L'attesa della notte
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Vampiri e zombie dei nostri giorni i protagonisti delle storie: una madre nella fase depressiva post-partum, un giovane precario, introverso e sfigato in perenne ricerca del lavoro, una ragazza che cerca un po’ di stabilità sentimentale, un giovane in analisi per presunta crisi di identità, un anziano che non si rassegna alla perdita dell’amore per la morte della sua amata, un ragazzino che ha paura di vedere zombie che nessun altro nota. Il tutto a comporre una vera e propria sinfonia del terrore come nei film dell’espressionismo tedesco, ma che si riempie, man mano che si passa da un movimento all’altro (o da una stanza all’altra) di echi e atmosfere gotiche e urbane al tempo stesso.
Da Milano alla Sicilia, passando per Roma, L’attesa della notte è un viaggio nell’isteria di un’Italia sempre più divisa tra paura del diverso e disperata solitudine generata dai media. Soprattutto è una ricognizione nelle spire di quel sonno della ragione che genera mostri.
Alessandro Izzi costruisce storie verosimili anche se fantastiche, usando un linguaggio che prima ancora di farsi leggere si fa vedere.
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L'attesa della notte - Alessandro Izzi
Ringraziamenti
Prefazione
A conclusione o quasi della temperie dell’Espressionismo tedesco agli inizi del Novecento, tra racconti popolari neri, alcuni nati dalla tradizione ebraica come il Golem, e grande ricerca visiva, Friedrich W. Murnau firma il primo capolavoro del cinema horror mondiale, quel Nosferatu - Eine Symphonie des Grauens (1922), un adattamento, non autorizzato, del celebre romanzo di Bram Stoker Dracula (1897). Già allora valevano i diritti del copyright e il film sarebbe dovuto essere distrutto dopo un processo per plagio nel 1925 ma è arrivato a noi grazie alla fortuna delle numerose copie che si erano diffuse in tutto il mondo come un contagio vampiresco. Una Sinfonia dell’orrore era il sottotitolo dell’opera del sommo regista tedesco che la intitolava usando il nome inventato (e ricordato per la prima volta da una scrittrice scozzese di viaggi Emily Gerard) di una leggendaria stirpe di vampiri rumeni.
In questa sua bella raccolta, L’attesa della notte, Alessandro Izzi è partito di sicuro dall’idea dell’orrore come orchestrazione sinfonica di vari racconti, pensati come i movimenti di una sinfonia schubertiana ovverosia come il programma di un concerto classico. Meno forse dall’incipit della materia fantastica che contraddistingueva il genere nei suoi inizi prettamente ottocenteschi o ancor prima come nel caso millenario del vampirismo che ricorre nella cultura mesopotamica, ebraica, greca e romana sotto forma di demoni o spiriti precursori del vampiro moderno. Un must dell’horror, ineludibile, che non doveva e poteva mancare quindi nel presente volume, riproposto da Alessandro in Un caffè a mezzanotte
(e ovviamente a mezzanotte!). Oppure in Viola
– se posso esprimere una preferenza, uno dei suoi racconti da me preferiti – che è contaminato al tema dei gemelli viscerali – un indizio che a ogni buon cinefilo non può non ricordare il meraviglioso Dead Ringers ( Gli inseparabili, 1988) di David Cronenberg.
Cerco di spiegarmi meglio: non si tratta del fatto che in una raccolta di novelle horror debbano mancare (anzi è necessario che abbondino) fantasmi, zombi o vampiri ma che queste figurazioni tradizionali siano già, per così dire, postmoderne, calate in un contesto forse sarebbe eccessivo dire zavattiniano – non in un passato mitico o nell’indistinto della Fantasy bensì nelle concrete paure che oggi siamo abituati a vivere. Un esplicito Hic et nunc quindi nell’Italia contemporanea da Milano alla Sicilia, passando per Roma, mentre gli orizzonti o i numerosi spunti presi dalla fiction e dal cinema, che per altro l’autore conosce molto bene, sono stati tanti e diversificati, decisivi direi per la composizione del volume. E sono quelli che, in questa breve e rapsodica prefazione, ricorderò, almeno i più evidenti per me che non sono un critico letterario ma uno studioso del cinematografo. D’altronde oggi l’horror vive e vegeta sui più vari schermi possibili, grandi o minuscoli che siano, piuttosto che non sulla pagina scritta.
Spunti cinematografici dicevamo, a partire da quelli incarnati dal personaggio di Luca, il protagonista di L’attesa della notte
, il più lungo e complesso di tutti i racconti del presente volume, un ex-studente di Storia del Cinema che quasi osserva la realtà in bianco e nero, cita lo stile di Dario Argento o irride la milionesima replica di Heidi su un canale Mediaset. Lo stesso Izzi considera questo racconto quasi fosse un soggetto cinematografico (in primis per l’uso del presente), e ciò per la semplice ragione che lo stesso protagonista abita tutte le sue disavventure sentendosi un po’ nella posizione di un cinespettatore della propria vita (e lo confessa sin dall’inizio). Perciò e da tale posizione vive il suo delirio dissociato dove non sa più se sogna e cosa sogna alla stregua di un film con tanto di tagli di montaggio.
