Andòrax, La congiura dei sàmina VOL. 2: VINCOLI DI SANGUE
By F. SANTINI
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I regni di Efyle e Ihssa, che quattro anni prima hanno tradito Mizhar e Yliash aiutando e accogliendo gli erdemiani di Dehanne, sono visti sempre più come una minaccia da eliminare da parte di Shimon, il Sommo Cavaliere ossessionato dal desiderio di spazzare via chiunque appoggi gli stregoni di Andòrax e la stessa Armin. Nel frattempo, per garantirsi la vittoria nella guerra ormai alle porte fra i cavalieri Darsow, re di Efyle, è disposto a comperare a caro prezzo, sacrificando il sangue del suo sangue, l'appoggio di un prezioso alleato del nord: i temuti e barbari Signori delle Montagne.
Circuiti da Shimon, i sàmina arrivano a organizzare una congiura contro gli stregoni. Lo stesso re di Mizhar nella sua pazzia architetta un piano che coinvolge Cladyan e che mette a rischio l'esistenza di Armin e il suo futuro assieme a Varsha...
Ma proprio nel futuro di un sàmina si cela un'insospettabile verità, mentre gli eserciti dei cavalieri si schierano per affrontare un conflitto che resterà nella storia di Alghend.
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Andòrax, La congiura dei sàmina VOL. 2 - F. SANTINI
F. SANTINI
Andòrax, La congiura dei sàmina VOL. 2
VINCOLI DI SANGUE
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" Purtroppo a volte non è possibile scegliere
il momento in cui combattere.
Possiamo solo farlo con coraggio
quando ci viene richiesto"
(Giorgio Faletti)
Proprietà Letteraria Riservata
©2016 by Federica Zozzoli Santini
Prima Edizione: febbraio 2017
https://andorax.jimdo.com/
Andorax: un medioevo ai confini del tempo
1
LA STIRPE DI ERDEM
Varsha setacciò le stalle, dove recuperò per istinto la borraccia da una delle selle, poi i locali lì attorno per più di mezz'ora alla ricerca della ragazza, che trovò vicino alle mura in un cortile interno alle spalle dell'edificio che ospitava il refettorio, dove arrivò vagando per curiosità, attirato dalla riservatezza del luogo in cui lei aveva effettivamente trovato la solitudine e la tranquillità di cui aveva bisogno. Armin era accucciata sulle gambe, addossata al muro di pietra; i gomiti puntellati sulle ginocchia, nascondeva il viso fra le mani. Non aveva l'aria di sentirsi bene; in effetti, gli era parsa molto pallida quando si era precipitata fuori dalla sala comune. Le si avvicinò facendo il minimo rumore, i passi smorzati dall'erba soffice. Armin dovette sentirlo arrivare comunque perché alzò la testa e lo guardò. Era un po' meno pallida, rifletté l'erdemiano con sollievo mentre studiava la sua espressione: il suo incarnato era roseo, le labbra accese. L'aria aperta le aveva fatto bene. La ragazza non gli nascose la propria sorpresa nel constatare che lui l'aveva seguita all'esterno senza temere che il suo gesto potesse essere notato dagli altri cavalieri. Provò un piacere autentico nel vederlo. Con un sospiro si alzò in piedi ma non accennò ad andargli incontro. Cercò sostegno contro il muro al quale appoggiò la schiena e lasciò che fosse l'erdemiano ad avvicinarsi.
L'espressione dipinta sul volto di Varsha era scura, la fronte accigliata; non si preoccupò di mascherare quanto fosse turbato per lei per quello che le stava succedendo ultimamente – turbato e arrabbiato. Di più. Aveva iniziato a sospettare che lei gli nascondesse qualcosa di grave. Non aveva indagato se a Efyle avesse avuto occasione di incontrare Tessa come si era impegnato a far sì che accadesse, né se avesse analizzato assieme a lei i sintomi del suo malessere; era curioso in proposito, ma evitò di farle pressioni e rivelare così che si era intromesso. Senza parlare, l'uomo le tese la borraccia con l'acqua e lei la prese, bevendone un sorso con gratitudine per lavare via il sapore amaro che le era rimasto in bocca. Non aveva dato di stomaco, ma i conati che l'avevano assalita le avevano irritato la gola e l'esofago.
