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Angeli della vita: Testimonianze
Angeli della vita: Testimonianze
Angeli della vita: Testimonianze
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Angeli della vita: Testimonianze

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Sono davvero tante le persone che possono testimoniare cosa significhi spendere la propria esistenza in favore della vita contro l’attuale “cultura della morte”. Alcuni di essi sono molto famosi, altri meno noti.  Medici, avvocati, giornalisti, religiosi, persone comuni. Intorno a loro si sono create associazioni e movimenti ProLife.
Gli autori di queste pagine – impegnati attivamente sul campo - hanno raccolto le testimonianze più significative, commoventi e interessanti. Qualche nome: il dott. Aletti che insieme a Luigi Frigerio hanno vissuto e combattuto di prima persona alla Mangiagalli di Milano, Emanuela Beretta Molla, Costanza Miriano…

“È davvero lodevole l’iniziativa di portare a conoscenza del pubblico la testimonianza vibrante di laici e di consacrati che hanno coraggiosamente deciso di dedicare la propria esistenza alla difesa della vita”. Mons. Luigi Negri
“La legge sull’aborto non ha consentito di venire al mondo ad oltre sei milioni di italiani e la scarsità di figli ci ha fatto sprofondare in questa crisi economica”. Mons. Luigi Negri
LanguageItaliano
Release dateJul 24, 2018
ISBN9788828362975
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    Angeli della vita - Gianfranco Amato

    ANGELI DELLA VITA

    Testimonianze

    GIANFRANCO AMATO - GIORGIO CELSI - WANDA MASSA 

    Prefazione di S. Ecc.za Mons. Luigi Negri

    Gribaudi

    Ai nostri figli 

    perché possano gustare la bellezza della Verità

    e comprendere l'immenso valore della vita.

    "Viviamo in un momento di lotta,

    da cui nessuno deve disertare,

    poiché ciascuno ha comunque almeno

    una delle tre armi:

    la preghiera, la parola, la penna".

    dal testamento spirituale 

    del Card. CARLO CAFFARRA

    Piero Gribaudi Editore

    Copyright 2018 Piero Gribaudi Editore srl

    Copertina di Ideaesse

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    www.gribaudi.it

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    tel 02-89302244 - fax 02-89302376

    email: info@gribaudi.it

    Nella stessa collana:

    G. Garrone (c.), ...Ma questo è un figlio, Testimonianze di donne vittime dell'aborto

    A. Sanna, Ragazza madre, appunti di viaggio in un paese povero

    L. Amour, Irene B., Michelino, 45 ore per amare

    A. Giovanoli, Nel nome del padre

    G. Garrone, Oltre la morte... la vita, La via di resurrezione dall'aborto

    AA.VV., Dall'aborto all'eutanasia

    AA.VV., Aborto terapeutico, Due vite in gioco

    AA.VV., Contraccezione e aborto 

    G. Pelucchi, Un'esperienza davvero speciale, Progetto Gemma

    L. Aletti, Carne, Ossa, Muscoli e Tendini, In difesa della vita nascente

    T. Soldavini, Rosario per la vita

    PREFAZIONE

    È davvero lodevole l’iniziativa editoriale di portare a conoscenza del pubblico la testimonianza vibrante di laici e di consacrati che hanno coraggiosamente deciso di dedicare la propria esistenza alla difesa della vita. Di questo sono grato agli amici Giorgio Celsi, Wanda Massa e Gianfranco Amato.

    E per questo ho dato volentieri la mia disponibilità ad esprimere alcune considerazioni nella premessa della loro opera.

    Il comune denominatore delle esperienze esistenziali di questi coraggiosi combattenti pro-life credo si possa rinvenire nel fatto che la prima difesa dell’inviolabilità assoluta della vita umana innocente risieda nell’opposizione a quel terribile atto chiamato aborto, e che il Magistero della Chiesa ha sempre considerato un «crimen nefandum» (GS n. 51), un vero e proprio «delitto abominevole».

    Mi ha sempre particolarmente colpito la formula solenne con cui San Giovanni Paolo II ha espresso il pronunciamento infallibile e irreformabile di condanna dell’aborto nel punto 57 dell’enciclica Evangelium vitae. Nessun Pontefice prima di lui aveva conferito una simile solennità a tale condanna. Nella lingua ufficiale della Chiesa, che è il latino, quel pronunciamento appare ancora più grave e severo: «Nos auctoritate usi Petro eiusque Successoribus a Christo collata, coniuncti cum Ecclesiae catholicae Episcopis, confirmamus directam voluntariamque hominis innocentis interfectionem graviter inhonestam esse semper» (Con l’autorità che Cristo ha conferito a Pietro e ai suoi Successori, in comunione con i Vescovi della Chiesa cattolica, confermo che l’uccisione diretta e volontaria di un essere umano innocente è sempre gravemente immorale).

