessun invito. Alcuni secondi a guardare le scintille erano sufficienti per rimanere stregato e cadere nelle loro mani. La contro stregoneria è, semplicemente, sapere che si tratta di una stregoneria, perché così si neutralizza. Anche se la puzza non scompare subito. Vi consiglio di tenerne conto, se vi troverete in qualcuna delle situazioni di cui vi racconterò...
Ma che sto dicendo?
Non voglio anticipare niente. Stavo dicendo che aspettavo Noelia. Aspettavo con ansia che arrivasse. Ero nervosa, perché da un momento all’altro, finalmente, le avrei raccontato tutto. Mi sentivo un po’ vulnerabile, senza sapere ancora come affrontare l’argomento. Non è una cosa facile da credere e io dovevo farglielo capire, nonostante tutto. Era la mia migliore amica, ed era arrivato il momento.
Siamo sempre state inseparabili. Elia e Noelia. Noelia ed Elia. Unite da qualcosa di estraneo alla nostra volontà. Anche se siamo state sempre insieme e non dovevamo avere segreti tra di noi, c’è una cosa che non ho mai avuto il coraggio di raccontarle, qualcosa che è successo quando avevamo solo dodici anni. Quando ci siamo lasciate la scuola media alle spalle e pensavamo di essere più grandi, perché eravamo già alla scuola superiore. Quell’anno in cui ho avuto un’esperienza che ancora oggi non so molto bene come interpretare, perché è iniziata con un mistero e mi ha messa di fronte a qualcosa, un nuovo modo di vedere le cose che ha cambiato radicalmente la mia vita. Quello che ho scoperto, quello che stavo per dire a Noelia cinque anni dopo, è qualcosa che ci circonda, sempre presente, ma che passa inosservato alla maggior parte delle persone.
Posso assicurarti che è reale come il vento, la forza di gravità o un brivido. Sono cose che possiamo sentire e vedere nel nostro mondo, se stiamo attenti, anche se a volte le possiamo confondere con un brivido o un «déjà vu». Sono forze con interessi propri che non riusciamo a capire del tutto, così come loro non capiscono noi, niente di più. Hanno bisogno della nostra energia cinetica per muoversi nel mondo e imbastire i loro affari, ma non ci considerano affatto e vivono attraverso di noi, come parassiti. Alcuni dicono che sono spiriti benevoli, altri pensano che non potremmo più vivere senza di loro perché ci forniscono un certo equilibrio. Io penso esattamente il contrario.
Sto parlando delle ombre.
Suonò il campanello.
Corsi alla porta. Noelia si era tagliata i capelli e stava molto bene. Era radiosa, dritta e stilizzata come una modella; gli esercizi di riabilitazione che doveva fare ogni giorno per anni per correggere la schiena avevano modellato il suo corpo. Quando entrò salutò la mamma, che le disse che era molto bella da quando aveva smesso di essere Robocop, abbiamo riso e, mentre passava davanti alla porta semiaperta dell’ufficio di papà, bussò due volte:
– Salve, vecchio mio.
Papà borbottò qualcosa che non riuscii a sentire. Noelia gli fece la linguaccia.
– Ha iniziato lui – si giustificò, mentre entrava nella mia stanza.
Gettò lo zaino sul letto e guardò lo schermo del computer. Spostò il mouse per disattivare lo screensaver e iniziò a curiosare.
– Che facevi?
– Ricopiavo gli appunti di letteratura – risposi.
– Li hai tutti?
– Sì.
– Beh, allora fanne una copia per me.
Collegai la stampante per stampare due copie e le dissi di sedersi.
– Ti ricordi di mia nonna?
– Certo... Ha vissuto in casa tua per alcuni giorni. – Si portò una mano al naso e cominciò a grattarsi. – Qualche anno fa, quando i tuoi genitori litigarono e tua madre se ne andò di casa, giusto?
– Sì. Ricordi il suo nome?
– Beh... – Si strinse nelle spalle. – In questo momento non lo ricordo.
– Si chiamava Carmen – dissi sorridendo.
– Bene! Quindi...
– E se ti dicessi che è stata la prima volta che ho visto quella strega?
Noelia mi guardò come se fossi impazzita all’improvviso.
– Perché la insulti? Ricordo che prima ti piaceva molto.
– Non la sto insultando, è che lei era una strega vera. Sai, di quelle che preparano gli incantesimi e cose del genere.
– Ma smettila...
– Mi ha avvolto in un incantesimo per tutto il tempo in cui è stata a casa. Lo ha fatto per proteggermi, e io non me ne sono resa conto finché non se ne è andata.
– Mi stai prendendo in giro? – esclamò. – Dai, finiscila...
– No. So che ora ti sembrerà strano, ma è vero che non l’avevo mai vista prima di quel giorno. – Mi alzai e chiusi la porta. – Voglio che ci pensi e torni indietro di cinque anni, quando mio padre ha pubblicato Gioco di ombre.
– Va bene – rispose. – Ma smettila di tenermi sulle spine e vai dritta al punto.
– Bene, Noe, ma è difficile da spiegare. Cosa ne pensi del romanzo?
– E questo che c’entra ora con tua nonna?
– Rispondi.
– Va bene... Sono rimasta sorpresa, perché tutti i suoi libri precedenti erano stati scritti per i bambini.
– Che altro...
– Era inquietante e aveva dei passaggi che ti catturavano, passaggi oscuri e misteriosi. Mi ha affascinato.
– E se ti dicessi che era un grimorio?
– Un cosa...?
– Un libro di incantesimi, un libro magico. Ecco perché ti ha affascinato. L’hai appena detto. Un incantesimo esteso ed elaborato in forma di romanzo, che provoca un effetto quando lo leggi.
Aprii il cassetto della scrivania dove tenevo i miei lavori e tirai fuori una pila di fogli con gliv angoli rovinati, legati con anelli di cuoio. La carta era ingiallita sui bordi. Il frontespizio era una pergamena; intorno al titolo vi era una specie di tribale simmetrico, una ragnatela fatta di rune che sembrava nascondere un significato. Glielo porsi. Guardò la copertina, tirò su col naso e disse: Che bello.
Mi guardò:
– È il manoscritto originale?
– Sì.
– È affascinante. Sei fortunata a essere la figlia di uno scrittore, vedi queste meraviglie prima di chiunque altro.
Quando vide che non dicevo nulla, andò alla pagina successiva, poi a un’altra, un’altra e un’altra, tutte adornate con una filigrana simile, tutte diverse, inquietanti, belle, che irradiavano forza...
– È bellissimo! Avrebbero dovuto inserire queste decorazioni sul libro che