Lost Tales Sword And Sorcery n°1 - Estate 2018
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Vincenzo Pratticò, autore della splendida cover realizzata appositamente per Lost Tales Sword and Sorcery ci svelerà passo a passo i segreti della sua arte.
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Lost Tales Sword And Sorcery n°1 - Estate 2018 - Federica Soprani
2018.
INTRODUZIONE
Questo che avete tra le mani è il motivo per il quale ho aperto una casa editrice, la stella polare utilizzata per dirigere la navigazione nel mare tumultuoso dei miei desideri. Il sottogenere Sword & Sorcery è una minuscola parte del vasto universo del Fantastico, che ha avuto i suoi fasti tra gli anni ‘30 e gli anni ‘60 dello scorso secolo e poi è stato repentinamente soppiantato dall’ormai consolidato Fantastico di stampo tolkieniano dopo l’uscita de Il Signore degli Anelli
e di innumerevoli epigoni non sempre così ispirati. Ormai, se si domanda all’uomo della strada cosa identifichi con Fantasy, facilmente evocherà immagini di castelli di stampo medievale, di draghi e di razze non umane tipiche della mitologia celtica. Ma non è sempre stato così. Se all’uomo della strada fosse stata posta la stessa domanda nel 1938, lui vi avrebbe parlato di città polverose sepolte in epoche distanti eoni nel passato, di barbari, bestie immonde e congreghe di cultisti che evocano orrori cosmici. Non avrebbe nemmeno saputo connotarlo fisicamente, un elfo. Non fraintendetemi: non condanno affatto le vie che la fantasia occidentale ha preso nell’ultimo secolo. Ogni storia ha il suo corso, ogni immagine la sua destinazione. Ma il nostro desiderio è sempre stato che i ragazzi che ora si affacciano alla narrativa sapessero dell’esistenza di storie prima delle loro storie e fantasie meno vicine a noi, meno rassicuranti.
Questo è quel che ora leggerete. Volevamo che fosse sferzante e definitivo, come il calare di una scure, che evocasse quella narrativa brutale che ha caratterizzato gli anni d’oro di un genere, ma che vi apportasse anche delle contaminazioni contemporanee.
Quindi in questo primo numero di Lost Tales: Sword & Sorcery
troverete un lungo racconto di Lin Carter datato 1975, e un saggio per poter meglio conoscere questo magnifico autore simbolo di un genere. Ma ci saranno anche tre racconti scritti apposta per noi, per Voi, che danno nuove direzioni alla fantasia eroica, lavorando intorno al concetto di antieroe.
Se quando avrete finito di leggere questo magazine vi sentirete spossati, intimoriti e vagamente euforici, allora non vi preoccupate: è quel che volevamo.
Vittorio Cirino
Il retaggio di Lin Carter
a cura di Obsidian Mirror
Scrittore, editore e critico, scomparso sul finire degli anni Ottanta, Lin Carter è uno dei tanti nomi ingiustamente poco noti in Italia, se non per una limitata serie di racconti apocrifi, giunta a noi negli anni Settanta attraverso Editrice Nord, sulla figura di Conan il Barbaro, il leggendario personaggio creato dalla fantasia del celebre autore di heroic fantasy Robert E. Howard.
Naturalmente non sarà quest’ultimo il focus di questo articolo, bensì il lato più oscuro della produzione di Lin Carter, quella più weird, per usare un termine oggigiorno piuttosto (ab)usato.
Non è affatto un mistero che due tra gli autori più graditi da Lin Carter fossero l’ideatore dei miti di Cthulhu Howard Phillips Lovecraft e il padre dell’horror fantascientifico Clark Ashton Smith (altro nome mai abbastanza celebrato nel nostro paese), così come non è affatto un mistero che Carter fosse talmente affascinato da certi temi da volerli riproporre numerose volte all’interno dei suoi racconti. Mi riferisco in particolare alla faccenda della pseudobiblia, quella diffusissima pratica, molto in voga negli anni d’oro della rivista Weird Tales, di utilizzare citazioni provenienti da libri inesistenti, intere opere inventate appositamente per creare un sottofondo mitologico agli avvenimenti narrati.
