Insegnare la lingua e la cultura italiana nei centri d'accoglienza: Nuovi contesti d'apprendimento, la micro-africa. Proposte didattiche
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Questo volume prende atto di questi nuovi contesti e offre dati empirici e proposte didattiche che possano essere una guida per i meno esperti che si trovano catapultati in questo mestiere affascinante e complesso, insegnare l’italiano e la cultura italiana nei centri d’accoglienza.
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Reviews for Insegnare la lingua e la cultura italiana nei centri d'accoglienza
2 ratings1 review
- Rating: 5 out of 5 stars5/5Insegno italiano L2 in un centro SAI da 5 anni. E questo piccolo , ma utilissimo libro mi è servito per rivedere alcuni concetti base di glottodidattica e non solo. Ringrazio di vero cuore l'autore per la chiarezza e soprattutto per aver dato voce a quelle difficoltà di chi , come me, deve affrontare ogni giorno, trovandosi ad operare in un contesto multiculturale e con un' infinità di problemi logistici da risolvere! Grazie, grazie, grazie.
Book preview
Insegnare la lingua e la cultura italiana nei centri d'accoglienza - Vincenzo Galasso
Note
PREMESSA
Questo libro non è un manuale scientifico bensì una raccolta di esperienze professionali che non vuole fare assolutamente concorrenza e tanto meno sostituirsi a manuali di natura scientifica ben più completi e complessi. L’obiettivo è offrire un libro di consigli e piccoli modelli da seguire e adattare in base alle proprie esigenze, modelli didattici e consigli basati su reali esperienze didattiche aventi luogo nel contesto di apprendimento oggetto dello studio.
INTRODUZIONE
Questo libro vuole essere un manuale, un libretto delle istruzioni che possa guidare gli insegnanti e i facilitatori linguistici verso un progetto di integrazione linguistica e culturale di successo.
Negli ultimi anni in Italia sono arrivate centinaia di migliaia di persone tra richiedenti asilo politico e immigrati irregolari, tale fenomeno ha trasformato il nostro paese in una nazione dal tessuto etnico molto variegato che ha bisogno di un progetto di integrazione funzionale, ricercato e dalla configurazione abbastanza complessa. Le persone provenienti dai paesi disagiati, quasi tutti dall’Africa e dall’Asia, vengono sistemate nei centri di prima accoglienza dove, durante il corso dei tantissimi ed interminabili iter burocratici, trascorrono i primi anni della loro vita in Italia, ed è proprio in questa fase che prende forma la metamorfosi della persona, un processo che lo porterà a essere un cittadino o un emarginato.
Nei prossimi paragrafi vedremo nel dettaglio la situazione attuale e la situazione ideale, partendo da concetti di natura teorica e arrivando a proposte operative concrete e in parte sperimentate. È bene ricordare che la qualità del progetto di integrazione di queste persone è un requisito essenziale, senza un progetto efficace si rischia di creare delle microsocietà isolate dal resto della popolazione che potrebbero degenerare in comunità di persone ad alto tasso di emarginazione sociale e culturale.
Cosa è un centro di accoglienza?
Ormai centro d’accoglienza è diventata un’idea diffusa in tutta la popolazione ma quanti sanno realmente cos’è un centro d’accoglienza? Cerchiamo di delineare brevemente questo concetto. Tali centri giuridicamente si definiscono SPRAR, o meglio rientrano nell’ambito del Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati, in tali centri vengono accolti esclusivamente i richiedenti asilo politico. Lungi dall’entrare in questioni politico-economiche riguardanti il funzionamento, il finanziamento e la classificazione di un centro d’accoglienza, spieghiamo in maniera abbastanza spartana cosa dovrebbe avvenire in un centro di questo tipo a detta di che se ne occupa.
