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Il richiamo del ghiaccio - La saga dei due imperi
Il richiamo del ghiaccio - La saga dei due imperi
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Il richiamo del ghiaccio - La saga dei due imperi

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About this ebook

Nel lontano regno nordico di Armeth, a ridosso della mitica muraglia di ghiaccio,il giovane ed inesperto principe Athelmet passa le sue giornate con la cugina Enhys tra avventure e divertimento almeno fino a quando le cose si complicano a causa dell’arrivo di un giovane dai capelli bianchi e dagli occhi viola che afferma di essere il primogenito del regno e fratello maggiore del principe. James, questo è il suo nome, ha viaggiato dal lontano regno di Ferswall fino a qui accompagnato da uno strano guerriero in armatura che sembra essere la sua guardia del corpo ed il suo leale servitore e da due anziani contadini che affermano di averlo cresciuto come figlio loro, ma di non aver mai saputo di aver salvato da morte certa, dieci anni orsono, la vita di un principe. La vita di Athelmet, così come la ricordava il ragazzo, si ritrova ad essere stravolta all’improvviso e tra assassini nell’ombra e congiure alla luce del sole, prime avvisaglie di lotta tra i regni dell’impero di Carsey e rocamboleschi incontri, i due principi, assieme ad amici e alleati, partono alla ricerca di una misteriosa arma in grado di richiamare il mondo dei morti per contrastare l’arrivo dell’impero di Ghiaccio, un impero che solo la grande muraglia tiene separato da tutta Carsey. Ma i così detti Ghiacciati sono solo una leggenda, vero? se invece fossero reali? Se il mitico Impero del Ghiaccio esistesse davvero? Il destino del loro regno si ritrova nelle loro mani e solo loro possono impedire una antica invasione. Non di meno Athelmet si ritrova a dover fare i conti con un oscuro passato che credeva di non avere, con un fratello che non sembra realmente chi afferma di essere e con una verità in seno alla sua famiglia in grado di distruggergli l’anima.
LanguageItaliano
Publishereditrice GDS
Release dateOct 9, 2018
ISBN9788867828777
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    Il richiamo del ghiaccio - La saga dei due imperi - Elvira Ciufo

    Elvira Ciufo

    Il Richiamo

    Del Ghiaccio.

    La saga dei due imperi.

    Elvira Ciufo

    Il richiamo del ghiaccio

    La saga dei due imperi

    EDITRICE GDS

    Via Pozzo 34

    20069 Vaprio D’Adda-Mi

    Tel 02.90970439

    www.gdsedzioni.it

    Copertina reperita da Pixabay dall’autrice.

    Ogni riferimento descritto in questo romanzo a cose, luoghi, persone o altro è da considerarsi del tutto casuale.