Uno degli pseudobiblium (il lemma originario è pseudobiblion
) più ricorrenti negli scritti di Lin Carter è senza dubbio il Livre d’Ivonis, palese riferimento al famigerato Liber Ivonis o Livre d’Eibon (The Book of Eibon) la cui origine sarebbe da ricondurre al già citato Clark Ashton Smith. Secondo quest’ultimo, il testo conterrebbe le procedure necessarie a creare una porta inter-dimensionale tra il nostro mondo e il mondo dei Grandi Antichi. Altri testi fondamentali nella pseudobiblia citazionista Carteriana sono naturalmente "Gli innominabili culti" (Unaussprechlichen Kulten) di Robert E. Howard e il classico dei classici, il lovecrafiano "Necronomicon".
Il tutto senza contare l’immensa sorgente, a cui il nostro poté attingere, offerta da gente come August Derleth, Robert Bloch, Henry Kuttner, Frank Belknap Long e da mille altri che, prima di Carter, si cimentarono con la materia.
Oggi ci limiteremo a parlare di un solo fortunatissimo episodio della carriera citazionista di Lin Carter, un racconto uscito per la prima volta nel 1981 sul terzo numero del progetto antologico Weird Tales, curato dallo stesso Carter e realizzato in omaggio alla storica rivista omonima. Il racconto, intitolato "The Winfield Heritance", è forse quello che più di ogni altro è ricco di riferimenti pseudobiblici.
Tutt’attorno le Voci mi sussurrano quanto facile sia completare il segno di Koth, che mi permetterà di superare i cancelli del sogno, là dove i Night-Gaunt, i Ghoul, e i Ghastes di Zin, presto mi accoglieranno; da lassù i grandi Byakhee alati, servitori di Hastur negli spazi oscuri tra le stelle, attendono il mio arrivo, per accompagnarmi in volo alla Stella Nera, là tra le Iadi dove, sulle nebbiose sponde del Lago Hali, giace Carcosa; là ai piedi dell’Antico Trono dove il Re in Giallo - proprio Lui, Yhtill, il Senza Tempo - riceverà la mia solenne promessa, e dove io finalmente riceverò la penultima ricompensa per la mia devozione; e finalmente il mio sguardo si poserà su Colui che si cela dietro la Maschera Pallida.
Il testo del racconto riprende una dichiarazione scritta di Winfield Phillips, un tempo segretario del Dr. Seneca Lapham alla Miskatonic University e ora miliardario in pensione grazie al frutto dell’eredità dello zio materno Hiram Stokely. In tale dichiarazione, nella quale si narrano le vicende che lo portarono a dubitare della propria sanità mentale, Winfield invita l’eventuale lettore a inoltrare il suo scritto al dottor Lapham affinché questi possa farne l’uso che ritiene più opportuno. Un incipit nel più classico stile del solitario di Providence, non vi pare?
Ad ogni modo, Hiram Stokely, che diversi anni prima si era trasferito dal Massachusetts alla California, praticava (a quanto si presume) rituali proibiti ai quali aveva avuto accesso tramite una monumentale collezione di testi antichi, raccolti nell’arco di tutta una vita.
Alla sua morte, Winfield decide di recarsi al funerale del vecchio zio, più per dovere di rappresentanza che per altro (non avendolo mai conosciuto di persona), assieme al cugino Brian. La città che ospitava lo zio Hiram gli appare subito come un luogo decadente, che ispira depressione e una certa nota di disagio. Le sue paludi stagnanti sembrano indebolire la luce e, come il cugino ha modo di illustrare a Winfield, probabilmente tutto è da ricondursi a un vecchio caso di cronaca noto come "The Hubble’s Field Atrocity, ovvero la scoperta di una fossa comune che accoglieva centinaia di corpi smembrati appartenenti a diverse epoche. È il
luogo dei vermi", così come lo definisce la gente del posto. E guarda caso, quel luogo è proprio adiacente alla residenza del vecchio zio.