È abbastanza evidente, invece, come La chiave per entrare
(vincitore del premio Streghe, Vampiri & Co. 2017) ricordi nell’incipit Rosemary’s baby, il capolavoro sessantottino di Roman Polansky pensato all’epoca in chiave di riflessione amara sulle contraddizioni angosciose della propria società contemporanea con un rovesciamento demoniaco dei tradizionali principi morali della borghesia americana. Nel far ciò Polanski descriveva con uno stile accurato ambienti realistici così come fa Alessandro Izzi ispirandosi a mio avviso anche a un altro, precedente, film del grande regista franco-polacco, Repulsion (1966), per narrarci una nevrosi forsennata aggiornata a delle terribili vicende ispirate alla cronaca contemporanea.
Due sono i racconti popolati da zombie: Della morte e del perduto amore
– ancora uno dei miei favoriti – e Fuori da qui
dove però è solo una evocazione in un racconto di formazione, in una storia di Come of Age di un bambino che vede troppi film alla tv. L’ovvio riferimento cinematografico all’opera di George A. Romero e soprattutto al suo straordinario film di debutto Night of the Living Dead ( La notte dei morti viventi), altro esempio di fantasia al potere del 1968, è scontato ma poco calzante. Anche lo zombie ha una storia antica – com’è ampiamente noto, si tratta di un termine di origine haitiana, (a sua volta proveniente dal bantu nzumbe) legato alla tradizione magica vudù per indicare un non morto, un cadavere ambulante. Partendo da White Zombie ( L’isola degli zombies, 1932) diretto da Victor Halperin e interpretato da Bela Lugosi, passando per I Walked with a Zombie ( Ho camminato con uno zombi, 1943) di Jacques Tourneur e arrivando all’oggi ormai è parte integrante della cultura horror. Ma la zombi di Della morte e del perduto amore
– ancorché annunziata come il fenomeno dei suoi simili dalla televisione (cfr. Romero) – mette tenerezza, invita alla riflessione perché – senza spoilerare troppo la trama – l’uomo che la ricerca e l’attende, sembra ed è lui stesso un non morto anche se formalmente resta ancora vivo e vegeto. E allora dove sta la differenza?
Si potrebbero ancora aggiungere tante altre cose ma per non sviolinare troppo e male, nel concludere, vale solo la pena di aggiungere una notazione, un’avvertenza sulla struttura ciclica dei racconti di L’attesa della notte. Come nei primi film di detection di Dario Argento sino a Profondo rosso o in diversi film del genio Alfred Hitchcock oppure, per fare un caso più moderno, in quelli di M. Night Shyamalan (un regista molto amato da Alessandro Izzi pur con i suoi scivoloni in carriera), il lettore deve stare molto attento a quanto il narratore gli porge all’inizio. Non è detto che quanto appare, alla fine risulti vero…
Leggere per credere o verificare.
Giovanni Spagnoletti
Scusate, ma queste cose sono empiricamente impossibili.
Stephen King, It , traduzione Tullio Dobner. Sperling & Kupfer, Milano, 2017
Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Terenzio
Prima parte
Sinfonia della morte e del perduto amore
L’attesa della notte
Primo movimento. Allegro barbaro (in forma sonata)
Passeggia lungo una strada alberata. Un sommesso stormire di fronde mosse dal vento riempie il paesaggio di sinistra quiete. Qualcuna delle foglie più gialle e più morte cade, cedendo ai rigori di una stagione meno clemente che già bussa alle porte.
La giornata ha il grigiore di un vecchio film in bianco e nero di quelli che Luca vedeva quando preparava, all’università, l’esame di Storia e Critica del Cinema.
Passi in corsa lo distraggono dal cellulare preso con indolenza dalla tasca posteriore del pantalone già lungo. Stava guardando l’ora, ma col gesto di chi annega l’attesa nella ripetizione senza senso. Gli occhi hanno letto lo schermo illuminato, ma la mente non ha trattenuto l’informazione come quando si ascolta un oroscopo alla radio per dimenticarlo non appena finisce.
Gli pare di cogliere un ansito d’affanno poco prima che il ragazzo che corre alle sue spalle lo urti facendolo quasi cadere. Per un secondo i due si guardano negli occhi: verde smeraldo quelli di lui, spaventati, in qualche modo disperati. Poi, senza neanche chiedere scusa per l’urto non certo volontario, il ragazzo riprende a correre quasi fosse inseguito da un diavolo scuro. Gli passa avanti e per qualche metro continua la sua corsa affannata, senza voltarsi indietro verso la minaccia sempre più vicina.
