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This is going to Hurt: Le farò un po' male. Diario tragicomico di un medico alle prime armi
This is going to Hurt: Le farò un po' male. Diario tragicomico di un medico alle prime armi
This is going to Hurt: Le farò un po' male. Diario tragicomico di un medico alle prime armi
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This is going to Hurt: Le farò un po' male. Diario tragicomico di un medico alle prime armi

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About this ebook

“Esilarante, straziante, necessario.  Un libro che fa ridere fino quasi a soffocare” (The Times)

Il romanzo che ha ispirato l’omonima serie tv in onda su Disney+

“Il miglior medical drama degli ultimi anni, perché invece di rappresentare medici sovrumani e idealizzati, osserva in che modo un sistema corrotto costringa i veri medici a tentare imprese sovrumane”  (TIME)

Giornate di lavoro estenuanti, notti insonni, weekend mancati e molto altro ancora… 
This is going to hurt è un corollario di situazioni tanto esilaranti quanto reali, che ci mostrano con stile magnificamente irriverente il dietro le quinte della professione medica. Il romanzo che ha ispirato l’omonima serie TV campione d’ascolti in Regno Unito rivela, con arguta irriverenza, i lati nascosti del Sistema Sanitario Nazionale, attraverso uno stile capace di far ridere fino alle lacrime e allo stesso tempo piangere con un sorriso amaro. In poche parole, tutto ciò che da pazienti non avremmo potuto (e forse voluto!) sapere. 

Adam Kay è un comico e scrittore pluripremiato per la tivù e il cinema britannico che prima di approdare alla carriera creativa ha lavorato come medico. This Is Going to Hurt: Secret Diaries of a Junior Doctor è il suo esordio letterario ed è diventato da subito un best-seller. Pubblicato in Gran Bretagna a settembre 2017, finora è stato già tradotto in più di venti lingue e ha ricevuto molteplici riconoscimenti, tra gli altri, da: The Times, Guardian, Spectator, Daily Express, Sunday Times e Mail on Sunday. Nel 2022 è andata in onda per la prima volta in America la serie TV ispirata al libro, in onda su BBC One e presto in Italia e nel mondo su Disney+.
LanguageItaliano
Release dateOct 30, 2022
ISBN9788899706524
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    Book preview

    This is going to Hurt - Adam Kay

    piatto.jpg

    Adam Kay

    This is going to Hurt

    Diario tragicomico di un medico alle prime armi

    © Lastarìa Edizioni srls, 2022

    Tutti i diritti riservati

    Lastarìa Edizioni

    Viale Libia 167 - 00199 Roma

    info@lastaria.it

    www.lastaria.it

    I Edizione: ottobre 2022

    Isbn: 9791280660282

    Finito di stampare nel mese di ottobre 2022

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri

    A James

    Per il suo precario supporto

    E a me

    Senza il quale questo libro non sarebbe stato possibile

    Per rispettare la privacy degli amici e dei colleghi che potrebbero non gradire l’idea di essere riconosciuti, ho modificato vari dettagli personali. Per tutelare la riservatezza dei pazienti ho cambiato alcuni dati clinici che potrebbero rendere identificabili alcuni individui, ho sostituito date¹ e omesso nomi². Eppure in fondo chi se ne fotte: non possono più minacciare di licenziarmi.

    1 Ho assistito a molti parti, e la gente ha la tendenza a ricordare la data di nascita dei propri figli.

    2 Spesso ho usato i nomi di personaggi minori di Harry Potter per sostituire un incubo legale con un altro.

    Prefazione

    È la tipica domanda che si fa a cena, una volta finito di discutere dei prezzi delle case e di mentire su quale giornale si legge: Chi ti interpreterebbe nella serie televisiva della tua vita?. Facile. Ben Whishaw. La domanda successiva, più pratica, che nessuno pensa di fare è: Come pensi di dire ai tuoi amici e alla tua famiglia che saranno ritratti in modo orribile dinnanzi a milioni di spettatori?. In qualche modo mi sono convinto che sarebbero stati comunque felici di essere inclusi, del resto tutti sognano di andare in televisione, no? Quando abbiamo terminato le riprese, ho ricevuto un messaggio da Harriet Walter, che interpreta mia madre: Ti prego di scusarti con tua madre da parte mia. Niente di personale. Dispiace anche a me, mamma, forse avrei dovuto fare un salto da te e tagliare la spina del tuo televisore!