    Prologo

    Lo aveva chiamato Bianco ghiaccio a causa del suo manto bianco accecante virante all’azzurro del ghiaccio in procinto di creparsi. Quella mattinata di inverno anche lui sentiva il freddo mordere le sue giovani carni del corpo di animale ancora acerbo, le sue narici fremevano di impazienza e i suoi zoccoli battevano sul lastricato, sentiva che qualcosa di brutto stava per accadere. Il principe James non ci fece caso; prese in fretta la sella e la posizionò sul suo destriero. Il suo cavallo non aveva le redini e questo perché quando il bambino aveva provato a mettergliele, tempo addietro, Bianco ghiaccio lo aveva morso e, da quel momento in poi era stato chiaro a tutti che il principe avrebbe dovuto domarlo in un altro modo. James pose il piede sulla staffa e si tirò su, diede una pacca al cavallo e quello si mise al trotto, sebbene lo fece di malavoglia. Era una giornata fredda, la neve cadeva a sprazzi sul sentiero che il principe e i due soldati al suo financo avevano intrapreso. C’era fanghiglia dappertutto e gli zoccoli dei destrieri la calciavano ai lati della strada, lungo i canali ghiacciati. Presto James si lasciò il castello alle spalle e si immerse nel villaggio sottostante. Era ancora l’alba ed in giro non c’era nessuno. Le case avevano le porte e le finestre sprangate e non un suono animava l’aria. James rallentò l’andatura del suo cavallo e si affiancò ai suoi soldati. Li conosceva da quando era nato e si fidava di loro con tutta l’anima. Vi era Garrot con la sua aria da so tutto io, il volto grassoccio e le sacche belle piene; si trovava tra i soldati del re da un tempo immemore, presto sarebbe stato congedato e a James un po’ dispiaceva. Gli era sempre piaciuto Garrot. Non lo trattava come un bambino di dieci anni, ma come un principe ereditario, che poi era ciò che era. La sua testa calva e i suoi modi sbrigativi erano affascinanti per il principe. Appena si accorse dello sguardo di James su sé sorrise, ma il suo era un sorriso alquanto forzato. L’altro soldato non era una conoscenza del principe. Era alto e smilzo, indossava la cotta e l’usbergo con lo stemma del regno e stringeva con la mano sinistra una lancia mentre con l’altra prese a spostare le redini del suo cavallo più vicine al principe, cercò anche lui di sorridere, ma il suo era quel tipico sorriso che gli adulti fanno ai bambini per rassicurarli che sarebbe andato tutto bene. James si spazientì.

    - Siete sicuri che lo abbia ordinato mio padre?

    La sua domanda era più che legittima. Questa mattina Garrot lo aveva svegliato bruscamente quando fuori non era nemmeno spuntato il sole. Gli aveva detto di vestirsi e di prepararsi ad uscire per una prova. James non aveva capito molto, ma alla frase è tuo padre che lo ordina si era subito dato da fare. Il re di Armeth era tutto per James, ma non si era mai comportato come un padre affettuoso. Il principe sapeva che la schiettezza e la freddezza del sovrano nei confronti del suo unico figlio era il solo modo che conosceva per prepararlo ad affrontare le sfide future; la sua educazione come futuro regnante era più importante delle smancerie familiari. Garrot allargò la bocca ad imitazione di un sorriso.

    - Il re ritiene che sia importante saper cacciare gli Steck dei ghiacci. Io credo che veda questa caccia come una prova della vostra forza, maestà. Portategli una di quelle bestie e inizierà davvero a vedervi come il suo erede.

    James annuì distratto. Avevano lasciato il villaggio e si erano inoltrati nel bosco bianco. Gli alberi erano ricoperti di neve, era una visione bellissima. James aveva sempre amato il freddo ed il ghiaccio. La sua temperatura corporea ben accettava questo clima. Alcuni lo ritenevano strano per questo, ma non poteva farci nulla. Il suo regno confinava con quello di Ferswall, detto anche regno Ghiacciato in quanto lì nevicava sempre ed il ghiaccio era una costante in ogni stagione. Spesso anche nel suo regno si potevano sentire gli effetti del freddo di quel regno. In verità non vi erano rapporti tra i sovrani di entrambi i reami. La storia diceva che dopo una guerra durata centinaia di anni tra i due regni, i rispettivi sovrani avevano deciso di innalzare una murata per separare per sempre le terre. La balia di James lo aveva cresciuto raccontandogli di come in verità il mondo fosse diviso in due proprio dalla grande muraglia: una sua parte era pacifica ed abitabile, le stagioni si susseguivano normalmente, i regni erano in accordo ed i commerci prosperavano abbondanti. La terra era ricca e prospera e donava la vita agli abitanti che avevano avuto la fortuna di trovarsi da questa parte quando la muraglia era stata innalzata; l’altro lato era freddo, buio, ghiacciato e desolato. Il sole non baciava mai la terra ed i suoi abitanti morivano per il freddo e per la fame. Esisteva solo un grande regno lì ed era abitato da mostri e creature crudeli. Il principe rise al ricordo di quei racconti. La sua balia voleva spaventarlo di proposito in quanto, essendo vicini alla barriera, James aveva cercato di allontanarsi dal regno e di vedere con i suoi occhi quella immensità sin da bambino e, naturalmente, sua madre si spaventava ogni volta che lui intraprendeva quelle cerche e la baia, con queste storie assurde, tentava di fargli passare la voglia di avventure. Ma James era James e non aveva mai avuto paura di quelle storie.

