Le donne che fecero l’Impresa – Lombardia: Nessun pensiero è mai troppo grande
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Le donne che fecero l’Impresa – Lombardia - Autrici varie
Autrici Varie
Le donne che fecero l’Impresa – Lombardia
Nessun pensiero è mai troppo grande
Prima Edizione Ebook 2018 © Edizioni del Loggione, Modena-Bologna
ISBN: 978-88-9347-074-2
Edizioni del Loggione
Via Paolo Ferrari 51/c - 41121 Modena
http://www.loggione.it e-mail: loggione@loggione.it
Autrici Varie
Le donne che fecero l’Impresa
LOMBARDIA
Nessun pensiero è mai troppo grande
Racconti
INDICE
PREFAZIONE
La signora Paradiso
Edda Paracchini
Something old, something new...
Laura Marelli
La Bernina
Margherita Squizzato
La lady di ottone
Loretta Forelli
La signora della bellezza
Anna Del Prete
Vetrine pensili
Maria Tosi
Rossella la strega
Rossella Anthony Destantini
La nonna Assunta
Assunta Lucioni
È solo un parco
Alessandrina Ravizza
L’anima di un libro
Adriana Duchini
Processo a un cigno
Angela e Luciana Giussani
La regina delle bobine
Luisa Parasacchi
Pane & architettura
Eugenia Alberti
Come dentro a un film
Agostina Diani
Due donne, una passione per i libri
Rosellina e Francesca Archinto
Memento audere semper!
Chiara Radrizzani
Volevo essere una spinazitt
Lucia Galli Galletti e Cinzia Puricelli
Per sempre media
BIOGRAFIE AUTRICI
Catalogo Edizioni del Loggione
"Il coraggio delle donne… è giusto conoscerlo.
Le donne hanno cambiato e cambiano davvero la Storia:
è giusto farlo sapere, cominciando dai libri di scuola
(Laura Prati)
… a Laura Prati, sindaca di Cardano al Campo,
in provincia di Varese, morta il 22 luglio 2013
dopo che, venti giorni prima, era stata ferita gravemente
a colpi di pistola nel suo ufficio in municipio da un ex vigile sospeso dal lavoro a seguito di un processo,
noi dedichiamo questo libro
con storie di donne coraggiose, capaci e ingegnose.
Lo dedichiamo a lei e all’attenzione sociale e culturale
che ha sempre avuto per le donne.
PREFAZIONE
Intraprendente, creativa, volitiva, risoluta, caparbia, laboriosa, brillante, determinata.
Ho appena terminato la lettura di Le donne che fecero l’impresa, libro che raccoglie le storie affascinanti e talvolta sorprendenti di alcune delle molte donne imprenditrici lombarde, grazie alla cui inventiva, coraggio e costanza molte aziende sono nate, hanno avuto successo e sono ancora attive e in buona salute. Gli aggettivi poco sopra citati sono quelli che ho ritrovato in tutte le pagine, in tutti i racconti, che sono serviti a descrivere ciascuna di queste donne, diversissime tra loro per periodo storico in cui vissero, personalità, estrazione sociale, ma accomunate tutte da grandi passioni e una fortissima determinazione.
Donne che vengono raccontate da altre donne, le quali scrivono per professione, ma dal cui racconto traspare un’empatia che va al di là dell’impegno professionale. C’è passione, c’è partecipazione, c’è la voglia di dire finalmente che quando si parla di capitani di industria
o cavalieri del lavoro
si possono, senza alcun problema, raccontare storie che hanno come protagoniste le donne. E che forse per troppo tempo sono state meno considerate.
Dai pizzi alle bobine, dai libri alla danza classica, dalle fonderie allo sport passando per l’architettura: ogni storia racconta la fatica e il successo raggiunto in ambiti diversissimi, in periodi lontani fra loro e spesso in tempi in cui, e parliamo solo del secolo scorso, la condizione femminile non era certo quella che condividiamo oggi.
Vite intense, appassionate, quelle delle donne imprenditrici, i cui lavori a volte sono più vicini alla sensibilità femminile ma altre volte lontanissimi, che spesso sono stati scelti ma in altri casi sono stati intrapresi per volontà del destino, ma comunque sempre accuditi
e curati
come e mentre si crescono i figli.
Sì, perché molte di queste donne, quando raccontano la loro storia imprenditoriale, la uniscono a quella dei figli, dei compagni di vita, dei genitori e dei nonni (spesso ispiratori), in un tutt’uno inestricabile con l’attività che svolgevano. Perché per loro è parte della stessa cosa, della stessa vita, dello stesso stile. Non esiste l’antitesi lavoro e vita, l’uno confluisce nell’altra e viceversa.
