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Una vita controvento
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Una vita controvento

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Nel libro "Una vita controvento" l'Autore fa la narrazione della sua vita che nella parte iniziale s'intreccia con i fatti accaduti in Penisola Sorrentina intorno al periodo della sua nascita, agli sgoccioli degli anni quaranta, quando gli eventi bellici erano ancora vivi nelle menti dei sorrentini e in particolare in quelle dei contadini che è l'ambiente in cui l'Autore è nato e cresciuto.

Il racconto continua con la descrizione dei primi anni di vita e il periodo della scuola fino al diploma ottenuto, presso il glorioso Istituto Nautico "Nino Bixio "di Piano di Sorrento. Nel raccontare gli anni trascorsi al Nautico, l'Autore fa una breve storia della scuola nautica sorrentina nelle cui aule sono passati importanti armatori e illustri naviganti che sono stati il vanto della marineria locale, e non solo.

Il 21 luglio 1969, data in cui l'Autore ottiene la maturità, rappresenta un giorno importante nella storia dell'Umanità poiché è il giorno in cui l'uomo mette piede per la prima volta sulla Luna ed è significativa la coincidenza tra un evento epocale della storia dell'Uomo e quello, sicuramente, di dimensioni minori ma, per l'Autore più importante dell'altro.

Ci sono poi gli anni del servizio di leva in Marina Militare e l'Autore ci fa una descrizione di quella che era la vita a bordo di una nave militare ai tempi del servizio di leva obbligatorio, con il racconto di tanti episodi di vita vissuta. Seguono gli anni passati a bordo delle navi mercantili che rappresentano la parte più corposa della vita dell'Autore e, dunque, del libro.

Inizia con la ricerca del primo imbarco e le difficoltà incontrate nei primi anni della sua carriera di Ufficiale quando il mestiere bisognava rubarlo scontrandosi con la mentalità a volte chiusa di persone di un'altra generazione poco restie ad aprirsi ai giovani. Seguono gli anni in cui, la carriera dell'Autore si sviluppa nei vari passaggi di grado, partendo da quello di allievo ufficiale fino al ruolo di comandante.

Nel raccontare questo periodo l'Autore non si limita a una fredda cronologia dei fatti, e gli eventi raccontati sono inframmezzati da considerazioni personali e commenti critici verso una professione cosi importante e allo stesso tempo così poco conosciuta e apprezzata. Questo periodo ha il suo culmine nel drammatico racconto di un incendio sviluppatosi a bordo della nave sotto il suo comando, che portò alla distruzione della nave stessa. C'è un capitolo dedicato ai suoi passaggi di Capo Horn che un tempo era il vanto dei grandi navigatori dei secoli passati.

Ci sono poi gli anni in cui l'Autore assume il comando di unità impegnate in estrazioni petrolifere nel Mar della Cina e che sono gli anni che gli riservano le maggiori soddisfazioni. Il racconto termina quando l'Autore lascia la carriera di comandante e riesce ad acquistare la casa che l'ha visto nascere, ed è un cerchio che si chiude poiché l'Autore ritorna nel luogo da cui era partito.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateJun 27, 2018
ISBN9788827835050
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    Una vita controvento - Pasquale Buonarotti

    verificati.

    PREFAZIONE

    Questo libro è una sorta di Diario di bordo della mia vita, dalla nascita fino al giorno d’oggi. Non avendo mai preso appunti è stato scritto di getto attingendo ai ricordi che ritornano alla mente di ognuno di noi quando ci si avvia verso la vecchiaia. Soprattutto è stato scritto in maniera semplice e senza alcuna pretesa di farlo diventare un capolavoro della letteratura, e credo che chi avrà la pazienza di leggerlo fino alle ultime righe dovrà vederlo in tale ottica.

    I colleghi che lo leggeranno, sicuramente, avranno modo di rivivere esperienze che hanno fatto parte della loro vita. Se lo leggeranno dei futuri colleghi, essi, avranno modo di fare una, prima, immersion in quella che sarà la vita che li attende. Se invece lo leggeranno persone che con il mare, e le navi, non hanno mai avuto niente a che vedere, potranno farsi un’idea di quella che è la vita del navigante.

    Eh sì, perché questa storia di uomini e di navi è una storia vera che vuole rendere omaggio ai marinai e ai lavoratori del mare. Ho letto molti libri di navi, e marinai, e qualcuno li ha definiti uomini di acciaio, altri hanno scritto che sono fatti tutti di un pezzo. Affrontando quella vita potevano scegliere di essere differenti?

    I fatti raccontati, e le navi, sono reali come lo sono gli uomini, che vi compaiono. In alcuni casi ho evitato di mettere i nomi ma chi leggerà potrà facilmente riconoscersi. In altri casi i nomi non è stato possibile ometterli.