Una vera beffa per il cugino Brian, che riceve in eredità il contenitore
(una proprietà di scarso valore immobiliare); una vera manna per Winfield, che invece può disporre di tutto il contenuto
della villa, inclusa l’imponente e preziosa biblioteca.
Come detto in precedenza, ciò che ci porta a parlare di "The Winfield Heritance" non è tanto lo spessore letterario del racconto in sé, non molto diverso dai tanti altri racconti che decine di seguaci di Cthulhu hanno dato alla luce nell’arco di un secolo, quanto l’incredibile elenco di pseudobiblia citati nel breve spazio di poche pagine.
Oggi proviamo a stilarne una lista, un piccolo esercizio fine a se stesso che ci servirà, se non altro, a divertirci un po’.
Si parte già dalle prime righe, dove il protagonista dichiara di essere un diretto discendente di tale reverendo Ward Phillips, pastore della seconda chiesa congregazionalista di Arkham.
Phillips sarebbe autore di un oscuro tomo dal curioso titolo di "Thaumaturgical Prodigies in the New-Englis Canaan", uscito in prima edizione a Boston nel 1794 e successivamente (1801) ristampato in forma ridotta, avendo cura di togliere o modificare le parti ritenute oscene o per qualche motivo sconvenienti. Il testo rappresenterebbe la cronaca, sotto forma di predica, di certi strani (e blasfemi) fenomeni avvenuti nel New England attorno al 1620, ai tempi della storica Rivoluzione. In esso verrebbero descritte le attività blasfeme di streghe, guerrieri, sciamani e di numerose altre creature maligne del New England coloniale. Phillips presterebbe anche particolare attenzione agli eventi che avvennero a Billington’s Woods, vicino a Arkham, nel 1624, e sui quali sorvoleremo.
Ovviamente il "Thaumaturgical altro non è che uno pseudobliblium, citato per la prima volta da August Derleth nel romanzo
The Lurker at the Threshold" ("Il guardiano della soglia", 1945), scritto sulla base di alcuni frammenti lasciati da Lovecraft (che era morto, lo ricordiamo, nel 1937) e che venne pubblicato, in una sorta di collaborazione postuma, con la doppia firma Lovecraft-Derleth, nonostante il secondo avesse scritto praticamente il 99% del testo. Ne "Il guardiano della soglia", che con un pizzico di fortuna potreste trovare in una vecchia edizione Fanucci, uno dei personaggi è appunto il reverendo Phillips, al quale Derleth affida la biblioteca della celebre Miskatonic University. A causa di una serie di eventi che non starò qui a raccontare, il reverendo finirà per dare alle fiamme ogni copia esistente del "Thaumaturgical", rendendolo di fatto uno pseudobliblium perduto.
Ma da dove arriva il reverendo Ward Phillips? Le ipotesi circa il suo nome, a quanto ne sappiamo, potrebbero essere due: la prima conduce a uno dei personaggi più famosi del solitario di Providence (Charles Dexter Ward), al quale sarebbe stato aggiunto il cognome Phillips in omaggio allo stesso Howard Phillips Lovecraft; la seconda ipotesi, forse più centrata, può ricondursi a un Ward Phillips (un semplice caso di omonimia?) citato nel racconto "Through the Gates of the Silver Key (
Attraverso le porte della Chiave d’Argento", HPL, 1932), che viene presentato come un cugino alla lontana di Randolph Carter (altro inflazionatissimo personaggio lovecraftiano).
A proposito di Carter
, il nostro Lin Carter accosta al "Thaumaturgical altri due titoli che odorano parecchio di pseudobiblium ma che in realtà pseudoblium non sono: il
Magnalia (
Magnalia Christi Americana, 1702) e l’infernale
Wonders of Invisible World" (1692) di Cotton Mather, un pastore congregazionalista realmente vissuto nel New England nella seconda metà del XVII secolo e divenuto tristemente (e, a quanto mi risulta, ingiustamente) famoso in occasione del processo alle streghe di Salem.