    Si tratta di una questione essenziale che coinvolge anche il rapporto tra l’uomo e il Potere.

    Lo aveva già denunciato, con la sua consueta lucidità profetica, il mio Maestro mons. Luigi Giussani nel lontano 1976 quando in un’intervista da lui rilasciata a L’Espresso, proprio sulla questione dell’aborto, dichiarò: «Per noi è una questione di principio. Vogliamo affermare il diritto irriducibile alla vita umana», perché «quando dovessero arrivare al potere concezioni di tipo eugenetico, allora si potrà decidere di sopprimere vite umane anche al di là del limite embrionale».

    Ed è quello che, poi, tragicamente è accaduto.

    Oggi, infatti, nell’orizzonte della grande ideologia tecnocratica che domina il mondo la persona umana è considerata semplicemente un dato di carattere biologico, su cui la scienza è abilitata a operare tutti i possibili esperimenti in vista della creazione di livelli di vita fisica sempre più rispondenti agli ideali di comodità. La vita umana ha perso qualsiasi dimensione di mistero: non è un dato, originariamente gratuito da accogliere e da amare, ma una situazione che deve essere razionalizzata e dominata. Quando la vita fisica mostra i suoi limiti, al suo sorgere o al suo declinare, per la presenza di condizionamenti che ne aggravano la prosecuzione o anche ostacolano un benessere economico e fisico considerato irrinunciabile, allora la vita umana si riduce a qualcosa che può essere variamente manipolato o addirittura negato. Le manipolazioni genetiche, l’aborto, la contraccezione, le varie forme di eutanasia costituiscono – proprio come aveva denunciato San Giovanni Paolo II nell’Evangelium vitae – una immensa congiura dei nuovi potenti contro i poveri, i nuovi poveri di questa società in cui domina un concetto di libertà assolutamente falso.

    È una libertà che trova esclusivamente in sé, come pura reazione istintiva, le proprie ragioni ed il proprio dinamismo, e non più nell’essenziale riferimento alla verità.

    Ma una libertà senza verità è soltanto un arbitrio dei potenti contro i deboli. E quando le strutture sociali e politiche assecondano questa congiura, conferendo alle violenze contro la vita il valore di leggi, proprio allora si inizia il cammino verso il totalitarismo.

    In troppi paesi del mondo il totalitarismo tecnocratico scrive ogni giorno infiniti episodi di violenza contro il mistero della vita, come dono gratuito ospitato nel cuore di ogni persona che Dio chiama alla vita. È in atto nella vita sociale un grande conflitto fra la cultura della vita e la cultura della morte. La cultura della morte, che è caratterizzata da una straordinaria ricchezza di mezzi scientifici e tecnologici e da strumenti di pressione sulla coscienza delle nazioni e dei popoli, è la cultura dell’uomo che si considera al centro della realtà e che pertanto considera la realtà come un dato a sua totale disposizione. L’uomo che si considera al centro della realtà, dotato di un potere assoluto, intellettuale, morale, scientifico e politico, considera la persona dell’altro semplicemente come un dato da conoscere, da organizzare ed eventualmente da manipolare.

    La più grave conseguenza di questa concezione è la sostituzione dello Stato a Dio: lo Stato diventa come un dio provvisorio; provvisorio, ma onnipotente. O meglio, assume il ruolo di unica potenza determinante l’utilizzazione delle varie componenti che gremiscono il tempo e, in particolare, del fenomeno più interessante della natura, cioè lo stesso individuo umano. Ricordo l’impressione amara che Giussani provò quando ci riferì di aver letto sul Corriere della Sera del 9 febbraio 1975 un articolo di Italo Calvino, intitolato Che cosa vuol dire rispettare la vita, in cui quel pur grande scrittore – favorevole all’aborto – sosteneva tranquillamente l’idea che l’individuo umano dovesse il suo stesso valore di persona allo Stato, perché la vita non è «un diritto naturale» ma un prodotto della società. Secondo Calvino la persona non sarebbe altro se non «il frutto di una educazione programmata dallo Stato», con la cinica conclusione per cui nessuno avrebbe diritto alla vita e l’aborto sarebbe quindi una cosa lecita. Se la dignità, infatti, è conferita alla persona dallo Stato e se lo Stato decide che all’origine la persona deve avere un certo equilibrio psico-fisico, altrimenti è meglio sopprimerla, nessuno ha diritto di dire: «Io ci sono, non potete toccarmi». Ma in questo ragionamento sta il germe del totalitarismo.

