Le donne della controra
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Durante l’ora della controra nelle case e per le strade regna il silenzio assoluto, vengono sistematicamente interrotte tutte le attività lavorative ed i paesi stessi sembrano addormentarsi, tanto da apparire abbandonati, quasi spettrali, perché non circola anima viva. Mentre nelle campagne, i contadini che hanno cominciato a lavorare i campi fin dall’alba si stendono sotto le larghe chiome degli alberi frondosi alla ricerca di una piacevole frescura, in ogni casa, subito dopo aver rigovernato, ci si affretta a socchiudere imposte e battenti per impedire l’ingresso alla grande calura.
Il romanzo si sviluppa in un contesto paesano, appunto nell’ora della controra, dove si perpetua giornalmente il rito dell’incontro di un gruppo di donne che, sfidando la grande calura e rinunciando al riposo obbligato, si riuniscono sotto un ombreggiato portico per trascorrere momenti di svago e di ozio industrioso. Al rito della controra si assocerà anche Luisa, una piccola forestiera che, affascinata da quei raduni, vi parteciperà ogni estate, nel periodo delle vacanze estive, fino alle soglie della giovinezza. Qui, attraverso il racconto di simpatiche storie e drammi personali, avverrà non solo la sua maturazione emotiva, ma col tempo si sarà resa conto di essere stata testimone del processo evolutivo di un piccolo borgo antico.
Antonia D'Andria è nata a Napoli nel 1949 da madre napoletana e padre acheruntino. Formazione umanistica, ha frequentato l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, indirizzo psico-pedagogico. Studiosa della psiche umana, appassionata di giardinaggio, sta portando avanti l’eredità del nonno paterno di grande amore per la terra.
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Le donne della controra - Antonia D'Andria
Ringraziamenti
Prefazione
Nei paesi del Sud Italia intorno agli anni sessanta, a causa di una forte emigrazione, si verifica un incessante esodo che svuota i borghi di tanti giovani nuclei familiari. Si aveva l’urgenza di migliorare la qualità di vita di un’esistenza mediocre, senza prospettiva per il futuro. Anche nella famiglia Marsano c’era necessità di partire perché non si voleva rimanere indietro rispetto agli altri. Giovanna Marsano, figlia di Paolo e madre di Paolino Onorato, spezzando il cuore al vecchio padre, decide di varcare l’oceano per raggiungere il marito che da anni l’aveva preceduta nell’avventura dell’emigrazione. Il giovane Paolino, eccitato dalla grande opportunità, corre immediatamente dietro al suo sogno, trascurando nel tempo gli affetti che si lascia dietro e l’evoluzione della sua terra in una sorta di anestesia affettiva. Si risveglierà dal suo disinteresse affettivo, solo da adulto, e seguirà le evoluzioni delle sue radici di appartenenza, lasciandosi accompagnare come in un viaggio nel tempo da chi ha vissuto situazioni ed affetti al suo posto.
Prologo
La controra è una terminologia tipica dei paesi del sud-Italia e si riferisce a quella fase di riposo del dopopranzo, obbligatoria per tutti, nel periodo di caldo opprimente dei mesi estivi.
Durante l’ora della controra nelle case e per le strade regna il silenzio assoluto, vengono sistematicamente interrotte tutte le attività lavorative ed i paesi stessi sembrano addormentarsi, tanto da apparire abbandonati, quasi spettrali, perché non circola anima viva. Mentre nelle campagne, i contadini che hanno cominciato a lavorare i campi fin dall’alba si stendono sotto le larghe chiome degli alberi frondosi alla ricerca di una piacevole frescura, in ogni casa, subito dopo aver rigovernato, ci si affretta a socchiudere imposte e battenti per impedire l’ingresso alla grande calura. Il romanzo si sviluppa in un contesto paesano, appunto nell’ora della controra, dove si perpetua giornalmente il rito dell’incontro di un gruppo di donne che, sfidando la grande calura e rinunciando al riposo obbligato, si riuniscono sotto un ombreggiato portico per trascorrere momenti di svago e di ozio industrioso. Al rito della controra si assocerà anche Luisa, una piccola forestiera che, affascinata da quei raduni, vi parteciperà ogni estate, nel periodo delle vacanze estive, fino alle soglie della giovinezza. Qui, attraverso il racconto di simpatiche storie e drammi personali, avverrà non solo la sua maturazione emotiva, ma col tempo si sarà resa conto di essere stata testimone del processo evolutivo di un piccolo borgo antico.
