Sotto il ponte Morandi
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Fino a quel momento, da radicata ponentina, quel ponte aveva rappresentato i pomeriggi in centro città. Ed invece a vederlo così, da sotto, era cupo, incombente, con le sue protezioni così snelle che a stento avrebbero retto il peso di un camion che fosse andato fuori strada.
I primi calcinacci che vennero giù dal viadotto danneggiarono diverse macchine parcheggiate nel perimetro aziendale. “Io ve lo dico che quel ponte prima o poi viene giù!”, esclamò qualcuno al caffè. “Non drammatizziamo - tagliò corto una collega ingegnere - siamo in Italia, in un paese civilizzato ed evoluto come il nostro non vengono giù i ponti!”.
Eppure dalla finestra lo vedo bene, anche ora che è mutilato, ed era sempre carico di macchine e TIR. Le infinite discussioni sulla cosiddetta “Gronda” trovarono l’opposizione dei residenti, degli ambientalisti e di qualche politico. “Quel ponte durerà altri 100 anni”, dissero. La Gronda non si costruì, ed il 14 agosto 2018 il Morandi venne giù.
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Book preview
Sotto il ponte Morandi - Francesca Rovereto
Genova
Capitolo 1 - Una vita sotto il ponte
1.1 A pranzo sotto il ponte
Sono passati 10 anni da quando varcai per la prima volta la soglia della mia azienda; i cancelli e le guardie armate si trovano esattamente a ridosso del viadotto Morandi che poi, ai tempi, per me, era semplicemente il ponte di Cornigliano
.
Nonostante fosse una bellissima giornata settembrina, la prima cosa a cui pensai fu: Che luogo cupo!
. Quegli altissimi piloni che svettavano sopra la mia testa mi parvero da subito minacciosi.
Il secondo pensiero fu: Certo che, sotto questo ponte, c’è un sacco di gente che ci vive e lavora!
. Per me, che allora ero una giovane impiegata in via Turati, in pieno centro di Milano, quell’area industriale genovese era talmente diversa dalla mia quotidianità, da stupirmi della sua vitalità.
Eppure, sono una Genovese: alla movida milanese ho sempre preferito il mare, i brunch a base di sushi li scambio volentieri con un piatto di trofie al pesto, ai weekend chiusa in costosissime palestre prediligo le domeniche sdraiata sulla spiaggia, con il sottofondo dello sciacquio delle onde.
Ed è per questo che quel giorno di 10 anni fa ero pronta ad abbandonare l’eleganza delle boutique milanesi per ritrovare il mio tempo libero post-lavoro al profumo di salsedine.
Il terzo pensiero di quella mattina fu: Merda, che casino ho combinato?!
. Distratta dal mio guardar per aria, quel ponte che incombeva sopra la mia testa, non mi accorsi che avevo sfregato più volte i pantaloni nel copriruota dello scooter, procurandomi enormi chiazze grigio-nere sul mio tailleur color panna.
Il manager di allora fu comprensivo alle mie scuse per le chiazze di unto, e quel giorno superai il colloquio. Due mesi più tardi infilai qualche scatolone in macchina e tornai a vivere a Genova.
Eppure quel ponte proprio non mi andava giù. Fino a quel momento, da radicata ponentina, il ponte di Cornigliano aveva rappresentato i pomeriggi in centro.
Il centro di Genova è meraviglioso, poterci arrivare in macchina, una volta presa la patente ed evitando quindi i sovraffollati treni sempre in ritardo, era una grande e felice conquista. Ricordo mio padre che mi diceva: Stai sulla corsia di destra, mi raccomando, non sorpassare e vai piano, che sei una principiante, ma ricordati: per uscire a Genova Ovest bisogna spostarsi sulla corsia di sinistra, quindi fallo per tempo, tanto il ponte è bello lungo
.
Ed invece a vederlo così, da sotto, quel ponte perdeva tutta la magia dei pomeriggi in centro. Era cupo, era incombente, con le sue protezioni così snelle che a stento avrebbero retto il peso di un camion che fosse andato fuori strada. Esorcizzai la mia paura con un post sul mio profilo Facebook: Mia mamma ha 3 figli, uno pilota jet, uno guida una potentissima moto, e poi c’è la terza, la sottoscritta, che in autostrada fa gli 80 km/h ma lavora sotto un ponte: per la legge di Murphy, chi è più in pericolo? Prima o poi mi cadrà qualcosa in testa?!
.
Incominciarono così i miei giorni in Palazzina 1, quella della Direzione, dei grandi manager, dove si sentono parlare mille lingue straniere, dove il cellulare aziendale squilla anche la domenica a pranzo.
Proprio i pranzi rappresentarono il maggior cambiamento della mia nuova vita lavorativa. Abituata com’ero a solitarie letture in esclusivi caffè di Via Turati e Piazza Cavour, mi ritrovai nel bel mezzo di una zona industriale, dove il bar più vicino era