Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

Troy Mavros e i conquistatori di mondi - L'ultimo namidiano
Troy Mavros e i conquistatori di mondi - L'ultimo namidiano
Troy Mavros e i conquistatori di mondi - L'ultimo namidiano
Ebook449 pages6 hours

Troy Mavros e i conquistatori di mondi - L'ultimo namidiano

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

Anno 2034, un equivoco messaggio dallo spazio annuncia l’imminente arrivo di una specie aliena. Troy Mavros, un “dotato” abitante dell’assolata Mykonos, e i suoi amici sono i primi esseri umani a entrare in contatto con la progredita civiltà alkoriana, crudeli conquistatori di mondi potenziati dall’impianto di avanzati innesti tecnologici che mirano ad aggiogare i terrestri.
    Troy viene prelevato di autorità e portato sulla nave madre dove Zìmu’Daar, l’infido signore del pianeta Nâr’Âlkor, dopo aver fatto di lui un cyborg gli concede tre mesi di tempo per affrancare l’umanità, come esige il protocollo Ĵnýr. Se allo scadere dell’ultimatum il greco non sarà riuscito a sventare l’invasione la Terra subirà l’annessione ostile.
    Xòloth’Johr, un presunto quinta colonna con cui entra in contatto sulla nave, lo esorta a liberare l’ultimo namidiano, la mente più brillante dell’intera Via Lattea, segregato a bordo; il solo che, a sua detta, possa agevolarlo nella proibitiva impresa che lo attende.
    Obbligato con il ricatto ad abbracciare il ruolo di condottiero, Troy si lega spiritualmente alla Nera Sanguinaria, leggendaria arma ancestrale che gli consente di competere con lo strapotere dei conquistatori.
    Tornato libero, Troy si ritrova a doversi destreggiare tra conflitti interiori, spie mutaforma, traditori e inedite responsabilità.
    Spinto da una nuova necessità, seppur dubitante tenta con alcuni compagni di rintracciare il fantomatico namidiano per portarlo fuori dall’immensa nave aliena. La rocambolesca operazione mette il gruppo a dura prova, rischiando più volte di fallire, anche a causa di un sacrificio che metterà a rischio l’unità della neonata resistenza.
    Passione e avventura nel primo capitolo della trilogia di Troy Mavros. Sei pronto a lottare per la Terra? Sei pronto a entrare nel futuro?
LanguageItaliano
PublisherK. G. Sage
Release dateNov 16, 2018
ISBN9788829547500
Troy Mavros e i conquistatori di mondi - L'ultimo namidiano

Related to Troy Mavros e i conquistatori di mondi - L'ultimo namidiano

Related ebooks

Science Fiction For You

View More

Related articles

Reviews for Troy Mavros e i conquistatori di mondi - L'ultimo namidiano

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    Troy Mavros e i conquistatori di mondi - L'ultimo namidiano - K. G. Sage

    Indice

    Frontespizio

    Colophon

    Dedica

    Ex libris

    PROLOGO

    CAPITOLO 1

    1.1

    1.2

    1.3

    CAPITOLO 2

    2.1

    2.2

    2.3

    2.4

    2.5

    CAPITOLO 3

    3.1

    3.2

    CAPITOLO 4

    4.1

    4.2

    4.3

    4.4

    CAPITOLO 5

    5.1

    5.2

    5.3

    5.4

    5.5

    CAPITOLO 6

    6.1

    6.2

    6.3

    CAPITOLO 7

    7.1

    7.2

    7.3

    7.4

    CAPITOLO 8

    8.1

    8.2

    8.3

    8.4

    8.5

    8.6

    8.7

    8.8

    8.9

    8.10

    8.11

    8.12

    EPILOGO TRANSITORIO

    News

    Ringraziamenti

    Contatti

    .

    K. G. Sage

    TROY MAVROS E I CONQUISTATORI DI MONDI

    L’ULTIMO NAMIDIANO

    Il destino del mondo nelle mani di un solo uomo

    .

    Copyright © 2018 K. G. Sage

    ISBN: 978-88-29-5475-00

    In copertina: Composizione grafica dell’autore

    All rights reserved.

    La presente opera è frutto di fantasia, ogni riferimento a persone esistenti o realmente esistite, fatta eccezione per le citazioni di personaggi storici, è puramente casuale.

    Alcuni dei luoghi citati nell’opera sono volutamente stati modificati dall’autore allo scopo di conferire veridicità alla narrazione.

    CONTATTI

    k.g.sage.author@gmail.com

    K. G. Sage Author

    Troy Mavros e i conquistatori di mondi - L'ultimo namidiano

    @K_G_Sage_Author

    @Troy_MavrosD

    .

    Al Precursore, Jules Verne,

    al Maestro, Isaac Asimov,

    a chi mi ha introdotto alla fantascienza attraverso le sue opere,

    a chi (?) ha creduto in me

    e a chi per tutta la vita non ha fatto altro che disincentivarmi.

    .