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Varsha annuì con una smorfia, per educazione più che perché condividesse quell'osservazione, e continuò a tacere. La ragazza non ricordava di averlo mai visto così serio e imbronciato; si domandò se le stesse preparando un interrogatorio o un rimprovero. Il suo prolungato silenzio le pesò, così riprese a parlare nervosamente.
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Varsha sfregò i palmi delle mani sui calzoni e puntò gli occhi a terra, come se stesse cercando i termini più calzanti con cui sbottare e coprirla di rimproveri al fine di scuoterla e farsi dire da lei quello che era ormai evidente gli nascondesse. Smosse un sasso dal terreno con la punta dello stivale. Il cortile era deserto tranne che per loro due. Erano circondati solo da cielo e montagne, da pareti di pietra ed erba. Cavalieri e erdemiani erano a pranzo; quelli di turno sui cammini di ronda si trovavano in alto lungo le mura; li avrebbero intravisti ma non avrebbero potuto ascoltarli.
Armin vide Varsha aprire la bocca per prendere fiato e venne assalita da un'insopprimibile agitazione. Parlò prima di lui, di getto, senza nemmeno pensare. <
Varsha rialzò la testa di scatto, come un cacciatore attirato dal segnale improvviso di una preda, e fissò la ragazza, esterrefatto. Le sue sopracciglia si avvicinarono, gli occhi color smeraldo si socchiusero di conseguenza. Per dei lunghissimi minuti non replicò. Non fece che guardare Armin, incapace di dare un senso alla sua affermazione, incapace persino di mettere assieme parole e pensieri per replicare. Nella sua mente si era creato il vuoto. <
Il cuore della ragazza batteva furiosamente, le riempiva le orecchie, frastornandola. <
Gli occhi di Varsha lasciarono il viso di lei e scandagliarono per alcuni istanti il vuoto alla ricerca di un appiglio, quindi tornarono a posarsi sulla ragazza. Si portò una mano alla fronte, che massaggiò, poi la spostò per lisciare i capelli che portava legati e pettinati all'indietro. Era sempre più accigliato. Ripensò alle volte in cui era stata male, al modo in cui il malessere si era manifestato, agli atteggiamenti di lei che negli ultimi tempi gli erano parsi inusuali: tutto sembrò acquistare una spiegazione alla luce di quella rivelazione. Varsha scosse la testa, come nel tentativo di liberarla dal torpore. <
Armin annuì. Un nodo in fondo alla gola le impedì di parlare; gli occhi le pizzicarono. Non riuscì a muoversi, pietrificata. Fu Varsha a colmare lo spazio che li divideva e a travolgerla in un abbraccio così impetuoso che la sollevò di peso da terra. La ragazza si strinse a lui.
<<É meraviglioso!>> mormorò l'uomo, entusiasta. La voce gli tremò quando l'emozione lo tradì. Credette di essere sul punto di scoppiare in lacrime da un momento all'altro. Continuò a tenerla stretta mentre rideva di felicità, incurante che qualcuno di passaggio li potesse notare. <<É meraviglioso!>> continuò a ripetere. Quando finalmente la scostò da sé il sorriso svanì dal suo volto nel vedere che la ragazza stava piangendo. Armin provò ad abbassare la testa per nascondergli le lacrime, timorosa che Varsha le fraintendesse, ma lui le prese il viso fra le mani e la costrinse a guardarlo, il volto a pochi centimetri dal suo. <
La ragazza scoppiò a ridere senza smettere di piangere. <> lo rassicurò.
