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Il Vangelo secondo Paolo
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Il Vangelo secondo Paolo

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About this ebook

Siamo ancora capaci di distinguere fra la realtà e il reality? Il talento e il talent? Il cuoco e lo chef? Perché dagli schermi dei nostri monitor fuoriesce una nebbia che diventa sempre più densa, impedendoci di distinguere il vero dalla sua rappresentazione.
Nella società del momento le differenze si stanno sempre più assottigliando. Come si può distinguere fra la realtà e il reality? Il talento e il talent? Il cuoco e lo chef? Il vero dal propinato come tale?
Si gioca davvero tutta lì la partita: fra le sottili differenze e la capacità di coglierne le sfumature nel momento più adatto.
Agapito e Franco vogliono scrivere una canzone di successo che li faccia diventare ricchi.
Hilde è una cantante disillusa che avrà la possibilità di diventare una star.
Gesù è il protagonista del Vangelo secondo Paolo, un nuovo Vangelo scritto dal primo Papa uscito da una talent show.
Sara Rossi è la regina della tv e domina l’opinione pubblica a suon di intrattenimento attraverso la Adamon, la casa di produzione che ha fondato
Giulio sogna di fare carriera nel mondo dello showbusinnes.
Le loro vite stanno per intrecciarsi sullo sfondo di una realtà sempre più simile a un reality show, dove il solo apparire sembra essere la chiave del successo.
Fra morti vere e presunte, miracoli e resurrezioni, programmi tv sempre più estremi, si dipana una realtà (o reality) non molto diversa da quella che stiamo vivendo.
LanguageItaliano
Release dateNov 12, 2018
ISBN9788833281810
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    Book preview

    Il Vangelo secondo Paolo - Matteo Giordano

    Cover

    PARTE PRIMA

    Capitolo primo

    Agapito si era svegliato con la sgradevole sensazione che essersi fatto Hilde, dopo tutti quegli anni di tentativi andati a vuoto, non fosse stato così divertente come si era immaginato.

    Le ragazze appartengono a quell’insieme di cose per cui spesso la realtà sognata, o meglio ancora idealizzata, è molto meglio della realtà stessa; un po’ come un bicchiere d’acqua dopo essere stati costretti a patire la sete.

    Il sollievo e il piacere durano solamente un istante, come l’orgasmo che Agapito aveva immaginato essere il migliore e il più indimenticabile di tutti, e che, invece, era stato esattamente come gli altri. Nemmeno il dopo, con l’obbligo delle solite frasi di circostanza, lo aveva reso memorabile.

    Era già sorto il sole quando erano entrati in casa di lei senza nemmeno fingere di volere qualcosa di diverso da quello che sarebbe accaduto; ed era ancora mattina quando Agapito si era alzato dal letto.

    Indossava solo un paio di mutande e la felpa della sera prima, il freddo che soffiava gelido dai numerosi spifferi lo aveva ridestato del tutto. Il sapore di marcio in bocca tradiva il motivo per il quale aveva rimorchiato Hilde in discoteca, dove entrambi si erano trovati a essere l’alternativa al niente di meglio da fare dell’altro.

    All’esterno il quartiere delle case popolari, già grigio di suo, era reso ancora più color mestizia dalle nuvole fredde e sporche di un insopportabile inverno senza neve avvolto da coltri di smog.

    L’anno nuovo non sembrava essere iniziato in modo diverso dal precedente; si trattava di semplice convenzione, di un numero in più sul calendario e di altre prospettive da archiviare per decorrenza dei termini nel faldone delle utopie.

    Agapito si era svegliato con un terribile mal di testa, il dolore si irradiava dalla zona intorno al sopracciglio destro e quasi gli impediva di tenere l’occhio aperto.

    Aveva soffocato, con scarso successo, un rutto, promemoria di tutto l’alcool ingurgitato qualche ora prima. Hilde, udendo e non apprezzando i rumori digestivi dell’amico e cercando di evitare di dover dire qualcosa di sensato, nascose ancora di più la testa sotto il cuscino.

