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Il Mito di Dracula: dall’oscurità delle origini, ai meandri dell’inconscio, al buio delle sale cinematografiche
Il Mito di Dracula: dall’oscurità delle origini, ai meandri dell’inconscio, al buio delle sale cinematografiche
Il Mito di Dracula: dall’oscurità delle origini, ai meandri dell’inconscio, al buio delle sale cinematografiche
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Il Mito di Dracula: dall’oscurità delle origini, ai meandri dell’inconscio, al buio delle sale cinematografiche

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Un saggio che rilegge il vampirismo in una chiave nuova e completa, analizzandolo dal punto di vista storico, antropologico, religioso e psicoanalitico. Un'ampia sezione è dedicata all'approfondimento del genere letterario che ha dato vita a Dracula e alla ricca produzione cinematografica in tema di vampiri: vengono analizzati sei film famosi, dall'opera espressionista di Murnau, al Nosferatu di Herzog, al Bram Stoker's Dracula di Coppola, fino al vampiro metropolitano di Ferrara. Il mistero e la fascinazione dei non morti non conoscono declino e il mito di Dracula continua ad appassionare e a terrorizzare, adattandosi al mondo contemporaneo. Più che il sangue e la grande capacità seduttiva che sono strettamente collegati al personaggio, è soprattutto il suo perdurare nel tempo che ci colpisce e ci fa riflettere ancora oggi.
LanguageItaliano
Release dateNov 5, 2018
ISBN9788833462240
Il Mito di Dracula: dall’oscurità delle origini, ai meandri dell’inconscio, al buio delle sale cinematografiche

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    Il Mito di Dracula - Edvige Gioia

    l’Impalatore

    LE ORIGINI

    Il vampirismo è un argomento problematico perché richiama alla nostra mente immagini mitiche diverse, non tutte provenienti dallo stesso contesto culturale e storico. Come sostiene Massimo Centini, gli studiosi delle varie discipline non sono ancora d’accordo sulla definizione cronologica e culturale del fenomeno. In sostanza ci si chiede se il mito del vampiro faccia parte della cultura umana e sia radicato in essa in modo atavico o se invece sia un’invenzione recente, del diciottesimo secolo, proveniente dalle tradizioni e credenze dell’Europa dell’Est. Probabilmente nel vampirismo sono confluite esperienze e immagini mitiche diverse, sulla base della documentazione etnografica raccolta a partire dal diciassettesimo secolo, che poi si è andata arricchendo di elementi simbolici provenienti dalla mitologia moderna e contemporanea.¹

    Nella mitologia e nella letteratura classica sono presenti diverse categorie di esseri che vengono di solito associate alla figura del vampiro: parliamo delle anime impure che continuano a vagare anche dopo la morte intorno al sepolcro come spettri (nel Fedone di Platone), oppure ci riferiamo all’undicesimo canto dell’Odissea, in cui le ombre dei morti si accalcano intorno a Odisseo, bramose di bere il sangue dell’ariete e della pecora nera sacrificati dal re di Itaca. Molto spesso viene evocata una serie di entità mostruose del mondo antico come le lamie², arpie³, empuse⁴, lemuri⁵, larve⁶, striges⁷ che però non hanno un’effettiva attinenza con le credenze vampiriche. Infatti, la condizione indispensabile per parlare di revenants⁸ è che si deve avere a che fare con morti che in qualche modo ritornano a vivere. Quindi, sostiene Tommaso Braccini, non si devono confondere i vampiri né con esseri mitici come le arpie, né con spettri, fantasmi o con ogni altro tipo di ombra evanescente come i vrycolakes e affini diffusi nell’area greco-scismatica. Nell’antichità non esiste dunque una categoria vampirica definita: ogni tentativo di identificarla con una delle tipologie citate di esseri prodigiosi, mostruosi, soprannaturali, si rivela fallimentare.⁹

    Gli autori antichi e la tradizione mitologica, fatta eccezione per alcuni singoli racconti di storie particolari, come quella di Filinnio e Macate¹⁰, non sembrano fornire spunti sufficienti per poter ipotizzare qualche forma di continuità tra credenze antiche e moderne riguardo ai cadaveri anomali. Si tratta di un dato di fatto, a meno di non intraprendere la strada inaugurata in anni recenti da archeologi che hanno tentato di dimostrare la presenza di necrofobia di tipo vampirico già nell’età antica, a partire da testimonianze puramente archeologiche, concentrandosi su resti umani che mostrerebbero tracce di mutilazioni o di manipolazioni avvenute post mortem e che sarebbero state finalizzate a bloccare o a rendere inoffensivo il cadavere.