    Il problema del passaggio dalla lettura su pagina alla visione su schermo è che la sceneggiatura deve sostituirsi alla vostra immaginazione. Nel libro, ad esempio, potete incontrare una ostetrica o un paziente e riempire voi stessi i vuoti, in TV invece questi personaggi devono apparire già definiti. Devono avere una personalità e un carattere netti, oltre magari a una backstory su un tentativo di rapimento fallito in Suriname.

    Scrivere le battute per me stesso, invece, è stato più facile. Non ho dovuto fare altro che riportare esattamente quello che avrei detto in un determinato scenario. Tra l’altro, il più delle volte si trattava delle parole che avevo effettivamente utilizzato in quelle circostanze, il che rendeva il mio lavoro meno da sceneggiatore e più da... ricordatore. (Certo, con il senno di poi, con la licenza artistica e con un tempo dedicato sonno maggiore di quello che avevo all’epoca, sono riuscito a inserire alcune battute e frecciatine). Sembra tutto così... reale, ha annunciato la BBC quando ho consegnato i miei copioni. Divertente. Ed è davvero coraggioso da parte tua!. Coraggioso? Rendere il tuo personaggio così attivamente antipatico per tutto il tempo. Oh, beh, è bello sapere cosa pensa la gente di me. Probabilmente è troppo tardi per farmi salvare un cucciolo di panda da un edificio in fiamme.

    Il reparto maternità mi ha abituato a periodi di gestazione piuttosto brevi: quaranta settimane, fatte e finite. La realizzazione di uno show televisivo è un po’ più lunga: il tempo necessario a un elefante per completare la sua famiglia e iniziare a informarsi sulle scuole medie. C’è almeno un anno di sviluppo (Sei sicuro che non dovremmo ambientarlo nello spazio?) e c’è un anno di tira e molla con i copioni e il casting prima che il regista possa premere play e registrare. Poi un altro anno di riprese, montaggio e oscuramento di quelle parti che potrebbero far rimettere la carbonara al pubblico della TV di prima serata. Quando il Coronavirus ha colpito e ha fatto slittare di un ulteriore anno il tutto, credo che i miei amici abbiano pensato che fossi un bugiardo seriale e che stessi solo fingendo che si stesse realizzando una serie televisiva su di me. Senza dubbio alcuni di loro lo avrebbero preferito, visto come sono stati rappresentati sullo schermo.

    Produrre uno show durante la pandemia è stato estremamente difficile, ed è merito del team se sono riusciti a portarlo a termine; non credo che la serie sia stata concepita per rispettare le norme di distanziamento sociale. Devo dire che ha aiutato il fatto che per gran parte del tempo i personaggi indossavano già le mascherine, anche se a volte mi sono chiesto se non sarebbe stato più facile riscrivere la serie come una coppia di medici che si urlano addosso dai tetti di ospedali vicini.

    Come il libro, anche la serie televisiva tratta delle ridicole pressioni cui è sottoposto il personale del Servizio Sanitario Nazionale, della mancanza di sostegno che riceve e dell’impatto che questo ha su di esso, sia a casa che al lavoro. Sebbene sia ambientata più di dieci anni fa, si è scoperto che questa lettera d’amore a 1,5 milioni di dipendenti del SSN è in realtà estremamente attuale. La pandemia ha portato alla luce queste pressioni e gli anni di sistematico sottofinanziamento. Tutti abbiamo visto il personale sanitario fare doppi e tripli turni per evitare che il servizio sanitario collassasse, andare al lavoro con un equipaggiamento protettivo tristemente inadeguato e stando lontani dalle proprie famiglie per mesi e mesi. Anche se la colonna sonora degli anni Novanta e l’ampiezza delle cravatte potrebbero collocarlo nel tempo, il messaggio sarà sempre attuale, finché i nostri governanti non si ricorderanno che ogni medico, dietologo, operatore sanitario, optometrista, portinaio e farmacista prima di tutto è un essere umano.