    Seduto sul water, Agapito aveva iniziato la sua quotidiana pausa di riflessione, durante la quale amava ripetersi che in fondo c’erano ancora spazio di manovra e tempo per svoltare.

    Andarsene via. Ecco cosa si riprometteva di fare da quando, quasi dieci anni prima, era diventato maggiorenne. Ormai in Australia ci andavano tutti, in Spagna c’era la crisi e poi non conosceva lo spagnolo, in Germania, beh, non era ancora così disperato.

    Non gli restava altra soluzione che rimanere e trovare qualcosa da fare. Già, ma cosa?

    In giro tutti volevano essere imprenditori di loro stessi, perché nessuno aveva granché voglia di imparare a lavorare. In più Agapito era ancora in quella fase in cui poteva sbandierare di fronte ai parenti la sua non proprio recente laurea in scienze di qualche cosa, spiegando che era colpa dell’Italia se non esisteva ancora un impiego per la sua figura professionale. In fondo era rilassante sentirsi sempre in vacanza dalle proprie responsabilità, mai del tutto sobri e sempre un po’ fatti.

    Insomma, vuoi non fermarti a bere una birretta finito il turno in nero al ristorante? In un attimo si fanno le tre e pazienza se il giorno dopo devi alzarti presto. Il mondo, in fondo, è pieno di gente che domani può dormire finché vuole eppure non sta a bere fino a tardi.

    Franco lo beccava sempre al bar di Yu, verso mezzanotte. Non aveva nemmeno bisogno di mandargli un messaggio, un messaggio di testo, proprio come una volta, perché Franco non aveva uno smartphone per partito preso. Il mese precedente aveva cambiato telefono, spiegando fieramente al commesso di avere reinserito, uno a uno, i numeri nella rubrica, impiegandoci una notte intera. Il tipo del negozio di telefoni gli aveva detto che con dieci euro in più avrebbe potuto fare il trasferimento in due minuti, ma Franco si era opposto. «Troppo facile», aveva detto.

    «Una veloce e poi vado a casa che è già tardi.»

    Era la battuta standard di Franco, che ripeteva ogni sera quando Agapito entrava dalla porta, mentre alzava due dita verso la figlia italo-cinese del proprietario, che spesso completava il turno fino a tarda sera.

    Una veloce diventava sempre più di una e nemmeno troppo veloce. Il rifornimento necessario per attraversare il tunnel del nulla di fatto dentro il quale pensare e progettare un’esistenza diversa.

    Era stato proprio durante una di quelle sere, poco prima di Natale, che Franco se ne era uscito con la sua ennesima trovata: la scorciatoia per fare soldi e poter così continuare a frequentare i bar fino a tardi e il più a lungo possibile.

    Quell’uomo era un vulcano di idee mai messe in pratica, e ogni volta ne aveva una nuova da sfoderare. Solo la sera prima gli aveva proposto un viaggio mediante il quale verificare la sua teoria secondo cui la nuova frontiera del turismo sessuale era rappresentata dai pellegrinaggi ai santuari mariani, e principalmente a Lourdes. Franco sosteneva che abbordare le infermiere che accompagnavano i malati a caccia di miracoli era un attimo. Secondo lui non aspettavano altro.

    «Pensa a queste poverette, quando escono alla sera e non trovano nessuno. Offri loro un Pastis, parli per un po’ di argomenti che non contemplino le parole: dialisi, paralisi e, in generale, tutte quelle che terminano in -alisi, e via, te le porti a casa in un attimo e ti senti anche a posto con la coscienza.»

    Agapito ci aveva pensato su tutta la notte, convenendo che l’amico non avesse in fondo tutti i torti, ma era un po’ sbronzo e la sua capacità di giudizio era quella che era.

    La sera successiva, quindi, quando Franco, dopo un lungo sorso, aveva iniziato a parlare con un tono sempre più incalzante, Agapito non si era stupito più di tanto.

    «Ci stai a scrivere una canzone?» Franco ci credeva davvero, mentre Agapito si stava sforzando di non crederci troppo. «Senti qua prima di rispondere: io e te ascoltiamo roba pubblicata non più tardi del 1996, e di tutto quello che gira oggi abbiamo scarsa conoscenza e interesse pari a zero. A noi piacciono i Sonic Youth e i Marlene Kuntz.»

