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Veleno di Lupo
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Veleno di Lupo

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Costretti a lasciare la loro terra e a intraprendere un epico pellegrinaggio, quindici vampiri tra cui cinque donne e un ragazzino, si dirigono verso la pianura di Scarecrow in cerca del Libro redatto in tempi remoti dal Grande Saggio della Notte.
Li sorregge la speranza di ottenere indicazioni per scongiurare il cataclisma che minaccia la loro razza: un sole perenne, incandescente e sulfureo. Il loro cammino li porterà a incrociare i destini del branco di lupi a guardia del santuario di Wolfpoison. Affascinanti, anaffettivi, bellissimi e spietati i primi, simbolo di forza e passione i secondi.
In un continuo capovolgersi di situazioni, dai boschi inglesi, alla campagna francese, fino ai vicoli bui della Città Eterna, i vampiri lotteranno duramente per non soccombere, indifferenti alla vita umana, al dolore causato, al prezzo che sarà necessario pagare.
Un romanzo gotico dalle atmosfere rarefatte, narrato con grande vividezza; intenso e coinvolgente.
LanguageItaliano
Release dateNov 1, 2018
ISBN9788832922394
Veleno di Lupo

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    Veleno di Lupo - Gabriella Pison

    Keats

    1

    Avete concepito fieno, partorirete paglia; il mio soffio vi divorerà come fuoco.

    Isaia 33,11

    Il villaggio si intravedeva appena, celato dalle nebbie di fine inverno e dal riflesso di un pallido sole che non osava mostrarsi. Il bosco creava una scenografia inquietante, con i rami secchi che scricchiolavano e le foglie che sembravano uccelli rapaci in picchiata, quando si staccavano dai tronchi e volteggiando raggiungevano il sentiero.

    Quindici figure camminavano una dietro all’altra, in silenzio, sbigottite da quel torpore muschioso, interrotto solo dal gracidare dei corvi; il respiro si faceva gelato come usciva dalla bocca, scontornando ancor più l’atmosfera rarefatta che li circondava.

    Cinque erano donne, accompagnate da nove uomini e un bambino.

    Avevano intrapreso il viaggio sette giorni prima, convinti che sarebbe durato molto meno e che le condizioni atmosferiche li avrebbero agevolati. Erano allo stremo delle forze, ma sorretti da un unico forte desiderio: spingersi fino alla pianura di Scarecrow.

    Guidava la fila Gayel, un giovane vestito di nero, reso ancor più irreale in quel mondo di nebbia da un’eleganza fuori dal comune: indossava calzoni a righine grigie e camicia bianca corta e aderente, gilet in seta ricamata, farsetto nero con cinghia in vita, scarpe di vernice. Il volto pallido, scavato, gli occhi di brace, la bocca carnosa e vermiglia; scrutava intorno per cercare di capire quanto ancora la loro meta fosse distante, per osservare se nel fitto dei rami si potesse celare qualche insidia… già, dopo ciò che era successo lungo il viaggio, non poteva permettersi il minimo errore, la più piccola svista. Accanto a lui il più anziano della compagnia, la sua temperanza si sarebbe sincronizzata agli ardori giovanili di Gayel. Dietro un altro maschio, circa della stessa età, completamente sbarbato, gli zigomi sporgenti, vestito curiosamente di rosso, dalle scarpe al cappello, tranne un foulard bianco al collo. Sembrava anche lui assorto, attento a ogni movimento, a ogni rumore: respirava con il naso, la bocca serrata in un gesto quasi di disgusto. Ogni tanto si girava per vedere se la fila lo seguiva, invitando tutti con lo sguardo a non proferire parola, a rimanere vicini ma in assoluto silenzio. Poi veniva un gruppo di tre donne, sembravano spaventate e camminavano tenendosi per mano: di età indefinibile, ma dal passo spedito, che indicava una certa elasticità, e dagli occhi vivaci, che sembravano riflettere il grigio dell’aria. Abbigliate con delle mantelle scure, delle gonne lunghe e voluminose, l’unica nota diversa era un cappello indossato dalla più alta delle tre, che scendeva da un lato coprendole parte della fronte. In mezzo agli altri uomini, a chiudere la fila, le ultime femmine insieme al bambino.

