Il segreto della Fusione Fredda
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Book preview
Il segreto della Fusione Fredda - Antonio Spallone
prototipo).
Cap. 1 – La nascita della Fusione Fredda –
[ Le grandi scoperte sono sempre imprevedibili
]
-- (A) – L’intervista al Salviati (atto-1)
Il pomeriggio del giorno successivo il Salviati accolse la giovane e professionale giornalista nel salotto della sua villetta con le pareti ricoperte di scaffali traboccanti di libri, riviste e tanto altro materiale cartaceo.
Iniziò il discorso mostrandole una intera parete ripartita in scaffali e mensole in cui vi erano in sequenza, partendo dal basso, libri e documenti suddivisi in settori e rigorosamente ordinati in modo cronologico.
"In quasi 30 anni di Ricerca, ho collezionato qui quasi tutta la documentazione prodotta sull’argomento nel Mondo. Si parte dagli articoli originali pubblicati da molti autori, agli atti delle numerosissime Conferenze tenutesi negli anni, ai libri scritti sull’argomento, agli articoli di giornali e riviste, fino a molte tesi di laurea prodotte e discusse sulla materia. Non basterebbe la vita di uno studioso per leggere tutto il materiale qui raccolto… quindi presumo che una estrema sintesi sia doverosa! Anche perché temo che lei abbia solo qualche pomeriggio da dedicarmi prima della messa in onda della trasmissione.
Quindi inizierò dalle origini, ma cercherò di essere succinto al massimo…"
E da lì cominciò il suo personale racconto della vicenda.
-- (B) – L’annuncio di Fleischmann e Pons
Era il 23 di marzo del 1989, anno che vide molti sconvolgimenti storici come la caduta del muro di Berlino a cui seguirono la fine della guerra fredda e la riunificazione delle due Germanie.
Due elettrochimici, Martin Fleischmann e Stanley Pons (in seguito riportati come F&P
), dell’Università dello Utah a Salt Lake City (USA), convocarono una conferenza stampa per annunciare una importante scoperta. Siccome Fleischmann era un noto scienziato (membro della Chemistry Royal Society Britannica), non c’era da stupirsi se all’annuncio vi erano numerosi giornalisti di testate e riviste importanti; invece lo stupore venne dalla natura della scoperta dichiarata. Nella conferenza stampa F&P fecero un annuncio sorprendente: essi asserirono che una notevole quantità di energia, non attribuibile ai normali meccanismi elettrochimici, era stata liberata in una cella elettrolitica ottenuta effettuando delle elettrolisi di D2O (acqua pesante) in LiOD (DeuterOssido di Litio) 0.1M (concentrazione Molare) con elettrodi di Palladio [Ref. 1, Fig.1.1].
Fig. 1.1 – M. Fleischmann (a sinistra) e S. Pons (a destra) con il disegno della loro cella elettrolitica.
In termini molto semplici F&P asserirono che avevano prodotto delle reazioni nucleari in una cella elettrolitica. Tale cella elettrolita era praticamente un bicchiere in cui 2 elettrodi metallici (tipicamente filiformi o talvolta a striscie) di Palladio (Pd) e Platino (Pt) erano immersi in una soluzione acquosa composta da acqua pesante ed una base molto alcalina di LiOD. L’elettrodo di Pt (anodo) era collegato al polo positivo di una batteria elettrica mentre quello di Pd (catodo) veniva collegato al polo negativo. Essendo la soluzione alcalina molto concentrata, la corrente elettrica che scorreva tra gli elettrodi risultava molto intensa (con densità dell’ordine dell’Ampere su centimetro quadrato). Rispetto ad una normale cella elettrolitica usata in tutti i laboratori di chimica, questa di F&P aveva la particolarità di aver sostituito la normale acqua distillata (H2O) con quella pesante che, nella molecola, al posto dei 2 Idrogeni (H) aveva 2 atomi di Deuterio (D), che altro non sono che degli Idrogeni pesanti (isotopi) con 1 neutrone in più nel nucleo atomico (cioè ¹H ha un solo protone p
, mentre ²H=D ha anche 1 neutrone n
ed il cui nucleo viene chiamato deutone, d=p+n
) [Fig.1.2].
Fig. 1.2 – La cella elettrolitica di F&P (vers. 1989) in uno schema molto esemplificato.
Il motivo di questa sostituzione risiede nel fatto che il Pd (così come il Titanio Ti
, il Nichel Ni
e pochi altri elementi rari) è un metallo molto speciale che assorbe l’Idrogeno all’interno del suo reticolo cristallino. Ma non l’assorbe in forma molecolare cioè come H2 (molecola gassosa bi-atomica di Idrogeno) quale essa è presente in natura, bensì in forma atomica. Anzi accade un fenomeno chimico-fisico sorprendente sulla superficie del Pd metallico: la molecola H2 a contatto con la superficie reticolare del Pd si spezza in 2 atomi di H; poi ogni atomo di Idrogeno (essenzialmente composto da un nucleo centrale positivo con 1 solo protone ed 1 solo elettrone negativo orbitante e-
) ancora si scinde, con l’elettrone che viene messo in comune con gli altri elettroni del reticolo cristallino del Pd (una struttura geometrica fatta da un cubo a facce centrate fcc
ma senza corpo centrale) mentre il protone viene direttamente assorbito dal reticolo andando a collocarsi negli interstizi atomici del cristallo (in primis nel centro del cubo). Quando tutti gli interstizi centrali del reticolo sono occupati da un H (o da un D), questa condizione viene denominata fase alfa (α) ed è spontanea e discretamente esoenergetica [Fig.1.3.a] [Ref. 2].
