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La Valle dei Draghi
La Valle dei Draghi
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La Valle dei Draghi

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About this ebook

Trae ispirazione dalla magia della natura inviolata, le vergini montagne e i boschi fitti di vegetazione questo fantasy ricco di avventura e suspance. Il protagonista è un giovane orfano, cresciuto senza amore in un istituto, sulle cui origini aleggia un’ombra di mistero. Nessuno sa dirgli chi fossero i suoi genitori né perché non si siano presi cura di lui, perché abbiano ceduto infine alla scelta di abbandonarlo. L’unico elemento che conserva da quando è bambino e che può rivelargli qualcosa circa la sua vera identità è uno strano ciondolo triangolare, che stringe forte nei momenti di sconforto e solitudine. Jack, questo il nome del ragazzo, non ha mai smesso di sperare di conoscere chi è, da dove viene e il perché di quell’avverso destino. 
Un giorno, camminando lungo un ameno sentiero, qualcosa attira la sua attenzione e i suoi passi lo portano davanti a una grande quercia.  Una luce accecante lo investe e una voce lo invita a seguirla in un’avventura che, se affrontata, potrà dargli tutte le risposte che da sempre cerca.
Ci vogliono coraggio e determinazione, forza d’animo e tanta motivazione per affrontare una sfida ricca di incognite. Jack entrerà in un mondo nuovo, immenso in bellezza e brutalità, minacciato dal Male che intende dominarlo. Sua la responsabilità di una salvezza possibile, sua la battaglia da intraprendere sviluppando poteri mai immaginati, sua l’intelligenza che dovrà pianificare le tappe di una vittoria difficile.

Joël Chaberge è nato ad Aosta il 5 agosto 1991. Cresce tra le montagne valdostane nel comune di Gressan, vivendo a stretto contatto con la realtà agricola della famiglia e della Regione. Si diploma all’Institut Agricole Régional nel 2010 ottenendo la qualifica di Agrotecnico,  nello stesso anno inizia a lavorare nell’azienda agricola di famiglia. Ottiene nel 2014 la qualifica per poter esercitare la professione di Agrotecnico a pieni voti. Nel 2017 si iscrive regolarmente nell’albo professionale degli Agrotecnici e inizia la stesura del suo primo libro.
LanguageItaliano
Release dateAug 22, 2018
ISBN9788856793024
La Valle dei Draghi

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    La Valle dei Draghi - Joel Chaberge

    Introduzione

    Era una notte d’autunno. Mentre il vento soffiava impetuoso, un’ombra con un mantello scuro scivolava lungo i marciapiedi della città per poi svanire dopo aver girato l’angolo d’un grosso edificio.

    Davanti alla porta dell’orfanotrofio c’era un piccolo cesto fatto con i rami di salice intrecciati e dal suo interno provenivano i lamenti di un piccolo bambino che piangeva disperatamente.

    La porta dell’orfanotrofio si aprì e una donna di piccola statura apparve. Si chiamava Lia, prese in braccio il bimbo e vide che portava al collo un ciondolo di forma triangolare fatto di uno strano metallo.

    Il bambino fu chiamato Jack e venne accolto nell’orfanotrofio ma la sua infanzia fu tutt’altro che felice. Fin da piccolo venne costretto a lavorare per poter restare in istituto e studiare insieme agli altri bambini che però lo schernivano e non gli permettevano di giocare con loro.

    L’unica amica che aveva era Lia, la donna che l’aveva trovato, ma era solamente la donna delle pulizie e non poteva fare molto per aiutarlo.

    Passarono dieci anni da quella notte e Lia si ammalò molto gravemente e fu Jack a prendersi cura di lei fino alla sua morte. Per poter pagare le sue esequie dovette prendere il suo posto e lavorare per l’orfanotrofio.

    Dopo la morte di Lia, Jack si ritrovo completamente solo. L’unica cosa che gli portava un po’ di conforto era quel ciondolo che lo accompagnava da sempre e che rifletteva la luce del sole sulle pareti formando, dei piccoli arcobaleni.

    Jack crebbe così in un mondo ostile che lo rifiutava in tutto il suo essere, come se non gli appartenesse.

    Quando iniziò la sua avventura, Jack aveva ormai raggiunto la maggior età. Viveva ancora nell’orfanotrofio, lavorava però in un’azienda agricola per pagare l’affitto della sua stanza. Ma si occupava anche di tutti i lavori di fatica che il proprietario dell’orfanotrofio gli affidava.

    Jack

    Il sole splendeva alto sulla città di Black City, attorno alle tante fattorie si potevano vedere tutti i campi arati e le persone che vi lavoravano senza sosta.