    Indossavano tutti abiti fuori moda, particolarmente eccentrici, vuoi per la foggia ardita, vuoi per i colori che si mescolavano senza pudore: chi aveva scarpe da ballo, chi stole di pelliccia intorno al collo, ma ognuno teneva in mano un libriccino, quello che a un occhio superficiale sarebbe forse parso un messale.

    Il bambino trascinava i piedi, stanco, esausto delle fatiche patite: ma non una lacrima, non una parola di commiserazione, né una richiesta di aiuto. Una donna, forse la madre, lo teneva per le spalle, quasi a infondergli calore e sicurezza, ma anche lei era molto provata e soprattutto stava rabbrividendo per il freddo e per l’umido che le entrava nelle ossa. Aveva una camiciola bianca di cotone, quasi trasparente e soltanto un piccolo scialle ricamato. Gli occhi trasmettevano una grande tristezza, gli angoli della bocca incurvati verso il basso, le rughe sulla fronte che si approfondivano mentre guardava avanti pensierosa.

    Quando erano partiti, la stagione volgeva al bello, si stava approssimando la primavera: il viaggio era stato organizzato nei minimi dettagli. L’uomo dai vestiti rossi ne era la guida, il capo spirituale e come sempre non aveva trascurato alcun dettaglio. Raggiungere la pianura di Scarecrow era necessario per la loro sopravvivenza e qualsiasi ritardo, qualsiasi interruzione l’avrebbe compromessa.

    Costretti a fuggire dalla loro terra, li sosteneva la certezza di trovare il Libro nascosto nel villaggio tra le montagne e i boschi infiniti. Il Libro della redenzione, il Libro della guarigione: scritto mille anni prima dal Grande Saggio della Notte, aveva il potere di dare salvezza a chi lo avesse letto senza saltare nemmeno una parola.

    Quel libro era scomparso ormai da centinaia di anni, ma la storia del Saggio si tramandava di padre in figlio e ognuno di loro sapeva, quasi per conoscenza innata, che rappresentava l’unica, estrema via per difendersi nei giorni del terrore.

    Il Grande Saggio della Notte era stato un guaritore: assai scarne erano le notizie su di lui e ben pochi lo avevano visto, tant’è che nel corso dei secoli si fantasticò molto sulle sue sembianze, sul suo carattere anziché sulla sua vita privata. Si narra che visse centodiciotto anni, in una sorta di isolamento che ricordava gli stiliti: tra i rami di una quercia secolare aveva costruito un rifugio in legno e là viveva in perenne meditazione, scendendo solamente quando i suoi rimedi non potevano essere trasferiti oralmente, ma dovevano essere somministrati di persona al paziente. Nacque così a poco a poco il Libro: l’illuminazione costante nella sua vita, raggiunta con la forza della meditazione e una conoscenza eccezionale della Natura, gli permise di trascrivere tutte le guarigioni che aveva realizzato, anche quelle che non erano state compiute correttamente e i motivi per cui erano fallite. E furono proprio i fallimenti ad alimentare la sua voglia di sapere, senza alcuna retorica narcisista, ma solo il desiderio di essere addentro ai segreti della vita e della morte.

    Quel libro sarebbe potuto essere aggiornato continuamente dal Grande Saggio, perché più apprendeva, più si fortificava e maggiore diventava la sua capacità di guarire, sia nell’anima sia nel corpo. Il Libro rimase in fieri, in sospeso, come se ci si attendesse all’improvviso una mano sapiente che riprendesse là dove fu interrotto…

