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Lungo il percorso del cerchio
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Lungo il percorso del cerchio

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About this ebook

La nostra vita è come un cerchio di cui percorriamo la sua circonferenza.
Prima o poi lo chiuderemo tornando al punto di partenza, il punto in cui il nostro spirito si appropriò del corpicino di un piccolo essere e da cui poi lo abbandonerà per raggiungere le sfere celesti, il luogo da dove arrivò un tempo. Dentro il cerchio lasceremo ciò che abbiamo fatto in tutti i  giorni della nostra vita e che rivedremo quando saremo lassù e dovremo renderne conto.
Cos'ha messo Roberto dentro il cerchio della sua vita? E cosa gli manca ancora per completare il suo percorso?
Lo scopriremo leggendo questo romanzo ed emozionandoci con lui.
LanguageItaliano
Release dateOct 3, 2018
ISBN9788829520589
Lungo il percorso del cerchio

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    Lungo il percorso del cerchio - Salvatore Viola

    Teresa)

    Introduzione

    Ed eccomi qui. Eccomi a cercare di chiudere il cerchio della mia vita. Ho percorso per tanti anni la sua circonferenza e il più è fatto, siamo quasi alla fine. Quanti anni ancora?

    Raggiungerò il punto di partenza, il punto in cui il mio spirito si appropriò del corpicino di un piccolo essere e che ora lo abbandonerà, ormai adulto e avvizzito, per raggiungere le sfere celesti, il luogo da dove arrivò un tempo. Dentro il cerchio lascerò ciò che ho fatto in tutti i giorni della mia vita e che rivedrò quando sarò lassù e dovrò renderne conto.

    Quando entro nella stanza di mio figlio, poso sempre lo sguardo su un quadretto di ceramica che gli fu regalato dalla maestra della scuola elementare quando finirono la quinta. C’è scritto:

    "Siate un cespuglio

    se non potete essere un albero,

    se non potete essere il sole

    siate una stella.

    Ma siate il meglio di qualunque cosa siate."

    Un bellissimo regalo, frasi tratte da Madre Teresa (ho riportato il testo prima dell’introduzione), ma anche da Martin Luther King e da Douglas Malloch.

    In queste frasi è contenuto l’essenza della nostra vita…Siate il meglio di qualunque cosa siate. Dovremmo dare il meglio di noi stessi in tutte le cose che possiamo e riusciamo a fare.

    Cosa c’è dentro il cerchio della mia vita? Ho dato il meglio di me in tutte le cose che potevo fare? Quante cose ho lasciato a metà, in quante cose non ho messo l’impegno che avrei dovuto? Si, ho lottato per realizzarle e  me la sono cavata molto spesso non contento di quello che ero riuscito a fare, ma con la consapevolezza che mi ero impegnato a farle nel miglior modo possibile.

    Ma forse sono mancato nelle cose più importanti perché sono stato figlio e poi marito e padre, ma non credo di essere stato il meglio di me in nessuno di essi, soprattutto come marito e padre. Purtroppo è molto più facile impegnarsi nelle cose materiali che in quelle spirituali in cui la propria sensibilità ha una importanza fondamentale per riuscire ad essere il meglio di noi stessi.

    Nel corso della mia vita ho cercato anche di dare impulso alle mie passioni inespresse e mi sono cimentato come pittore, poeta, scrittore. Soprattutto la passione di scrivere penso di averla avuta dalla nascita nel mio DNA. Sin da ragazzo ho abbozzato l’inizio di racconti. Avevo quindici anni quando incominciai a scriverne uno seriamente. Conservo  ancora le bozze come cimeli di quel tempo della mia giovinezza. Era un racconto ambientato nella mia terra, la Sardegna, che iniziava con la descrizione della festa più rappresentativa per la mia isola, la festa di Sant’Efisio. Doveva diventare una bellissima storia d’amore, ma è rimasta solo un’intenzione e qualche foglio di quaderno spiegazzato e conservato da una parte. Ero solo un ragazzo.

