Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

Animale e nume
Animale e nume
Animale e nume
Ebook148 pages1 hour

Animale e nume

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

Abner Misau, pittore decaduto, vive nella solitudine del proprio studio bevendosi gli ultimi istanti di una carriera sull’orlo del fallimento, quando la sua routine quotidiana – fatta per lo più di bozze incomplete e bottiglie di liquore – viene spezzata da una telefonata inconsueta.
Trascinato in un laboratorio nascosto fra le vette andine, l’artista si trova alle prese con la sua ultima, inaspettata committenza: un misterioso pianeta colorato che sembra essere animato da un’impenetrabile luce soprannaturale. I personaggi che compaiono, illuminando o infittendo l’enigma, sono indizi confusi e spesso stravaganti disseminati nel tempo e nello spazio: un eretico autoproclamato ciarlatano del Trecento messo sotto torchio dall’Inquisizione per aver affermato di conoscere l’esatta posizione di Dio nella volta celeste; un imperatore Inca lasciatosi convincere da alcuni congiurati a scavare un profetico cratere nelle viscere della terra; un arcigno pontefice che aborrisce l’arte e vorrebbe dare una bella mano di bianco sopra gli affreschi della Cappella Sistina.
Con l’aiuto di un potente telescopio che colleziona messaggi provenienti da lontano, Abner Misau è chiamato a risolvere un rompicapo più vicino e familiare di quel che possa apparire a prima vista; un mistero che giunge da una stella remota, ma che racchiude in sé il segreto dell’arte stessa.
LanguageItaliano
Release dateOct 4, 2018
ISBN9788831982078
Animale e nume

Related to Animale e nume

Related ebooks

Fantasy For You

View More

Related articles

Reviews for Animale e nume

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    Animale e nume - Enrico Bordignon

    © Enrico Bordignon

    Progetto grafico di copertina a cura di Giulia Conoscenti

    Logo realizzato da Veronica Carratello

    © 2018 Moscabianca Edizioni

    ISBN 978-88-319-8207-8

    www.progettomoscabianca.it

    info@progettomoscabianca.it

    Enrico Bordignon

    Animale e nume

    Io sono un tuo figlio inetto

    Che sulla terra appena cammina

    Tu hai colmato le mie mani povere

    Di splendidi colori e di pennelli

    Ma ora io non so come dipingerti.

    Marc Chagall

    1. To us art is an adventure

    into an unknown world, which

    can be explored only by those

    willing to take the risks.

    Mark Rothko, Manifesto, 1943

    1

    La telefonata di Abner Misau

    Al risuonare del primo squillo, ad Abner Misau parve di udire la prima tromba dell’Apocalisse. Aveva cinquantotto anni, un naso e delle mani molto grandi, una camicia a mezze maniche, sudata, a quadri. Spilungone e spigoloso, nella corporatura come nel temperamento, portava la barba nerastra ben curata e folta sotto il mento, risparmiando le gote pulite; un accenno di canizie si poteva scorgere sulla sommità della nuca, per metà ancora florida dei ciuffi castani della gioventù, in lotta contro l’offensiva del bianco invasore che già aveva sbaragliato le retrovie.

    Erano le tre del pomeriggio, d’estate, e Abner Misau alle tre del pomeriggio d’estate era stanco. Riusciva a lavorare un po’ la mattina presto per qualche ora, finché c’era ancora un po’ del fresco regalato dalla notte, ma doveva fermarsi non appena arrivava il caldo perché iniziava a sudare e boccheggiare e i pennelli gli scivolavano tra le dita.

    Di solito faceva un pranzo frugale, che si preparava da solo, poi beveva il caffè, si accomodava nella poltrona dello studiolo davanti alle tele fresche di colore, le contemplava un poco con occhi severi e verso le quattordici si appisolava, risvegliandosi qualche ora dopo rintontito, madido e di cattivo umore. Se provava a mettersi a dipingere dopo quell’ora i risultati lo nauseavano, quindi aveva imparato a fare altro per tenere occupate le sere: consultava i lavori e gli scritti dei colleghi (ogni tanto), riordinava le tempere e le preparava per la mattina seguente (di rado), usciva a fare due passi (controvoglia) e comperava il caffè nel pub dietro casa, (perlopiù) beveva. Anzi, da quando i critici avevano iniziato a recensire negativamente i suoi ultimi lavori, bollandoli come ridicoli e insipidi esperimenti della tarda età dovuti ai rimpianti di una carriera mediocre mai del tutto compiuta e alla presunta necessità del pittore di combinare qualcosa di interessante prima di tirare le cuoia, bisogna dire che Abner si era prodigato nel bere con molta dedizione e costanza.