    Per aspera ad astra

    (Antica locuzione latina di probabile derivazione greca)

    PROLOGO

    – ... la Terra, se la prenderanno, con tutti gli annessi e connessi! – concluse Troy guardandoli accigliato, lo sguardo ridotto a due fessure sottili.

    Il tono e i contenuti minacciosi delle sue parole distolsero l’attenzione dei convitati dai congegni alieni che l’innestatrice gli aveva impiantato sul cranio. La ferraglia nascondeva parte del suo volto tirato conferendogli una fisionomia alterata. Sembrava una specie di cyborg.

    Seb e Bas lo fissavano inorriditi dal lato opposto della tavolata, non più per il suo aspetto.

    – Sei proprio certo di aver compreso bene le intenzioni di quel vigliacco assassino di un pelleviola? – chiese Bas, sperando che avesse frainteso.

    – Zìmu’Daar non potrebbe essersi espresso più chiaramente di come ha fatto.

    – E così il futuro dell’umanità è nelle tue mani; o piuttosto sulle tue spalle –, Seb mise giù le bacchette, rinunciando a portarsi un ultimo maki alla bocca. – Come conti di uscirne, Uomo Bionico?

    – Il protocollo Ĵnýr non mi lascia troppo margine di manovra. Mi piacerebbe rinchiuderli dentro la Djett Jaàntorr e prenderli a calci fino a Nâr’Âlkor, – si sfogò, – ma non saranno i miei desideri a far saltare i suoi piani di conquista. Stipate dentro quell’impressionante colosso di nave madre ha decine di astronavi che già da sole basterebbero a scorticare la crosta terrestre, alle quali si aggiungono centinaia di migliaia, forse più di un milione, di altre navicelle armate da far paura.

    – Dovremmo rubargliene qualcuna – suggerì Nataliya fintanto che si massaggiava la spalla indolenzita.

    – Avremmo comunque l’handicap dello svantaggio numerico abnorme. Credo che prima di tutto dovrei liberare questo Ràydiin...

    Nascosta nel buio, un’ombra sinistra ammantata in un burnus li osservava con attenzione attraverso le vetrate del Sunny in attesa del momento buono per fare la sua mossa.

    CAPITOLO 1

    La Terra

    … Oggi, l’epicentro e il cuore pulsante di una federazione di pianeti liberi nata nel Quadrante Orione della Via Lattea: il Patto Galattico".

    Il Patto Galattico nacque in ragione all’esigenza delle civiltà pacifiche della galassia di liberarsi dal giogo oppressivo del Dominio", il cui scopo è sottomettere al proprio volere e alle proprie pretese ogni singolo pianeta abitato da forme di vita indirizzate dall’evoluzione verso l’uso della ragione.

    Le basi del Patto Galattico vennero poste in seguito a quella che passò alla storia come la Battaglia degli Inganni, la quale ebbe luogo due anni dopo la Battaglia dell’Affrancamento, ricordata anche come Battaglia dei Prescelti", combattuta a sua volta nell’anno 2034 del calendario della Terra.

    "Fu proprio in quell’anno della civiltà terrestre che tutto in realtà ebbe inizio.

    "La Terra…

    "… Dodici miliardi di esseri umani che respirano, vivono, amano e soffrono, disseminati su cinque estesi continenti di terre emerse, circondati da tre vasti oceani, sovrastati da un unico cielo e in esso avvolti e protetti.

    "I terrestri: una civiltà alquanto giovane seppur già arrogante, la cui inesperienza è testimoniata dalle innumerevoli guerre tra simili che ledono la dignità umana lasciando profonde cicatrici nell’animo, difficili da lenire.

    "Guerre religiose, guerre dettate dall’odio razziale, guerre per il possesso di esigui brandelli di terra, guerre per accaparrarsi risorse sottraendole a coloro i quali sarebbero destinate, in nome di un neocolonialismo mai nemmeno accennato nei discorsi che i potenti della Terra rivolgono alla gente comune, ai popoli; guerre scaturite da ideologie sorpassate, talvolta oscurantiste, che solo in pochi ricordano da cosa siano state originate, faide delle quali nessuno conosce più il principale casus belli o l’esatto momento in cui abbiano avuto inizio.

    Guerre. Cui si aggiungono carestie e fame, criminalità e corruzione, arretratezza, terrorismo, inquinamento e malattie, nonché una spartizione delle risorse che premia una ristretta élite di fortunati" che ostentano ricchezza e potere, tra i quali vi è uno stretto rapporto biunivoco e diretto, come una medaglia al valore appuntata sul fiero petto, circondandosi di status symbol atti a inorgoglirli e a ricordare alle masse che sono nient’altro che una colonia di piccole formiche il cui compito consiste nel portare sulle spalle i pochi eletti, e che proprio come insetti possono essere schiacciati con leggi ad hoc se soltanto osano alzare la testa e chiedere maggiore equità.

    "I terrestri… Laborioso popolo che vive e sopravvive cercando di rimettere insieme i cocci delle proprie vite e dei propri sogni, infranti dalla grande crisi finanziaria ed economica manifestatasi già dopo i primi anni del terzo millennio d.C. che si presentò carico di speranze, quasi come il favoloso sacco di Babbo Natale, e finì ben presto per rivelarsi rovinoso a causa della nuova politica economica, trascinando le belle speranze del giubileo sempre più verso il fondo di una spirale discendente buia della quale non si riusciva ancora a intravedere la fine né più l’inizio: la sperequazione.

