Il passaggio illuminante
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Book preview
Il passaggio illuminante - Giovannimaria Brichetti
percorso.
Prefazione
Come evidenziano numerose ricerche, dal secondo dopoguerra c’è stato un cambiamento radicale a livello sociale nel rapportarsi con la morte e il morire. La negazione della morte, la sua esclusione dalle espressioni culturali più diffuse, o più ancora una sorta di interdizione a parlarne, ha creato una condizione assolutamente inedita nella lunga storia della civiltà occidentale.
Come dice lo storico Philippe Ariès: Oggi ci si vergogna di parlare della morte e del suo strazio, come un tempo ci si vergognava di parlare del sesso e dei suoi piaceri.
Questo nuovo tabù reca danni profondi, l’accanimento terapeutico, il morire in modo asettico e totalmente isolato degli ospedali, il terrore dei vivi di mantenere un legame con i propri defunti, lo stesso terrore che spinge a desiderare una morte improvvisa e indolore ne sono solo alcuni esempi. Ancora secondo Ariès si cerca di evitare, non più al moribondo, ma alla società, ai familiari stessi, il turbamento e l’emozione troppo forte, insostenibile, causata dall’orrore dell’agonia e dalla semplice presenza della morte nel pieno della vita felice, poiché ormai è generalmente ammesso che la vita è sempre felice o deve sempre averne l’aria.
(Ariès, 1975)
Ma la felicità rimane una finzione, al contrario, il tentativo esasperato di razionalizzare ogni aspetto della vita, e la perdita del senso del mistero, hanno determinato una maggior angoscia di vivere e una maggior paura del viaggio finale. Chi è alla ricerca della felicità oggi spesso volge lo sguardo verso Oriente e cerca conforto nella saggezza del buddhismo, come prova il grande successo del libro del Dalai Lama intitolato L’Arte della Felicità
. Ma proprio il Dalai Lama afferma: «La consapevolezza della morte è la base del percorso. Fino a che non si sviluppa questa consapevolezza, tutte le altre pratiche sono inutili».
Bisogna proporre a questo mondo occidentale, che troppo spesso si mette da sé in un vicolo cieco, un modo meno triste e sterile di parlare della morte, riuscire ad offrire ad un’umanità disperata uno spiraglio, far intravedere qualcosa, donare almeno un tocco poetico. Molto del nostro modo di affrontare la vita dipende dalle immagini che immagazziniamo, e troppe di queste sono immagini terribili, piene di giudizio, paure e sensi di colpa. Ma se avessimo il coraggio di imprimere nella nostra mente immagini nuove, potremmo spezzare una catena terribilmente negativa.
Il libro che avete in mano è un passo in questa direzione. Trovate filosofi di culture e secoli diversi, poeti, scrittori, religiosi e gente comune che hanno messo per iscritto un punto di vista diverso. Frasi, riflessioni, poesie o storie che invitano a non distogliere lo sguardo dalla morte, unica vera certezza nella nostra vita.
Ne voglio aggiungere solo un altro racconto, un midrash ebraico, che ha avuto nella storia un successo notevole, al punto che era diffuso perfino nel sufismo mediorientale, e ci fa capire quanto una giusta immagine possa cambiarci decisamente il punto di vista sul grande viaggio:
Un giorno Abramo, già sazio di giorni, vide venirgli incontro l’angelo della morte. Gli domandò con stupore cosa cercasse, e questo gli rispose: «sono venuto a prenderti!». Abramo, sbalordito, gli disse che sicuramente aveva sbagliato persona, poiché lui aveva una grande missione da compiere, e l’intera umanità attendeva da lui grandi cose, e quindi aveva ancora bisogno di molto tempo. Ad ogni obiezione del patriarca l’angelo rispondeva puntualmente che il tempo per lui era ormai giunto, e il dialogo fra loro procedeva improduttivo. Alla fine Abramo si spazientì: «possibile che il Dio che ho tanto amato e servito possa volere la mia morte?». A questo punto l’angelo, pieno di grande stupore, esclamò: «Ma il Dio che hai tanto servito ed amato non vede l’ora di abbracciarti!».
Forse potremmo un giorno far maturare la nostra cultura al punto di capire che la morte non è l’opposto della vita, ma ne è semplicemente un aspetto.
Guidalberto Bormolini
Introduzione all’itinerario rispecchiante
Una delle esperienze basilari con cui entriamo in contatto attraverso la meditazione è quella dell'impermanenza, ossia realizzare che tutto cambia: ogni pensiero va e viene e così ogni relazione, ogni amore. Quando capiamo profondamente tutto questo dentro di noi, nel cuore, allora capiamo anche che la morte è nella natura di tutte le cose. E tenendola così vicino, sulla punta delle dita, cominciamo ad apprezzare il fatto che la morte sia la nostra consigliera e che sia lì, vicino a noi, per aiutarci, per informarci. Ecco perché tutte le tradizioni spirituali che conosco ci ricordano in un modo o nell'altro di vivere accanto alla morte: per realizzare la precarietà della nostra vita e per accoglierne la preziosità, in modo da non perdere neppure un attimo
. (Frank Ostaseski, fondatore dello Zen Hospice).
Nel corso