    La passione per la scrittura è rimasta sopita sotto la cenere dei giorni consumati a percorrere il cerchio della mia vita. Ma sotto quella cenere ardeva ancora e ogni tanto una parte di essa affiorava in superficie e mi spingeva a scrivere poesie.

    Poi, all’improvviso, è divampata in modo travolgente ed ho ricominciato a scrivere.

    Il sogno della mia vita, di scrivere un libro, si è realizzato. E’ nato Vite, una serie di racconti intervallati da quelle poesie che avevo composto nell’arco degli anni.

    Quasi subito dopo, essendo il primo solo una serie di piccoli racconti, ho voluto realizzare un romanzo unico ed è nato Le tre vite di Jonathan.

    Se devo esprimere cosa ho provato dopo la realizzazione del mio primo libro, devo dire che vederlo pubblicato nelle librerie online è stata un’emozione fortissima e ancora oggi, quando vado a cercarlo e lo trovo, mi emoziono. Sicuramente non diventerà un best seller e probabilmente non lo acquisterà nessuno, ma il valore di avere realizzato un’impresa rimarrà per sempre nel mio cuore. Quando non ci sarò più, i miei libri rimarranno tracce indelebili del mio passaggio sulla terra e dietro ogni riga delle loro pagine celeranno la mia mente che pulsava di idee per realizzarlo, i giorni della mia vita passati a battere sulla tastiera del computer nei momenti più impensati della giornata, magari in quelle pause di tanti giorni difficili. Non ho mai avuto la possibilità, come tanti scrittori, di ritirarmi a scrivere nei momenti in cui la mente elaborava le idee e di metterle subito su carta. Ho sempre cercato di immagazzinarle dentro di me per trovare poi i momenti opportuni per poterle scrivere. E questo è stato un grosso handicap, perché la mia mente ormai, con l’età che avanza, vacilla. Elaboravo dei pensieri bellissimi, delle frasi che erano complete nella loro esposizione lineare e poi, dopo giorni, quando andavo a riportarle su carta, non erano più le stesse, erano solo un aborto di quello che avevo pensato. Ma la forza di andare avanti mi ha sempre fatto superare tutte le difficoltà.

    Dopo aver scritto e pubblicato Le tre vite di Jonathan, mi sono detto che la mia vita di scrittore era finita.

    Mi sentivo appagato. Si, deluso per non aver trovato riscontro nelle vendite nelle librerie online, ma questa è la fine di migliaia di libri che non avranno mai una campagna pubblicitaria alle spalle tale da attirare il grosso pubblico e sapevo già in partenza che sarebbe andata a finire così. E poi, perché qualcuno avrebbe dovuto leggere i miei libri, che magari sono solo, rispetto a quelli pubblicati da veri scrittori, delle pagine noiose e senza senso?

    Così mi sono fermato.

    Sapevo che Le tre vite di Jonathan meritava di avere un seguito, ma mi sentivo svuotato. La mia mente era priva di idee e mi dicevo che andava bene così, che il mio sogno lo avevo realizzato e doveva bastarmi. Si, la passione ardeva ancora sotto la cenere dei miei giorni ed io la sentivo, ma non bastava per darmi stimoli nuovi.

    E’ passato un anno da allora, non ci pensavo ormai più. Ma poi la curiosità di immaginare il seguito di quel libro, mi ha spinto a scriverne l’introduzione e poi mi sono ancora fermato. Le idee per iniziare a svolgerlo non venivano, ma sapevo che prima o poi sarebbero arrivate.

    E sono arrivate, come un fiume in piena, inarrestabile. Non riuscivo a contenerle, a fermarle per qualche giorno, il tanto di darmi la possibilità di svilupparle.

    È nato così Il dono di Jonathan e poi ancora Alla ricerca di Jonathan per completare la trilogia di questo magnifico personaggio.