La parte centrale del racconto, senza dubbio quella più interessante, inizia con l’ingresso del nostro protagonista nella biblioteca appena ereditata. Questa viene descritta come un ampio salone posto al secondo piano della villa e tappezzato di scaffali su tutte le pareti, dal pavimento al soffitto. A portata di sguardo vi sono testi di autori piuttosto normali; tra questi Mark Twain, Alexandre Dumas, Honoré de Balzac, Charles Dickens, William Makepeace Thackeray, Walter Scott e alcuni poeti della Scuola del Lago: William Wordsworth, Samuel Taylor Coleridge e Robert Southey.
L’unica tregua a quell’infinita fila di libri è un piccolo spazio appena sopra la porta, nel quale troneggia un grottesco dipinto raffigurante creature bestiali in quello che sembra essere un cimitero. Tutte queste figure, dalle espressioni ghignanti, appaiono riunite attorno a una figura centrale intenta a consultare una guida turistica di Boston. La targhetta posta sotto la cornice riporta l’indicazione "Holmes, Lowell and Longfellow Lie Buried in Mont Auburn". L’autore si firma Richard Upton Pickman.
Si tratta, come è facile intuire, dell’ennesimo omaggio che Lin Carter concede a Lovecraft: dipinto e pittore sono infatti prelevati pari pari dal racconto "The Pickman’s Model (
Il modello di Pickman", HPL, 1927), nel quale si narrano le vicende di un artista specializzato nel dipingere soggetti fantastici di inspiegabile realismo, tra i quali cimiteri e demoni divoratori di cadaveri. Siamo quindi di fronte a uno pseudo-quadrum (oddio, spero si dica così), ma quale significato nasconde?
I tre personaggi citati nel titolo dell’opera (Oliver Wendell Holmes Sr, James Russell Lowell e Henry Wadsworth Longfellow), ancora una volta personaggi reali, appartenevano una congregazione di poeti del New England denominata "The Fireside Poets" e attiva nei primi anni del XX secolo. Il Mount Auburn Cemetery è anch’esso un luogo reale (si trova a pochi chilometri da Boston) e realmente ospita i resti mortali di Holmes, Lowell e Longfellow (curioso il particolare che nessuno degli altri membri della congrega fu sepolto a Mount Auburn).
Osservando il dipinto, verrebbe da pensare che i tre poeti si siano in seguito trasformati in demoni oppure che siano stati divorati dagli stessi. Forse Howard Phillips Lovecraft aveva qualche conto in sospeso con i tre, per dedicare loro una simile citazione post-mortem? Credo che non lo sapremo mai. E non sapremo nemmeno se Lin Carter sapeva.
Uno sguardo più attento porta alla luce una seconda fila di libri nascosta dietro quella in primo piano. Niente di così misterioso, ci sarebbe da commentare. Trovatemi qualcuno che non si sia ridotto a sistemare i propri libri in doppia fila...
La seconda fila di libri del vecchio zio materno di Winfield è tuttavia cento volte più interessante di qualsiasi seconda fila noi possiamo avere nelle nostre case. Se noi siamo soliti nascondere alla vista i titoli più scrausi, quelli di cui più ci vergogniamo, i libri del vecchio Hiram Stokely erano al contrario i più rari e interessanti (fatto singolare per un collezionista, che si suppone debba tenere parecchio all’esibizione della sua raccolta).
I primi esemplari di un certo spessore portano la firma di un certo Edgar Henquist Gordon, autore ovviamente inesistente, come del resto lo sono i suoi libri. Salta subito all’occhio un romanzo intitolato "Night-Gaunts", pubblicato a Londra dalla casa editrice Charnel House. Un testo rarissimo, a detta del giovane Winfield, e di un certo valore nel mercato del collezionismo; si tratta, tra l’altro, dell’opera prima del suo autore, che a causa forse dell’eccessiva morbosità del suo contenuto rappresentò per chi lo scrisse