Le emozioni del tennis
Di Silvio Mia
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Le emozioni del tennis - Silvio Mia
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Le emozioni del tennis
Silvio Mia
Le emozioni del Tennis
ISBN | 9788893329804
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Due giugno 2013 ore 14 circa. Al termine dell’ultimo doppio in programma, i ragazzi danno al capitano una soddisfazione unica, in quel momento si scrive un pezzo di storia dell’Indoor Club eguagliando il record dello squadrone che un paio di anni prima aveva vinto la serie D3. Primato di cui vado orgoglioso, perché nessuno potrà mai togliercelo, è quello di aver vinto tutte e 20 le partite in programma nel calendario del girone che ci ha visti naturalmente primi e assume un significato ancora più grande se si pensa che in 26 gironi, la maggior parte costituiti da 6 squadre, solo un’altra compagine ha saputo fare come i miei ragazzi in Piemonte e Valle d’Aosta.
Questo è il giusto finale della storia riguardante la mia passione per questo sport, la chicca che mi mancava per suggellare un interesse che nasce tanti anni fa quando la televisione, ancora in bianco e nero, con il contagocce cominciava a trasmettere uno sport fino ad allora considerato molto snob, non alla portata di tutti, ma diventato in seguito più popolare grazie alla sua maggior promozione e alle immagini che ne venivano diffuse. Tutto ciò ha creato nella gente un interesse non solo nel guardarlo, ma anche nel praticarlo e devo dire che tanti, come me, si sono innamorati dei nostri moschettieri azzurri che negli anni Settanta vissero un momento indimenticabile con la vittoria in Coppa Davis e con una serie di risultati che li portarono ai vertici delle competizioni. Inutile dire che fu Adriano Panatta a scatenare l’interesse generale con le sue vittorie e il suo gioco fatto da colpi di grande classe e da un servizio che tirato oggi, con le racchette in uso ai campioni che vediamo darsi battaglia sui campi, sarebbe un colpo decisivo.
L’interesse che da allora cominciò ad attecchire sulla mia persona fu tale che dalla televisione al campo il passo fu brevissimo. Mi ricordo che la prima disastrosa ora sul campo la giocai lo stesso giorno in cui nel tardo pomeriggio il nostro paladino di allora, Panatta appunto, era impegnato con un certo Dupré, un carneade di cui non ricordo il proseguimento sui campi, nei quarti di finale del torneo per eccellenza, Wimbledon, e in cui il nostro alfiere era favorito, tutti lo davano già in semifinale. Purtroppo una caratteristica negativa di Panatta era proprio la discontinuità che lo portava a disputare incontri memorabili, sia positivamente sia negativamente, e quel pomeriggio forse per la pressione, forse perché mentalmente era difficile pensare a una semifinale sul prato inglese, perse abbandonando il torneo con la delusione dei suoi tifosi in cui mi riconoscevo anch’io.
L’inizio della mia attività sportiva fu interrotto dal fatto che lavoravo e studiavo la sera e quindi il tempo sufficiente per imparare a giocare mancava, inoltre un paio di anni dopo, finito di studiare, conobbi una ragazza, che poi diventò mia moglie, che abitava lontano e l’amore per lei fu più forte dell’amore per il tennis e per qualche tempo abbandonai la pratica. Passato il momento e assestata la relazione cominciai a giocare con l’intenzione di imparare veramente, prendendo alcune lezioni private e partecipando ai corsi collettivi organizzati dall’azienda in cui lavoravo. Con l’impegno e la grinta che contraddistinguevano le mie pratiche sportive, imparai questa disciplina, anche perché, organizzando spesso partite con colleghi e amici, giocavo almeno tre volte la settimana. Il tennis è uno sport cerebrale, uno sport in cui anche per fare due palleggi bisogna essere concentrati. È uno sport in cui da soli in campo bisogna far emergere tutta la propria personalità, tutta la voglia di lottare e bisogna far sì che mentre si gioca si riesca a ragionare per riuscire ad avere la meglio sull’avversario. Spesso si sente dire da chi pratica questo sport: Ma chi me l’ha fatto fare di praticare una disciplina così complicata...
nelle ore di svago in cui magari si potrebbe svolgere un’attività meno impegnativa per la mente, perché giocare a tennis non è certamente rilassante. Ma più mi avvicinavo a questo sport – io che venivo dal calcio che è un gioco di squadra – più capivo quali erano i miei limiti e le mie capacità comportamentali di fronte a difficoltà che solo io potevo risolvere in campo quando oltre la rete c’era un avversario che faceva di tutto