    Se nell’antichità greco-romana non abbiamo certezza della presenza di esseri simili ai vampiri, nel medioevo invece le credenze vampiri che erano conosciute e diffuse, soprattutto nell’area germanica e scandinavo-baltica, compresa l’Inghilterra, anche se gradualmente hanno avuto la tendenza a scomparire, essendo state assorbite dalle credenze religiose relative alle anime del purgatorio. L’area greco-balcanica invece rimase il vero e proprio focolaio del vampirismo europeo, non solo in epoca medievale ma fino a tutta l’età moderna.

    Questa vitalità dell’area è ancora più notevole se si pensa che fino alla fine dell’antichità, il mondo greco era immune da simili credenze; evidentemente, nel corso del medioevo si è innescata una serie di condizioni che da una parte hanno portato alla comparsa della figura mostruosa del vrycolakas, e dall’altra alla sua stabilizzazione nell’immaginario collettivo.

    Tuttavia l’ingresso della figura del vampiro nell’immaginario occidentale risale all’epoca illuminista. Il termine vampiro si diffonde per la prima volta in Europa agli inizi del diciottesimo secolo, quando le notizie allarmanti che provenivano dai confini sudorientali dell’impero asburgico riferiscono di una vera e propria epidemia di vampirismo nell’Europa dell’est (si parla di circa trentamila casi di vampiri o ritenuti tali). L’origine del termine è slava: secondo Marinella Lorinczi¹¹ è la variante serba del termine russo-polacco upir’, mentre, secondo Summers è la derivazione dal magiaro vampir.

    Relativamente all’etimologia, bisogna, a parere di Summers, collegarsi al turco uber (stregone), oppure alle parole lituane wempti (bere) e wampiti (mormorare). Comunque, al di là delle origini, questa parola e il suo significato si diffondono talmente in occidente che nel 1762 lo scienziato Buffon denomina pipistrello vampiro una specie di chirottero appena identificata in America meridionale che aggrediva animali e uomini nel sonno, succhiandone il sangue. Il vampirismo, esploso violentemente nel secolo dei Lumi, pone vari problemi a intellettuali, filosofi, teologi, autorità politiche e religiose, studiosi dell’occulto, ed entra di prepotenza in tutti i nuovi luoghi della cultura, i salotti borghesi, i caffè, i teatri, le sale di lettura. Anche i giornali e le riviste riportano, con dovizia di particolari, le notizie sui revenants, perché erano argomenti di grande attualità capaci di incuriosire il pubblico¹². Con la pace di Passarowitz del 1718 tra Impero asburgico e Turchia, l’Austria, dopo aver acquisito l’Ungheria e la Transilvania, annette anche alcune parti della Serbia e della Valacchia; il clima più disteso che si venne a creare dopo la pace, portò l’occidente a stabilire contatti sempre più frequenti, sia di tipo economico che culturale, con l’oriente che era considerato un luogo fascinoso e piuttosto vago, luogo soprattutto dell’immaginario, abitato da popoli lontani come i Turchi, temibili guerrieri, infedeli e pericolosi. Per questo motivo vengono accolte con grande entusiasmo le storie dei vampiri; il nuovo personaggio è oggetto di curiosità e di discussioni perché porta con sé il fascino del sogno e del mito.

    L’atteggiamento da parte degli intellettuali è comunque ambivalente: da una parte il vampiro affascina e incuriosisce, dall’altra tale figura viene respinta come esempio di superstizione tipica di popolazioni arretrate ed ignoranti.

    Le notizie sui vampiri risalgono tuttavia ad epoca precedente, al diciassettesimo secolo, e le troviamo nei resoconti scritti da viaggiatori, studiosi ed ecclesiastici dell’epoca. Nel 1645 viene pubblicata a Colonia l’opera di Leone Allacci, De Graecorum hodie quorundam opinationibus, nella quale il teologo, esaminando le tradizioni popolari greche, riporta le notizie riguardanti i vampiri, attribuendone la causa all’opera del diavolo.

    In realtà il vampiro bizantino e balcanico presenta una fondamentale differenza con quello letterario: non si fa cenno nelle testimonianze alla presenza di sangue. Il vrycolakas infatti uccide le sue vittime con la parola, con l’alito pestilenziale, soffocandole; l’ematofagia compare talora in area balcanica e greca ma si rivela sempre come un tratto secondario e piuttosto tardivo.

