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La voce del passato
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La voce del passato

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About this ebook

Sono trascorsi cinquantatré lunghissimi anni da quel giorno lontano, quando le loro strade si sono divise. Quanto tempo aveva atteso una lettera, una telefonata che non era arrivata! E proprio adesso che crede di averla cancellata dai ricordi, quella voce torna a sconvolgere la quiete che aveva raggiunto. Attraverso il filo sottile dei ricordi, Harriet ripercorre gli eventi che hanno sconvolto la sua gioventù. A cominciare dai bombardamenti e i disagi della lunga guerra, che l’hanno costretta a trasferirsi in Svizzera con la famiglia, ai giorni trascorsi in quella casa tra le montagne dove ha avuto inizio la sua breve, ma intensa storia d’amore. È troppo tardi per rammendare gli strappi di quel lontano passato, eppure non è bastata una vita a cancellarne il ricordo e tra le pieghe del tempo riscopre ancora quell’antica bellezza che l’aveva fatta sognare.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateSep 7, 2018
ISBN9788827843802
La voce del passato

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    La voce del passato - Ida Perrone

    Shakespeare

    Prologo

    Quella mattina la signora Harriet si era svegliata prima del solito; avvertiva una strana tensione e un insolito turbamento per l'incontro che sarebbe avvenuto da lì a poco.

    La telefonata della sera prima aveva risvegliato in lei quei ricordi che il tempo e gli avvenimenti di una vita, intensamente vissuta, avevano in parte offuscato. Quelle ferite, che credeva rimarginate, tornavano a causarle dolore come se il tempo non fosse trascorso.

    In tutta la sua esistenza aveva cercato di seppellire il passato, di dare un senso nuovo alla sua vita, ma ecco che tornava con tutta la sua irruenza a minacciare quell'equilibrio che era riuscita a crearsi.

    Che cosa poteva volere Alfons dopo tutti quegli anni? Perché le aveva chiesto di vederla? E lei, perché non aveva saputo dirgli di no?

    Si sforzò di scacciare i tristi pensieri. Dopotutto non poteva accaderle nulla di male. Aveva già pagato il suo conto, e quella visita, a distanza di tanto tempo, non avrebbe avuto su di lei alcun effetto.

    O forse non sarebbe stato così?

    Si alzò dal letto a fatica. I suoi acciacchi erano tornati a farsi sentire, colpa del brusco cambiamento climatico, ma ancor più dell'età che incalzava. Infilò una vestaglia leggera e si avvicinò alla finestra. Scostò le tende che le sembrarono consunte e pensò che fosse ora di apportare qualche modifica in quella casa. Era rimasta così, come l'aveva arredata sua madre quando vi avevano finalmente fatto ritorno, dopo la lunga guerra e quegli episodi che avevano sconvolto la sua gioventù.

    A sentire lei c'era bisogno di un rinnovamento, che riguardava prima di ogni cosa l'ambiente in cui avrebbero vissuto, per lasciarsi alle spalle le ansie e i disagi che il conflitto aveva causato all'intera popolazione.

    Suo marito e Harriet avevano cercato di persuaderla a rimandare il progetto a un momento propizio e dare spazio ai problemi più impellenti che si trovava a fronteggiare la gente comune in quel particolare periodo. Ma sua madre era fatta così: quando decideva qualcosa era difficile che qualcuno riuscisse a farle cambiare idea. E la casa era stata interamente rinnovata; dalle tende, ai mobili, alla tappezzeria.

    Harriet, invece, non badava alle apparenze. In tutti questi anni non le era mai passato per la mente di cambiare in quella casa un solo mobile o accessorio. Anche adesso, dopo una prima considerazione, accantonò quell'idea.

    Ritornò ai sui cupi pensieri. L'arrivo della cameriera che le portava la colazione, insieme alla medicina che era solita prendere a quell'ora, la riportò bruscamente alla realtà

    «Poggialo pure lì. Puoi andare», si affrettò a congedarla. Aveva bisogno di restare da sola, per mettere ordine nelle sue idee.

    Spostò il vassoio con un leggero senso di nausea e prese la medicina di cui sentiva un urgente bisogno. Cercò di ritemprare le membra sotto il getto caldo della doccia. Con gesti lenti, si vestì e si preparò a ricevere quell'ospite che, dopo tutto quel tempo, le sembrava alquanto inopportuno.

    Osservò la sua immagine riflessa nello specchio e non poté fare a meno di constatare quanto fosse invecchiata, e quanto tempo fosse trascorso da quel giorno lontano, quando le loro vite avevano preso strade diverse.

    Capitolo 1

    Tutto era cominciato quell'estate del 1943.