    Forse avete scelto questo libro perché avete visto la serie, o forse state pensando di guardarla. O forse comprate solo libri con Ben Whishaw in copertina. Il libro è sempre meglio della serie televisiva o la storia funziona meglio sullo schermo? A voi la scelta. Ma qualunque sia la versione che preferirete, mi offenderò, perché le ho scritte entrambe.

    Adam Kay, febbraio 2022

    Introduzione

    Nel 2010, dopo sei anni di formazione e altri sei di reparto, ho lasciato il lavoro di medico del sistema sanitario nazionale. I miei genitori non mi hanno ancora perdonato.

    Dovete sapere che i britannici amano il sistema sanitario nazionale. È il nostro orgoglio. Immaginateci come una famiglia in un’automobile vintage del 1940. È una macchina che va a benzina con piombo, che non ha le frecce e ci costringe ad abbassare il finestrino e a fare segno con la mano per indicare la direzione; il motore si avvia con una manopola cigolante. Eppure funziona ancora. La nostra famiglia l’ha posseduta per generazioni e sono venuti ad ammirarcela da tutto il mondo (nessuno ne ha mai comprata una uguale, va detto: si limitano ad ammirarla). Potrete farci notare finché vorrete che ci sono nuovi modelli più veloci, più tecnologici e a più basso consumo. Potrete obiettare che con i soldi spesi per mantenere in carreggiata il nostro vecchio macinino potremmo acquistare ogni anno una flotta di auto nuove, ma non ci convincerete mai a cambiare. Non è una questione di logica e non si tratta nemmeno di nostalgia: è amore.

    Il sistema sanitario è stato fondato nel 1948 sulla base di principi tuttora validi: soddisfa i bisogni di tutta la popolazione, il servizio è gratuito e la terapia viene assegnata in base alle necessità cliniche, non al potere economico del paziente. In giro per il mondo sono proliferati altri sistemi, potenzialmente più efficienti, ma nessuno più equo.

    Per ragioni oscure, nel 2015 il ministero della salute ha deciso di dichiarare guerra agli specializzandi del nostro Paese. Ha annunciato che avrebbe imposto loro un nuovo contratto: un contratto con un forte impatto sulle loro condizioni lavorative e che avrebbe messo a rischio la sicurezza dei pazienti, un provvedimento che nessun medico avrebbe mai sostenuto. Poiché il governo si rifiutava di negoziare e sembrava non ci fossero alternative, i medici hanno indetto uno sciopero.

    La macchina della propaganda del governo è impazzita e ha ripetuto all’infinito che i medici stavano scioperando perché erano avidi, che tenevano in ostaggio il Paese per avere uno stipendio più alto: questo non avrebbe potuto essere più lontano dalla verità. Poiché dovevano lavorare e avevano poco tempo libero per rispondere agli attacchi del governo, i medici hanno avuto difficoltà a diffondere la loro versione della storia e la gente ha creduto a quanto è stato propinato dal governo. Alla fine, per quanto sia avvilente, il nuovo contratto è stato imposto.

    Assistere a tutto questo è stato straziante. Volevo fare qualcosa, cercare di fare giustizia, così ho frugato tra i diari scritti durante il mio periodo da specializzando, che erano rimasti per anni sepolti in fondo a un cassetto. Forse se la gente avesse colto che cosa significava davvero essere un medico nella vita di tutti i giorni, avrebbe capito quanto era ridicola la posizione del governo?