L’uomo libero è come una nuvola bianca, una nuvola bianca è un mistero,
si lascia trasportare dal vento, non resiste, non lotta, e si libra al di sopra di ogni cosa. Tutte le direzioni e tutte le dimensioni le appartengono
Osho Rajneesh
Parte prima
Il cappello
L’auto arrancava sulle salite a tornante ed era importante arrivare prima di sera perché sebbene fosse primavera inoltrata avrebbero trovato la casa in collina ghiacciata e sarebbe stato utile riscaldarla prima di mettersi a letto. L’alloggio che avrebbe ospitato Luisa e suo marito in passato era appartenuto a diverse generazioni ed era vecchio più di due secoli, aveva mura spesse e non era stato abitato da oltre dieci anni. Ci toccherà accendere il camino e le stufe elettriche per avere un po’ di calore, ma neanche basteranno…
I due passeggeri accusavano la spossatezza del lungo viaggio e dopo aver tanto parlato preferivano rimanere in silenzio. Ormai il pretesto per aprire bocca erano solo i cartelli stradali che segnavano il conto alla rovescia per l’arrivo a destinazione. A mano a mano che si avvicinavano alla meta, Luisa avvertiva un’emozione crescente che le causava uno strano batticuore; si sentiva legata a quei posti come se ci fosse nata; rivederli era come tornare a casa. Aveva trascorso da quelle parti, ospite dei nonni, quasi sempre le vacanze estive da quando era bambina fino alle soglie della giovinezza. Ricordava la metamorfosi avvenuta in lei: quei luoghi scordati da Dio che le erano stati ostili durante tutta l’infanzia che era stata obbligata a frequentare contro la sua volontà, a poco a poco, con la consuetudine della presenza, le erano entrati nel cuore ed erano diventati casa sua e parte delle sue radici. Il medesimo paesaggio di sempre: campi rigogliosi alternati a natura selvaggia ed incolta, terre abbandonate da chi aveva alzato bandiera bianca contro il lavoro estenuante della cura del terreno che assorbiva energia per dare in cambio frutti modesti. Anche lei con la famiglia superstite sopravvissuta ai nonni e ai genitori aveva alzato bandiera bianca: infatti ritornava in quei posti con il mandato a vendere affidatole dalle sue sorelle. Peccato liquidare le terre e la casa in paese, è una forma di tradimento nei riguardi di chi ha speso le energie e la salute per rendere tutto ospitale
, pensava Luisa con nostalgia, ammirando il paesaggio noto e mai dimenticato. Aria purissima, natura superba, campagna lussureggiante, gente semplice e cordiale. Era così bello venire ad Acerenza quando c’era il nonno…Tutto era speciale perché lui era speciale. Grande uomo, non lo dimenticherò più finché campo!
Sentì un bruciore sotto le palpebre che aumentava sempre di più e la preparava allo sgorgare delle lacrime che l’avrebbero fatta stare male come succedeva sempre tutte le volte che pensava a lui! Povero vecchio: una vita di lavoro massacrante e ben poche soddisfazioni, soprattutto al limitare della sua esistenza, costretto a morire all’ospizio del paese. Per impedire ai grossi lucciconi di caderle in grembo, cercò di distrarsi e nel tentativo di disperderli, sbattendo le palpebre alzò lo sguardo in alto, quando immediatamente la sua attenzione fu catturata da una nuvola in cielo a forma di cappello. Pensò a lui ancora più intensamente, le lacrime seguirono la legge di gravità liberandole la vista appannata, ed immediatamente stabilì mentalmente il contatto con lui. Sei tu che ti sei materializzato e mi guardi dall’alto?
pensò subito con malinconia. Sì, la forma della nuvola che nascondeva una parte di cielo, composta da aggregazioni di ciuffi soffici e delicati come ovatta sembrava proprio il cappello della domenica del nonno, un cappello di feltro a tesa larga. L’immagine sollecitata dal soffio intenso del vento si scompose quasi subito, annullando in lei per un attimo l’emozione che fu sostituita da un ricordo scolpito nella mente che le affiorò veloce alla memoria: Nonno, mi sembri proprio un signore quando indossi gli abiti della domenica e il cappello elegante in testa
ricordava Luisa ripensando a se stessa bambina quando faceva i complimenti al nonno che abbandonati i panni da lavoro si vestiva con eleganza per andare alla Messa. Per il piacere dell’apprezzamento affettuoso, il timido vecchio arrossava la punta delle gote avvizzite e cotte dal sole, e per dissimulare l’imbarazzo sviava il discorso e di rimando le rispondeva: perché quando indosso la coppola somiglio forse a una signora?
E rideva compiaciuto più per l’attenzione della sua nipotina che per la battuta spiritosa. Quello di dare forma alle nuvole era un bel gioco che la piccola Luisa era solita fare col vecchio nonno. Nelle giornate limpide e ventose andava a raggiungerlo nei campi mentre era intento a zappare la vigna correndo affannata per mostrargli quello che vedeva lei in cielo, ed eccitata con l’indice puntato in alto gli gridava da lontano: presto, prima che si scompone, guarda come è divertente nonno, ora è una criniera di leone e quasi va trasformandosi in uccello!