    «I Marlene solo fino a Ho ucciso paranoia», aveva puntualizzato Agapito.

    «Vedi, è esattamente quello che sto dicendo!» A Franco era andata di traverso della birra.

    «Ma che cosa stai dicendo?» Agapito aveva già perso il filo del discorso.

    «Aspetta, lasciami finire. Guardiamoci nelle palle degli occhi e diciamoci la verità: lasciamo perdere per un momento tutti i cd masterizzati di cantautori californiani morti troppo giovani che abbiamo accumulato nel corso degli anni; dimentichiamoci della qualità, Agapito. È brutto da dire, lo so, ma dobbiamo smetterla di ascoltare gruppi sconosciuti, che verranno capiti fra vent’anni, e iniziare a usare il cervello. La gente quando va a ballare vuole Maracaibo, è vero o no? E allora, io dico: scriviamo un pezzo così, un tormentone da lanciare l’estate prossima. Oggi è il sedici dicembre, significa che abbiamo cinque mesi per scriverlo, inciderlo e promuoverlo. A maggio deve essere pronto. Resterà scolpito per sempre come il brano cult della prossima estate, prodotto con metodo scientifico, secondo i canoni, i gusti e quello che va di moda domani mattina. Un brano, un brano solo; accumuleremo più soldi possibile dalle vendite, per poi passare il resto della vita su qualche spiaggia esotica, vivendo con la rendita dei diritti d’autore. Che te ne pare?»

    «Come quelli di My Sharona

    «Come quelli di My Sharona, bravo. Ti ricordi come si chiamavano?»

    «No.»

    «Nemmeno io, però la canzone spacca ancora oggi. È questo il punto.»

    Agapito aveva l’entusiasmo facile quando lo coinvolgevano in qualcosa di talmente assurdo da essere troppo divertente. E poi il sogno di sfondare nel rock era stato a lungo il suo preferito. Certo, si sarebbe trattato di musica pop, ma meglio di niente.

    «Ci servirà una cantante.»

    «Ho già una mezza idea: Agata.»

    «Agata? Quella che fa il Karaoke qua il sabato?»

    «Sì, lei.»

    Agapito aveva storto il naso.

    «Va beh, mica possiamo prendere Madonna. Comunque io la conosco da quando eravamo piccoli. Ieri l’ho chiamata e le ho domandato se fosse interessata a incidere un brano, così, a livello amatoriale. Non sono sceso nei dettagli naturalmente, e mi è parsa propensa a dire sì.»

    «Ok, se lo dici tu, mi fido. Per quanto riguarda il genere, invece? Voglio dire, io non mi butterei sul trito e ritrito latinoamericano, cercherei comunque di dare un taglio non dico qualitativamente decente, ma quasi.»

    «Con la strofa rappata, dici?»

    «No, troppo complicato, troppo testo da scrivere, a noi serve qualcosa che la gente impari a memoria subito.»

    «Comunque io non mi discosterei troppo dalla pop dance, anche se vorrei trovare il modo di inserire una venatura latina, perché mi fa subito estate. Alla gente non interessa se l’ha già sentito l’anno prima, anzi, se ricorda qualcosa di familiare, meglio ancora.»

    Agapito e Franco erano andati avanti così pressappoco fino alle tre, buttando giù qualche idea su dei tovaglioli di carta. Fuori intanto era iniziato a nevicare.

    Ancora non lo sapevano, ma alla base del loro progetto traballante c’era una intuizione geniale, un teorema applicato all’industria musicale, a tratti infallibile. Senza saperlo Franco e Agapito stavano sbirciando dentro l’interpolazione musicale.

    Nella società del momento le differenze si stanno sempre più assottigliando. Come si può distinguere fra la realtà e il reality? Il talento e il talent? Il cuoco e lo chef? Il vero dal propinato come tale?

    Si gioca davvero tutta lì, la partita: fra le sottili differenze e la capacità di coglierne le sfumature nel momento più adatto.