    Ecco perché possiamo dire a voce alta che una società che ha inserito nella sua legislazione l’aborto è una società ingiusta, e lo Stato che ha legalizzato questa pratica non può più dirsi democratico, perché non c’è democrazia che possa contemplare l’eliminazione consapevole della vita umana, là dove appare nel suo inizio e quindi nel pieno della sua fragilità.

    Quando uno Stato decide di legalizzare l’aborto, per quanto sia stato deciso in termini assolutamente legali, questo atto non cessa la sua terribile punizione di essere un fatto distruttivo per la società. 

    Aveva ragione Hannah Arendt quando parlava della categoria della banalizzazione. Certo lei parlava del male nazista, ma credo che valga in generale per il nostro tempo che cerca di banalizzare la vita, dopo la fine delle grandi ideologie. Quindi io credo che la sfida da raccogliere sia di testimoniare che il cristianesimo contiene l’unica possibilità per superare la banalizzazione della vita umana e per ridare alla stessa le sue dimensioni autentiche: di verità, di libertà, di dignità, di costruttività, di capacità di sacrificio e di lavoro, di sopportazione delle circostanze pesanti, come ad esempio la crisi in cui versa il nostro Paese dalla quale non si esce semplicemente con interventi di carattere tecnico. Per dirla in termini cari a Papa Benedetto XVI noi ci troviamo in un periodo in cui si rende necessaria una Nuova Evangelizzazione.

    La proclamazione della cultura della vita è la grande responsabilità che incombe su tutta la Chiesa e su ogni suo figlio, come ci testimoniano tanti cristiani impegnati, i quali fanno dell’amore per la vita, anche nei suoi aspetti più gravi o più deboli o nei suoi condizionamenti più penosi, occasione di testimonianza quotidiana di fronte al mondo e alla sua violenza.

    Voglio, a questo proposito, ricordare una grande affermazione contenuta nell’Evangelium vitae, forse l’affermazione centrale di tutta quell’enciclica: «La Chiesa si sente chiamata ad annunziare agli uomini di tutti i tempi questo Vangelo fonte di speranza invincibile e di gioia vera per ogni epoca della storia. Il Vangelo dell’amore di Dio per l’uomo, il Vangelo della dignità della persona e il Vangelo della vita sono un unico ed indivisibile Vangelo». È proprio vero: il Vangelo dell’annunzio cristiano comporta necessariamente il Vangelo del valore assoluto della vita. È per questo che l’uomo, l’uomo vivente, costituisce la prima e fondamentale via della Chiesa. Ciascun uomo, proprio per il Mistero di Dio che si è fatto carne, è affidato alla sollecitudine materna della Chiesa. Perciò ogni minaccia alla dignità e alla vita dell’uomo non può non ripercuotersi nel cuore stesso della Chiesa; non può non toccarla al centro della propria fede nell’incarnazione redentrice del Figlio di Dio, non può non coinvolgerla nella sua missione di annunziare il Vangelo della vita in tutto il mondo e ad ogni creatura. 

    Oggi più che mai la società nichilista in cui viviamo ha bisogno di testimoni credibili che sappiano rendere evidente con le loro stesse esistenze, anche a livello culturale, che la vita non è, innanzitutto e sostanzialmente, un’esperienza bio-fisiologica; la vita è la vita di Dio che viene comunicata agli uomini. La vita è dare un senso alla vita, un valore alla vita, un significato alla vita: è il destino della vita. La vita fisica appare evidentemente come un aspetto di un complesso molto più ampio, molto più decisivo, molto più significativo. La vita dell’uomo già consapevolmente si muove verso l’eternità, perché la vita dell’uomo cerca il proprio senso. La vita umana genera cultura che serve a dare consapevolezza critica alla vita; la cultura è la vita che diviene coscienza di sé. L’uomo che vive cerca il senso della sua vita. Cercando il senso della sua vita è già oltre lo spazio e il tempo, è già oltre la materia, è già oltre la carne. 

    Oggi più che mai la società nichilista in cui viviamo ha bisogno di laici capaci di aprire ogni giorno, con la parola e con le opere quella via nuova che va dal cuore di Dio al mondo e che rende il mondo un luogo di positività, contro ogni tentazione di violenza, di sopraffazione o di meschinità.

    Oggi più che mai la società nichilista in cui viviamo ha bisogno di laici vivi, attivi e intraprendenti, perché se nel mondo non c’è più una presenza viva, attiva e intraprendente, il popolo – tutto il popolo, non solo la presenza cristiana – è abbandonato al potere, che senza carità è solo dominio e quindi distruzione dell’umanità.

    Mons. Luigi Negri

    Aecivescovo emerito di Ferrara 

    Abate emerito di Pomposa

    INTRODUZIONE

    Uno dei capisaldi del pensiero antropologico cristiano resta indubitabilmente la celeberrima enciclica Evangelium vitae con cui San Giovanni Paolo II, nel 1995, ha arricchito il Magistero della Chiesa cattolica.