    La primavera aveva finalmente preso il posto al lungo e freddo inverno, la natura si stava risvegliando dal suo letargo.

    Dal fondo di una collina nei pressi della fattoria più a ovest si sentì gridare: «Ehi Jack!». Una ragazza di circa quindici anni correva lungo il sentiero della collina che portava ai campi.

    In cima ad accoglierla c’era Jack, ormai aveva diciotto anni ed era diventato quasi un uomo. I capelli erano lunghi e castani, gli occhi avevano il colore del cielo senza nuvole con delle striature di grigio che rendevano il suo sguardo di ghiaccio.

    Il corpo era robusto, dotato di nervi saldi e muscoli ben definiti, grazie soprattutto al duro lavoro nei campi, che svolgeva dalla morte di Lia, per poter pagare l’affitto della camera nell’orfanotrofio.

    La ragazzina l’aveva raggiunto in cima alla collina. Si chiamava Charlotte ed era la figlia del fattore per il quale Jack lavorava.

    La bambina ormai, dopo tutto il tempo che passava con lui, lo considerava come un fratello.

    Arrivata gli si avvicinò e con un sorrisetto gli lanciò un piccolo fagotto. Jack lo prese al volo.

    «Tieni il pranzo. Te lo meriti dopo aver arato il campo tutta la mattina sotto il sole».

    Jack sorrise e aprì il fazzoletto.

    «Grazie. Ti va di farmi compagni mentre mangio?».

    Detto questo si sedette su un tronco marcio che era caduto in inverno a causa della neve. Charlotte gli si sedette di fronte su un grosso masso al sole.

    Jack cominciò a mangiare il suo pranzo che consisteva in una fetta di pane, del formaggio, una striscia di carne secca e una fiaschetta di acqua.

    Erano ormai otto anni che lavorava nella fattoria del signor Steven e aveva imparato ad amare la terra. I primi tempi però, aveva avuto qualche difficoltà, sia nel lavoro sia nel sopportare Charlotte.

    La ragazzina infatti era invadente, petulante e non gli consentiva di concentrarsi a dovere. Ma dopo un po’ la trovò simpatica e la sua compagnia piacevole.

    Charlotte era più bassa di Jack, aveva i capelli castani che le arrivavano fino a metà schiena, la faccia rotondetta metteva in risalto le sue guance rosse e gli occhi erano blu come il cielo in autunno.

    «Anche oggi starai qui fino al tramonto o pensi che rimarrai almeno per cena».

    Jack sbuffò: «Lo sai che non posso restare. Devo tornare all’orfanotrofio di Miss Doroty per aiutare a preparare la cena».

    Charlotte fece spallucce. «Quella vecchia megera non ha il diritto di trattarti come uno schiavo, dovresti andartene via da quel posto orribile e venire a stare con me e papà. Lo sai che ti prenderebbe volentieri con noi».

    «Non immagini quanto desidero scappare ma non posso andarmene almeno finché non avrò restituito il denaro per il funerale di Lia a Miss Doroty. Comunque anche se fuggissi e venissi da voi, sicuramente mi verrebbero a cercare e mi troverebbero. Scappare dai problemi non serve, a meno che non esista un altro mondo lontano anni luce da qui».

    Tra di loro calò il silenzio. Charlotte non sopportava quella situazione, avrebbe voluto aiutare Jack ma sapeva benissimo che lui non glielo avrebbe permesso.

    Quando finì il pranzo si alzò, piegò il fagotto e lo posò sul tronco dove si era seduto. Raccolse da terra la fiaschetta con l’acqua e l’appese alla cintura.

    Jack guardò Charlotte che disegnava nella terra con un piccolo pezzo di legno.

    «Torno al lavoro, vorrei finire di preparare il campo così domani potremo seminare» e senza aggiungere altro si volse, prese la zappa e continuò a dissodare il terreno dal punto in cui aveva smesso.

    Dopo qualche minuto Charlotte gli si affiancò con un rastrello e cominciò a livellare il terreno e a togliere i sassi più grandi.

    I due si sorrisero a vicenda e continuarono a lavorare per tutto il pomeriggio scambiando poche parole e fermandosi soltanto per bere.

    Il sole aveva quasi raggiunto le alte montagne ad ovest. Jack e Charlotte avevano finito di dissodare e livellare tutto il campo, decisero così di rientrare verso casa.

    Arrivati alla fattoria posarono gli attrezzi nel capanno e andarono a lavarsi alla fontana alimentata dal ruscello che scorreva lì accanto.

    L’acqua era gelata, quando colò nella schiena di Jack gli vennero i brividi e una voce rauca e profonda dietro di lui lo fece sobbalzare.