    Nel 1700, il celebre botanico francese de Tournefort fece un lungo viaggio in oriente, con l’intento di raccogliere campioni di piante e fiori; mentre visitava le isole dell’Egeo, approdò a Mykonos dove trovò la popolazione in grande fermento a causa di un morto che si diceva fosse uscito dalla tomba e seminasse il panico tra i suoi concittadini: si trattava di un essere che i locali chiamavano vroucolacas. La narrazione di queste vicende è contenuta nella sua Relation d’un voyage au Levant, che, oltre ad essere rigorosa, è avvincente come un romanzo. Il racconto del botanico francese in effetti parla di un cadavere che la notte esce dalla tomba per terrorizzare i vivi, viene trattenuto dalla croce, gli viene strappato il cuore e bruciato nel tentativo di debellarlo: ai nostri occhi questi aspetti richiamano immediatamente la figura del vampiro, di cui il vroukolacas (vrycolakas nella forma moderna) è, in sostanza, una sottospecie.

    Se il resoconto di Tournefort è senz’altro il più celebre di quelli che trattano dei vampiri dell’Egeo, non si deve pensare che fosse un caso isolato. A partire dal sedicesimo secolo e fino ai primi anni del diciottesimo, dalla Grecia che si trovava sotto il dominio ottomano, arrivarono, per mano di viaggiatori e di religiosi, tantissime storie di morti irrequieti, di cadaveri che rifiutavano di corrompersi, di demoni che possedevano i defunti per recare tormento ai vivi. Nel 1657 infatti fu pubblicata a Parigi la Relation de ce qui s’est passè de plus remarquable à Sant-Erini isle de l’Archipel, depuis l’estabilissement des Peres de la Compagnie de Jesus en icelle (Relazione di quanto è successo di più notevole a Santorini, isola dell’arcipelago, da quando vi si sono stabiliti i padri della Compagnia di Gesù), ad opera del gesuita Francois Richard. Secondo la relazione del gesuita, a Santorini c’era il fenomeno dei falsi resuscitati, da lui chiamati vroukolakes che venivano rianimati dal Maligno e conservati a lungo integri. Questi esseri di notte spaventavano i vivi, li aggredivano e recavano loro danni oltre che un grande terrore. Per ovviare a questo grave fenomeno i loro preti si riunivano il sabato e disseppellivano il corpo del presunto vruokolakas; se lo trovavano integro, fresco e pieno di sangue, usavano gli esorcismi per allontanare dal corpo il demonio che lo possedeva. Quando ciò avveniva, il corpo incominciava a corrompersi e ad emanare fetore, per cui veniva di nuovo seppellito.¹³

    Le testimonianze sui vroukolakes non sono tratte solo da testi di autori occidentali, che potrebbero essere considerati ideologicamente inquinati, o comunque influenzati da categorie culturali estranee all’ambiente greco-ortodosso, ma anche da autori greci. Tommaso Braccini, nel suo libro Prima di Dracula, cita ad esempio, la Zetesis peri voulkalakon di Marco di Serre: si tratta di un testo rarissimo, tramandato da un unico codice conservato sul monte Athos e pubblicato solo agli inizi del secolo scorso, la prima testimonianza bizantina ritrovata. Di Serre descrive gli interventi della Chiesa che imponeva gravi punizioni a tutti gli ortodossi che credevano che nelle pestilenze fossero implicati i voulkolakoi, che, secondo la superstizione popolare, ne sarebbero la causa. Durante le pestilenze infatti accadeva che venissero scavate le tombe di coloro che erano morti da meno di cento giorni e, quando venivano trovati cadaveri ingrossati, con i capelli e i peli della barba molto più lunghi rispetto alla sepoltura, e spesso in posizioni scomposte, li esumavano dalle tombe e ne trafiggevano il ventre con una spada o con un palo di legno, oppure ne strappavano il cuore e il fegato per bruciarli. Marco di Serre, un monaco, è piuttosto polemico verso queste credenze, in ossequio ai precetti della chiesa ortodossa, anche se la sua testimonianza si presenta come la più ricca di dettagli sull’apparenza fisica dei vrycolakes.

    Due figure, quella del vrycolakas e del nachzehrer, meritano, secondo Introvigne¹⁴, una particolare attenzione perché costituiscono gli immediati antecedenti del vampiro classico. Del vrykolakas abbiamo già parlato, vediamo le caratteristiche della seconda.

    La credenza nel nachzehrer ebbe origine nella Kashubia, una regione dell’odierna Polonia nel Seicento, ma altre fonti la fanno risalire al Trecento nell’area geografica della Boemia e Moravia. Il nachzehrer è un morto che mastica nella sua tomba; mastica il velo, il sudario, i vestiti, ma può anche cercare di mordere le proprie mani e braccia. La sua masticazione provoca uno strano svuotamento di energie tra tutti coloro che vivono nelle vicinanze della tomba che, dopo un poco, deperiscono e muoiono. Potrebbe anche capitare che la sua masticazione lo renda così forte da emergere dalla tomba per cercare altre cose da masticare, compresi gli esseri viventi. Di questa credenza parla il dotto teologo protestante Philip Rohr¹⁵ nella sua Dissertatio historico-philosophica de masticazione mortuorum, data alla stampa nel 1679 e citata da Massimo Introvigne.