    "Eppure, il peggio sarebbe ancora dovuto arrivare, e lo avrebbe fatto a passo di cavalleria. Quel peggio che cambiando molto per pochi e poco per molti avrebbe portato equilibrio livellando le abissali differenze che come ampi e profondi solchi dividevano e allontanavano gli umani ponendoli su livelli differenti e distanti tra loro al punto da apparire inavvicinabili.

    "Ma il destino, si sa, è spesso capriccioso; trova modi bizzarri e alquanto inconsueti per cambiare le cose. Non sempre la strada da percorrere è dritta e ben illuminata; a volte può essere in salita, lunga, tortuosa e piena di ostacoli, mentre altre volte può apparire tale, ma solo agli occhi di chi ha smarrito la luce, di chi ha perso la fiducia in se stesso e non confida più di trovare l’uscita del tunnel nel quale le proprie azioni, quelle di altri o magari l’inoperosità l’hanno sprofondato.

    "A volte, basta solo credere in se stessi… e accettare la particolare responsabilità di sostituirsi al destino.

    "A volte, basta solo credere in se stessi…

    1.1

    – Giovane Colton, ti rendi conto di che ore sono? Forse tu non porti l’orologio al polso come dovrebbe fare ogni buon operatore dell’EVLA allo scopo di registrare ogni evento con scientifica precisione cronometrica. Oppure sei eccessivamente zelante visto che non ti fai scrupoli di disturbare il sonno di un povero vecchio che ha concluso il proprio turno alle undici di sera, tre ore dopo il normale orario...

    – Ma, dottor Barrett...

    – No, no, no, lasciami finire, giovane Colton. Non puoi pretendere di tirarmi giù dal letto all’una del mattino e cavartela con poco. Voglio sperare che non sia ancora per quel falso segnale registrato ieri dopo pranzo, novellino. Da quanto tempo fai parte dell’organico dell’Expanded Very Large Array?

    – Sono circa otto mesi, dottor Barrett, ma, vede...

    – Otto mesi, dici. Bene. Io dico che dopo otto mesi dovresti essere in grado di distinguere una comune interferenza da una vera e propria radiosorgente, giovane Col...

    – Maledizione, mi stia a sentire, dottor Barrett! Non si tratta di una semplice interferenza né di un falso segnale; e l’EVLA non è l’unico radiotelescopio ad averla captata. I radiotelescopi di mezzo mondo stanno ricevendo lo stesso segnale proveniente all’incirca dall’eclittica di Urano.

    – Intendi dire che stiamo ancora ricevendo il segnale?

    – Chiaro e forte, dottore. È una trasmissione in codice binario sulla frequenza dell’idrogeno neutro, 1,420 Gigahertz, e si ripete con una strana cadenza alternata: una trasmissione, tre minuti e quindici secondi di pausa, un’altra trasmissione, un minuto esatto di pausa.

    – Vuoi forse dire che si tratta di una sequenza, Colton?

    – È ciò che tutti credono, capo, e va avanti da più di...

    – Avete tradotto la trasmissione?

    – Lo stiamo facendo proprio ora. Ecco, Hugh mi sta giusto portando il rapporto. Dice...

    Le parole gli si strozzarono in gola per la sorpresa.

    – Accidenti, dottor Barrett, dice che la radiosorgente è diretta verso la Terra ed è in rapido avvicinamento. Il testo del messaggio è... è...

    – Dannazione, Colton, che dice il maledetto messaggio? Vuoi deciderti a parlare?

    – Dice solo... "Stiamo arrivando, terrestri".

    – Colton, giuro che se è uno scherzo provvederò personalmente a cacciarti via dalla stazione.

    – Nessuno scherzo, dottore. Come può sentire dagli squilli di videotelefoni e videofonini in sottofondo, siamo sommersi dalle chiamate. Sono gli altri radiotelescopi del pianeta che chiedono conferma.

    – Quando avete cominciato a ricevere il segnale?

    – La prima trasmissione più di mezz’ora fa, signore, e...

    – Al diavolo, Colton. Perché non mi hai chiamato prima, eri seduto sulla tazza?

    – Dottor Barrett, le capita mai di essere soddisfatto del mio operato, signore? Dottor Barrett? È ancora in linea? Dottor Barrett?

    1.2

    In una spensierata isola dell’Egeo meridionale parte delle vestigia del mondo antico divenuta oggi meta di giovani e spensierati vacanzieri provenienti dall’Europa ma anche da altre parti del mondo, ignaro di cosa stesse avvenendo nelle profondità spaziali del Sistema Solare, Troy Mavros, che cercava di sbarcare il lunario facendo lavoretti saltuari, quella mattina, una calda e assolata mattina di fine primavera, una delle poche in cui Troy fosse già in piedi di buonora, aveva rimediato un impiego come autista.