    «Non dovresti lavarti con l’acqua così fredda a meno che tu non voglia prendere una polmonite».

    «Non si preoccupi signor Steven ci sono abituato e poi fa ancora abbastanza caldo».

    Il padrone della fattoria gli sorrise e gli lanciò una camicia.

    «Mettiti questa, è pulita e almeno sarai un po’ più presentabile quando tornerai dalla vecchia cornacchia».

    «Grazie mille, gliela renderò domani mattina».

    «Non ti preoccupare, puoi tenerla, a me non serve, ne ho un armadio pieno».

    «Grazie davvero ma purtroppo non ho i soldi per pagarla».

    «Il lavoro che hai fatto oggi è più che sufficiente per tenerti la camicia. Senza di te non riusciremmo a mandare avanti la fattoria».

    «Allora grazie mille, ci vediamo domani per la semina. Arrivederci signor Steven, ciao Charlotte».

    La ragazzina per tutta risposta gli diede le spalle e sbuffò, Jack sorrise perché sapeva che lei non avrebbe voluto che tornasse all’orfanotrofio.

    Non aveva ancora fatto una decina di metri quando la sentì gridare: «Ciao zuccone! Vedi di non arrivare tardi o anche questa sera starai senza cena».

    Jack si girò e alzò il braccio per salutarla, poi riprese a camminare anche perché gli sarebbe voluta ancora mezz’ora prima di arrivare all’orfanotrofio.

    Mentre camminava lungo il sentiero che costeggiava il bosco si accorse che non molto distante tra la fitta vegetazione c’era una luce bianca sospesa a mezz’aria.

    Strano pensò. Non ci dovrebbe essere nessuno a quest’ora nella foresta.

    Deciso a svelare il mistero iniziò ad addentrarsi nella boscaglia cercando di seguire quella luce misteriosa. C’era qualcosa di strano perché più camminava più sembrava che l’oggetto della sua curiosità si allontanasse.

    Camminò finché non si trovò in una piccola radura con al centro una quercia enorme. Davanti all’albero c’era un globo luminoso che restava sospeso come se fosse dotato di vita propria.

    Si trovava a pochi passi da quello strano oggetto e stava per toccarlo quando la luce entrò nel tronco dell’albero.

    Sconcertato toccò la corteccia per controllare che fosse reale e poi girò attorno alla quercia alla ricerca del globo.

    Incapace di darsi una spiegazione toccò di nuovo la corteccia nel punto in cui aveva visto scomparire la luce. All’improvviso l’albero si illuminò e la luce si diffuse in tutta la piccola radura, la terra tremò e nel tronco si aprì una fenditura in grado di far passare un cavallo. Dalla spaccatura del legno fuoriusciva una luce bianca accecante.

    Jack era seduto a terra e aprì lentamente gli occhi. Non riusciva a vedere da dove provenisse la luce, decise allora di andare a vedere sulla parte posteriore dell’albero.

    Fece il giro ma non vi trovò altro che legno. La luce si era un po’ attenuata e quando fu davanti alla fenditura per la seconda volta, notò che sopra ad essa c’era la scritta: PORTALE DEL FUOCO. La lesse ad alta voce.

    Stava per chiedersi cosa volesse mai dire quando udì una voce.

    «Questo è il portale del fuoco. Questo passaggio si affaccia su un mondo diverso da questo, il mondo dal quale provieni e che hai lasciato monti anni fa».

    Jack si spaventò, girò su se stesso per capire da dove potesse provenire la voce. Non vedendo nessuno indietreggiò finché la sua schiena sbatté contro il tronco di una betulla.

    Deciso a non farsi prendere dal panico raddrizzò le spalle, inspirò una lunga boccata d’aria e con voce forte disse: «Chi è che ha parlato? Perché dici che non sono di questo mondo, io sono sempre vissuto qui».

    «Io sono lo Spirito della foresta. È vero tu sei sempre vissuto qui ma sei nato nel mondo che esiste dietro questo portale. Ti ho visto passare diciotto anni fa tra le braccia di una donna. Adesso che hai raggiunto la maggiore età ti concedo la possibilità di poter far ritorno alle tue origini».

    «Perché dovrei tornare in un posto dal quale mi hanno già portato via una volta e poi non conosco questa donna di cui parli».

    «La donna che ti portò in questo mondo lo fece per proteggerti dalla pazzia del Signore Oscuro. Quest’ultimo infatti dopo aver preso il dominio su Levadian, aveva trovato l’antica profezia e aveva dato inizio al suo folle piano».

    «Quale profezia? E dove sarebbe questo mondo chiamato Levadian?».