    Ma oltre questo, mentre scrivevo, mi son reso conto che, se il mio percorso di scrittore era iniziato da ragazzo col tentativo di scrivere quel romanzo ambientato in Sardegna, doveva chiudersi con la sua realizzazione. Lo dovevo a quel ragazzo che iniziava ad incamminarsi lungo il cerchio della sua vita e lo devo a quest’uomo che sta per arrivare alla fine del suo percorso.

    1

    Oggi Cagliari è in festa. Tutta la Sardegna è in festa e rende omaggio a Efisio, il giovane ufficiale pretoriano del periodo di Diocleziano che si convertì alla fede cristiana e per questo fu arrestato, torturato e poi decapitato sulla spiaggia di Nora.

    Ogni anno viene sciolto dal popolo sardo un antico voto, pronunciato nel 1652, quando l’Assemblea civica chiese ad Efisio la protezione di Cagliari e dell’intera isola dalla peste che in quegli anni si era diffusa rapidamente ed aveva causato, solo nella città, oltre diecimila vittime decimandone gli abitanti.

    Promise che, se Efisio fosse riuscito a sconfiggere la peste, avrebbe tributato ogni anno in suo onore una processione e dei festeggiamenti.

    Nel 1657 fu per la prima volta sciolto il voto con una processione solenne e il simulacro fu trasportato fino alla chiesetta di Nora, accompagnato nel tragitto, non solo dalle autorità e dai cagliaritani, ma anche dai rappresentanti di gran parte dei paesi di tutta la Sardegna.

    Da allora, ogni anno a maggio, si perpetuano le celebrazioni che hanno il momento più alto nella processione che non ha eguali nel Mediterraneo. In essa sono racchiuse la devozione, la fede e le tradizioni centenarie del popolo sardo, con la partecipazione dei gruppi che vestono gli abiti tradizionali dei loro paesi e che provengono da tutte le parti della Sardegna.

    Ma Sant’Efisio non fece, per il popolo sardo, solamente il miracolo di debellare la peste.

    Nel febbraio del 1793, Cagliari fu assediata e bombardata dalla flotta francese. La popolazione invocò la sua protezione e le milizie popolari riuscirono a respingere i francesi che nel frattempo era sbarcati e si apprestavano a sopraffarle.

    Per onorare il voto fatto per quella grazia, ogni lunedì dell’Angelo si snoda una processione che porta la statua in Cattedrale.

    Oltre a questa processione, se ne  svolgono altre due in onore del Santo: il 15 gennaio per commemorare il giorno del suo martirio e il giovedì santo, in cui Sant’Efisio,  vestito a lutto, fa Il Giro delle Sette Chiese, partendo dalla sua e poi fermandosi per una preghiera davanti agli altari addobbati di quelle di Sant’Antonio, delle Monache cappuccine, di San Giovanni, dell’Oratorio dell’Arciconfraternita del Santissimo Crocifisso, di Santa Rosalia e di Sant’Anna, per poi tornare nuovamente nella chiesa di partenza.

    ~ ~ ~

    Lascio via Roma, dove ha sede il Municipio ed è stato allestito il palco delle autorità, mentre infiorano la strada di petali secondo il rito de Sa ramadura e percorro Largo Carlo Felice verso Piazza Yenne. Ho intenzione di arrivare fino alla chiesa di Sant’Efisio per assistere ai preparativi e ad una delle messe prima della partenza del Santo. Quest’anno ho avuto la fortuna di avere i miei giorni di riposo il primo e il due maggio ed ho deciso di approfittare dell’occasione per rivivere le sensazioni che regala questa meravigliosa festa. 

    Nei pressi della chiesa intravedo Su Carradori, l’incaricato alla guida dei buoi che traineranno il cocchio dove verrà messa la statua del Santo. La mattina presto ha addobbato il cocchio e i buoi di fiori  e campanelli ed è pronto per ricevere la statua che è ancora in chiesa per la celebrazione delle messe. L’Arciconfraternita del Gonfalone, che è custode della tradizione della Festa ed ogni anno l’organizza, ha provveduto dai giorni prima alla vestizione del Santo e il 30 aprile l’ha completata ornandolo di gioielli d’oro donati come ex-voto dai fedeli che hanno ricevuto grazie.