    Una notte nel bosco apparvero centinaia di individui con forconi e torce di pece, coperti di strane maschere dalle fattezze animali, che emettevano guaiti, urla mai udite prima. Li comandava un uomo incappucciato vestito col saio, che teneva un crocefisso ricoperto di sangue nella mano sinistra e una bibbia capovolta nell’altra; gli indiavolati pendevano dalle sue labbra, sembrava che un filo invisibile li unisse a lui, che li muoveva come burattini. Appiccarono fuoco al bosco, uccisero tutti gli animali che lì avevano trovato rifugio, i vagabondi che dormivano ai piedi degli alberi; il Grande Saggio li stava aspettando, lo aveva già scritto e non li temeva. Era consapevole che un potere molto forte non poteva permettere che un semplice uomo fosse in grado di contrastare la morte e di conseguire un successo così clamoroso tra la gente; sapeva che alla fine avrebbe dovuto piegarsi di fronte a una presunta religione di stato, che si sentiva defraudata della sua autorità, incapace di controllare e sottomettere il popolo. Si preparò così a morire, in serenità e in stato di grazia, certo di essere accolto in un mondo dove la morte era stata sconfitta in eterno e scrisse le sue ultime parole nel buio che si faceva incandescente: Lascio la luce per l’oscurità, il fuoco per il gelo, ma so che la notte sarà il tempio della nostra vendett… e non terminò neppure, perché bruciò insieme al suo albero.

    Un libro che prometteva, dunque, verità e conoscenza, ma soprattutto la chiave per salvarsi da un nemico molto potente: ecco perché i fuggitivi lo stavano cercando.

    Quando i tempi iniziarono a evolversi, Mandahall, l’uomo in rosso, capì che era venuto il momento di trovare il libro e ricordò come suo padre e suo nonno prima di morire gliene avessero parlato, con la raccomandazione di usarlo solo per salvare la sua vita e quella dei suoi fratelli. Le notizie che aveva erano frammentarie, anche perché mai avrebbe pensato di doverlo leggere e soprattutto trovare, infatti né suo padre né suo nonno l’avevano mai visto, ma un’indicazione gli era stata fornita: ogni prima notte di maggio la luna avrebbe illuminato la cima di Mnemosil Hill che dominava il suo villaggio e come per incanto da lì sarebbe partito un riflesso a guisa di strale. L’oggetto che ne era colpito, luccicando con bagliori di arcobaleno, avrebbe rivelato la via da percorrere per ritrovare il prezioso testo.

    Si era già a inizio di marzo, il clima stava cambiando: la lunga e profonda notte invernale con il suo buio protettivo cedeva il passo al tepore luminoso della primavera, ma quell’anno i mutamenti si preannunciavano preoccupanti. Era giunta notizia che la temperatura sarebbe aumentata a dismisura, favorendo lo scioglimento dei ghiacciai e lo straripamento dei fiumi; il sole avrebbe non solo riscaldato la terra, ma l’avrebbe anche illuminata senza mai alternarsi alla notte, se non per pochi istanti.

    Per Danaf e i suoi fratelli, i prodromi di una morte ineluttabile: il giorno li avrebbe corrosi, bruciati, uccisi e la loro giovinezza si sarebbe sgretolata, incidendo la loro pelle lattea di solchi profondi e il decadimento della carne li avrebbe soffocati con i suoi effluvi mortali.

    Sì, perché Danaf, Mannash, Avannash e gli altri erano tutti vampiri.

    Non appena compresero che il nuovo anomalo clima li avrebbe uccisi, dopo averli trasformati in vecchi avvizziti, progettarono appunto di ritrovare il libro del Grande Saggio della Notte, il Vampiro che aveva vissuto cento vite da centodiciotto anni l’una.

    Partirono durante una delle ultime notti di oscurità dopo aver scoperto, la prima notte di maggio, che il Libro – o almeno parte di esso – era stato tratto in salvo dall’incendio appiccato da fanatici religiosi. Il riflesso della luna aveva infatti colpito un’urna cineraria custodita nel cimitero di Borelay: fu cosa da nulla aprirla e svuotarla. Al suo interno una pietra incisa con caratteri incerti ma ancora comprensibili: Il veleno del lupo difende la grandezza del Saggio.

    Per i vampiri fu un attimo di incertezza soltanto, poi Avannash, la sorella di Danaf, suggerì una traduzione letteraria: Wolfpoison, il veleno del lupo, era un villaggio abbandonato tra i monti, chissà quando ne aveva sentito parlare, ma sembrò l’unica soluzione possibile. Gli altri furono tutti d’accordo. Sulla mappa non apparve nemmeno troppo lontano: l’avrebbero raggiunto in un paio di giorni di cammino.