    Rileggendo i miei appunti – le parti divertenti e quelle noiose, gli infiniti oggetti rinvenuti nei vari orifizi e i noiosi adempimenti burocratici – mi sono ricordato del brutale orario di lavoro e dell’enorme impatto del mestiere di specializzando sulla mia vita. Stress e fatiche che ora mi sembrano estremi e insensati, ma che allora mi limitavo ad accettare: facevano parte del mio lavoro. Il sistema sanitario è spremuto e sottopagato a tal punto che tutti i professionisti ospedalieri devono andare ben oltre quanto previsto da contratto per farlo funzionare. Sfogliando quei diari, in alcuni momenti non mi sarei stupito di fronte a frasi del tipo ho raggiunto a nuoto l’ambulatorio preparto in Islanda o oggi ho dovuto mangiare un elicottero.

    Eccoli dunque: i diari che ho scritto durante il mio periodo a servizio del sistema sanitario nazionale, verruche genitali annesse. Cosa significa lavorare in prima linea, le ripercussioni sulla mia vita privata e come, in un giorno terribile, ho deciso che per me era troppo (scusate per lo spoiler, ma avete guardato Titanic pur sapendo come sarebbe andato a finire).

    Strada facendo vi aiuterò con la terminologia e vi fornirò un po’ di istruzioni su compiti e mansioni che ho svolto nel corso della mia carriera medica. A differenza di quanto è successo a me il primo giorno da specializzando, non vi butterò in mare aperto aspettandomi che siate nuotatori provetti.

    1

    House Officer

    La decisione di fare il medico è molto simile alla mail che ricevi a inizio ottobre per scegliere cosa mangerai alla cena aziendale natalizia. Per andare sul sicuro scegli senza esitazione il pollo, ed è più che probabile che filerà tutto liscio. Ma se il giorno prima della festa qualcuno pubblicasse su Facebook il video di un terrificante allevamento intensivo e tu dovessi assistere inavvertitamente a uno sbeccamento di massa? E se a novembre morisse Morrissey e, per rispetto nei suoi confronti, dessi una svolta alla tua dieta fino ad allora quasi esclusivamente a base di carne? E se ti venisse un’allergia mortale alle scaloppine?

    In definitiva nessuno sa che cosa vorrà mangiare tra sessanta cene.

    Ogni medico sceglie la propria carriera a sedici anni, due anni prima di essere legalmente autorizzato a mandare via sms una foto dei propri genitali. Quando scegli le materie in cui vuoi diplomarti, imbocchi un percorso che continua fino alla pensione o alla morte e, a differenza della festa di Natale, Janet del reparto logistica non scambierà i suoi spiedini di halloumi con il tuo pollo: non hai via d’uscita.

    A sedici anni le tue motivazioni per perseguire la carriera medica sono di questo tenore: Mia mamma/mio papà è medico, "Mi piace molto Holby City o Voglio trovare una cura per il cancro. Le prime due sono ragioni insensate, la terza andrebbe benissimo, seppure un po’ ingenua, se non fosse che si tratta di un obiettivo di competenza dei ricercatori scientifici e non dei medici. Del resto pretendere che chiunque rispetti la propria parola a quell’età pare un po’ ingiusto, come considerare un documento legalmente vincolante il disegno con scritto Voglio fare l’astronauta" di quando avevi cinque anni.

    Per quanto mi riguarda, non ricordo che scegliere medicina sia mai stata una decisione attiva, quanto più un’impostazione di default per la mia vita: come la suoneria del cellulare o la foto di una catena montuosa come sfondo del desktop. Sono cresciuto in una famiglia ebrea (più per l’amore della buona cucina che per convinzione), ho frequentato la tipica scuola simile a una fabbrica di salsicce progettata per sfornare medici, avvocati e parlamentari, e infine mio padre era medico. Era destino.

    Poiché ogni anno a medicina i posti sono un decimo rispetto al numero di candidati, tutti vengono sottoposti a vari colloqui e solo coloro che resistono meglio al terzo grado si guadagnano un posto. È dato per scontato che tutti i partecipanti alle selezioni stiano per ottenere il massimo dei voti al diploma, quindi le università si basano su criteri non accademici. Naturalmente questo è sensato: un medico deve essere psicologicamente adatto al lavoro, cioè capace di prendere decisioni sotto pressioni gigantesche, in grado di dare brutte notizie alle famiglie, di avere a che fare con la morte giorno dopo giorno. Deve avere qualcosa che non si impara a memoria e non può essere classificato: un cuore enorme e un’aorta dilatata attraverso cui fluisca un grande fiume di compassione e umanità.