Varsha venne assalito da un sospetto che gli strinse lo stomaco in un crampo. <
La nota di ansia nella sua voce fece sorridere Armin. <
Varsha la attirò d'impeto di nuovo contro il proprio petto e la cullò come una bambina. Le accarezzò i capelli, le tenne la testa premuta contro la giubba. <
Armin si aggrappò a lui. Le sembrava che tutto stesse accadendo troppo in fretta. Pianse: scoprì di non poterne fare a meno. La faceva sentire meglio, sfogava il malessere che la divorava, la frustrazione derivante dal non avere più controllo su quel corpo che cambiava senza aspettare che lei ci si abituasse. Aver finalmente condiviso quel segreto aveva dato sfogo alla tensione accumulata e la faceva sentire meno sola.
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<<É un bel casino, Varsha>> singhiozzò la ragazza contro il suo petto.
Sorrise, divertito dall'espressione che lei aveva usato. <
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Lui annuì. <> le confidò. Non gliene aveva chiesto il motivo; se lei non aveva ritenuto necessario rivelarglielo, era giusto così. Le circondò le spalle e la strinse forte.
La ragazza tirò su con il naso. <
Varsha si irrigidì e la ragazza si accorse di quel cambiamento. Tuttavia, non smise di stringerla. <
Armin si staccò da lui per reclinare la testa all'indietro e guardarlo in faccia. Aveva gli occhi arrossati, le iridi grandi, la loro tonalità perlacea variegata di sfumature rosa e azzurre. Le lacrime le rigavano ancora le guance, ma aveva smesso di piangere. <
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Armin si inumidì le labbra, che trovò salate a causa delle lacrime. <
Varsha la squadrò, perplesso. L'idea non gli sembrò così assurda. Venne assalito da un sospetto. <<Élian lo sa?>> le chiese.
L'uomo apprezzò il suo ragionamento. Sorrise con una punta di tristezza. <
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Varsha produsse un verso indefinito di assenso dal profondo della gola, niente più. Non sembrava convinto, ma la notizia non lo aveva indisposto quanto Armin si era aspettata. L'aveva incassata stranamente bene. <
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Varsha piegò la testa da un lato e venne scosso da un brivido involontario. <<Élian mi farà a pezzi...>> rifletté. Scrutò il cielo, quasi fosse in grado di vedervi ciò che lo attendeva. <>. Aveva pronunciato quelle parole con l'intenzione di farla sorridere e sdrammatizzare la prospettiva della reazione dello stregone, ma la ragazza era tornata seria e non si sciolse. Per allontanare quella visione sanguinaria strinse il viso della ragazza fra i palmi caldi delle mani e si avvicinò per baciarla. La gioia che gli invadeva il cuore era assoluta. Avrebbe voluto gridare a piena voce quella notizia, rendervi partecipe chiunque. Dalla morte di Thalìa non aveva mai contemplato la possibilità di rifarsi una vita, di avere una donna, dei figli, una famiglia: aveva desiderato la morte e nient'altro prima di entrare a far parte dell'esercito erdemiano. Il pensiero che la dinastia di Erdem sarebbe continuata con lui lo riempì d'orgoglio e gli fece ripensare alle frasi misteriose incise sulla spada che era appartenuta al suo avo. Un improvviso sapore salato in bocca lo spinse a scostarsi da Armin. Piangeva di nuovo e quella vista gli strinse il cuore. <
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D'impulso, Varsha le afferrò le braccia per fermare il gesticolare irrequieto con cui aveva accompagnato quei discorsi. Premette le labbra sulle sue e le impedì di proseguire, di tormentarsi con quelle visioni deliranti di ciò che sarebbe stato il loro futuro. Durante gli anni trascorsi con la ragazza su Andòrax aveva accantonato la verità che lei aveva appena rievocato, sforzandosi di vivere una vita normale accanto a lei pur consapevole della magia che la incatenava e le impediva di invecchiare come lui, con lui. Non aveva risposte alle sue domande. Soprattutto, non voleva porsele quelle domande. Non sarebbe servito. Le angosce della ragazza erano anche le sue. Smise di baciarla appena avvertì che si era rilassata. <
Ancora quel suo sconfinato ottimismo! Quella sicurezza incrollabile che tutto si sarebbe sistemato! Armin desiderò poter avere un briciolo della sua fiducia, ma la paura di perdere lui e il loro bambino iniziò a trasformarsi in un cancro capace di divorarle l'anima.