    - Quanto lontano dobbiamo andare?

    L’altra guardia gli lanciò un’occhiata e poi rivolse lo sguardo altrove. Garrot disse qualcosa di incomprensibile e poi gli sorrise, di nuovo.

    - Siamo quasi arrivati. Sapete che quelle bestie si trovano nei ghiacciai e più ci avviciniamo alla muraglia, più avrete una possibilità di vederle e di catturane una. Immaginate la faccia di vostro padre quando ritornerete al castello con il vostro bottino. Sarà fiero di voi, certamente.

    Bianco ghiaccio fremette, allargò le narici per il freddo e cercò di scollarsi di dosso il principe. James lo calmò e si guardò attorno. Si erano allontani parecchio dal villaggio. Nessuno si avventurava ad est, tutti sapevano che lì non c’era nulla, solo il freddo, la neve e la muraglia, naturalmente. Gli alberi erano scomparsi e al loro posto vi era il deserto ghiacciato e immobile. Alcuni laghetti serpeggiavano qual e là ed erano l’unica cosa ad animare il posto, oltre agli animali che dovevano popolarli. James rabbrividì, ma non per il freddo; quel luogo gli era familiare. A volte aveva cercato di sgattaiolare dal castello e di raggiungere la muraglia, ma i suoi tentativi erano sempre stati frustati o dalla madre o dalle guardie che lo tenevano d’occhio e riuscivano a riportarlo sempre indietro. L’altro soldato decise di fermarsi, indicò un laghetto ghiacciato poco distante e fece un cenno a Garrot. L’uomo corpulento scese di sella e intimò al principe di fare lo stesso.

    - Lì. Dovrebbe andare bene. Non preoccupatevi maestà, vi daremo una mano.

    James scese dal suo cavallo ed afferrò la spada che aveva trafugato dall’armeria in tutta fretta. Era troppo pesante per un bambino di dieci anni, ma di certo non lo avrebbe dato a vedere. Avrebbe catturato quella bestia e suo padre sarebbe stato orgoglioso, non c’erano dubbi.

    - Non scomodarti Gerrot, ci penso da solo.

    Esitante si avviò nella neve alta e gelida. Raggiunto il lago ghiacciato si rispecchiò dentro. Un ragazzino dai capelli corvini e dagli occhi viola lo stava fissando di rimando, più sotto delle strane forme si muovevano lentamente. Il principe era spaventato a morte, sinceramente, ma non avrebbe mostrato la sua paura ai suoi accompagnatori. Con un lento sospirò posizionò la spada di punta sul lago: lo avrebbe crepato e poi avrebbe infilzato una di quella cose nelle sue profondità. Vide l’immagine di Garrot rispecchiata vicino alla sua. Aveva un viso triste e lo stava guardando con una strana compassione.

    - Ho detto che devo farlo da sol…

    Le parole gli morirono in bocca. Improvvisamente l’aria era sparita. James spalancò gli occhi, ma vide solo buio. Si rese conto che qualcuno lo aveva strattonato e spinto nelle profondità del ghiaccio, quel qualcuno gli stava trattenendo la testa, giù nell’acqua gelida; James non riuscì a respirare. Sentì il rumore del ghiaccio che si ruppe improvvisamente, vide delle strane forme avvicinarsi dalle profondità del lago. Il suo corpo prese a sbracciare e, improvvisamente, il principe capì cosa stava succedendo. Qualcuno lo stava affogando nel freddo del lago e, sebbene, cercasse con tutto il suo essere di alzarsi, di far prendere fiato ai polmoni, non riuscì in alcun modo a farlo. Sentì Garrot grugnire e riuscì ad ascoltare anche i passi dell’altro uomo. Si era avvicinato e stava blaterando qualcosa.