    Almeno, questo è quello che si sarebbe portati a credere. In realtà le facoltà di medicina se ne fregano altamente di tutto ciò. Non controllano nemmeno che tu sopporti la vista del sangue. Piuttosto si fissano sulle attività extracurricolari. Lo studente ideale è capitano di due squadre sportive, campione regionale di nuoto, direttore dell’orchestra giovanile e caporedattore del giornalino della scuola. Praticamente il concorso di Miss Simpatia senza la fascia. Controllate la pagina di Wikipedia di qualsiasi medico di fama: Si è distinto come giocatore di rugby ai campionati giovanili. È stato un eccellente corridore di fondo e all’ultimo anno di liceo era vice capitano della squadra di atletica. Questa descrizione in particolare si riferisce a un certo dottor H. Shipman¹, quindi forse il sistema non è infallibile.

    L’Imperial College di Londra stabilì che i riconoscimenti ottenuti in prima liceo per le mie doti di pianista e sassofonista e qualche insulsa recensione di spettacoli teatrali per il giornale della scuola mi rendevano perfetto per la vita in corsia, così nel 1998 ho fatto le valigie e ho imboccato la pericolosa strada che porta da Dulwich a South Kensington.

    Come potrete immaginare, conoscere a menadito l’anatomia e la fisiologia umana e tutti i possibili malfunzionamenti del corpo umano è un’impresa colossale. Ma l’entusiasmo di fronte alla consapevolezza che un giorno sarei diventato medico – una faccenda così importante da modificare il tuo nome, neanche fossi un supereroe o un criminale di fama mondiale – mi ha dato la forza di andare dritto verso il mio obiettivo per sei lunghi anni.

    Ed eccomi lì: junior doctor². Avrei potuto partecipare a Mastermind scegliendo l’argomento il corpo umano. A casa tutti avrebbero sbraitato contro il televisore che era una materia troppo vasta e complessa, che avrei dovuto optare per qualcosa tipo l’arteriosclerosi o l’alluce valgo, ma si sarebbero sbagliati. Ce l’avrei fatta.

    Con tutto quel bagaglio di conoscenze, era arrivato il momento di fare il mio ingresso trionfale in corsia e passare dalla teoria alla pratica. Mi ero montato la testa, così scoprire che aver trascorso un quarto della mia vita alla facoltà di medicina non mi aveva minimamente preparato alla vita da Doctor Jekyll e Mister Hyde degli house officer³ è stato un duro colpo.

    Durante la giornata il lavoro era gestibile, seppure monotono e incredibilmente dispendioso in termini di tempo. Ogni mattina si fa il giro del reparto, durante il quale l’intera squadra di medici gironzola da un paziente all’altro. Tu ti trascini dietro di loro come un anatroccolo intontito, con la testa inclinata da una parte con fare interessato e annoti ogni parola dei tuoi superiori: prenotare una risonanza magnetica, rivolgersi al reparto di reumatologia, preparare un elettrocardiogramma. Poi passi il resto della giornata (più in media quattro ore extra non pagate) a eseguire decine, a volte migliaia di compiti: compilare moduli, fare telefonate. Insomma sei un assistente personale molto qualificato. Non esattamente il mestiere per cui avevo sgobbato tanto.