    Si trattava di sostituire per qualche giorno Soter, l’abituale conducente del pulmino a sei posti della Compagnia Yfantis, facendo la spola tra l’aeroporto di Mykonos, dove raccoglieva gruppetti di vacanzieri in arrivo sull’isola, e gli hotel o le abitazioni prese in affitto presso le quali avrebbero alloggiato.

    Comunque meglio che niente. Gli avrebbe permesso di racimolare qualche euro per tirare avanti.

    Era già al terzo trasporto e cominciava a fare caldo. Se non altro la compagnia, una combriccola di gasati giovani francesi provenienti dalla cittadina di Arles e diretti alla spiaggia di Paradise, lo metteva di buon umore. Soprattutto Bènèdicte, una ragazza nemmeno maggiorenne attratta da lui che gli rivolgeva un mucchio di domande.

    – Allora, Troy, è da tanto che guidi il pulmino? – Continuava a fissare gli occhi di Troy allo specchietto retrovisore. – Occhi scuri come la notte –, mormorò, – si intonano proprio bene con quella super abbronzatura.

    – Seee... figurati, saranno almeno vent’anni che spingo questo catorcio asmatico; ma che dico venti... almeno venticinque –. Si passò la mano sui capelli neri rasati molto corti in un gesto di finto imbarazzo.

    – Ma se hai detto di avere trent’anni?

    – Ah, sì? Già, è vero. Beh, magari è da un po’ meno che faccio questo lavoro; diciamo da stamattina.

    – E quand’è che stacchi?

    L’uomo evitò di rispondere.

    – Perché non fai un salto a Paradise quando hai finito, potremmo divertirci un po’ stasera. Che ne dici?

    – Dico che odio Paradise. Odio da morire quell’incessante chiasso assordante che qualcuno si ostina ancora a chiamare musica.

    – Dove abiti? – tornò alla carica la giovane, per niente rinunciataria. – Potrei venire io a trovarti, dopo che mi sarò sistemata in hotel.

    – Ehm, abito ad Adamas.

    – Sei sicuro? Non si trova sull’isola di Milos?

    – Uhm... già, è vero. Sì, insomma... la mia casa è crollata a causa del terremoto, ecco. Così... sono ospite del monastero di Paleokastro. Vedi, il rigido regolamento del monastero non mi consente di stare fuori dopo l’ora del tramonto. E poi stavo pensando di pronunciare i voti.

    – Allora dovremo arrangiarci a farlo all’aperto, mon cher, e alla luce del giorno. E per quanto riguarda i voti... dopo ci penserò io a darteli –. Sorrise maliziosa.

    – Ecco l’Hotel Cicladi, garçons, siamo arrivati. La corsa fa venti euro. Grazie per aver scelto la Compagnia Yfantis. Non dimenticate i bagagli.

    – Allora? – insistette Bènèdicte.

    Proprio in quel mentre Kyriakos Yfantis, il proprietario della compagnia di taxi, contattò il suo nuovo autista temporaneo alla radio.

    – Dove ti trovi, Troy?

    – Sto scaricando un gruppetto a Paradise. Tra un minuto o due mi dirigerò di nuovo verso l’aeroporto.

    – Lascia perdere, ci tornerai dopo. Dirigiti a Elia, c’è un gruppo di mocciosi da caricare al parco divertimenti. Sono figli di papà diretti a Panormos, pagano bene, quindi vedi di fare presto. Chiudo.

    – Spiacente, dolcezza, devo proprio scappare. Il dovere mi chiama a gran voce.

    – Dammi almeno il tuo numero.

    – Mi dispiace, biondina, ho perso il videofonino.

    – Ah, sì? E quello che tieni nella mano destra allora che cos’è?

    – Ma tu guarda! Ecco dove era finito. Beh, grazie allora, madamoiselle.

    Ripartì sgommando. Le avventure galanti erano il suo pane quotidiano, tuttavia nel suo harem non c’era posto per partner svezzate da meno di vent’anni.

    Mentre spingeva sulla strada per Elia ripensando divertito all’intraprendenza della giovane Bènèdicte ‘ "Quanto sei alto, Troy?, Uno e ottantacinque, all’incirca. Perché me lo chiedi?, Adoro gli uomini alti ‘uno e ottantacinque all’incirca’!" ’ si accorse che dalla radio proveniva un breve, intenso fruscio a intervalli regolari. Facendo un riscontro con l’orologio sul cruscotto calcolò che l’anomalia aveva una cadenza ricorrente che si ripeteva a intervalli di tre minuti e quindici secondi alternati a periodi di un minuto secco.

    Non seppe dire come mai avesse notato tale peculiarità, né cosa potesse significare, tuttavia si rese conto con una disarmante consapevolezza mai provata prima che la cosa non prometteva niente di buono.

    L’episodio fu presto dimenticato e il resto della giornata passò senza troppe sorprese, a parte una foratura che lo fece imprecare sotto il bruciante sole del meriggio e un posto di blocco della polizia nei pressi di Drafaki cui dovette esibire i documenti.