    - Dio mio, perché fa così tanta resistenza? È solo un fottuto marmocchio.

    James non riusciva a respirare, gli occhi si chiusero o forse no. Il buio lo avvolse. Garrot continuava a spingerlo nell’acqua gelata e lui non poteva fare nulla. Il suo corpo si arrese, smise di scalciare e di muovere le braccia. Le tenebre erano così belle e silenziose. Cadde completamente nel ghiaccio e venne spinto tra le braccia della morte, trascinato a fondo dalla corrente.

    - Merda. Mi è scappato dalle mani.

    - Poco importa. Ormai è morto. Le bestie lo mangeranno.

    I rumori sopra James si smorzarono, fino a terminare del tutto. Il principe si lasciò andare ed affondò nelle oscure profondità dell’oblio.

    Capitolo 1

    16 anni dopo.

    Athelmet fece un balzo dal suo cavallo. Miracolosamente toccò il suolo con i piedi in perfetto equilibrio e non si ruppe nessun osso del corpo. Lanciò le redini a Seth di malagrazia e si lasciò alle spalle le stalle senza nemmeno un saluto. Era stato scortese, vero, ma d’altronde Seth lo odiava. Il capo stalliere era un omuncolo pelato, basso e dalla pelle verdognola e, chissà per quale arcano motivo, c’è l’aveva a morte con il principe. Lui non gli aveva fatto mai nulla di male, quindi non capiva tutto quel rammarico represso. Una volta aveva perfino tentato di parlargli e in cambio aveva ricevuto un’occhiataccia arcigna e sprezzante. Da quel giorno, Athelmet lo aveva lasciato perdere. L’importante era che curasse la sua cavalla: uno zoccolo fuori uso o il manto crespo e lo avrebbe cacciato a calci dal suo castello. Vero, non era il re, ma lo sarebbe stato in futuro e chi se non lui aveva il diritto di decidere queste cose. Ripensò alle sue azioni passate e cercò di capire perché Seth sembrasse odiarlo, ma non gli venne in mente assolutamente nulla, allora, con l’ennesima scrollata di spalle, attraversò di corsa lo spiazzo del cortile per entrare nel castello. I battenti dell’imponente portone erano aperti e due guardie erano posizionate agli appositi lati. Athelmet la riteneva una cosa eccessiva. Erano in pace con i regni vicini e di certo non servivano tutti quei soldati a presidiare la sua casa. Un’occhiata in alto gli permise di vedere gli altri uomini di ronda sui camminamenti. Il suo castello non aveva un fossato, ma era stato innalzato su di una imponente collina. Dall’alto si vedevano le stalle sottostanti, i magazzini ed il giardino rettangolare collegato al castello; ancora più in basso si estendeva il villaggio vero e proprio con i suoi abitanti e più in là ancora vi era un mondo di meraviglie: altri luoghi, altri regni, il principe desiderava ardentemente vederli. Ad est invece si poteva ammirare la muraglia in tutta la sua gloria. Ahetlmet poteva vederla, stagliata lì in alto come un gigante pallido, bianca e azzurrina, sembrava un mostro in attesa di inghiottire il suo castello. Era immobile e silenziosa. Il principe riabbassò lo sguardo e attraversò il lungo corridoio d’ingresso del castello. Suo padre lo aveva tappezzato di quadri di famiglia. Ad ogni passo ve ne era uno che raffigurava un reale. I suoi bis- bis- bis, chissà quanti bis, nonni lo guardavano con aria severa ed arcigna. Le spade al fianco e una corona sul capo. I suoi cugini e le sue cugine, gli zii e le zie, più si avvicinava alla sale del trono e più essi ritraevano sua madre, suo padre e se stesso. Invece di entrare nell’immensa sala reale, Athelmet prese il corridoio a destra e salì le scale. Qui vi erano le sale dei banchetti e delle danze. I nobili al seguito del regno si trovavano sempre qui, a balbettare e parlare di cose sempre futili. Girovagavano in cerca del re per chiedere i suoi favori, molti lo videro e cercarono di fermarlo, ma con destrezza il principe li evitò tutti e riuscì ad intrufolarsi nelle cucine. Questa sera si sarebbe festeggiato il compleanno della regina ed erano tutti indaffarati. La cucina era una bolgia di gente che andava e veniva. Athelmet vide la cuoca Bessie indaffarata sul ripiano da lavoro, non fece caso a lui. Sbraitava ordini a tutti quelli che le passavano davanti.