    L'Italia era devastata dal sanguinoso conflitto che andava avanti ormai da tre anni. I bombardamenti diventavano sempre più frequenti; erano presi di mira gli obiettivi militari, le sedi delle più importanti industrie, ma non erano risparmiate le abitazioni civili e numerosi edifici erano già stati rasi al suolo.

    La casa della famiglia Valenti era situata fuori dal centro e per il momento non aveva subito attacchi dai bombardieri inglesi. Il loro suono assordante e l'eco lacerante delle sirene però arrivavano fin lì.

    Ogni volta che sentiva suonare l’allarme, la signora Valenti andava incontro a un attacco di panico e insieme alla sua famiglia correva a rifugiarsi in cantina, come facevano coloro che abitavano in centro.

    Nel mese di luglio Mussolini era stato arrestato e il fascismo era caduto. Il popolo aveva accolto la notizia con grande esultanza, vedendo nella fine di quel regime, che non aveva volutamente accettato, il ritorno alla libertà e la conclusione imminente di quella tragica guerra. La situazione andò però precipitando e il peggio sarebbe ancora dovuto arrivare.

    Il signor Giulio Valenti era un uomo ricco e influente che aveva conquistato la sua posizione con anni di sacrifici e duro lavoro. La fabbrica di materiali da costruzione l'aveva messa in piedi suo padre quando lui era ancora un ragazzo. Fin d'allora, Giulio aveva compreso l'importanza di lavorare sodo e dell’ impegno che necessita per raggiungere i propri obiettivi. Suo padre l'aveva fatto studiare, perché sapeva che un giorno sarebbe stato lui a dirigere l'azienda e non ci sarebbero stati intermediari fra loro. Appena presa la sua bella laurea in ingegneria, era entrato in fabbrica come dirigente e in breve tempo l’aveva trasformata, in meglio, facendola crescere sempre di più e aumentandone i profitti.

    Il suo matrimonio con Caterina Batilde, nel 1923, discendente di una facoltosa famiglia dalle origini inglesi, gli aveva dato quel tanto che gli mancava per essere considerato un signore dell'alta società. Giulio però non l'aveva sposata per il prestigio che quell’unione gli avrebbe apportato; lo aveva conquistato la sua grazia, e quella fragilità che gli aveva ispirato un forte senso di protezione. Con il tempo però le cose erano cambiate: Caterina era diventata sempre più debole e intollerabile. Il solo regalo che gli aveva fatto in tutti quegli anni di matrimonio era stata sua figlia Harriet. Per fortuna lei non assomigliava alla madre, aveva lo stesso carattere deciso ed esuberante del padre e per questo i due si trovavano in perfetta sintonia.

    Il signor Valenti si trovava in una situazione molto difficile e, da tempo, si arrovellava il cervello alla ricerca di una soluzione. Le sue finanze non andavano per il meglio, quegli anni di guerra gli avevano causato non pochi problemi ed era giunto al capolinea. Le banche non gli concedevano più prestiti, non arrivava più la materia prima, necessaria per il funzionamento delle sue industrie che erano ferme da alcune settimane. Inoltre, parte dei suoi averi erano stati sottratti dal governo fascista per fronteggiare le spese che quella guerra imponeva. Era indietro con i pagamenti di almeno tre mesi. Gli operai si erano accontentati di un acconto, ma ora reclamavano per intero il loro salario —non avevano torto con i tempi che correvano e famiglie da mantenere.

    Come se non bastasse, i bombardamenti delle notti precedenti avevano gravemente danneggiato i suoi stabilimenti.

    Da uomo saggio e previdente qual era, appena scoppiata la guerra, Giulio aveva trasferito una parte del suo patrimonio in una banca svizzera, su un conto intestato a sua moglie. Questo gli avrebbe permesso di rimettere in piedi l'azienda, quando la guerra sarebbe finita, e non avrebbe dovuto preoccuparsi per il futuro della famiglia. Per il momento quei soldi però non potevano essere toccati: ogni movimento delle banche era controllato dal governo.

    I beni di prima necessità scarseggiavano sempre di più e, anche per coloro che ancora vantavano una discreta posizione economica, diventava difficile sbarcare il lunario. La popolazione subiva pesanti razionamenti di cibo e delle materie indispensabili alla sopravvivenza. In fila, davanti ai negozi, esibiva la tessera per assicurarsi quel tanto che bastava appena a sfamarsi. Chi poteva permetterselo faceva ricorso al mercato nero, ma era considerato un reato duramente punito e la maggioranza preferiva evitarlo.