    Si tratta davvero di una pietra miliare del pensiero umano e di una miniera inesauribile, un vero infinito tesoro per tutti i credenti che desiderano approfondire una seria riflessione sul mistero della vita.

    Proprio da questo scrigno prezioso abbiamo tratto il titolo della presente opera. Lo spunto ci è venuto leggendo il punto n. 100 dell’enciclica, in cui il Papa Santo afferma: «È certamente enorme la sproporzione che esiste tra i mezzi, numerosi e potenti, di cui sono dotate le forze operanti a sostegno della cultura della morte e quelli di cui dispongono i promotori di una cultura della vita e dell’amore. Ma noi sappiamo di poter confidare sull’aiuto di Dio, al quale nulla è impossibile (cfr. Mt 19, 26)».

    Promotori della vita, in quanto custodi e annunciatori, in una parola: Angeli della Vita. Questa è l’immagine che abbiamo voluto cogliere dall’Evangelium vitae per indicare coloro che, confidando nell’infinito e onnipotente aiuto del Signore, desiderano essere costruttori di una nuova civiltà della vita e dell’amore. 

    Oggi non sono pochi, fortunatamente, questi uomini e donne di buona volontà e retta ragione disposti a testimoniare la Verità attraverso la propria esistenza e a non farsi intimorire dai mezzi potentissimi di chi, mediante la menzogna, si fa promotore di una cultura della morte.

    Anche per infondere una speranza tra quello che San Giovanni Paolo II chiamava il «populus vitae» (EV n. 51), è nata in noi l’idea di far conoscere al pubblico l’esistenza di alcuni di questi costruttori.

    Alcuni di essi sono molto famosi, altri meno noti, e altri ancora forse restano sconosciuti ai più, ma tutti loro possono testimoniare cosa significhi spendere la propria esistenza per la tutela della vita.

    Sarebbe stato oggettivamente impossibile elencare tutti coloro che oggi in Italia e nel mondo si battono in difesa di questo fondamentale diritto. Si tratta di migliaia e migliaia di persone.

    Il criterio che abbiamo deciso di utilizzare per questa iniziativa editoriale è stato, in realtà, quello della conoscenza personale. 

    Abbiamo, quindi, raccolto le testimonianze di alcuni dei promotori della vita che in questi anni abbiamo incontrato, conosciuto e con i quali abbiamo anche condiviso importanti battaglie.

    Ci siamo accorti che gli angeli della vita incontrati nelle nostre esistenze erano davvero tanti, per cui è stata necessaria un’ulteriore cernita, che abbiamo deciso di effettuare in maniera da poter rappresentare più ambiti possibili dell’opera di difesa della vita.

    Non abbiamo seguito alcun criterio particolare nell’esposizione delle singole testimonianze. L’unica avvertenza che abbiamo avuto è stata quella di iniziare da Emanuela Beretta Molla, per porre simbolicamente questa opera sotto la protezione di sua madre, Santa Gianna.

    Infine, intendiamo rivolgere un sentito ringraziamento a Sua Eccellenza Mons. Luigi Negri, arcivescovo emerito di Ferrara, per la prefazione che ha voluto donarci. 

    Gli autori

    1 - EMANUELA BERETTA MOLLA

    Ogni mattina, appena apro gli occhi, ringrazio il Signore, la Mamma celeste, che ha fatto incontrare i cuori e le anime di mamma e papà, la mia amatissima e santa mamma e il mio amatissimo papà, suo degno sposo, per il dono della vita, che è davvero tutto: è il dono più grande, più prezioso e più sacro, che si è sempre in dovere di onorare, rispettare e difendere.

    «La vita della mamma», ha testimoniato mio papà Pietro, «è un atto e un’azione perenne di fede e di carità, è un ricercare senza sosta, per ogni decisione e per ogni opera, la volontà del Signore, con la preghiera e la meditazione, la Santa Messa e l’Eucarestia, è un realizzare continuo i precetti e i consigli evangelici, anche quelli che chiamano alle vette del dovere, dell’apostolato e dell’amore, sempre, anche quando il sacrificio che ne consegue è quello della propria vita».

    Papa San Giovanni Paolo II, che ha proclamato mia madre beata il 24 aprile 1994 e santa il 16 maggio 2004 con il titolo di Madre di famiglia, disse nell’omelia della canonizzazione: «Il sacrificio estremo che suggellò la sua vita testimonia come solo chi ha il coraggio di donarsi totalmente a Dio e ai fratelli realizzi se stesso». E definì la sua eroica testimonianza «un vero canto alla vita». 

    Il Signore ha scelto la mia mamma tra tante mamme sante in paradiso per essere

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