    Faccio appena in tempo a vedere il Terzo Guardiano, rappresentante della Festa e principale responsabile della sua organizzazione, che sta lasciando la chiesa. Viene accompagnato da Sa Guardianìa, composta dai rappresentanti delle diverse classi sociali cagliaritane, in Municipio, dove lo attende l'Alter Nos.

    Questi si trova già al cospetto del Sindaco, dove è stato portato dai Mazzieri, che per tradizione scortano le più alte cariche cittadine. In Municipio avverrà la sua investitura ufficiale di fronte a Sa Guardianìa e a tutte le personalità civili e militari.

    L’Alter Nos incarna l’unione della municipalità, essendo il rappresentante del Sindaco di Cagliari, con la religiosità. Perciò, dopo l’investitura, tornerà nella chiesa di Sant’Efisio, dove si svolgerà la messa solenne in suo onore e durante la messa, cantata in latino, verrà consacrato religiosamente. Sfilerà a cavallo, con la fascia tricolore e vestito in frac e cappello a cilindro e precederà il cocchio del Santo scortato da due Mazzieri in livrea del seicento. Lo precederanno, sempre a cavallo, i Miliziani, antico corpo militare ausiliario sardo, vestiti col tradizionale corpetto rosso, berritta rossa e armati di archibugio, che hanno il compito di scortare il santo. Ancora davanti a l’Alter Nos e subito dopo i Miliziani sfileranno i membri de Sa Guardianìa e il Terzo guardiano con lo stendardo dell’Arciconfraternita.

    ~ ~ ~

    Dopo aver ascoltato la messa, esco dalla chiesa e ripercorro Largo Carlo Felice fino alla parte bassa nei pressi di via Roma. La gente si è accalcata ai lati della strada in attesa delle traccas che apriranno la sfilata.

    Le traccas sono antichi carri da lavoro trainati da buoi e addobbati con i prodotti dei campi, prodotti tipici dei paesi del Campidano e utensili della casa e rappresentano la vita agropastorale sarda. A bordo siedono uomini, donne e bambini, vestiti con gli abiti tradizionali dei loro paesi.

    Mi sistemo in un punto che abbia una buona visibilità.

    Ora le traccas iniziano ad immettersi nel Largo, provenienti da via Angioy, dopo aver fatto il giro di Piazza del Carmine. I canti sardi e i sorrisi dei partecipanti sono contagiosi e i magnifici addobbi dei loro carri ci inducono ad applaudirli al loro passaggio. A fianco a me sento i commenti entusiasti di due donne dall’accento continentale (continentale è chiamato da noi chi proviene da altre parti dell’Italia).

    Sono abituato per natura ad osservare le persone, i loro atteggiamenti ed ascoltare le loro parole, soprattutto se pronunciate con qualcuno che conoscono, perché da questo riesco abbastanza bene a valutare i loro caratteri. Perciò, per un po’ attirano la mia attenzione e mi distolgono dalle traccas che mi sfilano davanti.

    Penso che abbiano un’età intorno ai quarant’anni, sono longilinee ed hanno pressappoco la mia altezza (170 cm.). Una di loro ha i capelli neri ondulati che le arrivano quasi alle spalle, ha lineamenti dolci e una risata contagiosa. Tra le due è quella che tiene banco nella conversazione ed ha un atteggiamento esuberante. Quando incrocia il mio sguardo, anche se è solo per un attimo, noto il suo viso che mi valuta in modo malizioso. L’altra invece ha i capelli castano chiaro lisci che le arrivano alle spalle, ha anche lei lineamenti dolci e, quando sorride, le si illumina il viso come una madonna. Non è esuberante come l’altra, anche se non mi sembra una donna introversa ed è sicuramente una persona riflessiva. Sento quella con i capelli neri commentare la bellezza della tracca che passa in questo momento e dire all’altra: «Pensa che bello noi due sedute sopra il carro vestite con quei costumi!»

