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E se restassi?
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E se restassi?

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About this ebook

Una storia. Mille intrecci. Vite irrisolte dietro angoli di paure ed incertezze. Una storia che può essere "diversa" dalle altre ma, in fondo, "uguale" a molte altre. Le difficoltà di spiegarsi e di "piegarsi" ad una società ancora condizionata dai pregiudizi, in una piccola città della grande "provincia" chiamata Italia, dove i diritti sono privilegi e dove continua ad essere difficile affrontare il tema dell'omosessualità. Il racconto di chi ha guardato sempre avanti con orgoglio rialzandosi dalle proprie macerie, che ha fatto il suo percorso "combattendo contro un esercito di demoni interiori, prima ancora che con quelli che ti attendono fuori". Come se fosse sempre l'ultimo istante.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateOct 10, 2018
ISBN9788827847831
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    E se restassi? - Francesca Brancati

    piove.

    I

    Genesi

    8:30 Sono spaventosamente in ritardo. L’assemblea d’istituto sarebbe già cominciata da un quarto d’ora stamane se mi fossi apprestata con il dovuto anticipo. Invece come al solito mi sono persa nei meandri della mia irrinunciabile pigrizia annidandomi in un temporeggiare senza senso.

    Mando giù velocemente il latte e qualche biscotto, infilo la giacca scura doppiopetto che indosso solitamente durante gli eventi importanti e raggiungo l’autobus al capolinea.

    L’atrio avanti scuola fermenta di volti assonnati e intontiti degli studenti che si scambiano appunti, chiacchiere e sigarette, trasportando zaini flosci sulle spalle.

    Salgo i gradoni della scalinata principale, entro, attraverso la palestra e mi fermo a parlare con i tecnici per accertarmi che l’impianto di amplificazione sia stato montato e che tutto sia a posto per cominciare. Tutto è a posto. Marco è arrivato .Ora non resta che aspettare Paola e Marta dalla succursale; devono presiedere con noi l’assemblea.

    Eccole che arrivano. Nel frattempo gli studenti del liceo hanno già preso posto seduti sul pavimento in linoleum della palestra; l’ordine del giorno esplicato nella richiesta di assemblea appesa in bacheca prevedeva che parlassimo dei problemi relativi alla mancanza di strutture adeguate per lo svolgimento di alcune attività, di laboratori tecnico-informatici e della delibera dell’ultimo consiglio d’istituto in merito al bilancio finanziario della scuola.

    << Che dici Fra…Riusciremo almeno stavolta a suscitare l’entusiasmo e la partecipazione da parte di tutti e ad avviare un dibattito come Cristo comanda? >>

    Si preoccupa Paola. Lei è una attiva; una che in ogni grande iniziativa c’è sempre e milita. Una delle poche persone che in questo liceo anestetizzato dalla negligenza si preoccupano, si sforzano di esserci.

    << Non preoccuparti. Stavolta mi gioco le mutande!>> le dico sorridendo, cercando di rassicurarla.

    Cominciamo. Il mio ruolo prevede di avviare il dibattito. Afferro il microfono con decisione e fermezza e mi avvicino il più possibile alla platea.

    << Ragazze, secondo voi… che cos’ è l’Amore? >>

    Ho colto subito un’espressione di sgomento nei loro volti avvolti da un alone di totale incertezza, della più totale incredulità, quasi come se fosse apparso davanti ai loro occhi una sorta di extraterrestre. E’ chiaro che non è ciò che si aspettavano di sentire dalle mie labbra dalle quali, da un po’ di tempo a questa parte pendono quasi tutti! Mi sono resa conto di aver sovvertito le loro aspettative e, cogliendoli impreparati, come se li avessi addirittura traditi. Perfino gli altri miei tre collaboratori, che sono ormai abituati all’estro delle mie modalità di interazione con gli altri, sono rimasti sbigottiti. Restiamo per un’abbondante manciata di secondi in un’apnea di silenzio finché….

    << Claudio è il MIO amore!!>> urla una ragazzina dal fondo della platea, suscitando una fragorosa risata da parte dell’intera assemblea che rimbomba lungo le pareti sorde della sala, ma che in effetti ha avuto il privilegio di rompere il ghiaccio in quell’ imbarazzante atmosfera di perplessità. Sorrido anch’io.