In lontananza, il gorgoglio minaccioso del temporale si fece sempre più vicino.
2
UNA QUESTIONE PERSONALE
Keyla lottò con la forcina che le si infilzava nella testa e la tormentava. Rovistò con le dita nella massa di capelli senza smettere di camminare con l'intenzione di sistemarla meglio se non addirittura di strapparla via. Quel contrattempo non l'avrebbe fermata né rallentata; giocava solo un ruolo importante nell'acutizzare la sua irritazione mattutina. Aveva dormito per brevi intervalli e si sentiva esausta. Non aveva fatto altro che pensare a ciò che le aveva detto Moran e sperato che si sbagliasse. Aveva un unico modo per verificarlo: parlare con su padre e bramava di farlo il prima possibile.
Sua figlia non era mai stata molto mattiniera. Quando Darsow la vide varcare la soglia della sala dove stava facendo colazione restò a fissarla, inebetito. Il servitore in piedi accanto alla porta chinò il capo al suo ingresso in un saluto silenzioso.
Keyla si fermò alla destra del re e gli rivolse un cenno con la testa, le mani unite davanti allo sterno. <
Darsow si accigliò. <
Le indicò la sedia vicino a sé e la ragazza vi prese posto dopo che il servitore l'ebbe allontanata per lei e accompagnata al suo movimento per permetterle di sedere. La tavola era già apparecchiata, pronta per il momento in cui i tre figli di Darsow sarebbero arrivati per la colazione. Il servitore versò a Keyla del tè in una tazza di porcellana, per poi allontanarsi quando la ragazza rifiutò con un garbato gesto della mano l'elenco di cibi che le propose. Lei sollevò la tazza e sorseggiò il tè in silenzio, osservando di sottecchi il padre che spalmava del miele su una fetta di pane. Si accorse che Darsow la stava studiando a sua volta, sorpreso che fosse già sveglia. Come qualsiasi genitore il re aveva imparato a riconoscere il comportamento dei propri figli e sospettava che la ragazza si trovasse lì per un motivo ben preciso: doveva chiedergli un favore? Aveva combinato un guaio? Dato che Keyla non si decideva a parlare, l'uomo prese a chiacchierare del più e del meno per ingannare l'attesa. Keyla lo ascoltò in maniera palesemente distratta, annuendo di tanto in tanto per cortesia, fingendo di seguire il discorso mentre in realtà rincorreva dei pensieri propri. Darsow notò che non era loquace e gioviale come il solito; la sua espressione tirata, gli occhi segnati, la tensione della sua postura rivelavano che qualcosa la tormentava. Fu nell'osservarla che il re venne folgorato dalla realizzazione che non era più una bambina: indossava un abito verde scuro in un tessuto pesante e opaco che la avvolgeva con morbidezza evidenziando la sua vita sottile e le forme da donna che riempivano il corpetto che presentava inserti beige. Lo scollo diritto esponeva le clavicole sporgenti, l'avvallamento sensuale alla base della gola, il collo lungo e chiaro. La ragazza si accorse dello sguardo del re e alzò il viso per incontrarlo senza imbarazzo, ma con una scintilla di rabbia che paralizzò l'uomo. Darsow terminò il pane, che mandò giù con un ultimo sorso di tè, dopo di che si pulì la bocca con il tovagliolo e si rilassò contro la spalliera alta della sedia. Anche Keyla terminò il proprio tè ed entrambi attesero che il servitore sparecchiasse e lasciasse la stanza. Rimasero finalmente soli. Darsow tacque e continuò a fissare la figlia, in attesa. Lei sedeva con la schiena diritta e le mani posate in grembo per nascondere alla vista del padre il fatto che le teneva serrate per la tensione.