    Poi, con mia sorpresa, si rivolge verso di me.

    «È possibile che qualcuna come noi, non sarda, possa salire su quei carri?» mi chiede.

    «Credo di si, naturalmente giurando fedeltà per sempre alla Sardegna!» le rispondo ridendo e poi aggiungo: «Scherzo, naturalmente. Non sono informato, ma comunque è possibile che, esistendo un legame con le famiglie che organizzano il carro, si possa anche fare. Naturalmente non prendete per buono quello che ho detto.»

    «Sei di Cagliari?» mi chiede a bruciapelo e rimango sorpreso dall’atteggiamento confidenziale. Lei nota subito il mio momento d’imbarazzo e aggiunge subito: «Scusa per il tu. Sono abituata così con le persone con cui faccio amicizia, ma se ti crea imbarazzo, con te non lo farò.»

    «No, mi va più che bene, anzi mi fa piacere. Sono abituato anch’io a farlo, naturalmente quando mi rendo conto che è possibile. Per quanto riguarda la tua domanda, si, sono di Cagliari e ci abito.»

    Mi porge la mano in segno di saluto.

    «Io sono Irene e la mia amica è Giulia, siamo veneziane e abitiamo a Mestre.»

    Beh, almeno lascia in po’ di spazio alla tua amica! penso mentre la saluto.

    «Piacere, io sono Roberto», le dico e porgo la mano anche a Giulia, che me la stringe sorridendo.

    «Siete in vacanza qui a Cagliari?» chiedo rivolto verso di lei. Sta per rispondere Irene ma questa volta, con mia grande soddisfazione, Giulia la precede.

    «Siamo venute appositamente per vedere la sfilata. Irene è stata qui con degli amici due anni fa e l’ha vista, rimanendone affascinata. Me ne ha parlato talmente tanto che mi ha incuriosito e le ho chiesto di venire insieme per poterla vedere anch’io. Siamo arrivate ieri e ripartiamo domani sera.»

    «Avete fatto un’ottima scelta. Vedrete i gruppi di tanti paesi della Sardegna, che con i loro meravigliosi costumi tradizionali vi porteranno le pulsazioni di ogni angolo della nostra terra e poi potrete assistere alla fede che accompagna tutta la manifestazione. Peccato che non possiate trattenervi, la Sardegna è un incanto ed è bella da girare.»

    «Si, il primo impatto con la Sardegna è stato positivo», continua Giulia. «Non c’ero mai stata. Abbiamo un po’ girato Cagliari ieri sera e mi è sembrata molto bella. Purtroppo siamo appiedate e non possiamo fare granché. Poi il nostro tempo è abbastanza limitato e abbiamo preferito non prendere un’auto a noleggio in quanto dovevamo soggiornare solo qui in città.»

    «Perché non ci fai tu da cicerone?» interviene Irene. «Scusa, sono stata sfrontata…forse hai famiglia e poi devi tornare a casa.»

    «No, sono libero come l’aria. A casa non ho nessuno che mi aspetta.»

    «Caspita, non sei sposato! Magari non hai neanche una fidanzata…» esclama Irene sempre di più interessata.

    «Ci hai proprio azzeccato», le rispondo sorridendo.

    «Anche noi siamo libere... io veramente un tempo non lo ero. Ho un matrimonio sciagurato alle spalle, durato solo un anno. Poi ho mandato tutto all’aria e ho deciso di vivere la mia vita senza impegni fissi.»

    «E tu, Giulia? Anche tu la pensi come Irene?» le dico cercando di farla parlare anche per capire bene il suo carattere.

    Irene interviene prima che possa dire qualcosa.

    «Giulia io la chiamo la verginella. Non ha mai avuto un amore e, se continua così, mai l’avrà perché secondo me è troppo esigente e cerca cose che deve essere veramente fortunata per trovarle negli uomini.»

    «Beh, non è sbagliato pensarla come lei» intervengo, cercando di bloccare il disagio che ho visto negli occhi di Giulia. «Sono anch’io per l’amore vero ed è giusto aspettare per darsi ad una persona, ma sono anche d’accordo con te che è quasi impossibile trovarlo.»