    Nemmeno la musica pop fa eccezione: il plagio e la citazione – ennesima e sottile, ma significativa differenza – ci sono sempre stati. Beethoven che cita Mozart nell’attacco di un concerto per pianoforte e Michael Jackson che plagia Albano; gli Oasis che omaggiano Imagine in Don’t look back in anger, e i Sottotono a Sanremo, con un brano troppo simile a uno degli Nsync.

    La zona è un campo minato e intrappola tutti; comprendere, tuttavia, dove la pigrizia − o l’eccesso di furbizia − finisca per lasciare spazio alla contaminazione è un problema che rimarrà irrisolto in eterno.

    Alcuni pensano che questo sia il futuro della musica pop, visto che gran parte della cultura generale si basa sul copia e incolla; i profili personali sui social pullulano di citazioni più o meno ascrivibili al poeta di turno e spacciate come proprie, oltreché di pose copiate dalla fashion blogger del momento. L’interpolazione, per dirla in maniera elegante, o la brutta copia di qualche cosa che funziona, per dirla in modo più diretto, rappresenta ormai l’elemento cardine per diventare famosi.

    Ma se la menzione e il plagio, con le loro relative sfumature, sono sempre ben definiti e riconoscibili, come nel pezzo di Vanilla Ice con il chiaro campionamento di Under Pressure dei Queen, l’interpolazione è invece un’arte più sottile e subdola, che si va a infilare fra le righe, riprendendo un particolare ritmo di batteria oppure un accenno di melodia. C’è chi ha addirittura riproposto alcune liriche, come avevano fatto persino i Club Dogo, riprendendo un verso di Battiato: come è misera la vita negli abusi di potere.

    Con questi presupposti è lecito domandarsi che cosa rimarrà di genuino nella società se, passo dopo passo, l’interpolazione dal pop si dovesse estendere anche altrove, ma a Franco e Agapito, intenti a spremersi davanti ai loro drink, della società non importava granché.

    Il Natale era arrivato senza che nessuno dei due avesse più pensato a quel progetto, lasciandolo così fluttuare nell’universo parallelo delle idee inutili.

    Franco era andato oltre, esagerando sia durante le feste - era uscito tutte le sere dal 22 dicembre al 6 gennaio, rincasando in media alle quattro del mattino -, sia per quanto riguardava l’idea di produrre quel brano. Una notte, fra Natale e capodanno, aveva incontrato Agata in uno di quei pub aperti fino al mattino, dove ci si trovava all’ultimo per una birra e una piadina anche senza darsi appuntamento.

    La ragazza era con un paio di giovani dell’hinterland, con i capelli arruffati, i punti neri a fare a pugni con l’acne sul naso e i vestiti da finti metallari poveri fuori stagione; insieme a loro c’era anche Yu, che Franco sosteneva arrotondasse con certe prestazioni fuori orario. Quello che non aveva mai scoperto era la parola d’ordine, senza la quale non si poteva accedere a quel mondo di piacere dai piccoli occhi a mandorla e denti storti.

    Franco ci provava quasi tutti i giorni: andava al bar e ordinava un cappuccino con tanta schiuma o tentava altri squallidi approcci per trovare la parola d’ordine giusta.

    «Ciao, Salvatore!» Era la sola concessione che Yu gli regalava.

    Lui le aveva detto di chiamarsi così, più altre cazzate che nemmeno ricordava. A lei andava bene e senza battere ciglio gli preparava il cappuccino con tanta schiuma anche alle sei di sera.

    Quella volta c’era da festeggiare qualcosa che non aveva a che fare col Natale, e Agata aveva invitato Franco, che se ne stava appoggiato al bancone con una Guinness a guardare i ragazzini scuotendo la testa, a unirsi al suo tavolo. Lui aveva preso uno sgabello ed era andato a infilarsi fra il muro e Yu, che sedeva in un angolo del tavolo.

    «Salvatore, indovina?»

    Yu aveva la stessa voce dei cartoni animati.

    «Cosa?»

    «Indovina dove va Agata?»

    «Dove vai?»

    «Mi hanno presa a Fattore K, cioè, alle selezioni. Ho superato la prima scrematura e adesso sono nei cinquemila che si giocheranno l’ammissione al programma.»