Il vecchio Paolo rispondeva con un sorriso a tanta eccitazione, mentre il corpo stanco con lentezza sollevava la schiena curva e tirando su in posizione verticale l’attrezzo di lavoro vi si appoggiava con tutta la pesantezza delle membra. Guardava in alto anch’egli tutte le volte con gli occhi estasiati e la stessa meraviglia nuova come vedeva fare alla sua nipotina. In quei momenti esclusivi la grande differenza di età era colmata dal medesimo stupore genuino di due bambini che guardavano col naso in aria quella enorme ed immensa massa di ovatta bianchissima in cielo di incerte dimensioni, accumularsi, compattarsi, lacerarsi, scomporsi e diradarsi per poi congiungersi ed accorparsi ancora cambiando forma e direzione secondo i capricci del vento. A volte bastavano solo pochi secondi perché quelle enormi matasse di ovatta creassero ancora innumerevoli stravaganti forme a cui loro si divertivano a dare un nome. In pochi attimi nel cielo al posto di nuvole bianche di latte fluttuavano come su di un immenso e luminoso palcoscenico immagini più disparate: nasi, fiocchi di forma arrotondata, teste di cane, gregge di pecore lanute, proboscidi di elefanti, dito puntato, cono gelato, scarpa gigante, profili, palle irregolari… La piccola Luisa eccitata come ogni volta, saltando e roteando su sé stessa, non dimenticava mai di recitare la filastrocca che aveva imparato dalle suore: vanno le nuvole bianche di latte…giocano e sono un po’ matte…
Nonno e nipote, affascinati dallo spettacolo, si libravano in alto, si identificavano nelle nuvole ed il vecchio sorrideva estasiato con animo libero e mente sgombra. In quei momenti si sentiva sulle ali della libertà totale: gli si distendevano le rughe della fronte e si liberava da pensieri o preoccupazioni. Non più zolle da rivoltare, solo un immedesimarsi nello spazio. Rimaneva più del necessario col naso in aria e gli occhi sognanti, perché trasformava quell’immensità azzurra che vedeva in un vasto oceano in cui le nuvole diventavano spuma del mare…quel mare che gli aveva portato via i suoi affetti più cari… In quel momento preciso, persa nei ricordi, oltre gli occhi, anche il cuore di Luisa si fondeva con le nuvole. Manca poco ormai, solo dieci chilometri naturalmente tutti in salita!
Marito e moglie ritornavano al paese natio del padre di Luisa: Alfredo, l’ultimo maschio della stirpe dei Marsano che con la sua dipartita estingueva anche il cognome delle generazioni che lo avevano preceduto. Era il cruccio del nonno, quello del cognome che non sarebbe sopravvissuto al suo unico figlio maschio. Con disappunto e una vena di biasimo nel tono accorato: Se tuo padre avesse avuto almeno un figlio maschio, al posto di tante femmine, il cognome di famiglia andrebbe salvato. Invece non è andata così e con Alfredo termina la generazione dei Marsano. Dopo di lui, tutto quello che lascio andrà in malora in mani estranee!
Era il tormento reale di un vecchio legato alla roba di famiglia. Luisa, diventata adolescente, sulle orme di un dilagante femminismo, indispettita dall’enunciato maschilista ma pur comprendendo il dramma di quel brav’uomo d’altri tempi, non avendo il coraggio di contestarlo, superando il disappunto per amore, conciliante ed in tono consolatorio: Ma ci siamo noi che abbiamo lo stesso sangue e il tuo cognome a raccogliere la tua eredità, non è la stessa cosa, nonno?
Il vecchio, intestardito nelle sue opinioni antiquate, sottolineava ancora più chiaramente: No. Non è la stessa cosa. Voi siete femmine, è tutto diverso, cambierete il cognome con quello dei vostri mariti ai quali sarete sottomesse! Poi siete cittadine…Venderete… Vedrete…
E la sua profezia in quell’istante si andava avverando. Il pensiero di Paolo Marsano durante quei malinconici discorsi correva all’unico nipote maschio, che portava il suo nome ma non il cognome. Era Paolo Onorato, detto Paolino, il figlio della figlia cresciuto nella sua casa che con la sua presenza stabile gli aveva sempre fatto accarezzare l’idea che un giorno sarebbe stato il suo successore nella gestione delle proprietà e a quel punto non importava che non avesse il suo cognome. Ma le speranze del vecchio progenitore si erano infrante nel momento in cui gli avevano strappato quel bambino trasportandolo in un posto lontano, oltreoceano, dove assicuravano che il suo avvenire sarebbe stato più promettente rispetto a quello di un futuro contadino. Alla partenza del nipote il vecchio Paolo aveva provato un dolore immenso, un vuoto incolmabile: in un’unica volta aveva dovuto subire il distacco da quel ragazzino legato a lui da un legame speciale che era diventato la ragione della sua vita, sfumava il suo progetto di destinargli la terra ed in ultimo gli veniva a mancare la forza di quattro braccia nella gestione delle terre: quelle della figlia Giovanna e del genero Armando. A lui sarebbe toccato soffrire di nostalgia in silenzio per tutta la vita e stringere i denti lavorando per tre. Quando Paolo Marsano ebbe finito di versare tutte le silenziose lacrime per il dispiacere dell’abbandono, pensando ai disagi che il nipotino avrebbe dovuto affrontare, rassegnato diceva: Chissà quanto dovrà soffrire per aver abbandonato gli affetti! Sicuramente rimpiangerà con nostalgia gli amici a cui si accompagnava!
E dopo un po’ sovrappensiero compenetrandosi nel difficile calvario dell’emigrazione:" E chissà quanti tormenti dovrà subire sul suolo straniero dove il razzismo nei