Poi si sente un’auto che gira l’angolo con uno stridio di pneumatici. Prende velocità con fretta incosciente. Luca la vede, allegra famigliola che ridacchia a qualche gioco consueto, un secondo prima di rendersi conto che il ragazzo, che l’aveva superato, aveva deviato per attraversare la strada.
Una brusca frenata è tutt’uno con il suono di un colpo. Poi il tonfo di un corpo che cade e per un attimo l’atmosfera si sospende in un silenzio innaturale e sbigottito.
Dalla sua posizione vede solo il braccio del ragazzo riverso sull’asfalto. E la mano contratta nella posizione di chi non riesce più ad afferrare la vita che scappa. Digrignata, avrebbe scritto Ungaretti secondo le sue reminiscenze dei tempi del liceo.
Si accorge che dalla macchina ferma è sceso il guidatore mentre la moglie ha già cominciato a piangere un pianto nervoso. Sta per correre a vedere, prima ancora che ad aiutare, ma l’intenzione gli resta sospesa a mezz’aria.
Sta’ fermo!
Una voce fredda, dietro di lui. Non riesce neppure a girarsi.
Poi un giovane quasi si materializza alle sue spalle. Sembra camminare una spanna da terra, col passo leggero della nebbia d’inverno. Alcuni particolari gli restano impressi all’istante: i capelli riccioluti e corti di un biondastro sporco, gli occhi chiari, occhi di ghiaccio, e la piega sinistra del sorriso tra labbra sottili. Lo guarda.
Tu aspetta! Qui!
gli dice.
E col suo passo di volo, si allontana.
Chi era? si chiede. Che voleva? E perché deve aspettare? Che cosa aspettare?
L’incidente è lì a due passi. Sente le grida. Poi le sirene. Già arrivano? Non capisce se è l’ambulanza o la polizia. Magari la polizia. Una pattuglia era già lì e ha sentito più che vedere l’incidente. Ecco perché arriva in così poco tempo. Il sole gli ferisce gli occhi. Vorrebbe guardare e non guardare. Capire cosa è successo. Ma quello che accade di là è un film. In bianco e nero come quelli che vedeva quando preparava l’esame di Storia e Critica del Cinema. Un esame che doveva fare per obbligo di piano di studi, ma di cui poco gli importava. E lui, come in un cinema, accetta la posizione passiva di chi guarda in attesa che sia l’immagine a dirgli cosa provare. Ma non è seduto. Non è come al cinema, cullato dalla certezza della sua poltroncina e del buio che lo accompagna. No. È invece giorno. E il sole gli ferisce gli occhi. Più in basso di prima. Mentre la sirena dell’ambulanza – sì deve essere l’ambulanza questa volta – non riprende il suo lamento, dopo che una portiera è stata sbattuta sulla certezza che il ragazzo che ha visto investire è morto.
I pensieri gli girano intorno agli occhi come un signore, una cinquantina d’anni, che gli ronza intorno. Sventola la mano. Stai bene?
gli chiede. Gli tira la maglia. Tutto a posto?
Gli passa dietro le spalle e quando rispunta dall’altra parte ha una buffa bombetta sopra la testa e un’espressione da clown.
Luca lo guarda, ma non muove un muscolo. Ubbidisce a un ordine che gli ha fatto le gambe di legno. Tronchi, con radici che sfondano il piastrellato del marciapiede.
Ricorda,
gli dice l’uomo con la bombetta. Poi comanda: Ricorda!
E scompare in un volo di rondini in fuga dall’inverno.
I pensieri di Luca si perdono dietro pezzetti di ali.
È sera. Di lontano vede arrivare con passo deciso il ragazzo dagli occhi di ghiaccio. La piega sinistra del sorriso resta ferma nello sguardo.
Lo ha aspettato.
Lo ha saputo tutto il tempo, ma se ne accorge solo ora.
Il giovane si ferma a un passo da lui e lo squadra.
Poi gli sfiora la mano e se ne va, senza un fiato.
Come rotto l’incanto, Luca lo segue.
Affanno.
Rumore di passi.
Il giovane gira a un angolo con passo felpato.
Lo stesso fa Luca.
Ma dietro l’angolo è il vuoto. Un muro, nient’altro.
Poi una mano lo spinge contro il muro.
Chiude gli occhi d’istinto e quando li riapre, le spalle contro il muro, si trova di fronte il giovane e gli occhi di ghiaccio.
Lui avvicina il naso al suo collo e inspira il suo ansito di paura.
I loro sguardi si incontrano di nuovo.
Silenzio.
Luca chiude gli occhi.
Poi li apre. È nel suo letto…
…È un sogno, si dice. È frastornato dalla strana continuità tra sonno e veglia. Non gli era capitato mai di svegliarsi così consapevole e desto, senza passaggi intermedi, senza sbadigli consueti e senza il desiderio di stare a letto ancora cinque minuti . Certo gli sono capitati incubi di quelli