L’altra Faccia Della Luce: dialogo tra Sabatino Scia e Alda Merini
By Sabatino Scia and Alda Merini
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About this ebook
Sabatino Scia, l’autore, dà vita a una narrazione simbolica, a tratti filosofica, che riflette su alcune caratteristiche dell’umanità, seguito immediatamente dopo ogni favola dalla luminosa e intramontabile Alda Merini. La poetessa, legata allo scrittore da un’amicizia di lunga data, commenta con tono amichevole e colloquiale le storie narrate, i personaggi e molteplici temi quali, per esempio, il potere, l’ingordigia, l’astuzia ma anche l’ingenuità, la poesia, la libertà, la follia.
Ne deriva un’interessante narrazione adatta a tutti, adulti e bambini, senza limiti di età.
Una raccolta di favole senza tempo e, soprattutto, il dialogo ricco e vivace tra due artisti, due cari amici che riflettono insieme sulla vita, la morte e l’umanità.
Alda Merini è nata a Milano nel 1931. Ha esordito giovanissima sotto la guida di Angelo Romanò e Giacinto Spagnoletti. Alla pubblicazione delle prime raccolte, tra cui La presenza di Orfeo che ebbe un grande successo di critica, seguirono anni di silenzio. Negli anni Novanta conobbe Sabatino Scia e nacque un’amicizia che proseguì fino alla sua morte.
Sabatino Scia, nato a Napoli, è autore di circa quattrocento favole, di romanzi e testi teatrali, pittore e scrittore eclettico; in linguaggio pittorico Sabatino mette in scena temi politici e fatti di storia facendo dire alla tela “cose che non vanno dimenticate”. Cinque delle sue opere si trovano al Museo “Memorial to Holodomor victims” di Kiev.
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Book preview
L’altra Faccia Della Luce - Sabatino Scia
Sabatino Scia
L’altra Faccia Della Luce
EDIFICARE
UNIVERSI
© 2018 Europa Edizioni s.r.l. | Roma
www.europaedizioni.it
I edizione elettronica luglio 2018
ISBN 978-88-9384-659-2
Distributore per le librerie Messaggerie Libri
Prologo
Il lettore che si accinge a leggere queste tue favole commentate da me non rimanga disorientato: ho soltanto voluto mostrare di ognuna l’altra faccia, l’angolatura remota che è punto di vista del poeta, che rifugge la logica comune e porta alla luce ciò che altrimenti resterebbe nell’ombra.
Ciononostante resta la convinzione che tu, Sabatino, hai saputo rivisitare in modo moderno questo genere letterario, la favola, riportando in vita il suo vero spirito mordace, accattivante, spesso provocatorio.
Buona lettura!
Alda Merini
Prefazione
di Mario Luzi
La letteratura di genere favolistico che ha goduto di una considerazione primaria nei secoli della classicità – quelli classici e quelli che i classici li hanno tenuti a modello – oggi è del tutto in ombra e scaduta sia nella proposta sia nell’evocazione.
La certezza dell’umano definibile è, credo, nella nostra epoca così debole che non invita a istituirvi sopra un sistema metaforico qual è quello che vige appunto nella favola.
Sta proprio nella dislocazione degli attanti l’amenità della favola: animali al posto di uomini, dotati del loro senno e della loro dabbenaggine, nonché del loro stesso linguaggio.
Perciò Esopo, Fedro nell’antichità, la Fontaine e Perrault nei tempi più recenti assumono la dignità di depositari dell’esperienza umana nello stesso tempo di maestri e di giudici. La loro sanzione e il loro suggerimento si equivalgono, la favola produce questo eccezionale equilibrio. La sua portata morale è grande.
Non c’è proprio da stupirsi se essa non ha cittadinanza nella cultura dell’uomo moderno, se modernità è in primo luogo il dissolversi di ogni modello o carattere certificato.
Ma Sabatino Scia ci fa discretamente ricredere con le sue lievi, affabili, ariose e ingegnose favole in cui è preservato e incrementato il potere metaforico della favola che chiamiamo esotica. Ma bisogna subito aggiungere qualcosa sulla felicità nel creare situazioni impreviste e paradossali tra i suoi protagonisti e comprimari animali di varia specie. Diciamo per cominciare che Scia mostra qualità narrative eccellenti: il suo mondo è molto animato e sveglio, la sapienza vince sulla perfidia e l’astuzia se non si converte in saggezza ha la peggio, perché il mondo è sempre più ricco e strano di come lo si immagina. La volpe e il lupo nella loro contrapposizione di natura e nella loro paradossale complicità mi sembrano i protagonisti nel vivace universo di Scia, così come la pecora e l’agnello ne sono i più indifesi e innocenti abitatori.