    Alla fine del turno riportò il pulmino al parcheggio della compagnia e salì sulla sua moto, diretto alla propria abitazione, nel piccolo villaggio di Ano Mera.

    Quella sera era atteso a cena da Aris, suo fratello gemello, e dalla famiglia di questi. Fece una doccia veloce, ben sapendo quanto i suoi ritardi indisponessero Aris. Non aveva intenzione di inscenare l’ennesimo battibecco tra fratelli proprio alla vigilia della partenza che avrebbe tenuto Aris e la sua famiglia via dall’isola per tutta l’estate.

    Aris e sua moglie Ariadne si guadagnavano da vivere facendo gli antropologi e spesso erano in viaggio sulle tracce delle antiche civiltà egee.

    Quando Troy suonò il campanello Ariadne andò ad aprire, preceduta dalla piccola Xeni, la bambina avuta quattro anni prima da Aris, che con le sue rosee guance paffute era la gioia della famiglia Mavros.

    – Xeni, piccola peste, sei corsa a salutare zio Troy? Indovina cosa ti ho portato.

    Prese in braccio la piccola e tirò fuori dalla tasca posteriore uno di quei coloratissimi animaletti luminescenti in voga da un paio d’anni che raffigurava una scimmietta, per i quali la nipote andava matta; ne possedeva una rispettabile collezione.

    Al solo vederlo i suoi occhietti vispi sprizzarono gioia e la vocina squillante si alzò di un’ottava. Presa da un folle entusiasmo tirò il giocattolo fuori dalla scatola trasparente e gli tastò la pancia. L’animaletto emise il tipico verso stridulo degli scimpanzé e proiettò piccole sagome luminose che lo raffiguravano su ogni parete e sul soffitto, i quali si riempirono di piccoli primati che passavano dal fucsia, al giallo fluo, al blu elettrico, al cremisi, al verde smeraldo, per la gioia della piccola Xeni che, meravigliata come fosse la prima volta che ne riceveva uno in regalo, non la smetteva più di ridere convulsamente, contagiando i presenti con l’entusiasmo e la spensieratezza che solo i bambini di quell’età conservano intatta, mentre agli adulti, contaminati dalla vita, è dato di rivivere tali balsamiche sensazioni solo per brevi istanti, in rare occasioni nelle quali riescono a subirne il benefico contagio per empatia.

    – Per te ho portato questa.

    Mise giù la nipote e porse ad Ariadne una bottiglia di vino italiano che reggeva sotto il braccio.

    – È un eccellente rosso D.O.C. che ho avuto da Cosmo. Andrà benissimo con lo spetzofai di cui sento l’ottimo profumo.

    – Grazie, Troy. Non avresti dovuto disturbarti.

    – Scherzi? Sai benissimo che la mia brutta copia –, fece l’occhiolino, – ha un pessimo gusto in fatto di vini. Dico bene, Aris?

    Salutò il gemello con un’alzata di sopracciglia.

    – Per te non ho portato niente, fratello, ma ti assicuro che ti ho pensato ogni volta che il mio sguardo ha incrociato uno specchio.

    – Spiritoso come sempre, il mio infantile fratello.

    Si alzò per riporre sulla libreria il vecchio manuale che stava esaminando.

    – Sei riuscito a trovarti un’occupazione?

    – Guido il pulmino della compagnia Yfantis. Uno dei suoi autisti è ko per qualche giorno, lo sostituisco finché non rientra in servizio.

    – Uno dei tuoi soliti lavoretti.

    – Cominci già, fratello?

    – Non hai proprio intenzione di trovarti una sistemazione seria, permanente? Avrei preferito partire sapendoti con un buon impiego, stabile, ma anche stavolta dovrò lasciare l’isola non sapendo che fine farai in mia assenza; perché tu, ovviamente, sei concentrato soltanto sulle feste e i bagordi ai quali ti rechi quotidianamente, quando non sei tu a organizzarne assieme ai tuoi amici scapestrati che...

    – Non offendere i miei amici –, lo interruppe Troy. – Sai benissimo che noi...

    – Che cosa? – stavolta fu Aris a interrompere. – Che passate le notti in feste folli rimorchiando tipe a caso qua e là? che le giornate le passate in spiaggia a poltrire e a divertirvi con quelle maledette funboards, facendo windsurf e planate per dimostrare quanto siete spavaldi? Da quando papà e mamma sono morti, tu...

    – Non tirare in ballo i nostri genitori, Aris! – interruppe ancora, Troy, stavolta alzando la voce, mentre Ariadne, di là in cucina, si preparava ad assistere all’ennesimo litigio dei gemelli Mavros con aria rassegnata e delusa. Sperava una volta tanto di passare una serata poco movimentata e si dispiacque nel constatare che invece si profilava la solita maretta.

    Avendo notato lo sguardo della donna, che li aveva raggiunti con in mano due drink ghiacciati per raffreddarne i bollori, si rivolsero un cenno d’intesa e si sedettero. Aris sulla sua poltrona, Troy sul divano di fronte, fissandosi in modo intenso e penetrante senza dire una parola, concentrati l’uno sull’altro come se si stessero studiando, come se volessero compenetrarsi.