    Dopo una lunga riflessione, Giulio Valenti aveva preso la decisione che gli era sembrata più saggia: trasferirsi in Svizzera con la famiglia e chiudere momentaneamente la fabbrica, dopo aver dato agli operai quel tanto che le sue possibilità gli avessero consentito.

    Quella mattina aveva quindi riunito la famiglia per comunicarle la sua decisione. Sua moglie e Harriet erano rimaste sorprese e non avevano proferito parola. Lui allora aveva continuato, spiegando che si trattava di una situazione momentanea e che tra non molto sarebbero potuti tornare alla loro vita di prima. «La guerra finirà molto presto. Badoglio ha preso accordi con gli americani per firmare l'armistizio; l'ho saputo da fonti segrete. È questione di poco, ormai.»

    Caterina aveva cominciato a piagnucolare rendendogli tutto più difficile. Harriet, dopo un lungo silenzio, domandò con pacata rassegnazione: «Quando dobbiamo partire, papà?»

    «Presto», rispose. «Entro due giorni al massimo. Ho già preso contatti con alcune persone che ci aiuteranno a passare la frontiera senza problemi e, una volta arrivati in Svizzera, troveremo la sistemazione che le mie conoscenze ci hanno procurato.» Guardò sua moglie con fare lievemente ammonitore, come a dire: Non fare la stupida. Ma non disse nulla, non le aveva mai mancato di rispetto e non lo avrebbe fatto neppure adesso. Tornò a rivolgersi alla ragazza: «Prepara tutto ciò che occorre per il viaggio, cara», e prendendo la ventiquattrore di cuoio, che aveva poggiato sul tavolo, uscì di casa.

    Capitolo 2

    Il viaggio fu più lungo del previsto e non privo di inconvenienti. Due volte furono fermati ai posti di blocco all'uscita della città, e solo dopo un attento controllo, che era durato solo pochi minuti ma che era sembrato interminabile, riuscirono a passare il confine.

    Giulio Valenti non si era mai interessato di politica. Odiava il fascismo, e Mussolini che aveva trascinato l'Italia in una guerra al di sopra delle sue potenzialità. Aveva però mantenuto dei buoni rapporti con degli esponenti del partito, perché pensava gli sarebbe tornato utile per la sua attività. Alcune delle sue conoscenze gli avevano fornito illasciapassare, in cui gli veniva accordato il permesso di espatrio per motivi di rilevanti necessità.

    Arrivarono esausti alla modesta tenuta tra le montagne svizzere, che li avrebbe ospitati per quasi due anni, la mattina del 26 agosto 1943.

    La casa era una costruzione semplice, dal tetto spiovente, tipico delle case di montagna. Sulle pareti dipinte di bianco contrastavano gli infissi in legno scuro. L'edera, che si inerpicava da una crepa nel suolo, aveva coperto un’intera facciata. Accanto al portone, due tronchi di abete adattati ad aiuole contenevano allegre composizioni floreali dalle svariate tonalità: ciclamini dal fucsia intenso, begonie dalle tinte scarlatte, violette e delicate margherite. La costruzione era immersa nel verde. Tutto intorno vi era un prato di erbetta appena tosata. Sotto una secolare pianta di conifere, un tavolo in legno con due lunghe panche sembrava volesse invitare gli ospiti di passaggio a sedersi per ristorarsi. Una recinzione in legno le conferiva protezione e sicurezza.

    Harriet si sentì rassicurata da quella visione. Aveva immaginato la loro nuova dimora come un luogo triste e deprimente; una prigione che l'aveva sottratta alla sua vita e ai suoi amici. Tirò un sospiro di sollievo pregustando il piacere di un lungo bagno caldo e di un letto dove potersi distendere, dopo le lunghe ore passate sul sedile posteriore della loro auto.

    Ad attenderli trovarono un'anziana signora che li salutò con riverenza e si offrì di aiutarli a portare in casa i bagagli.

    La tenuta era di proprietà di un allevatore di origine italiana che, prima della guerra, aveva deciso di trasferirsi definitivamente nella casa in montagna dove era solito passare le vacanze con la famiglia.

    Il signor Farnesi era emigrato in Svizzera subito dopo la Grande guerra. Qui aveva conosciuto la donna che sarebbe diventata sua moglie. In seguito l'aveva portata in Italia, nella sua casa nei pressi di Como, dove lei aveva trascorso gli ultimi anni della sua breve esistenza. Alla sua morte, Giorgio Farnesi aveva lasciato l’unico figlio in Italia, dove proseguiva gli studi, e si era trasferito nella casa che era appartenuta alla moglie e che gli avrebbe ricordato ogni cosa di lei.

    Quella mattina Giorgio non

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