    «E quanti ne verranno scelti?»

    «Dodici.»

    «Beh, meglio di un concorso al ministero…» All’improvviso a Franco si era riaccesa una lampadina: che colpo di fortuna sarebbe stato avere la vincitrice di Fattore K a cantare la hit dell’estate a venire? «Ma è fantastico, Agata!»

    «Lo so, ancora non ci credo!»

    «Senti, ricordi che ti avevo chiesto se ti andava di collaborare a un progetto discografico?»

    «Ah sì, ma… Cioè, era una bella idea e l’avrei fatto volentieri, ma con l’ammissione a Fattore K ho dovuto firmare una specie di contratto che mi lega alla Adamon per cinque anni. Se canto qualcosa, qualsiasi cosa, lo devo fare per loro.»

    Agata, Cristo, aveva pensato Franco, lasciandosi andare con la schiena contro il muro.

    La Adamon non scherzava per niente. Era la casa di produzione di tutti i format di maggiore successo e, negli anni, aveva allungato i propri tentacoli anche nell’industria musicale e nell’editoria. Era stata la Adamon Publications a dare alle stampe il Vangelo secondo Paolo, che era saldamente in cima alle classifiche di vendita.

    Solamente il fatto che avesse i mezzi per mettere sotto contratto Agata e altri cinquemila sconosciuti a scatola chiusa bastava a mettere paura. Era una forma di schiavitù artistica 2.0, ma come si poteva biasimare la Adamon dopo che, nell’edizione di Fattore K di due anni prima, si era vista scippare dalla EMI la prima concorrente eliminata dal programma e diventata, due mesi dopo, la Lady Gaga italiana.

    Giulia Cacace, in arte La Donna, sarebbe presto partita per il suo tour mondiale e adesso era Lady Gaga a essere chiamata La Donna americana.

    Da qui, le manette ai polsi ad Agata e agli altri partecipanti.

    Franco aveva terminato di bere la sua birra in silenzio, stracciando i metaforici fogli mentali sopra i quali aveva scarabocchiato le linee guida del suo progetto. Il fatto di avere perso la cantante era diventata la scusa più plausibile per piangersi addosso ancora un po’, come se Agata fosse stata l’ultimo tassello mancante al suo puzzle. Lei invece era il primo che aveva messo. Un’illusione, l’ennesima.

    Il pomeriggio seguente, subito dopo essersi svegliato, si era buttato a capofitto in quella che considerava la nuova frontiera: i banner che gli si aprivano quando andava sul suo sito porno preferito e che gli promettevano di guadagnare mille euro al giorno, comodamente da casa.

    Così il progetto si era arenato, come il cantiere di qualche opera pubblica, e anche Agapito aveva smesso di pensarci, concentrandosi nel santificare le feste, perché, come si era ripromesso di fare, quelli sarebbero stati i suoi ultimi giorni di bagordi prima di mettere la testa a posto e svoltare.

    Era così giunta anche l’ultima mattina delle vacanze, scena finale di un cinepanettone, e di svoltare nemmeno l’ombra. Agapito se ne stava sul water a guardare sul suo iPhone, senza sapere nemmeno lui il perché - una specie di abitudine diventata vizio - qualche minuto di diretta dal Palazzo Apostolico. Paolo VII stava facendo colazione, mentre intorno a lui si muoveva un esercito di porporati, suore e figuranti travestiti da guardie svizzere, messi lì come contorno. Attraverso la app si poteva seguire, gratis per dieci minuti al giorno, la vita del papa ad interim, senza bisogno di pagare quarantanove euro al mese e seguirlo ventiquattro ore su ventiquattro.

    Ad Agapito dieci minuti al giorno erano sufficienti per rimanere aggiornato, per non sentirsi tagliato fuori dai discorsi di quelli che avevano pagato l’abbonamento per essere parte attiva della democrazia partecipata dei cattolici. Quella stessa che aveva segnato l’inizio della deriva populista anche Oltretevere, con l’illusione che la semplificazione avrebbe reso tutto abbastanza terra terra da farlo risultare fruibile a

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