    Ariadne li aveva già visti comportarsi così, in passato. Ignorava però che cosa quell’atteggiamento stesse a significare. Non immaginava che concentrandosi in quel modo i gemelli entrassero in contatto telepatico, aprendo un canale di comunicazione accessibile soltanto a loro due.

    I fratelli Mavros non avevano mai condiviso con nessuno il fatto di essere in possesso di capacità telepatiche e non solo. Non sapendo spiegarsi come mai fossero dotati di tali facoltà, supponevano che ciò fosse imputabile al fatto che gli embrioni dai quali si erano sviluppati si fossero separati da un unico ovulo fecondato, come due entità derivate dalla medesima che per qualche motivo avesse deciso di separarsi dando origine a due individui affini.

    La discussione proseguì nel più stretto riserbo fino a quando Ariadne mandò Xeni a dir loro che la cena era in tavola, concludendosi nel canonico modo di comunicare conforme a tutti gli esseri umani: a voce.

    – Non hai di che preoccuparti, Aris. Sai benissimo che me la caverò. Come sempre, del resto. Tu, piuttosto, bada ad Ari e alla piccola Xeni mentre siete via. Guai a te se le riporti indietro diverse da come le lascio stasera, vecchio archeologo polveroso.

    – Veramente sarei un antropologo, testone lesionato che non sei altro.

    – Archeologo, antropologo... che differenza fa? – Accompagnò la presa in giro con una gestualità e una mimica facciale studiate ad arte. – Sempre polveroso rimani.

    La cena, vuoi per l’atmosfera distesa, vuoi per l’ottimo cibo e l’eccellente vino, vuoi per la vivacità della piccola Xeni, andò come nessuno all’inizio avrebbe osato sperare, facendo sì che a fine serata i quattro si salutassero in perfetta armonia, anche se con un po’ di malinconia, immancabile compagna delle separazioni.

    La mezzanotte era passata da poco. Troy decise di fare un salto alla taverna prima di tornare a casa, ben sapendo che vi avrebbe trovato Basil intento a ronzare intorno a Zena, una formosa keniota con occhi scuri e labbra carnose di cinque anni più giovane, sua compagna da un paio d’anni, che entro pochi mesi lo avrebbe reso padre.

    Basil Sarganis, coetaneo di Troy, era uno dei suoi più vecchi amici, e assieme a Sebastian Vellios completava il terzetto di scapestrati di Ano Mera noti agli abitanti del villaggio fin dall’infanzia per via delle birichinate di cui facevano vittima i turisti e gli stessi isolani.

    Tutti al villaggio ricordano di quella volta in cui Troy e soci, appena adolescenti, sistemarono tra le rovine del castello sulla collina di fronte al villaggio un paio di finti scheletri umani che Basil si era procurato nel laboratorio di scienze del liceo dove insegnava la madre. Lavorarono l’intero pomeriggio per sistemare bene gli scheletri, legarli con dei lacci che avrebbero adoperato per farli muovere, piazzare qualche lenzuolo svolazzante e dei globi fluorescenti mossi con un sistema di corde e pulegge che avrebbero dovuto dare l’impressione di fluttuare.

    Calata la sera, Troy scese al villaggio. Raggiunse la piazza dove pochi turisti si mescolavano agli abitanti del luogo e si mise a gridare a squarciagola che dalle vecchie tombe adiacenti il castello erano usciti fuori i morti. Quindi, inscenando un’aria terrorizzata scomparve tra i corti vicoli del centro abitato e tornò dai compari correndo a perdifiato prima che la gente armata di torce giungesse sul teatro dell’abile e ben congegnata farsa.

    Inutile sottolineare lo sbalordimento e il terrore che colpirono gli accorsi nel vedere scheletri danzanti, fantasmi svolazzanti e fuochi fatui che si aggiravano fluttuando tra le rovine. Ma il parapiglia fu completo soltanto quando i tre discoli fecero esplodere alcuni petardi lanciandoli tra la folla in subbuglio, che a quel punto cercava di guadagnare il villaggio tra strepiti, singhiozzi e incespicamenti. Qualcuno, scopertosi improvvisamente devoto, pregava temendo fosse giunto il giorno del giudizio; altri, che persi i sensi giacevano distesi per terra, vennero lasciati sul posto, abbandonati al proprio destino dai fuggitivi.

    Assistendo alla scena più grottesca che avessero mai visto, Troy, Seb e Bas ridevano tanto da avere le lacrime agli occhi, soddisfatti che la bravata avesse avuto più successo del previsto.

    Trovò Basil seduto al banco su di uno sgabello, intento a lisciarsi con pollice e indice i baffi che scendevano giù fino ai lati del mento e completavano il sottile pizzetto congiungendosi alla fine striscia di barba che si dipartiva dalle basette, seguiva il profilo della mandibola fino al centro del mento e da lì saliva fin sotto il labbro inferiore, disegnando una stretta riga verticale. La fisionomia del suo volto tondeggiante, tipico di chi, come Basil, ha una corporatura robusta, era rifinita da una serie di helix lungo il padiglione auricolare sinistro chiusa da un dilatatore inserito nel lobo.