    - Presto. Hai preso tutto ciò che ti avevo detto al mercato? Non permetterò a nessuno di rovinare il compleanno della regina, intesi?

    Il giovane che si era sorbito uno scappellotto sul capo sgusciò sotto un tavolo e non le rispose. Non avrebbe mai potuto sgridare Bessie per la sua mancanza di rispetto nei suoi confronti. Lo aveva cresciuto in queste cucine e lui la amava come una seconda madre. Sorrise al pensiero. Superate le cucine prese un’altra scala a sinistra, quella che portava ai suoi alloggi. Qualcuno gli andò a sbattere contro e, quando alzò gli occhi per rimproverare l’imbecille che gli era andato contro, vide il sorriso radioso di sua cugina. Finalmente l’aveva trovata. Enhys era bellissima: capelli corvini che si arricciavano sulle spalle, occhi azzurri e un nasino all’insù. Indossava un semplice abitino azzurro con le spalline dorate che non rendeva grazia alla sua avvenenza. Appena vide il ragazzo gli prese il gomito e lo trascinò nella sua camera, quella che la regina le aveva dato in quanto ospite. Athelmet si sedette sul letto a baldacchino con un sospiro.

    - Ah, finalmente sei arrivata. Stavo per morire dalla noia qui, senza te.

    La ragazza fece un sorrisetto birichino e si buttò sul letto a peso morto.

    - Esatto. Immaginavo la tua costante noia, ma tranquillo ora che sono arrivata ci divertiremo alla massima potenza, caro il mio Thel.

    Il principe adorava sua cugina. Lei era una specie di combina guai. Suo padre era il fratello di sua madre ed anche il re di Melech. Purtroppo i loro due regni non erano propriamente vicini e dunque si vedevano poco. I viaggi in inverno erano quasi impossibili ed erano rare le occasioni che avevano per poter stare insieme, come questa. Athelmet era ansioso di cacciarsi in mille avventure ed Enhys riusciva sempre ad inventarsi qualcosa di grandioso. Certo, a volte non facevano cose degne del loro nome, ma avevano solo 16 anni, un po’ di sano divertimento dovevano pur procurarselo a volte. La ragazza si sporse dalla finestra e guardò le stalle sottostanti. Il principe le si affiancò e osservò Seth sellare un cavallo per un nobile.

    - Hai poi capito perché Seth ti odia?

    - Nemmeno per idea.

    Rispose il giovane principe. La ragazza gli fece un sorriso sfrontato, poi prese un bauletto posizionato vicino l’anta del gigantesco armadio e tirò fuori un vestito rosso sangue merlettato ed impreziosito di gocce azzurre lungo le cuciture. Lo ammirò estasiata. Rivolgendosi al cugino disse:

    - Adoro tua madre, non mi ha mai urlato contro ed è l’unica a non ricordarmi i mie doveri da principessa ogni singolo minuto della mia vita. Per il suo compleanno credi che questo vestito andrà bene?

    Athelmet sorrise. Le ragazze davano troppa importanza alla moda e a queste cavolate, ma almeno si divertivano. Lui era un principe invece, l’erede al trono di Armeth e non poteva permettersi distrazioni, non poteva divertirsi, non poteva avere amici tra i cittadini ed era esasperante. Con Enhys tutto era più semplice, con lei poteva comportarsi da ragazzo della sua età.

    -Tu le piaceresti anche con un sacco di iuta addosso.

    Le rispose.

    - Lo spero.

    - Non preoccuparti, andrà tutto bene.