    << Certo, Claudio!>> ribatto divertita. << E’ il tuo ragazzo, naturalmente…>>

    << Si. >> Risponde, con un tono più timido e incerto, quasi come se si fosse intimorita.

    << E’ ovvio. >> Controbatto e con tono un po’ sarcastico rispondo:

    << Ma non vi ho chiesto come si chiama il vostro ragazzo >> Suscitando ancora una leggera risata collettiva.

    << Claudio è una storia d’amore, ma non è l’Amore! Circoscrive una delle tante espressioni dell’amore! Ma la mia domanda è : Cos’ è l’ Amore ? In senso profondo, qual è la vostra idea di amore e come lo vivete. Se.. lo vivete!>> Sorrido.

    << Il punto è non dargli un volto preciso, un’immagine precostituita! L’amore è una forza, come quella di gravità. Come quella che si sprigiona da due sguardi che s’incrociano, da due mani che s’intrecciano… >>

    E in quel momento nella mia mente una sola eco, un solo profumo, un solo nome. E salta fuori la mia prima contraddizione: sto dando un volto preciso all’amore. Altroché se lo sto facendo! Ed è sempre così che svanisce lo sforzo persuasivo di dissuadermi del mio grillo parlante, secondo il quale sono più brava a dare consigli agli altri che a me stessa. Quel volto preciso che mi intimavo di rimuovere era lì, precisamente di fronte a me.

    Lei era lì, con gli occhi fissi nei miei occhi.

    Dal centro della platea una mano alzata.

    << Credo che l’ amore sia il mezzo che controlla e recide i fili dell’egoismo!>> è la risposta di Sabrina, di 3 A.

    << L’amore è cercare il senso di sé nell’altro!>> dice Carla della 4 C

    <> ribatte Luisa di 3 B

    <> replica Gilda di 1 E

    << Il coraggio di spingersi oltre i propri limiti, oltre il proprio piccolo e arrogante io!>> ribadisce Ornella, la sua compagna di classe.

    <> è la convinzione di Sara, 5 A che ha tutto il sapore di un inno di rivendicazione femminile. << Si! Giusto! >> asseriscono le sue compagne di classe e tutte le altre annuiscono con un cenno del capo cariche d’orgoglio muliebre.

    Ora la mano alzata di un ragazzo, Giulio.

    << Posso?>>

    << Certo >> gli dico facendogli un cenno d’assenso con il capo

    << Il motivo per cui ho detto ragazze è che il nostro è un istituto popolato da una netta predominanza femminile, lo sapete. Ma è ovvio che quei pochi maschi presenti non sono esenti da un possibile intervento, ci mancherebbe! >> lo rassicuro sorridendo. In realtà è un modo ipocrita per non lasciar trasparire il fatto che la mia considerazione è incentrata prevalentemente sul fascino femminile, questo per un fattore radicato, forse innato dentro di me. M’interessa sapere cosa pensano le donne sull’amore, cosa interessa loro.

    Il dibattito procede così, da una mano alzata all’altra, tante verità a confronto, tanti piccoli mondi di adolescenti in sfida con le proprie esperienze.

    Paola mi guarda con occhi umidi di stupore, ammirazione, sembra commossa

    << Porca miseria Fra… l’assemblea è… è riuscita! Eccome s’è riuscita!!Ma come cazzo hai fatto?>> e ride di gusto.

    Io le abbozzo un piccolo sorrisetto sull’angolo destro della bocca, con l’aria di chi è sicuro di sé e di ciò che fa. Onestamente ha più il sapore di una smorfia perché in realtà non ero proprio sicura di niente. Non ero sicura che quella fosse la modalità strategica per far funzionare una accidenti d’assemblea, cosa che non accadeva oramai da anni; non ero sicura di ciò che si dicesse sull’amore, non ero sicura che m’interessasse davvero saperlo. In fondo perché diamo tanta importanza ad un così labile e vulnerabile sentimento?

    Eppure è riuscita.

    Ritorno con lo sguardo verso gli studenti che intanto continuano in maniera ardente il dibattito, presi come nella morsa del ragno, e in ciascuna delle loro risposte e in ogni sguardo cerco disperatamente una responso che riesca a placare il tempestoso mare di dubbi e a sfamare la famelica tigre di paure che mi ruggisce dentro.