Fig. 1.3 – Il reticolo del Pd nella struttura fcc con un Deutone al centro nella iniziale fase α (sx); Posizione degli interstizi ottaedrici (rosso) e tetraedrici (blu) per gli Idrogeni (dx).
I successivi riempimenti degli interstizi del reticolo con gli Idrogeni denotano altre condizioni chimico-fisiche nel sistema Pd-H (fase beta: β, che è endoenergetica) ed a seconda della tipologia del riempimento dei siti, questi vengono generalmente indicati come ottaedrici e tetraedrici che conseguentemente richiedono sempre più energia e quindi maggiore difficoltà per la loro realizzazione [Fig.1.3.b e Fig. 1.4.a,b] [Ref. 3].
Fig. 1.4 – Disposizione degli atomi di Idrogeno (grigi) negli interstizi ottaedrici (sx) e tetraedrici (dx) del reticolo fcc del Pd (atomi azzurri).
In gergo si dice che il Pd si carica (loading) di idrogeni fino ad arrivare ad avere 1 atomo di H per ogni atomo di Pd (detto caricamento 1:1, cioè H/Pd=1), seguendo la seguente reazione chimica (esotermica, cioè che avviene spontaneamente con emissione di calore, almeno nella fase iniziale ?β??β?α??β???β?):
L’elettrolisi, rispetto al processo di caricamento gassoso sopra esposto, facilita di molto il caricamento dei H in Pd in quanto, come è noto nei corsi di chimica svolti nelle scuole superiori, la soluzione elettrolitica scioglie
la molecola dell’acqua H2O in ioni H3O+ ed OH- e poi il potenziale elettrico tra i poli della batteria sposta gli ioni positivi H3O+ (cationi) verso l’elettrodo negativo -
(catodo) e gli ioni OH- (anioni) verso l’elettrodo positivo +
(anodo).
A questo punto, di norma, i 2 ioni positivi 2 H3O+ al catodo assorbono 2 elettroni e producono 1 molecola di Idrogeno H2 ed 2 molecole di H2O mentre 2 ioni negativi OH- cedono 2 elettroni all’anodo e producono ½ molecola di Ossigeno O2 ed 1 molecola di H2O.
Ripetendo ancora una volta questo processo (con uno scambio totale di 4 elettroni tra gli elettrodi, cioè cedendoli dal polo negativo ed assorbendoli dal polo positivo) si arriva a produrre del gas sugli elettrodi scindendo le molecole dell’acqua presenti nella soluzione elettrolitica. Tutto ciò avviene a spese dell’energia elettrica fornita dalla batteria che genera una corrente elettrica che scorre nella soluzione elettrolitica tra gli elettrodi.
Tutto il processo si può riassumere come se 2 molecole di acqua (liquida) della soluzione si scindessero in 2 gas: H2 al catodo (polo negativo) ed O2 all’anodo (polo positivo) e difatti quello che si osserva visibilmente è la formazione di bollicine sugli elettrodi della cella connessi ai poli della batteria o dell’alimentatore elettrico.
Riportiamo molto schematicamente le reazioni elettrolitiche del processo appena discusso (col tempo viene a mancare l’acqua nella soluzione in quantità tale da compensare i gas prodotti):
La peculiarità dell’elettrolisi con il Pd come catodo (cioè connesso al polo negativo della batteria) risiede nel fatto, facilmente osservabile, che all’inizio del processo non si osservano bollicine (di H2) su questo elettrodo, mentre sono visibili quelle (di O2) sull’anodo (di Pt, metallo nobile che quindi non tende ad ossidarsi facilmente). Poi, passato un certo tempo, si iniziano ad osservare delle bollicine sul Pd fino a che queste non sono prodotte in quantità doppia rispetto a quelle che si formano sul Pt (in accordo con la concentrazione molare riportata nella precedente reazione). Questa osservazione mostra che all’inizio l’Idrogeno (già disponibile in forma ionica H+ sulla superficie del Pd ed ancora più facilmente rispetto alla forma gassosa H2) penetra direttamente nel reticolo metallico caricandolo fino a quando tutti gli interstizi reticolari sono pieni. Quando tutto il reticolo di Pd si è caricato di H, allora possono iniziare i processi di formazione di H2 sulla superficie del Pd e quindi si osservano le bollicine distaccarsi da questo.
A questo punto è legittima la curiosità del perché F&P usarono l’acqua pesante, invece di quella leggera, nella loro cella elettrolitica.