    La sala del trono era del colore del fuoco. Il re l’aveva fatta ridipingere completamente di rosso in quanto in questo modo il duro freddo delle stagioni invernali sarebbe stato contrastato da questo senso di calore ed armonia, una immensa cavolata a ragione del giovane rampollo. Comunque quella era immensa: ci si accedeva tramite i battenti dorati raffiguranti i leoni in lotta tra di loro per la conquista delle prede. Essi erano lo stemma della famiglia reale ed ogni soldato portava la loro raffigurazione sulle cotte di maglia. Athelemt varcò la soglia ad un cenno delle guardie. Indossava una camicia di seta aderente infilata in un paio di brache lunghe fino alle caviglie e tenute in vita da una cintura che raffigurava un leone in atto di mangiare una gazzella. Sulle spalle aveva messo un mantello nero di semplice fattura e calzava dei normali stivaletti. I suoi capelli neri gli caddero fastidiosi davanti gli occhi azzurri e il principe li tolse con uno sbuffo per guardarsi attorno. La sala del trono era gremita di nobili e visitatori giunti anche dagli altri regni per rendere omaggio a sua madre. Le sfarzose colonne bianche delineavano gli angoli e convergevano in fondo verso i troni dei suoi genitori. Athelmet spaziò lo sguardo e vide sua madre seduta sul semplice piedistallo in legno sbozzato, vestita sontuosamente e con una corona di fiori posata delicatamente sul capo che intratteneva alcune dame: quelle ridevano ad ogni battuta e il principe sapeva che cercavano di attirare l’attenzione della regina con l’intento di volerlo sposare ed accaparrarsi il regno. Poverette, mia madre le farà sudare. Un colpo alla spalla fece sussultare il giovane. Era Enhys, meravigliosa nel suo vestito rosso. Aveva intrecciato i capelli e gli stava sorridendo.

    - I nobili dovrebbero acclamarti, o almeno renderti omaggio. Insomma, da me si fa così.

    Gli disse. Lui rispose:

    - Oh, noi siamo la voce del popolo. Devo dimostrarmi degno del mio titolo di principe ereditario prima di avere l’attenzione dei nobili e della corte. Non mi pesa, odierei tutti gli sguardi puntati su di me. Insomma, un giorno sarò re, ma per ora non voglio pensarci sinceramente.

    Come per coadiuvare le sue parole spostò i sui occhi sul sovrano. Il re era in piedi tra i nobili. Era vestito semplice ed intratteneva conversazioni. Non aveva degnato il figlio di uno sguardo. Non lo avrebbe guardato, non prima che Athelmet avesse dimostrato il suo valore e la sua forza.

    - Dai, andiamo a ballare.

    Le parole di Enhys fecero uscire il principe dal suo torpore. Non ebbe nemmeno il tempo di replicare che la ragazza lo trascinò al centro dalla sala dove un bardo stava cantando una ballata con l’arpa. Raccontava di una guerra e c’entrava qualcosa tipo il ghiaccio e la magia, ma il ragazzo non vi prestò attenzione. Si mise a girare con la cugina, mano nella mano, sbattendo contro gli altri ballerini e ridendo della loro giovinezza. Vide sua madre guardarlo con affetto, per questa sera gli avrebbe permesso di comportarsi da semplice ragazzo e non da principe, gliene fu riconoscente. Senza fiato i due si fermarono sotto una colonna e poi scoppiarono a ridere. Un paggio li oltrepassò ed Enhys afferrò al volo una coppa di vino che si scolò in una sola sorsata.

    - Che c’è? Credi che una ragazza non possa bere come un uomo?

    Il principe sorrise. Fortunatamente i genitori di sua cugina non c’erano. In loro presenza non si sarebbe mai comportata così, non sarebbe stata altrettanto sciolta. Ultimamente litigava spesso con i sovrani di Melech: loro stavano cercando un marito per la principessa. Lei era l’erede al trono, in quanto l’unica figlia che erano riusciti ad avere. Enhys sapeva che rimpiangevano di non aver avuto un maschio, lei d’altro canto li sfidava continuamente e li esasperava con le sue bravate intenzionali.

