Fuori vena Vol. 1
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About this ebook
Gianluca Montin ci guida prendendoci per mano nel mondo della tossicodipendenza, portandoci a vedere con i suoi occhi e a percepire sulla sua pelle la confusione e le debolezze di un ragazzo giovanissimo che dà vita a un processo di autodistruzione, che lo condurrà all’infelicità e all’isolamento sociale. Solo in età adulta riuscirà a elaborare il dolore legato alla malattia e alla successiva morte di sua madre, segnando una svolta fondamentale per il suo percorso di guarigione.
Fuori vena è il racconto intimo e personale di un riscatto, di una rinascita. Ci mostra come l’amore della propria famiglia assieme alla voglia di farcela può salvare una vita.
Montin Gianluca, nato a Monselice il 3 agosto 1982.
Provengo da una famiglia di ristoratori, fin da piccolo ho vissuto nel ristorante di famiglia, prima appartenente al mio bisnonno, poi ai miei nonni e infine alla mia famiglia. Ho vissuto ad Anguillara Veneta fino il 1989, trasferito dopo vicissitudini familiari a Monselice. Fino sedici anni non ho dato nessun problema in famiglia. Poi il mio cammino verso il baratro della dipendenza iniziò in seguito a disgrazie familiari. Per non accettare la realtà mi rifugiavo nello sballo di gruppo, poi sempre più verso un totale isolamento dal resto della società.
Partito per San Patrignano nel 2004 iniziai così un tira e molla tra comunità e strutture terapeutiche, alternate da stagioni come chef in giro per l’Europa e l’Italia.
Nel lavoro ho avuto anche diverse soddisfazioni, ottenendo diverse recensioni su riviste di settore.
Con il tempo finalmente le cose sono iniziate ad andare per il verso giusto, ricaduta dopo ricaduta.
Ora ho trentacinque anni, una compagna e un figlio bellissimo a cui sto dedicando la mia vita, cercando di insegnargli ciò che di buono ho imparato io dalla vita.
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Book preview
Fuori vena Vol. 1 - Gianluca Montin
© 2018 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma
info@gruppoalbatros.com
ISBN 978-88-567-9271-3
I edizione aprile 2018
www.gruppoalbatros.com
Libri in uscita, interviste, reading ed eventi.
Fuori vena
Vol. 1
Chi persevera nella propria follia diventa saggio.
Introduzione
Il lavoro di G. si inserisce, a mio avviso, nell’insieme delle azioni di un piano di trattamento. Si è sempre molto discusso su cosa sia un piano o programma di trattamento
, appare ormai sempre più evidente che lo stesso possa essere solo che un insieme di azioni che accompagnano la persona verso una completa riabilitazione dal suo legame con la o le sostanze. In questo senso ogni proposta ha la sua dignità, non ne esiste una migliore delle altre, poiché dipende molto dal momento storico, dalla consapevolezza della persona, dalle persone che gli sono vicine, dalle possibilità di attuare e proporre certe azioni. Ormai appare chiaro che la cosa comunque più importante è essere vicino, quando lo chiede, alla persona che vuole emanciparsi dalle sostanze, per permetterle di riprendere un contatto con la realtà e le parti meno alterate della sua personalità. Si tratta quindi di un percorso di accompagnamento verso una crescita relazionale e individuale che ha tempi personalizzati e mai categorici. Ecco allora che questo lavoro che si inserisce nella terapia narrativa
rappresenta uno di questi tasselli che può permettere a G. di ripercorrere, a modo suo, la sua vita con le sostanze; sia per raccontala ad altri ma, ritengo, soprattutto per raccontarla a se stesso. Nello scritto sono presenti tutti i temi che incontriamo nel trattamento delle dipendenze patologiche, in questo senso appare più un lavoro che può essere di grande utilità agli educatori (genitori, insegnanti, medici, psicologi, allenatori eccetera) che ai ragazzi. È noto che nella fase adolescenziale esiste una specie di delirio di onnipotenza, ben descritto in questo lavoro, e quindi le proposte di questo tipo possono solo amplificarlo più che scalfirlo. L’inizio si presenta nello stile di Philip K. Dick di Un oscuro scrutare, una drammatica realtà che però introduce all’idea tipica dell’esperienza della dipendenza da sostanze di aprirsi a nuove sensazioni con interessanti ritorni a riferimenti spirituali; quasi che questa dimensioni fosse stata trascurata ma inevitabilmente ritorna nella vita di tutte le persone in vari momenti della stessa. La descrizione dell’inizio appare particolarmente interessante nella sua tipicità: amici, curiosità, voglia di diversità, ricerca di novità, soldi. Un insieme di riferimenti che dovrebbero diventare elementi di grande riflessione per gli educatori, i quali invece sono spesso alla ricerca di responsabilità improbabili e fuori dalla quotidianità. Certo, c’è il trauma della perdita che non fu per nulla valutato e che va sempre affrontato con delicatezza, vicinanza e affetto; mai banalizzato o ancora peggio lasciato alla gestione del singolo, specie quando già nel suo mondo è presente la sostanza. Altro tema attualissimo è il policonsumo di sostanze in una ricerca sempre più maniacale di quella che risponde maggiormente alle esigenze del momento. A un certo punto però l’autore, facendo riferimento alla soggettività sua e degli amici, dice: «La sofferenza che ci avvolgeva», introducendo il tema della sofferenza psichica che rappresenta il tema centrale del trattamento, a un certo punto della esperienza di dipendenza con le sostanze, della vita delle persone spesso negata e allontanata con comportamenti di iperattività e consumi pericolosi. Ecco perché a volte è indispensabile un momento di protezione e di intensità trattamentale come la comunità terapeutica. Certo, le comunità non sono tutte uguali e non fanno la stessa proposta di trattamento; qui appare utile lasciarsi guidare da operatori che sappiano e vogliano lavorare in rete con tutto l’insieme del sistema di cura delle dipendenze patologiche, in una sinergia tutta a favore delle persone che a volte chiedono aiuto e a volte lo subiscono. La nostra consapevolezza di operatori però è che varie esperienze possono permettere che qualcosa di interessante rimanga nella vita della persona, sapendo che è proprio questo insieme di nuove esperienza, specie se coinvolgenti, che può far nascere alternative alle sostanze, che per definizione sono una esperienza inglobante. In questo percorso a volte molto accidentato è necessario come dice G. «avere un piano di riserva»: questo dice moltissimo sul reinserimento e sulla ricaduta. Bisogna avere chiaro che le possibilità di ricaduta ci sono e fanno parte del percorso di cura. In questo senso il piano di riserva permette alternative precedentemente esaminate e evidenziate, diminuendo quindi l’angoscia di fronte al desiderio imperioso che la sostanza attiva nella testa delle persone. Nel suo narrare G. ha colto un altro importante elemento, specie nella fase di reinserimento, cioè quello di porsi dei limiti che vadano oltre il non uso di sostanze consapevoli, che è proprio la mancanza di limiti. Qui entriamo a pieno titolo nel campo educativo e pedagogico, che favorisce la ricerca di esperienze qualunque siano i rischi che si possano affrontare. La ricerca di G. attraverso il suo