    Troy riconobbe alla prima occhiata la nera e lucida pettinatura a cresta che spiccava vistosa sulla sua testa.

    Nell’altra mano teneva un grosso boccale di birra gelata bevuta solo per metà su cui faceva tintinnare i numerosi anelli a forma di teschio, di serpe, con pietre colorate e simili che era solito portare alle dita di entrambe le mani.

    – Ehi, tu, grossa palla di pensieri troppo seri per il mio carattere, si può sapere su cosa vai rimuginando? – gli si rivolse in tono di massima confidenza.

    Udendo la voce dell’amico, Basil si voltò sorridendo.

    – Vediamo un po’ cosa abbiamo qua: voce tonante, fisico in forma, eyebrow al sopracciglio destro, earring al lobo sinistro, piccolo sole rosso con raggi stilizzati di colore giallo tatuato sul collo appena sotto l’orecchio.

    Ci pensò su un attimo quindi riprese: – Canotta nera che fa allegria, blue jeans, scarpe di pessimo gusto e sense of humour da buttare via.

    Lo puntò con l’indice.

    – Sì, devi essere Troy Mavros, non c’è alcun dubbio.

    – Molto spiritoso. Cos’hanno le mie scarpe che non va?

    – Il fatto che le indossi –, sorrise. – No, dai, sto scherzando. Le tue brutte scarpe non hanno proprio niente che non vada.

    L’uomo buttò un’occhiata inconsapevole alle scarpe che indossava quindi fissò perplesso l’amico.

    – E dai, non fare quella faccia. Siediti, ti offro una birra.

    Rivolse un cenno a Zena, intenta a istruire una nuova cameriera all’altro capo del bancone.

    A parte un paio di silenziose comitive di isolani che conversavano a voce molto contenuta, quella sera la taverna era quasi vuota sicché la giovane donna intese i due uomini che parlavano e arrivò con già in mano un boccale della sostanziosa triplo malto che Troy era solito bere.

    – Ciao, Troy, come va?

    – Ciao, Zena. Andava bene prima che questo testone –, indicò Basil con il capo, – mi dicesse che ho delle brutte scarpe. Ti sembrano brutte le mie scarpe?

    – Direi che il termine più adatto è... buffe.

    Sorrise di sottecchi e si scambiò un cenno d’intesa con il compagno, il quale, preso tra indice e medio il sottile dreadlock avvolto stretto in tenui fili variopinti che si dipartiva dalla folta chioma afro color mogano della donna e scendeva giù dalla tempia destra fino alla spalla, cominciò a scorrerlo verso il basso facendolo scivolare con delicatezza tra le dita grosse.

    – Perché dici che le mie scarpe sono buffe?

    – Non farci caso, Troy, sto solo scherzando. Mi divertivo a dare corda a Bas, tutto qui.

    – Va bene, ti credo. Piuttosto, come va con il piccolo Basil Sarganis lì dentro il pancione? O forse dovrei dire la piccola Zena Sinkala?

    – Al momento non fa i capricci. Ma non so ancora se sia un piccolo Bas o una piccola Zena. Me lo dirà la prossima ecografia.

    Troy annuì, accennando anche un sorriso.

    – Perché non mi racconti la storia del tuo nome, avevi promesso di farlo, ricordi?

    – E una promessa è debito, giusto? Ok, ti racconterò com’è che mi chiamo Troy.

    Bevve un sorso per inumidire la gola.

    – La notte in cui mia madre, la dottoressa Evanthia Kareli, partorì me e il mio gemello all’ospedale di Chora, si diede il caso che il vecchio Tarachos, l’impiegato dell’ufficio anagrafe, stesse festeggiando la triste dipartita della suocera a suon di bottiglie di buon vinello, tanto per cambiare.

    – Per quel matto ogni scusa è buona per farsi qualche bottiglia – intervenne Basil.

    – Tra un bicchiere e l’altro, quella notte, ne fece fuori qualcosa come sei o sette litri. Nonostante non fossero sufficienti a riempire quel suo pancione strabordante, bastarono a stordirlo al punto che il mattino seguente, quando prese servizio, era ancora ubriaco come una scimmia. Quella stessa mattina mio padre, il dottor Nesios Mavros, si recò all’anagrafe per far registrare me e mio fratello, e come puoi intuire ebbe un bel da fare per farsi capire da quel brutto ciccione avvinazzato. In parole povere, i miei genitori intendevano chiamarmi ‘Traianos’, Traianos Mavros, soltanto che Tarachos trascrisse erroneamente ‘Troyanos’, scambiando alcune lettere del mio nome.

    Bevve un altro sorso.

    – Adesso sai perché mi chiamo Troy.

    – Grazie della spiegazione. Scusa ma non posso trattenermi oltre, non ho ancora finito il turno.

    – Non affaticarti troppo, bella panterona sexy, mi raccomando – la invitò Basil.

    – Non preoccuparti, premuroso yeti peloso – lo rassicurò mentre si allontanava.

    – Mi adora – disse Basil, rivolgendosi a Troy.