    «Levadian è il mondo da cui vieni. Esiste un’antica profezia scritta in un tempo che nessuna razza ricorda, che dice: Quando questa terra cadrà nelle tenebre, un corrotto si siederà sul trono per governare per l’eternità, ma in quel tempo nascerà sotto le stelle dei draghi colui che unirà i quattro elementi e riunirà sotto la sua bandiera tutti i popoli per riportare la pace. Quando il Signore Oscuro scoprì la profezia decise che tutti i bambini nati nel suo primo anno di regno venissero portati nel suo castello. Nessuno sa che fine abbiano fatto. Per essere sicuro che non gliele fosse sfuggito alcuno, fece mettere a ferro e fuoco tutti i villaggi ed è per questo che quella donna deve averti portato qui».

    Jack rifletté qualche secondo, poi chiese: «Perché dovrei andare in un posto che non conosco e per di più pieno di pericoli?».

    «Ognuno deve stare nel proprio mondo e affrontare il proprio destino. Nessuno può sfuggire al proprio fato. Comunque non devi scegliere adesso, il portale rimarrà aperto fino a domani mattina alle prime luci dell’alba. Vai e rifletti bene su ciò che vuoi».

    Jack stette immobile per qualche secondo, poi si volse e iniziò a correre per uscire in fretta dal bosco.

    Quando emerse dalla folta vegetazione si accorse che il sole era quasi tramontato, imprecò a denti stretti e continuò a correre per raggiungere in fretta l’orfanotrofio.

    Le sue gambe erano veloci ma la sua testa lo era ancora di più ed era affollata da mille domande.

    Attraverso il portale

    Quando entrò nell’orfanotrofio aveva ancora il fiato corto. Il sole era tramontato da un pezzo e Miss Doroty era nel grande corridoio che dava sull’ingresso e lo aspettava in piedi con le braccia conserte.

    Lo guardò con occhi di fuoco, poi urlò: «Ti sembra questa l’ora e il modo di tornare? È un bel pezzo che ti aspettiamo per farti servire la cena, ti sei forse dimenticato i tuoi doveri? E pensare che ho fatto di tutto per te per non farti mai mancare nulla, ed è così che mi ringrazi».

    Il tono con cui aveva parlato la direttrice dell’orfanotrofio era sgradevole ma Jack fece di tutto per tenere a freno la lingua.

    «Mi scusi Miss, le prometto che non accadrà più». Lo sguardo era fisso in terra per evitare di fulminare la direttrice che non usò troppi giri di parole per rispondergli: «Non me ne faccio niente delle tue scuse e tanto meno delle tue false promesse. Come minimo ti sarai fermato per attaccar briga con i ragazzi del quartiere: come devo fare con te, quando imparerai a comportarsi come si deve?».

    «Mi scusi ma non sono io che voglio finire nelle risse, sono loro che mi aspettano e mi vogliono far del male».

    «E chissà come mai quello che ha meno ferite sei sempre tu. Comunque non mi interessa, fai quel che vuoi ma appena sento che hai partecipato ad un’altra rissa, chiamo la polizia. Adesso va’ in cucina a prendere la cena e servila in tavola».

    Jack si stava allontanando quando Miss Doroty continuò: «Visto che sei arrivato in ritardo, il lavoro che hai fatto non ti sarà pagato».

    Jack serrò i pugni, lo sguardo fisso davanti a lui. «Sì Miss» e s’infilò nella cucina.

    Lavorò tutta la sera portando la cena in tavola, lavando le stoviglie e pulendo la sala da pranzo.

    Quando finì di fare le faccende si diresse verso la sua stanza, se così si poteva definire.

    Come sempre Miss Doroty lo accompagnava lungo le scale con una candela. Ad ogni passo gli scalini cigolavano e il suono si confondeva con il rumore che facevano i bambini ospiti dell’orfanotrofio.

    Arrivati in cima alle scale nel sottotetto, Jack si fermò davanti alla porta della sua stanza che era in fondo al corridoio. Aprì la porta e vi entrò senza nemmeno guardare la sua odiosa accompagnatrice che lo chiuse dentro a chiave e con diversi chiavistelli.

    La stanza era stretta, non aveva alcuna luce tranne che quella della luna che entrava attraverso l’abbaino.

    Il letto era lo stesso da quando era arrivato nell’orfanotrofio e ormai era troppo piccolo, infatti per riuscire a stare interamente sotto le coperte doveva dormire tutto rannicchiato.

    Jack era molto stanco e si distese, per quanto possibile, sul letto, pensando a quanto gli era successo nel bosco.

    Tentò in ogni modo di togliersi dalla testa tutto

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