Il motivo sta tutto nella differenza isotopica tra H e D. Se si vogliono produrre delle reazioni nucleari di fusione non conviene usare l’Idrogeno (per far fondere 2 protoni servono energie molto elevate e processi intermedi molto complessi così come avviene nelle stelle tipo il nostro Sole) ma è molto più agevole usare il Deuterio (servono sempre energie elevate per vincere la repulsione coulombiana tra i nuclei positivi, ma la reazione è diretta e più facile da realizzare). Ora era proprio questo quello che pensavano di aver realizzato questi due elettrochimici: la fusione nucleare di 2 deutoni all’interno della matrice reticolare dei loro elettrodi di Palladio.
A riprova della loro affermazione portavano una quantità di energia prodotta sensibilmente maggiore di quella fornita con i processi elettrolitici (con anche oltre il 100% di guadagno).
In merito alle radiazioni insorgenti da queste reazioni nucleari riportavano piccole quantità molto inferiori a quelle aspettate.
Bene, ora vediamo come esporre con semplicità una tipica reazione di fusione nucleare (tipo d+d).
Due nuclei di Deuterio (detti deutoni d
) devono essere messi molto vicini tra loro (quasi a toccarsi) affinché fondano. La cosa non è semplice in quanto, essendo carichi positivamente (la carica è quella di un protone, q=e+=+1.6.10-19 C), tendono a respingersi più si tenta di avvicinarli (la forza è quella di Coulomb: , molto alta per piccole distanze tipiche delle dimensioni dei nuclei di circa 1 femtometro: fm= 10-15 m). Quindi l’energia in gioco per mettere questi 2 nuclei quasi a contatto è dell’ordine del MeV (Milione di elettronVolt= eV) che, per capire quanto sia grande, basta confrontarla con una tipica energia che si sviluppa nella reazione chimica dell’esplosione tra 2 gas (tipo metano CH4 ed ossigeno O2) o nel tritolo che sono solo di alcuni elettronVolt (e quindi milioni di volte inferiori!).
Ora, grazie ad un effetto puramente quantistico chiamato effetto tunnel
, queste fusioni possono avvenire anche se non mettiamo direttamente i nuclei a diretto contatto tra di loro e li teniamo a distanze di alcune volte le loro dimensioni (cioè di alcuni femtometri: 1 fm è detto anche 1 Fermi). Questo riduce l’energia di innesco della fusione a meno della metà del MeV. Fornita questa iniziale energia, dopo la fusione si ottiene un bel po’ più di energia (parecchi MeV) di quella data. Quindi le fusioni nucleari sono fortemente esoenergetiche (cioè ridanno più energia di quella data) grazie al fatto che una piccola parte della massa dei nuclei iniziali viene trasformata in energia esattamente come riportato nella nota formula di Einstein (E=γmoc², γ=1/(1-(v/c)²)¹/²) e questi nuclei si trasformano in nuovi nuclei o particelle nucleari che identificano univocamente la fusione avvenuta.
Nel caso delle fusioni tra 2 deutoni ci si aspetta di vedere dei prodotti nucleari come nelle seguenti reazioni:
[ tritone: t ³H=T= Trizio ; He: Elio ; γ: fotone gamma ]
Quindi se 2 deutoni fondono, allora ci dobbiamo aspettare la rivelazione di neutroni al 50% (che hanno una vita media di circa 15 minuti prima di decadere) o del tritone al 50% (nucleo del Trizio, isotopo pesante dell’Idrogeno, composto da 1p+2n e che poi decade con una vita media di circa 18 anni). Invece molto più rara è la reazione che produce un fotone da circa 24 MeV; però se nelle celle di F&P si producessero delle fusioni nucleari che sviluppino anche solo una piccola potenza intorno ad 1 Watt, allora ci si aspetterebbe perlomeno un flusso di gamma dell’ordine di 10 mila al secondo, cioè una radiazione abbastanza intensa da essere rivelata facilmente da qualsiasi rivelatore Geiger commerciale. Molto più intenso invece sarebbe il flusso di neutroni che a questo punto, se non opportunamente schermato, metterebbe a rischio la vita degli stessi sperimentatori che stazionino per lungo tempo nei pressi della cella elettrolitica.
Pertanto, quando F&P annunciarono di aver prodotto delle fusioni d+d nel Pd (rate di fusione: λ≈10¹² fusioni/(s·cm³)), tutti chiesero se avessero osservato gli aspettati neutroni (che essendo neutri escono facilmente dalla cella e quindi facilmente rilevabili, mentre i prodotti elettricamente carichi positivamente come i protoni, il Trizio ed i nuclei di Elio restano per lo più all’interno della cella).
Ma i rivelatori nucleari che F&P avevano messo intorno alla cella non davano rilevanti segnali di neutroni o gamma (valori compatibili per lo più con il fondo radioattivo dell’ambiente).
A questo punto la Comunità Scientifica pose 2 importanti questioni:
1) Dato che non si misuravano rilevanti radiazioni indotte, allora come