I richiedenti asilo politico ospiti di un centro (SPRAR) ricevono misure di assistenza e di protezione, sperimentano un progetto di integrazione e acquisizione linguistica elaborato ad hoc, studiano, mettono a fuoco quelle che sono le proprie capacità, imparano a conoscere e rispettare la società civile che li sta ospitando, maturano e riscoprono sé stessi nell’attesa del giudizio di essere idonei o meno a ricevere asilo politico in questo paese. La giornata tipica dovrebbe prevedere una firma ogni mattina per registrare l’effettiva presenza dell’ospite per poi evolversi in una costellazione di attività rivolte all’integrazione culturale e all’apprendimento della lingua italiana e spesso lavori socialmente utili. Questo percorso è definito dagli addetti ai lavori come un processo individuale e organizzato, attraverso il quale le singole persone possono (ri)costruire le proprie capacità di scelta e di progettazione e (ri)acquistare la percezione del proprio valore, delle proprie potenzialità e opportunità
[1] .
Cosa succede davvero in un centro d’accoglienza?
Si tratta davvero di un progetto così articolato quello che ruota intorno alla figura del richiedente asilo politico? Siamo davvero dinanzi alla possibilità di una complessa integrazione culturale veicolata dai percorsi di cui sopra? Malgrado le intenzioni siano, o siano state, rivolte a un processo di questo tipo la realtà è ben differente e adesso vi spiegherò il motivo.
Il problema principale che causa in molti casi la non integrazione di queste persone è che il progetto pensato appunto per la loro integrazione e per l’acquisizione della lingua italiana è completamente sbagliato, oppure insufficiente. Il primo problema è che non c’è una regolamentazione ad hoc su coloro che devono avere il compito di insegnare la lingua e la cultura italiana a queste persone, nello specifico un insegnante di italiano L2/LS con formazione accademica. In molti casi chi si improvvisa insegnante di italiano non è laureato ina materie di didattica dell’italiano o addirittura solo diplomato, è bene ricordare che sapere la propria lingua non significa saperla insegnare. Il secondo problema è che anche quando c’è una persona competente al timone di questo processo, il tempo è scarso. Il terzo problema reale è che non ci sono luoghi e strumenti adatti a questo compito. Il quarto problema è che in molti casi non si riesce a coinvolgere i cittadini nella partecipazione attiva alle attività di integrazione culturale di queste persone.
Tutte queste condizioni mancanti portano il richiedente asilo politico ad una condizione psicologica che gli impedisce di ottenere successo in questo progetto, egli sebbene si mostrerà entusiasta all’inizio andrà via via perdendo l’entusiasmo che sarà soppiantato dal menefreghismo. A questo punto il progetto è fallito.
Delineata in maniera molto spicciola la situazione adesso valuteremo nello specifico i seguenti aspetti di un progetto di successo: profilo del richiedente asilo politico, varietà del parco studenti, condizioni psicologiche, condizioni logistiche, materiali a disposizione, progetto didattico, progetto culturale e si esemplificherà il tutto con un esempio di proposta didattica sperimentata su richiedenti asilo politico con successo.
CAPITOLO I
PROFILO DEGLI STUDENTI
Quando ci si accinge ad insegnare in un centro di accoglienza bisogna anzitutto considerare che la platea alla quale ci si rivolgerà è tutt’altro che omogenea, si tratta di una sorta di biodiversità
antropologica, culturale, anagrafica ed educativa e dunque i fattori che bisognerà andare ad analizzare con cura, prima di strutturare qualsiasi percorso didattico, saranno i seguenti: regione di provenienza, lingua madre e altre lingue conosciute, livello di alfabetizzazione e di istruzione, cultura, età, progetto migratorio e condizioni psico-fisiche. Vediamo questi fattori uno ad uno.
1.1 Regione di provenienza
Il primo fattore da considerare è proprio la provenienza del discente che ci si trova davanti, da questo punto di vista la situazione potrebbe essere abbastanza eterogenea ma non troppo, solitamente la provenienza dei richiedenti asilo politico coincide con quattro aree geografiche, ossia: il medio-oriente, il nord Africa, l’Africa continentale e l’Asia meridionale. I paesi di origine nella maggior parte dei casi sono: Marocco, Tunisia, Egitto, Siria, Iran, Iraq, Nigeria, Ghana, Congo, Senegal, Gambia, Costa d’Avorio, Togo, Niger, Eritrea, Etiopia,