    La disposizione del gruppo non fu casuale, davanti a tutti, vicino a Gayel, stava Byrami, il vampiro più vecchio, in fondo il bambino, il vampiro che doveva vivere ancora molte vite; se fossero stati attaccati aveva più possibilità di fuggire, di salvarsi e di perpetuare la specie.

    Partirono. Sazi quel tanto che avrebbe consentito loro di nutrirsi nuovamente appena dopo aver trovato la piana di Scarecrow; lungo le strade male illuminate di montagna, il viaggio si rivelò un tormento.

    A poco servirono le formule rituali recitate in fretta e contenute nel libriccino che si portavano appresso, quello che a prima vista poteva essere scambiato per un messale: una delle donne scivolò infatti in un burrone, le rocce e la sterpaglia le lacerarono le vesti, la carne. Furono costretti a scendere con delle corde ricavate dalle loro camicie per cercare di trarla in salvo, ma le ferite profonde minacciavano di dissanguarla e per non farla morire due vampiri le donarono il loro sangue. Il bel gesto si rivelò disastroso: la voglia del caldo, rosso alimento non solo non diede loro tregua per tutto il viaggio, ma li spossò innaturalmente rendendoli così famelici che, come mossi da un istinto primevo e incontrollabile, abbandonavano il gruppo non appena fiutavano odore di sangue, che si rivelava di solito essere quello di qualche carogna abbandonata nella foresta.

    Il cammino subì dunque dei rallentamenti; attraversarono alcuni paesi, e durante il giorno si nascondevano o in qualche grotta o in qualche avvallamento del terreno ricoperto di foglie per non venir colpiti dai raggi della luce. Il secondo pomeriggio udirono dei passi avvicinarsi, erano dei cacciatori di ritorno da una battuta: per i vampiri una tentazione da panico. Madaresa , una delle femmine, seguì uno di loro senza far rumore, poi, quando vide che gli altri erano lontani, spiccò un salto e gli fu alle fauci: un pasto ricco, appassionato che la soddisfò completamente, ma che si rivelò un passo falso in quelle circostanze così precarie.

    La famiglia dell’uomo, vedendo che erano rientrati solo gli altri due compagni, andò subito a cercarlo, aiutata anche dai compaesani e con le fiaccole fu facile trovarlo. Riverso a terra, mortalmente livido: fu subito chiaro che era stato assalito da un vampiro, ben evidenti erano i segni dei canini sulla parte anteriore del collo. La paura che li attanagliò diede loro anche la forza per tentare di snidare i non morti: muniti di archibugi e bastoni setacciarono il bosco per tutto il resto del giorno. Scorsero delle orme, udirono voci in lontananza, ma dei vampiri nemmeno l’ombra; grazie alla loro capacità extraumana di correre molto, erano riusciti a fuggire fuori dal raggio d’azione dei paesani, ma ciò li stancò privandoli di energia. Nel frattempo, furono avvisati i villaggi vicini, così diventò molto più difficile e pericoloso attraversarli.

    Vi furono scontri molto duri; il vampiro più giovane fu ferito, uno strappo all’arteria del polpaccio. Nessuno degli altri aveva sangue da donare e per salvarlo dovettero ricorrere a sangue umano fresco. Anche quella notte il vicino villaggio perse tre dei suoi, e ormai la paura aleggiava ovunque mentre il profumo dei non morti si insinuava tra le case, penetrava dalle finestre, dagli usci… Gli animali sembravano diventati di colpo sterili e la speranza si era trasferita altrove.

    Jaracay per quella volta fu salvo, ma per fargli attraversare i fiumi in piena dovettero sorreggerlo in due; aveva perduto troppo sangue e quello degli umani non aveva ancora fatto il suo effetto. Era debole, impaurito, reso fragile dall’incertezza; la marcia si fece dunque se possibile ancora più estenuante. Neppure la pioggia dava tregua, calda,

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