L’efficacia metaforica, lo ripeto, è indubbia, ma l’allusione non è pedissequa – e questo è da considerarsi un pregio che innalza il lavoro di Scia fino al piano dei veri e propri moralisti, cioè un po’ più al di sopra di quello degli etologi per non dire dei fumettisti. Ciò significa che l’uomo qui adombrato è più che un animale, beninteso, secondo la nostra valutazione? Forse circola nella ilarità di fondo della prosa di Scia questo conscio e inconscio sottinteso. Eppure le favole così liberamente affabulate di Scia mi confortano nella credenza sempre più convinta che il pianeta in cui siamo non è così antropocentrico come crediamo e altre specie oltre la nostra hanno criteri vitali propri e un proprio linguaggio che noi non possiamo tentare d’intendere se non assimilandoli ai nostri, prigionieri come siamo della nostra condizione e da essa limitati. Pensieri che debbono essere di quando in quando balenati anche a Sabatino Scia nei momenti di più fantasioso estro nei quali immetteva potenzialità insolite, voglio dire non strettamente analogiche nel mondo dei suoi animali. In quelle sgrammaticature
si può immaginare una grammatica diversa a noi impenetrabile.
Cacciamo i maiali dai boschi
Era tardo mattino, il sole splendeva entusiasta e un carro carico di maiali chiassosi scivolava nella stradina verdeggiante e silenziosa che portava al bosco delle lumache.
A guidare c’era nonno maiale, che al suo buon cavallo baio ciancioso e malepatuto fece ìhìii due volte nell’orecchio, e questo, ancora stanco e assonnato per le continue commesse… rivai e rivieni… accompagna lì quel maiale e riporta qui quell’altro, finché si bloccò all’istante dallo spavento.
Sul carretto c’era anche un cagnolino lanuto (quei cagnolini che, viziati, fanno baccano tra i divani, i tavolini di vetro e gli orsetti di peluche) e scodinzolava euforico tra le zampe degli animali. Una scrofa era messa supina tra il petto gonfio e nerboruto di un giovane verro e lo baciucchiava con passione. I maiali erano allegri e soddisfatti ché avevano maialeggiato il giorno prima fino a tarda notte. E quanto avevano mangiato! Quanto avevano bevuto! Quanto avevano grugnito… e quanto avevano sporcato e crapulato! Il loro porcile scoppiava di spazzatura e mosche gozzovigliavano allegre su ogni cosa appiccicosa, zizzendo stima e amore per i loro amici a quattro zampe che in ogni occasione regalavano saporita sporcizia in gran quantità.
Erano nel bosco e, scesi dal carro, appena avevamo messo zampe a terra, già vomitavamo ghrùu, ghrùù, ghrùù e freneticamente intrufolavano soffiando il muso nella terra profumata per poter trovare funghi e castagne nascosti o qualcosa di commestibile da portar poi al loro porcile.
Ai due giovani maialini fu ordinato, con altri grugniti strillati: «Presto, presto. Dobbiamo mangiare, mangiare! Carne, carne! Siamo onnivori. Ghrù, ghrù, ghrù!» e i due si affrettarono a mettere giù dal carro la gratella e il barbecue e cesti zeppi-zeppi di leccornie. Vino e sigari d’avena non mancavano.
Un merlo dall’alto vide la scena e volò dalla sua amica cornacchia e le ciangottò: «I maiali! Sono entrati nel bosco! I maiali! Sono entrati nel bosco! Tutti all’erta! Mi raccomando: fai qualcosa, subito! Di’ a tutti!».
La cornacchia saltellò prima da un ramo all’altro, cornacchiò con stizza e partì la notizia e poi i cinguettii volarono di becco in becco e così, in poco tempo, tutti gli animali seppero della presenza dei maiali nel bosco.
I primi a nascondersi, impauriti nelle loro lunghe e profonde tane, furono i topi!
«Oh, ancora qui i maiali! Che gioia proverebbero i boschi se i maiali restassero per sempre rinchiusi nei loro comodi porcili», esclamò disturbato l’albero di sughero che appariva del tutto spelacchiato, ché un altro maiale, senza chiedere permesso a nessuno, armato di roncola e coltellaccio, gli aveva rubato il suo abito prezioso per costruire il presepe di Natale alla sua amata scrofa.
«Ghrù, ghrù, ghrù», rigrugnì nonno maiale e poi ancora: «Su, portate i cesti di leccornie all’ombra della mimosa antica che la nostra maialata domenicale comincia. Portate qui il barbecue e la gratella. Accendiamo il fuoco. La carbonella. Raccogliete pigne, paglia e piccoli ramoscelli secchi».
Un sottile vento primaverile soffiava fragranza. Nonna scrofa affondò la zampa vogliosa nel cesto, tirò una busta gonfia di pan