Un particolare che ricorre abbastanza spesso in queste storie e che mi ha molto colpito è il racconto che queste donne fanno del ruolo che compagni della vita hanno avuto nelle loro imprese. Sono uomini collaborativi, che non intralciano e supportano, capiscono l’idea o l’ambizione e sostengono attivamente nella sua realizzazione. Mi piace sottolineare questo elemento che emerge dalle pagine, in una fase storica in cui il conflitto tra i sessi si sta esprimendo purtroppo e troppo spesso nella sua deriva più disperata e violenta.
E mi piace terminare con l’immagine di un fumetto che ho amato e amo tutt’ora, scaturito dalla mente e dalla sensibilità di due donne, Angela e Luciana Giussani, la cui storia, non a caso, leggerete nelle pagine che seguono.
È l’immagine di Diabolik e Eva Kant, la coppia diabolica del crimine e coppia alla pari
, perfetti nella condivisione dello stesso stile di vita, rispetto e aiuto reciproco. Una sintesi che forse dovremmo tentare di recuperare, da ambo le parti.
Ed ora, le vite e le imprese di Angela e Luciana Giussani, Loretta Forelli, Anna Del Prete, Edda Paracchini, Rossella Anthony Destantini, Laura Marelli, Maria Tosi Boragno, Margherita Squizzato Garda, Alessandrina Ravizza, Agostina Diani, Assunta Bianchi, Patty Crespi, Lucia Galli Galletti e Cinzia Puricelli, Luisa Parasacchi, Chiara Radrizzani, Eugenia Alberti, Adriana Duchini Carù, Francesca e Rosellina Archinto attendono di essere lette e capite nel profondo.
Daniela Dirceo
Giornalista
Rappresentante per le Pari Opportunità
della Federazione Nazionale Stampa Italiana
La signora Paradiso
Anna Allocca
Nessuno la vedrà mai; è terribilmente costosa
e nessuno saprà mai che è di seta.
Lo saprò io, e camminerò in modo diverso."
Greta Garbo
Bianchi. Soprattutto bianchi.
Ma anche neri. Blu oltremare. Grigio perla.
Oppure color sabbia, cipria, albicocca.
E rosso ciliegia.
Il suo preferito: come il rossetto che su di lei era uno schianto, e s’intonava alla perfezione con il biondo platino della capigliatura.
Morbidi, coloratissimi, seducenti.
Come tanti fiori che aspettavano solo di essere colti, presi, indossati.
Parlano d’amore i tuli tuli tuli tulipan
Chissà poi perché le era affiorato alla mente il ricordo di una canzone così lontana, eppure sempre viva nel suo cuore, pensò scostando le tende con le dita nervose, fragili.
Quanti anni erano passati da quando passeggiava curiosa tra le bancarelle del mercato rionale in cerca d’idee, emozioni, pronta a farsi ispirare da quei modelli messi lì alla rinfusa, ma che lei già sapeva come rielaborare, personalizzare, affinare?
Tanti, troppi, una vita, una vita scivolata via come le onde del mare.
Quanto le piaceva il mare…
Cucire le era sempre venuto naturale, ma lei sapeva andare oltre, vedere i difetti da correggere, le imperfezioni da togliere, aveva l’occhio per cogliere tutti quei miglioramenti che avrebbero trasformato reggiseni, mutandine e sottane del mercato in culottes, guepiere, guaine, parigine e corpetti forgiati su misura.
Guardava, cuciva, riproduceva e migliorava.
Ogni volta.
Per poi ripresentarsi alle bancarelle, dalle amiche o nei negozi del centro con le sue creazioni, che proponeva a prezzi competitivi, da vera imprenditrice di se stessa, risoluta e laboriosa com’era.
Con ago e filo aveva imparato a realizzare piccole opere d’arte, a cercare il tessuto giusto per comprimere, ammorbidire, modellare, esaltare. A parlare delle donne alle donne, a esplorare quell’universo segreto e misterioso che fa sentire ogni donna una femmina, a declinare quel gioco di seduzione muto e indecifrabile anche mentre si fa la spesa dal panettiere, in latteria, ai grandi magazzini.
Amava esaltare la semplicità del cotone con inserti di pizzo, impreziosire la quotidianità femminile con parure che non andavano più tenute nel cassetto solo per occasioni speciali, che poi si sa tieni tieni e finisci per non metterle mai se non quando vai dal medico, o peggio ancora corri all’ospedale, che lì l’ultima cosa a cui pensi è la lingerie.
Ci aveva provato, con la tenacia e l’entusiasmo dei suoi vent’anni.
E la passione.