    - Non ho intenzione di sposare un ricco nobile pomposo, di lasciare che sia lui a governare il mio regno. Non sarò relegata al ruolo di moglie e sforna bambini.

    Si erano spostati sul balcone. Le finestre erano spalancate e l’aria fredda era quasi un toccasana per entrambi i ragazzi. Athelmet sentì amarezza nella voce della cugina. La rassicurò toccandole un braccio e le sorrise.

    - Vorrei vedere provare chiunque a metterti in un angolo.

    Lei non rispose, continuò a volgere lo sguardo nella notte che si stava oscurando sempre di più. Il principe continuò:

    - Sul serio. Sei la donna più forte che conosca. La tua gente già ti ama, ti vedono come la loro regina, non devi preoccuparti.

    Finalmente l’ombra di un sorriso sfiorò le labbra della ragazza. Si girò a guardare il cugino e disse:

    - Tu pensa a te stesso, piuttosto. Ti stai allenando nelle armi, vero? Non si è mai sentito di un re più studioso che guerriero.

    Il principe stava per risponderle con una bella battuta salace quando si rese conto che qualcosa non andava. La musica aveva cessato di suonare. Nella sala c’era un silenzio surreale. I due rientrano veloci per capire cosa stesse accadendo. Tutti i nobili erano immobili e stavano fissando qualcosa nel fondo. Athelmet vide suo padre seduto sul trono e sua madre poco più in là, in piedi, con anch’ella lo sguardo rivolto lontano. Enhys gli tirò la manica e gli indicò qualcuno vicino le grandi porte. Un ragazzo con il mantello bianco si era messo di fronte al trono del re e lo stava fissando. Aveva i capelli mossi e bianchi, dalle sfumature azzurrine. I suoi occhi erano viola e stavano studiando tutta la sala; si fermarono sul principe ed Athelmet smise quasi di respirare: erano magnetici. Lentamente avanzò verso il re, con le guardie che tentarono di fermarlo, ma invano. Sembrava circondato da una barriera invisibile che non permetteva ai soldati di avvicinarsi. Questi sbattevano contro quella barriera e cadevano malamente a terra. Al fianco del giovane c’era un guerriero con tanto di armatura ed usbergo che lo seguiva passo dopo passo. Aveva i capelli biondi e si guardava attorno attento e indagatore. A completare lo strano quadretto erano i due vecchietti dietro, vestiti con abiti semplici di colore marrone che, strascinando i piedi, si guardavano attorno come intimoriti. I loro occhi strabuzzarono alla vista delle maestose colonne della sala e dei tappeti adorni di fili preziosi. Incontrastato, il ragazzo dai capelli bianchi raggiunse il trono del re.

    - Fermatevi.

    La cuore- lama di mio padre gli abbaiò l’alt e tentò di afferrarlo, ma anche lui incontrò quella specie di barriera magica che sembrava circondare e proteggere quello sconosciuto. Athelmet sentì Enhys deglutire lì vicino. La ragazza gli sussurrò:

    - Chi diamine è quello?

    Lui non le rispose. Si limitò a rimanere immobile come tutti nella sala del trono. Era come se un incantesimo li avesse tutti paralizzati in una staticità assoluta. Quando il ragazzo si ritrovò abbastanza vicino al re dell’Armeth si prodigò in un inchino. Poi, alzato il capo disse:

    - Mi ricordo adesso. Sono io padre. Sono tornato a casa.

    Capitolo 2

    Athelmet riuscì a percepire l’esatto momento in cui il silenzio si ruppe come il ghiaccio. Tutta la vasta sala del trono prese a riecheggiare di voci e di urla. I nobili presero a spintonarsi per avvicinarsi al sovrano; il principe venne spintonato e allontanato da sua cugina e finì per ritrovarsi nella calca di gente che strepitava parole che per lui non

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