    «Siamo già in età avanzata, Roberto, e non posso fare troppi calcoli sugli uomini che conosco, naturalmente rispettando sempre i requisiti più elementari.»

    «Perché parli di età avanzata? Siete giovanissime! Poi, sono curioso di sapere quali sono per te i requisiti più elementari per accettare un uomo.»

    «Abbiamo quarantadue anni sia io che Giulia e sono già tanti. Tu invece, Roberto? Credo all’incirca come noi…»

    «Un bel po’ in più…sono già quarantanove fatti a marzo.»

    «Gli porti bene, complimenti!» continua Irene.

    «Per quanto riguarda i requisiti che cerco negli uomini che possano interessarmi, sono quelli che hai tu…», mi dice sorridendo.

    «Mi conosci troppo poco, Irene. Non penso sia sufficiente per valutarmi.»

    «Per me sì, vado a pelle, e il mio istinto mi dice che sei un uomo interessante.»

    La conversazione ha preso una piega poco gradevole per Giulia. Noto il suo imbarazzo crescente alle parole di Irene, anche se penso sia abituata agli atteggiamenti dell’amica.

    Cerco di sviare il discorso.

    «Guardate, stanno iniziando a sfilare i gruppi!»

    Finalmente Irene e Giulia iniziano ad interessarsi alla sfilata e seguono attentamente tutti i gruppi in costume che procedono recitando o cantando le preghiere della tradizione sarda. Le osservo emozionarsi sempre di più al loro procedere ed esclamare diverse volte: «Stupendo…magnifico…bellissimo!»

    Ogni tanto mi si rivolgono a turno per chiedermi informazioni su qualcuno di loro e da che parte della Sardegna provengono, dopo aver visto il drappo che indica il paese che rappresentano.

    Irene è un fiume in piena. Saluta qualche componente dei gruppi e fa anche a loro delle domande, applaudendo poi entusiasta. La osservo e distolgo spesso l’attenzione dalla sfilata. È vestita con un pantalone blu e una camicetta bianca che mette in risalto i suoi seni perfettamente tondi e non eccessivamente grandi. Quando parla e sorride le si formano delle leggere fossette nelle guance che la rendono ancora più simpatica. Ma è tutta la sua gestualità che la rende attraente e non credo faccia molta fatica a sedurre gli uomini che le interessano.

    Giulia ha lo stesso bel corpo di Irene. Veste con una gonna nera che mette in risalto due splendide gambe e una camicia monocolore rosa in chiffon con girocollo e maniche a ¾ che cade fuori dalla gonna. Guarda estasiata tutta la sfilata senza parlare molto e, quando sorride, anche a lei le si formano delle graziose fossette sulle guance e le si illuminano gli occhi che ha di un verde smeraldo e mi ricordano certe zone del nostro mare. Malgrado non abbia l’atteggiamento esuberante e malizioso della sua amica, tutto il suo essere sprizza seduzione. Ogni tanto mi lancia un segno di approvazione per quello che vede e che l’entusiasma.

    Ecco che arrivano i cavalli con i Cavalieri campidanesi, i Miliziani, Sa Guardanìa e il Terzo guardiano con lo stendardo dell’Arciconfraternita.

    Subito dopo s’intravede l’Alter Nos scortato dai due Mazzieri in livrea del seicento, che precedono il cocchio del Santo che deve ancora arrivare nel Largo Carlo Felice.

    «Fra poco arriverà il cocchio con la statua di Sant’Efisio!» annuncio rivolto a Giulia.