Perché con una guerra mondiale che rimescola i sogni di gioventù, se non hai una passione che colora le giornate rischi di vivere una vita che non ti appartiene, di lasciar sbiadire sogni e desideri dentro un’avventura sbagliata.
Ma lei no.
Forse perché quando a quattro anni perdi uno degli amori più grandi della vita, il tuo papà, ti si spezza qualcosa dentro, e da quell’armonia infranta si crea un’energia nuova, infinita.
E lei era una tosta. Tosta e curiosa.
Pronta a rimboccarsi le maniche e lavorare la sera, i sabati o le domeniche, se necessario, per coltivare la sua passione e arrotondare lo stipendio.
Perché un impiego ce l’aveva, e a quei tempi un posto in Montedison significava portarsi a casa un salario dignitoso e dare una mano alla mamma, che per i figli aveva fatto i suoi bei sacrifici, troppo giovane e inesperta per rimanere vedova. Ma con un piccolo gruzzoletto in più poteva anche permettersi qualche sfizio: stoffe alla moda per cucirsi abiti alla Marilyn, borsette vezzose, scarpine da ballo, profumi.
E rossetti.
Corallo, fragola e rubino.
Colori che facevano parte di lei, che l’accompagnavano ovunque, schietta e radiosa, così semplice nella sua raffinatezza, nel look da diva del cinematografo che t’incantava con il suo sorriso fresco e contagioso.
L’aveva conquistato così il suo Giovanni, il marito a cui era bastato incontrare il suo sguardo la prima volta per far innamorare quegli occhi neri, quell’uomo garbato e sincero che era diventato il suo compagno di una vita.
Quarant’anni volati in un soffio.
Sorrise ripensando alla prima volta che aveva conosciuto le future cognate: l’aspettavano a casa tutt’e quattro, la pelle bianchissima e lo sguardo di colpo ombroso al pensiero che il fratello se lo sarebbe portata via una come lei, agghindata e pittata come una vamp.
Con quel rossetto rosso come un fiore di campo, un pegno d’amore, una mela rubata. Che faceva voltare i giovanotti per strada portandoli in Paradiso.
Una vamp all’apparenza forse, ma devota e sincera, avevano subito capito le cognate, sorprese e compiaciute dalla sua voglia di fare, dal garbo e dall’ottimismo che l’avevano convinta a lasciarsi tentare da un’avventura in cui aveva creduto da sempre.
Perché se le sciure col portafoglio gonfio e il marito ricco come Creso sfoggiavano abiti di sartoria ed erano impeccabili anche sotto le gonne, un’impiegatuccia, una maestrina con il vestito nuovo di pacca comprato alla Standa o cucito da mamma non doveva, non poteva indossare biancheria sciatta, dozzinale. Perché quando ad accarezzare la pelle è una parure vellutata e preziosa, quando il corpo si lascia sedurre dal cotone giusto, da seta, pizzo, mussola o macramé, scopre una magia nuova, che traspare dallo sguardo, dai gesti, dal sorriso. Perché mentre passeggi sotto i portici o vai a fare acquisti, nessuno sguardo può scoprirti, spogliarti, ma tu lo sai, lo sai bene, e ti senti diversa, ti senti donna, femmina, una femmina vera.
Sicura, determinata e felice.
Perché l’intimo giusto è una filosofia di vita vincente: non può, non deve essere privilegio di poche.
E lei sapeva di poter trasmettere a ogni donna quella sensazione impagabile, sapeva di poter realizzare un piccolo miracolo con ago e filo, portando l’incantesimo dei sensi nella quotidianità di ciascuna.
Parlano d’amore i tuli tuli tuli tulipan
deliziosi al cuore
tutti i sogni miei ti giungeran
e di me ti parleranno
Piccoli sogni per grandi donne.
Quanti ne aveva realizzati in tutti quegli anni? Cercando il gancetto giusto, la spallina perfetta, la cucitura invisibile, suggerendo forme e tessuti, tagli e drappeggi. E poi ancora costumi, interi o due pezzi, femminili e fascianti, nei colori del sole e del mare, copricostumi, vestagliette e prendisole, seducenti, coloratissimi, preziosi.
Perché se bella vuoi apparire non è detto che devi soffrire. Non più.
«Edda, lo sai, vero, che mi hai cambiato la vita?»
Quante volte se l’era sentita ripetere quella frase nel tempo da donne alte, prosperose, giunoniche o minute che aveva aiutato, consigliato, ispirato, pennellando su di loro le sue creazioni, maestra pasionaria di nouvelle couture.
Donne che non finivano di ringraziarla, che si sentivano in Paradiso dentro a guaine, bustini e bustier che calzavano come guanti, non più costrette dentro veri e propri strumenti di tortura che rendevano la vita di tutti i giorni infinitamente più lunga e pesante.