    – Sì, come no! Diciamo che ti compatisce, orso bruno che non sei altro.

    – Ah, ah! Simpatico come una pustola. Piuttosto, com’è andata oggi come sostituto di Soter?

    – Non male, me la sono cavata. Sai che mi piace guidare. Anche se dovendo trasportare gente non posso spingere come vorrei.

    – Ti piacerebbe lanciare quel pulmino a tutta velocità lungo le stradine piene di curve dell’isola, eh? – Gli rivolse un cenno d’intesa complice con il gomito.

    – Mi conosci, sai che soffro dovendo tenere un’andatura moderata quando la strada si fa stretta e tortuosa. Se vado piano rischio di sbandare anche sul rettilineo, per la noia.

    – So bene come ti piace guidare, matto di un Mavros. A proposito, oggi mentre ero all’hangar chino sul motore di un ultraleggero ha chiamato Sebastian. Era fuori in barca con un gruppo di smargiassi tedeschi. Dice che domani è libero, quindi si potrebbe andare fuori a fare qualche immersione. Io purtroppo non posso lasciare il lavoro all’aeroporto, Kendeas si è dato malato e l’organico è già ridotto per via dei tagli al personale...

    – Non posso neanche io. Domani ricorre il quattordicesimo anniversario della morte dei miei genitori, quando avrò finito il turno al lavoro andrò al camposanto a portare dei fiori sulle loro tombe. Aris parte domattina per l’isola di Lesbo con Ari e la piccola, faranno un salto nel loro ufficio del dipartimento di antropologia prima di recarsi a Creta, dove sono attesi per effettuare degli studi su non so quale civiltà egea, quindi è andato oggi a far loro visita. Sarò solo.

    – Ti mancano ancora, non è vero?

    – In alcuni momenti vorrei che avessero fatto un’altra professione, almeno adesso non sarebbero cenere.

    Per i genitori di Troy, entrambi epidemiologi, studiare l’epidemia di ebola sul campo era più una missione che un lavoro. Si crucciavano di non poter essersi recati in Africa occidentale nel 2014, quando era scoppiata la prima vasta epidemia, perché impegnati in una ricerca sull’HIV, ma la loro umanità e l’immenso coraggio li avevano spinti ad andare in Uganda quando si era manifestata la successiva, sei anni dopo. Purtroppo avevano contratto la malattia mentre ne studiavano i sistemi di diffusione e meno di un mese dopo la febbre emorragica se li era portati via entrambi.

    – Fu necessario cremarli per farli rientrare in patria, per scongiurare il pericolo di contagio e diffusione. Da allora Aris non è più lo stesso, e io... beh, lasciamo stare.

    – Mi dispiace, Troy.

    – È tutto a posto. Adesso però vado a dormire, non sono in vena di folleggiare stanotte.

    Si alzò e dopo aver fatto pugno contro pugno con Basil e rivolto un cenno di saluto a Zena si diresse verso l’uscita. In quel mentre entrarono alcuni ragazzi decisi a farsi il bicchiere della staffa. Squadrandolo dalla testa ai piedi, il più giovane di loro gli fece: – Belle scarpe, nonno. Dove le hai prese, al museo di storia antica? – tra l’ilarità generale.

    Uscito fuori dalla taverna senza controbattere si tolse le scarpe tra mille imprecazioni e le lanciò via lontano pregando che l’oscurità le inghiottisse per sempre. Salì in moto e si avviò verso casa a piedi nudi, ripensando allo strano fruscio udito quella mattina alla radio.

    1.3

    Concluso l’orario di lavoro, Troy, dopo aver preso dei fiori freschi si recò al cimitero dove erano sepolti i genitori. Depose il mazzo accanto a quello lasciato da Aris il giorno prima ma non recitò alcuna preghiera. Da tempo aveva smesso di pregare. Il cimitero era vuoto. Di lì a mezz’ora il guardiano avrebbe chiuso il cancello e sarebbe andato a casa. Nel silenzio che lo circondava ripensava ai momenti felici passati con la sua famiglia in anni che sembravano remoti. Sentiva la loro mancanza e desiderava che il fratello fosse lì con lui. Magari la piccola Xeni, che non aveva conosciuto i nonni paterni, avrebbe potuto tirargli su il morale con la sua frizzante vivacità. Ma non era lì.

    Perso tra i ricordi non si rese conto di non essere più solo. Soltanto quando sentì una mano pesante poggiarsi sulla sua spalla si accorse della loro presenza. Sebastian, cui l’arto apparteneva, e Basil lo avevano raggiunto nel luogo dove le ceneri dei genitori erano state interrate e lo avevano affiancato in religioso silenzio, rispettosi del dolore dell’amico. Rimase così, tra i due, composto nel suo dolore ancora per qualche minuto, dopodiché rivolse loro i più sentiti ringraziamenti e i tre si avviarono all’uscita sotto gli ultimi raggi di sole del tardo pomeriggio.

    Non aprirono bocca fino a quando non raggiunsero l’uscita. L’atmosfera, e soprattutto la sacralità del luogo,

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1