    Quando arrivò la telefonata, il pittore stava in effetti dormendo, il che fu un bene dal momento che quando dipingeva staccava il telefono e che quando beveva non lo sentiva.

    Sostenere che il signor Misau fosse un pittore mediocre non rende giustizia né a lui né alla sua opera. Esistono innumerevoli criteri per decretare la grandezza di un artista: la fama e gli onori ottenuti in vita presso le masse; la qualità delle opere portate a termine e la teorica che vi sta dietro, sempre che vi sia; il denaro guadagnato tramite la vendita di queste ai collezionisti privati. Considerando tutti questi aspetti, possiamo dire che il nostro artista produsse arte di un certo valore e per questo gli va serbato almeno un po’ di rispetto, anche se, con tutta probabilità, il suo nome non avrebbe avuto molto spazio nell’immortale memoria dei posteri, e sarebbe stato ricordato al più per un secolo o un secolo e mezzo, se non fosse stato per le vicende che fra poco racconteremo.

    Abner viveva da solo in un vecchio ma elegante appartamento al numero 33 di Canale Griboedov, Leningrado, non lontano da quell’incantevole Prospettiva dove, molti anni prima della sua nascita, un suo timido predecessore s’era innamorato di una bella prostituta grazie alla complicità di Gogol.

    Il giorno in cui il piccolo Misau venne al mondo, una fredda mattina al principio del 1924, tutti i parenti indossarono l’abito scuro da lutto e un fazzoletto rosso all’avambraccio, e lo zio da Mosca osò addirittura insinuare che il neonato avesse deliberatamente scelto il momento sbagliato per nascere. Subito dopo il frettoloso parto, che ebbe luogo nel retrobottega di un macellaio sotto gli occhi terrorizzati di Misau padre e di una giovane infermiera che passava per caso lungo la strada quando la madre fu sorpresa dalle doglie, il bimbo fu avvolto nelle uniche fasce che si riuscì a procurare – dei fogli di giornale freschi di stampa – e portato a casa. Quando la balia lo liberò dall’incartamento imbrattato dai liquidi del travaglio, dando uno sguardo di sfuggita alla prima pagina della Pravda, il poppante se la vide davvero brutta, tale fu lo sgomento della donna nel leggere il doloroso inchiostro cirillico che strillava: Addio, compagno Lenin!.

    Così, il pittore conobbe soltanto gli ultimi tre giorni della gloriosa Pietrogrado, presto ribattezzata in onore del defunto leader, e durante la sua vita nomade e sregolata fece del proprio meglio per tenersi ben distante da quella città che gli diede un natale tanto sciagurato, salvo farvi ritorno all’approssimarsi della pensione e dei primi reumatismi – quasi a voler sugellare una simmetria biografica da poter leggere in futuro nei libri di storia dell’arte, una simmetria così poco in armonia con i suoi propositi di artista.

    Abner Misau non era di certo mai stato un accademico, uno che segue le tradizioni o le correnti, un ritrattista, un paesaggista, un realista, un illuminista, impressionista, avanguardista; tutte queste etichette inventate dai predecessori o propinate dalla critica le aveva accantonate, non tanto per pretenzioso anticonformismo ma piuttosto perché erano il prodotto di altri, e lui non era gli altri, lui non si sarebbe mai adagiato confortevolmente su orme già marcate, ormai irriconoscibili a forza di essere calpestate. Lui voleva essere un pioniere, un battitore di sentieri.

    Emblematica fu una discussione che ebbe con un professore dell’Accademia di Vienna durante una conferenza alla quale lo avevano invitato, in cui sbraitò con fervore: «Ancora con questa figura?! Cosa avrà questa figura di tanto speciale? Voi ossessionati della figura mi fate ribrezzo, la figura è riproduzione di cose, l’arte è creazione! Smettetela di copiare! Dio ha forse copiato da qualcuno nei suoi sei giorni di lavoro? Mi stupisco che non abbiate insignito un pappagallo presidente di quest’accademia». Il professore aveva semplicemente ricordato nella propria introduzione l’abilità di Michelangelo nel riprodurre la figura umana.