Era per questo che aveva deciso di crearlo lei, il suo Paradiso.
E così era stato.
Da Oleggio a Gallarate era stato l’inizio dell’avventura, del cambiamento. Ma le avventure non la spaventavano. E neppure i cambiamenti.
L’importante era stare con il suo Giovanni e creare il suo Paradiso.
Il loro.
Lui usciva presto la mattina per andare in banca, e lei scendeva in cantina.
E cuciva, cuciva. Inventava e tagliava.
Realizzava sogni.
Sogni per tutte le donne.
Perché non è vero che il Paradiso può attendere, il Paradiso è a portata di mano. Per tutte.
Lei l’aveva capito.
E il Paradiso era sempre più vicino.
Lei ci aveva messo il coraggio, e lui l’aveva sostenuta, sempre.
Era nato così il loro Paradiso, con l’inventiva caparbia di lei e la perizia composta di lui. Due anime gemelle che avevano condiviso un’avventura, un’avventura d’amore e di sogni nel cassetto diventati una realtà operosa e redditizia che dava da mangiare a lavoranti, sartine e ragionieri. Che rendeva felici le donne, un’infinità di donne.
Come avrebbero potuto chiamarlo il loro piccolo grande sogno, la loro fabbrica, se non Paradiso?
Allargò appena gli occhi in un sorriso abbozzato solo nel profondo del cuore, impercettibile al volto.
Perché Parah, le aveva chiesto mezzo mondo, convinto che dietro quel marchio si celasse chissà quale strategia aziendale, quale studio pubblicitario, quale pensiero creativo.
Molto più semplicemente Paradiso, come il loro sogno, poi invece Paracchini, come lei che l’aveva creato. Bello o brutto che fosse era il suo cognome, con un solo difetto per imprimersi nella mente dei potenziali acquirenti: lungo, troppo lungo per un marchio innovativo, una griffe d’avanguardia.
E allora Parak, aveva detto il suo Giovanni, che quel tocco di esotico infonde un senso di mistero che con la lingerie ci va a nozze. Un senso di mistero che però aveva confuso le idee anche al tipografo, che sulla carta intestata aveva sbagliato lettera, creando senza volerlo un marchio che non sarebbe più cambiato, anche perché rifarlo significava tirar fuori troppi quattrini, e proprio non era il caso all’inizio della loro avventura.
Così, per caso, era stato il destino ad avere la meglio, e in quel lontano 1950 era nata la Parah.
Chissà dove l’avevano portato, dov’era il suo Giovanni in quel momento. Strappato con la violenza a lei, ai suoi figli, ai nipotini, rapito da sequestratori anonimi e impietosi per denaro, per vile denaro.
Chissà quando l’avrebbe rivisto, pensò richiudendo le tende su quella serata tiepida di una primavera per lei così fredda.
Aveva imparato a pensarlo come se fosse lì accanto a lei, in quei lunghi mesi.
A sentirlo, a vederlo, a parlargli.
A parlargli anche, sì.
Perché ancora non se n’era fatta una ragione di quella sparizione, di quel sopruso inaudito, lei che in quel di Brancaleone, in Calabria, era stata una benefattrice, regalando molto più di un sogno, di una speranza, a tutti quei ragazzi, quegli uomini, quelle donne.
Regalando a tutti loro una certezza, la certezza di avere di che sfamare i propri figli e di poter camminare per le vie del paese a testa alta e senza vergogna.
Lei, la Marilyn con il vitino da vespa e il rossetto di fuoco che disegnava parure di seta con la stessa naturalezza con cui accudiva poveri, bisognosi e sofferenti. Anche a mille chilometri da casa. Perché la sofferenza, la povertà hanno le stesse regole, le stesse esigenze a qualunque distanza, qualunque latitudine.
«Hanno bisogno di noi, domani si parte», aveva detto Edda senza tanti fronzoli una mattina tiepida di giugno, senza pensarci un attimo, rinunciando con disinvoltura a vacanze molto più comode ma inadatte al suo spirito di guerriera di pace. E il giorno dopo avevano caricato in macchina i bagagli ed erano partiti, lei, il suo Giovanni e i figli che la vita le aveva regalato.
Quattro meraviglie: sinceri, determinati, volitivi e composti.
Come lei.
E il suo Giovanni.
Certo, dopo Gregori, che il primogenito si sa ti apre un mondo, Simonetta, la sua perla, e Giorgio che faceva numero perfetto, c’erano stati un po’ attenti.
Ma gliel’aveva detto Padre Pio, e lei aveva una fede cieca e assoluta nelle parole di quell’omino piccolo e sincero che