    «Ma non era sardo, vero?» mi chiede. «Ho letto in internet che era un ufficiale di Diocleziano che fu mandato a combattere i cristiani, ma poi si convertì e per questo fu giustiziato…»

    «Si, è proprio così, non era sardo. Era nato a Gerusalemme, che a quei tempi si chiamava Aelia Capitolina, da padre cristiano e madre pagana che lo introdusse alla corte di Antiochia dall’Imperatore Diocleziano, che lo prese sotto la sua protezione e lo fece diventare il capo di un suo contingente militare. Poi gli diede l’incarico di recarsi in Sardegna per combattere i cristiani. Ma, cosi racconta la tradizione, non era ancora giunto in Sardegna quando, mentre era in marcia col suo esercito, un bagliore improvviso lo disarcionò da cavallo. Gli apparve in cielo una croce e una voce, dopo avergli fatto alcune domande, gli disse che era Colui che perseguitava e che da allora in poi avrebbe combattuto per lui. Fu proprio in quel momento che sul palmo della mano destra gli si impresse una croce come quella che vedeva. Giunto in Sardegna, depose le armi ed iniziò il suo apostolato con gli abitanti del luogo. Diocleziano, saputolo, cercò in un primo tempo di convincerlo a ravvedersi e a riprendere la fede verso gli dei romani, poi, non riuscendoci, lo fece imprigionare e torturare. Ma fu tutto inutile ed allora fu condannato alla pena capitale mediante decapitazione per spada. Fu decapitato sulla spiaggia di Nora, lontano dalla città, per paura che potessero esserci insurrezioni in  sua difesa. Non so se conosci la storia del voto fatto al Santo dal popolo sardo…»

    «Si, la conosco, ho letto anche questo. Quindi, ogni anno, per sciogliere il voto, la sua statua viene portata fino a Nora…»

    «Fa diverse tappe prima di arrivarci. La prima è nella chiesetta di Giorgino, nel villaggio pescatori, dove le vengono cambiate le vesti con altre più semplici e viene trasferita su un carro da viaggio. Poi si ferma a Maddalena spiaggia, in una località detta Su Loi, a Villa d’Orri dei Marchesi di Villahermosa e quindi giunge a Sarroch e lì trascorre la notte nella chiesa di Santa Vittoria. Il giorno dopo viene portata a Villa San Pietro, poi prosegue per Pula e infine a sera raggiunge Nora.

    A Nora, per tutto il 3 maggio, prosegue la commemorazione del Santo con messe e la processione in cui la statua viene portata in spalla lungo i luoghi del martirio. Il 4 maggio rientra a Cagliari e viene accolta dalle milizie e ricondotta nella sua chiesa, dove viene celebrata una messa solenne. Pensa, di Sant’Efisio esistono tre statue. Quella che vedrai fra poco è la più importante perché è quella che viene portata ogni anno in processione. Però la più antica è un’altra, che viene chiamata Sant’Efis sballiau, cioè Sant’Efisio sbagliato, perché ha la croce impressa nella mano sinistra anziché nella destra. La terza è conservata nella stanza dov’è custodito il cocchio e il Giovedì Santo, vestita a lutto, fa il giro di sette chiese di Cagliari. Viene anche portata, il Lunedì dell’Angelo, in processione alla Cattedrale.»

    «Che bello! Mi piacerebbe conoscere i posti del tragitto fino a Nora…», esclama Giulia.

    «E a me piacerebbe farteli conoscere, ma oggi, col caos che c’è, non credo sia indicato percorrere quella strada. Magari un’altra volta che verrai a Cagliari», le dico.

    Frattanto Irene, che scambiava le sue impressioni con una signora che le stava accanto, ci vede parlare e si riavvicina a noi.

    «Ehi, voi due! Che state confabulando senza di me?»

    Sia io che Giulia le sorridiamo, ma quasi con una complicità involontaria, non parliamo.

    Il cocchio di Sant’Efisio ha fatto la sua comparsa nel Largo e ci passa davanti tra le esclamazioni di approvazione delle due donne. È il momento più solenne di tutta la processione, quello in cui la fede per il Santo porta a raccogliersi nella preghiera. Anche Irene e Giulia, dopo l’entusiasmo per il cocchio con i suoi addobbi e per l’abbigliamento del Santo, si sono concentrate nel silenzio di quell’attimo che implica implorazioni personali

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