    Nel secolo diciottesimo l’interesse verso la credenza dei vampiri si intensifica e si concretizza in una serie di trattati, quasi tutti tedeschi, di cui abbiamo un elenco esauriente nel Lessico Universale di J. H. Zedler¹⁶. In quest’opera, alla voce Vampiri, si legge: sono quei morti che lasciano le loro tombe per succhiare il sangue dei vivi, causandone pertanto la morte. Lo scrittore fa notare come l’apparizione dei vampiri sia particolarmente frequente tra i popoli di religione cattolica ortodossa, soprattutto tra i greci scismatici. Sono proprio gli scismatici, sostiene Zedler, a credere nei pieni poteri del diavolo sui corpi dei morti scomunicati, ad affermare di aver trovato corpi non decomposti di cadaveri seppelliti già da molto tempo, e sono sempre loro che hanno la convinzione che i morti possano mangiare, uscire dai sepolcri e camminare nel mondo dei vivi.

    Nel 1706 Charles Ferdinand de Schertz diede alle stampe Magia Posthuma, un celebre trattato in cui venivano narrati numerosi episodi di vampirismo verificatesi in Boemia, Slesia e Moravia, di cui l’autore era venuto a conoscenza in modo indiretto.

    C’è poi un filone interpretativo che vede nel vampirismo un fenomeno essenzialmente psichico, grazie al quale esseri appartenenti ad un’altra dimensione sottraggono energia vitale ai viventi, filone che sarà molto seguito alla fine dell’Ottocento, nell’ambito del nuovo panorama di scienze esoteriche e di società segrete dedite all’occultismo e allo spiritismo. A tal proposito, possiamo citare il lavoro del filosofo inglese Henry More, An Antidote against Atheism: or an appeal to the Natural Faculties of the Mind of Man, whether there be not a God, del 1653.¹⁷

    Una delle storie più famose di vampiri, quella di Arnold Pole, ex soldato serbo all’origine di un’epidemia di vampirismo che attirò l’attenzione delle autorità competenti, fu riportata nel rapporto firmato dall’ufficiale medico Fluchinger, Visum et Repertum e stampato a Norimberga nel 1732, come riporta Monica Petronio nel suo libro Dai vampiri al conte Dracula.

    Arnold Pole era morto spezzandosi il collo nel cadere da un carro di fieno; dopo una ventina di giorni dalla sua morte, alcune persone si lamentarono di essere state aggredite e molestate da lui e cinque persone furono addirittura uccise. Per porre fine a questa situazione, fu disseppellito il cadavere che fu trovato integro e non decomposto: anzi del sangue fresco era uscito dagli occhi, dal naso e dalle orecchie e aveva intriso di sangue la camicia e i lenzuolo in cui il cadavere era avvolto. La pelle vecchia era caduta così come le unghie delle mani e dei piedi, e ne erano cresciute di nuove.

    Il cadavere venne riconosciuto come quello di un vampiro, per cui gli fu infilato un paletto nel cuore e poi il corpo fu bruciato e ridotto in cenere. Il documento poi prosegue elencando i nomi dei cadaveri esaminati, la cause della loro morte e i risultati delle autopsie: furono individuati ben diciassette vampiri che furono sottoposti al solito trattamento. Nel caso riportato, come in altri casi, il vampirismo si presenta come un’epidemia, come una minaccia contagiosa della quale viene ritenuta responsabile la prima persona morta. Per porre fine al contagio, occorre quindi, secondo le tradizioni locali, esumare e trattare il corpo di tutti quelli che sono stati contagiati.

    Un altro caso famoso, anzi il primo in ordine cronologico, scrive sempre la Petronio, è quello di Peter Plogojoviz del villaggio di Kisolova e risale al 1728. Il caso fu riportato per la prima volta dal tedesco Ranft nella sua opera De masticazione mortuorum in tumulis liber, comparve poi nell’opera più famosa del secolo, Le Dissertations sur les apparitions des Anges, des Démons et des Esprit set sur les Revenants et Vampires de Hongrie, de Boheme, de Moravie et de Silésie, pubblicato a Parigi nel 1746 dall’abate Augustine Calmet.

    Il caso racconta di un individuo di nome Peter Plogojowitz, che, dieci giorni dopo la sua morte, secondo la testimonianza di nove persone,

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