    D’altro canto l’inferno dantesco era simile a un film della Disney in confronto ai turni di notte: un incubo senza fine che mi faceva pentire di aver pensato che la mia formazione fosse un po’ sprecata. Di notte l’house officer è dotato di un dispositivo cercapersone dal simpatico nome di cicalino e ha la responsabilità di ogni paziente dell’ospedale. Ogni cazzo di paziente. Di notte il Senior House Officer (sho) e il registrar sono in pronto soccorso a esaminare e accettare malati mentre tu sei di guardia e piloti la nave da solo. Una nave enorme, in preda alle fiamme, che nessuno ti ha davvero insegnato a condurre. Sei stato istruito su come esaminare il sistema cardiovascolare di una persona, conosci la fisiologia della vascolarizzazione coronarica, ma anche quando sai riconoscere ogni minimo sintomo e segnale di un attacco di cuore, ritrovarti a gestirne uno per la prima volta è tutta un’altra storia.

    Il cicalino suona da una corsia all’altra, infermiera dopo infermiera, emergenza dopo emergenza: non finisce mai, per tutta la notte. In pronto soccorso i colleghi più esperti visitano i pazienti con un problema specifico, per esempio una polmonite o una gamba rotta. I tuoi hanno emergenze simili, ma sono ricoverati in ospedale, cioè hanno già avuto qualcosa di grave prima. Si tratta di comporre il proprio sandwich di sintomi stratificati su condizioni critiche sommate a loro volta a malattie: visiti un paziente con la polmonite accettato per un’insufficienza epatica o uno che si è rotto la gamba cadendo dal letto durante una crisi epilettica. Sei un pronto soccorso ambulante, composto da un solo uomo fondamentalmente impreparato, che annega nei fluidi corporei (esclusi quelli divertenti) ed esamina un flusso interminabile di malati che, dodici ore prima, erano sottoposti alle cure di un’intera squadra di medici. All’improvviso desideri i turni di sedici ore di pratiche amministrative. O, idealmente, un lavoro di compromesso che non sia né troppo oltre né decisamente al di sotto delle tue capacità.

    O nuoti o affoghi e devi imparare a galleggiare per forza, altrimenti una tonnellata di pazienti affonderà con te. In realtà provavo un divertimento perverso a quel pensiero. Certo era un lavoro duro, certo sconfinava nel disumano, certo ho visto cose che ancor oggi mi lacerano la retina, ma ero diventato medico.

    Martedì 3 agosto 2004

    Giorno 1. H⁴ mi ha preparato il pranzo al sacco. Ho uno stetoscopio⁵ nuovo, una camicia nuova e un nuovo indirizzo email: atom.kay@nhs.net. È bello sapere che oggi, qualsiasi cosa succeda, nessuno potrà accusarmi di essere il più incompetente dell’ospedale. Ma anche se fosse, posso dare la colpa ad Atom.

    Non faccio in tempo a rallegrarmi del potenziale comico della storiella, che la sera stessa al bar l’aneddoto viene guastato dalla mia amica Amanda. Il cognome di Amanda è Saunders-Vest. Hanno trascritto il trattino e il suo indirizzo mail è amanda.saunderstrattinovest@nhs.net.

    Mercoledì 18 agosto 2004

    Il paziente om è un settantenne ingegnere termico in pensione di Stroke-on-Trent. Ma stasera, signore e signori, sarà un eccentrico professore con un azzento ben poco convinzente. Non solo stasera a dire il vero, ma stamattina, oggi pomeriggio e durante tutto il ricovero, grazie alla sua demenza esacerbata da un’infezione alle vie urinarie⁶.

    L’occupazione preferita del professor om è seguire il giro del reparto con la vestaglia al contrario, come fosse un camice (con o senza mutande, un po’ di Bratwurst a colazione non fa mai male) e, ogni volta che un dottore dice qualcosa, commentare Sì! "Ezattamente! e di tanto in tanto Cenio!".

    Quando devono fare il giro lo specialista o il registrar lo riaccompagno subito al letto e mi assicuro che gli infermieri lo tengano immobilizzato per un paio d’ore. Quando sono solo, mi lascio pedinare per un po’. Non so bene quello che faccio e anche quando lo so non sono sicurissimo di me stesso, quindi trovo confortante la presenza di un supporter tedesco un po’ vecchio stampo che ogni due per tre esclama alle mie spalle: "Ezzellente!".

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