Ad un certo punto, Keyla produsse uno sbuffo leggero che voleva essere un sorriso. <
Darsow puntellò il gomito sul bracciolo della sedia e appoggiò il mento fra le dita, pensieroso. Non capiva a cosa si stesse riferendo. Si accigliò, colpito dal chiaro tono di sfida della ragazza. <
Keyla distolse lo sguardo e lo tenne diritto, fissando il posto vuoto che aveva di fronte a sé. Il suo respiro era accelerato. <
Il re si grattò la barba mentre si domandava come potesse essere venuta a conoscenza dell'offerta che aveva fatto a Yarin. Non ne aveva fatto cenno con nessuno. Il suo silenzio infiammò la ragazza, che girò di scatto il viso verso il padre per trapassarlo con occhi furiosi. <
La ragazza, colta alla sprovvista dal suo movimento inaspettato, raccolse la gonna ingombrante e gli andò dietro. <
Darsow si fermò in mezzo all'ampio corridoio e si voltò per affrontare la ragazza, la quale lo raggiunse e gli si mise di fronte a qualche braccio di distanza con aria spavalda. Il re congiunse le mani dietro alla schiena e assunse l'atteggiamento che riservava di solito ai propri cavalieri: autoritario e inflessibile. Bene, si disse Keyla, vediamo chi cede per primo.
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La ragazza deglutì. <
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Darsow la scrutò con diffidenza e sospetto. <
La domanda la scioccò perché metteva in discussione la sua moralità. Avvampò. <
Il re raddrizzò la schiena con uno scricchiolio di ossa ed ebbe uno stanco sorriso. <
Spiazzata, Keyla non seppe cosa replicare. Suo padre non stava negando di averla offerta in sposa in cambio di un'alleanza con i regni del nord, ma non aveva neanche avuto il coraggio di ammetterlo chiaramente. <
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Keyla sollevò la gonna con le mani e lo rincorse. <
Darsow si bloccò all'improvviso e si voltò, obbligando la ragazza a fermarsi per non volargli addosso. Il volto dell'uomo era una maschera contorta di insofferenza. <
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Per un attimo Darsow rivide nella furia che ardeva in quegli occhi e nei lineamenti angosciati il ritratto esatto della madre della ragazza: combattiva, sognatrice, animata dai buoni sentimenti. Come lei, non riusciva ad arrendersi alla realtà delle cose, al fatto di essere una donna e quindi che la sua vita e le scelte che la riguardavano sarebbero sempre state nelle mani di uomini – come suo padre, prima, e suo marito, poi. <
Avvilita dalle sue parole che non lasciavano intravvedere nessuno spiraglio di mediazione, Keyla gli chiese ciò che si era domandata nelle ultime ore. <
Darsow lasciò che quel sussurro svanisse nella quiete del corridoio. I rumori del mattino erano lontani, non arrivavano a toccarli.
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Era davvero cresciuta, rifletté Darsow. Era diventata una donna. Era arrivato il momento che capisse cosa implicava. <> rispose. I battiti del suo cuore accelerarono in maniera involontaria al ricordo della madre della ragazza. <
In un certo senso. Quelle parole raggelarono Keyla. Il pensiero che avrebbe condiviso il destino di sua madre gliela fece sentire d'un tratto di nuovo vicina e al tempo stesso le fece provare una sensazione di vertigine improvvisa. Si immaginò cosa si provasse a vivere sotto lo stesso tetto con un uomo che non si conosceva, costrette a un'intimità forzata con lui, forse anche alla violenza di un rapporto fisico indesiderato... Il suo stesso padre si era comportato così con la donna che gli avevano dato in moglie: sapeva cosa significava, sapeva ciò a cui sua figlia sarebbe andata incontro eppure non esitava a prepararle quella stessa sorte...