    Quando a ventisette anni scrisse il suo Manifesto, lasciò poco spazio a equivoci: esistevano solo l’artista, il colore e il supporto, nulla si sarebbe dovuto mettere fra il pittore e la materia, fra la tempera e la tela; non sentimenti, non realtà, non psicanalisi, non il vissuto personale, non memoria, non divinazione, non simbolismi, non storia, filosofia, umanità, politica – tutte cose effimere e legate al passare del tempo. C’era solo spazio per il colore illuminato dalla luce, eterno e immutabile, frutto di infinite combinazioni possibili, inesauribile, plasmato a partire dai soli tre primari: giallo, magenta e ciano. Sconfinato nelle sfumature, imprevedibile nelle forme, il colore diveniva unico strumento e unico scopo dell’artista; il colore era l’arte stessa. Secondo la sua visione questo era l’unico modo per sostenere con coerenza l’incorruttibile autonomia dell’arte, poiché un’opera che rimanda a qualcos’altro, qualsiasi cosa d’altro, non è vera e propria arte, ma è quella cosa travestita da arte; così La libertà che guida il popolo è la Storia camuffata da arte, La Gioconda è l’Enigma camuffato da arte, il David è la Bellezza camuffata da arte – tutto, ma non arte.

    L’idea che si era messo in testa in gioventù e che lo perseguitò per il resto della vita era il semplice intendimento di creare qualcosa di nuovo. Qualcosa di non-presente, che non avesse alcun riferimento, anche impercettibile, con il mondo e con se stesso, senza punti di partenza (o di arrivo), un quinto elemento, qualcosa di mai immaginato prima, di mai visto, udito, percepito, un non-essere da far venire alla luce.

    Abner compose innumerevoli saggi e trattati sul colore in sé e per sé, sul colore come essenza avente una sua propria dignità, sul colore che basta a se stesso. Si raccomandava con i critici d’arte, con i professori e gli studenti che avessero voluto analizzare i suoi lavori, affinché l’analisi fosse integerrima con i suoi principi: «Questo olio su tela di A. Misau, dal titolo Rosso prevalente con accenni di verde si compone di ampie macchie rosse purpuree distese in modo omogeneo sulla superficie, con lievi pennellate sparse qui e là di verde pisello, verde smeraldo, verde oliva», e niente di più. E anche su una recensione del genere il pittore avrebbe avuto da ridire, trattandosi il pisello, lo smeraldo e l’oliva di evidenti quanto inaccettabili richiami alla realtà naturale.

    Erano appunto le tre del pomeriggio, quando l’apparecchio squillò. Il maestro si risvegliò di soprassalto dal torpore.

    Due squilli.

    La stanza era in penombra, Abner si alzò a fatica dalla poltrona, incespicò verso la finestra e scostò le tende; la luce meridiana divampò arrogante e le sue palpebre si strinsero assottigliando gli occhi.

    Quattro squilli.

    Lottando contro la vertigine, provocata un po’ dalla luce improvvisa, un po’ dalla stanchezza, si mosse verso la cassapanca. Dovette appoggiarsi un momento con entrambe le mani per raccogliere le membra e sforzarsi di ordinare i pensieri per riuscire ad affrontare l’imminente seccatura di un colloquio via etere.

    Sei squilli. Alzò infine la cornetta.

    «Misau».

    Dall’altra parte risuonava una specie di ronzio lontano, come se tante persone stessero parlottando fra loro. Il pittore attese qualche secondo, poi ripeté impaziente, con voce più ferma: «Misau. Chi parla?»

    Il remoto brusio tacque, si sentì una voce femminile ovattata che diceva «Ssh! Ha risposto!»

    La stessa voce femminile, ora più nitida, si rivolse alla cornetta: «Buonasera. Il Dottor Misau? Abner Misau?»

    «Buonasera a lei. Sì, sono io, Abner Misau, senza Dottore».

    «Il pittore?»

    «Già. Cosa vuole?»

    «Necessitiamo

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1