    E intanto lei è ancora lì. Seduta come un loto a dondolarsi nell’intreccio delle sue morbide e nivee gambe longilinee.

    Poi si alza e cammina tra la folla, agile e incontrastata . E’ cosi bella… a dispetto dei suoi angelici lineamenti si muove con sicurezza e disinvoltura in mezzo alla calca di studenti; osservata in maniera ossessiva da tutti, ragazzi vogliosi e ragazze livide dalla gelosia, non ci fa neanche più caso; ormai da per scontato che la si veneri e che ce la si contenda; che la si invidi o la si prenda come modello; cammina imperturbabile e a testa alta, sembra una regina. Si ferma davanti a me come un’apparizione divina, mi spezza il respiro come se la vedessi ora per la prima volta, eppure, la conosco da quattro anni! E’ Emy… la mia sorellina.

    << Allora Fra, noi andiamo a prenderci un caffè da Mario. Appena finisci ci raggiungi?>>

    Le rispondo di si balbettando.

    <> Mi chiede accorgendosi del mio disagio e cercando di nascondere il mio imbarazzo con un sorriso altamente convenzionale, le rispondo: << Nulla… Sono solo un po’ stanca. >> sorrido. Faccio ogni sforzo per cercare di sembrare il più naturale possibile, ma con lei non c’è sforzo che regga alla sua capacità d’intuizione congiunta perfettamente ad un’ insaziabile curiosità. Per fortuna Anna la tira per la manica del montgomery prima ancora che abbia il tempo di farmi un’ altra domanda più invasiva << Ok, allora ci vediamo lì. E sbrigati perché altrimenti ce ne andiamo!>>

    <>

    Nei minuti successivi che vigorosamente si affannano a scorrere dopo il suono delle sue ultime parole, non riesco a fare a meno di pensarla. E così, ogni giorno. Non c’è istante in cui lei non sia presente nella mia vita, sebbene lei non sappia di esserlo. E’ come se vivesse una vita parallela, in una dimensione che non le appartiene, dentro la mia testa. E’ qui che lei mi dice si, ed è tutto così perfetto. Mano nella mano nel mondo. In un mondo che chissenefrega se ci accoglie o ci vomita nel buio del pregiudizio. In questa dimensione poca importanza ha. Qui siamo al sicuro da ogni indiscrezione.

    Lei mi vive dentro. E, nutrendo la mia fantasia, mi permette di vivere.

    A guardarmi dall’esterno però, a detta dei miei amici più cari, più che altro sembro una di quelle automobiline radiocomandate. E’ come se avesse preso nelle sue mani il monopolio dei miei pensieri; le mie azioni si direzionano tutte verso un unico scopo, farle piacere.

    Effettivamente io odio il bar di Mario. Odio la moquette verde che riveste l’atrio antistante la porta d’ingresso e odio il suo caffè, quell’ odore di moka bruciata mi strizza le meningi come se fossero tirate bruscamente da due redini e odio le barbie e i fighetti che lo frequentano… Eppure ci vado. Si, naturalmente per farle piacere. Ma forse è anche lei una barbie…per essere così presa da questo squallido posto, per sentirsi così a suo agio…O forse sono le redini della sua energia che m’imprigionano; sono le briglie della mia fantasia che mi spingono nella sua direzione, qualunque essa sia. E poco m’importa che lei sia una barbie o meno… Quello che riesco a sentire sotto la pelle quando siamo vicine riesce ad inabissare abilmente le apparenze e tutto ciò che devo penare per stare qualche minuto in più con lei.

    Assorbe le mie energie eppure mi ricarica di vitalità. E’ come se la sua presenza operasse uno scambio di energia vecchia con una nuova carica. Eppure quando ci siamo conosciute non era così. Quasi non mi accorgevo della sua presenza, se non per un valido motivo. Sono sempre stata io quella di cui ci si accorgeva, ma non per la bellezza esteriore, quanto per il mio modo di essere così esuberante, da non poter assolutamente passare inosservata.

    Ho sempre usato questa risorsa del mio carattere per compensare l’altra parte di me che, al contrario, mi allontana da tutti. L’ironia e l’auto-ironia sono il mio elisir

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