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Keyla si domandò se il padre stesse parlando seriamente e temette di sì. Come faceva l'uomo a ignorare con tanta leggerezza quello che per una donna significava il rapporto con un marito non voluto? Si trattava di un suo limite oppure soprassedeva per comodità a quella verità dipingendola con le più rosee quanto illusorie aspettative? Sperò che il padre aggiungesse dell'altro... una parola con cui esprimesse un po' di dispiacere per quella decisione, per quello che le stava facendo... per la condanna che le stava infliggendo per tutta la vita... La ragazza venne colta da un capogiro e si appoggiò al davanzale interno di una finestra per non crollare a terra. Non si era resa conto che suo padre si era allontanato lungo il corridoio, l'eco dei suoi passi un ticchettio lontano che si affievolì fino a svanire. Ammettere che Moran aveva avuto ragione le provocò una fitta alla bocca dello stomaco. Perse consapevolezza del passare del tempo, rivolta completamente dentro se stessa a contemplare l'orrore che la attendeva e che le dava la nausea. Come sarebbe riuscita a sopportare il tocco di un estraneo, la sua vicinanza, l'intimità a cui non si sarebbe potuta sottrarre?
Le voci acute di due ragazzi echeggiarono nel corridoio e arrivarono fino a lei con violenza, strappandola a quelle riflessioni disgustose. I suoi fratelli si avvicinarono e la travolsero in un abbraccio. Nonostante la sua mente fosse come assopita, lei li strinse forte a sé, premette la loro carne giovane contro il proprio corpo per assaporare quell'intimità: l'intimità familiare che non la nauseava.
3
IL POSTO SBAGLIATO...
Moran riuscì a lavarsi in tutta fretta e a prepararsi. Il primo drappello di venti cavalieri cui si unì lasciò Efyle di mattina presto e si diresse galoppando verso sud. Tutti loro, cavalieri o erdemiani che fossero, indossavano l'armatura che sul pettorale sfoggiava il simbolo rosso dell'unica ala, simbolo degli erdemiani e di Armin. Attraversarono il boschetto che attorniava la città, con le sue ombre grigie e le piante che lentamente si arrendevano all'autunno che rubava linfa alle foglie in cambio di una colorazione infuocata, finché uscirono sulla distesa di prati aperti. Un paesaggio sconfinato si stendeva davanti a loro mentre i cavalli aggredivano il terreno con la furia degli zoccoli, strappando zolle e sollevando erba. Le sfumature verdi e marroni erano interrotte da discontinue macchie viola di erica fiorita che sgomitavano fra cespugli rinsecchiti e fili d'erba incolti. Gli uomini avevano con loro una riserva di provviste e dei tegami per cucinare; si sarebbero procurati della selvaggina non appena ne avessero avuto occasione.
Il cielo non era uniforme: degli ammassi di nubi si spostavano compatti sulla scia del vento arrivando a coprire il sole per qualche ora per poi passare oltre anche senza scrosci d'acqua e lasciare che la luce rischiarasse la giornata. C'erano momenti in cui la compresenza di raggi di sole e nuvole creava meravigliosi giochi di luce, quando il sole filtrava la cortina densa in lame dorate che cadevano a terra oblique come fari puntati. Moran si lasciò invadere dall'adrenalina del viaggio, che per il primo giorno ebbe la capacità di staccare la sua mente dal pensiero ossessivo di Keyla. La prospettiva dell'azione lo infiammava, gli scaldava i muscoli per prepararlo a sostenere lo sforzo. Anche solo tenersi in sella e cavalcare lo alleggerì dalle preoccupazioni. Aveva assicurato l'elmo alla sella per godere dell'aria fresca che gli sferzava il viso e i capelli, selvaggia come lo spirito che animava il giovane.
Si diressero verso le rovine di Volmek, in vista delle quali giunsero dopo tre giorni. I contorni duri della pietra spiccavano contro il cielo chiaro e la bandiera di Efyle sventolava rassicurante lungo le mura. Fecero una piccola scorta di viveri e condivisero le novità con i cavalieri che presidiavano le rovine prima di ripartire e deviare verso sud-ovest per avvicinarsi al confine con Mizhar affiancandosi alla costa per alcuni giorni. L'aria era salmastra e umida, con uno spiccato profumo