    Il libro vuole rendere omaggio anche ai contadini, e alla loro realtà, che è quello in cui sono nato e vissuto, e a cui ho dedicato alcuni capitoli. Ho parlato abbastanza diffusamente di tecniche agricole, del passato, che potrebbero apparire noiose, ma che in realtà sono parte della cultura delle nostre zone.

    Forse la mia è retorica letteraria: quella del libro è la realtà vissuta.

    Buona lettura!

    COMMENTO CRITICO

    Ho letto il libro del Com.te Pasquale Buonarotti con grande interesse, prima di tutto perché racconta di un excursus storico di un marittimo e ho abbracciato per un momento la storia di mio padre, anche lui marittimo ed anche lui di famiglia contadina.

    L’autore esamina con raffinata semplicità i momenti che hanno caratterizzato la sua vita da bambino con le radici ben conficcate nella difficile storia vissuta di un agricoltore degli anni quaranta, ma con dei valori che hanno fortemente rinsaldato la sua tempra di studente, poi di uomo e infine di comandante.

    Le pagine del libro scorrono senza che ce ne accorgiamo, con momenti che richiamano un puro lirismo che scaturisce da un’anima sensibile e di persona perbene.

    Non trascura niente e nessuno : i nonni, i genitori, i fratelli e ognuno hanno rappresentato la sua storia ed anche le adenoidi di cui soffriva, che lo costrinsero al letto, nel giorno della sua prima comunione, con quella festa organizzata in casa, con tutte le famiglie invitate a gustare i sapori e le tradizioni culinarie della mamma, forse per molti persi per sempre.

    Man mano che si avanza nella lettura del libro, foto sapientemente conservate, mostrano i valori di un’esistenza contadina, sono le sue radici dei ricordi (pompa per lo zolfo e il verderame, cupola per le pagliarelle, roncolo per sollevare le pagliarelle, il pozzo per l’acqua, il ferro da stiro con le carbonelle) e tanti altri attrezzi da lavoro.

    Una lettera dell’allora On.le Giovanni Casola nel giorno della perdita del papà, e a cui non potevo non dedicargli una mia lirica, racchiude Il valore di un’esistenza, quella delle persone umili, ma ricordate nel momento del loro trapasso da persone importanti, perché hanno saputo lasciare importanti tracce della loro esistenza.

    D’altronde il papà come la mamma, per l’autore sono state persone cui attingere nell’atto preparatorio del plasmarsi a vita nuova.

    Eh sì, una vita controvento, la sua, a combattere contro l’onesta povertà di allora, dove tutto era desiderio, ma ci si sapeva accontentare e le cose della vita si assaporavano con il piacere di saperle desiderare est modus in rebus.

    In un altro passo del libro, mi rivedo nella storia di mio padre, il quale dalla collina (Circumpiso) doveva arrivare a piedi al Nautico di Piano di Sorrento, anche quando pioveva e faceva freddo e i libri erano conservati sotto la mantella, per chi la possedeva.

    Ma poi….le soddisfazioni, l’autore le racconta attraverso i tanti ricordi che ancora ora gli attraversano la mente, dal primo imbarco, da comandante, alla vista di Capo Horn, al disastro dell’incendio della nave e al suo addio a una prestigiosa vita da comandante, lui che era un bimbo semplice.

    Grazie Pasquale….grazie per averci permesso di entrare nella tua vita e di leggerti e di assaporare la storia di questo bimbo che ha regalato a tutti noi prestigio, e onore a questa terra di contadini, santi e pescatori ma io direi anche di marittimi.

    Gianni Terminiello

    Capitolo I

    Nascita e primi anni di vita.

    Le origini

    I miei nonni, ramo paterno, Francesco Saverio e Rosa, erano originari della zona collinare di S. Agnello in località detta Spinosa dove hanno sempre vissuto .

    Il nonno di cognome faceva Buonarotti. Non si sa con esattezza da dove siano arrivati i miei progenitori, ma il cognome Buonarotti è l’unico esistente in Penisola Sorrentina. La nonna invece era una Pontecorvo.

    Famiglia di contadini aveva avuto sei figli. Due femmine Rachele e Maria e quattro maschi Michelengelo, Sabato, Salvatore e Aniello (quest’ultimo scomparso piuttosto giovane) Mio padre, secondogenito, era nato nel 1908 e gli era stato imposto il nome di Sabato, che era il nome di suo nonno paterno . Mio padre e i suoi fratelli avevano continuato l’attività dei genitori, coltivando il fondo agricolo dove erano nati. Nel fondo si coltivavano agrumi, viti, olive ,noci e tanta frutta , in particolare le ciliegie ,che vendevano al mercato ortofrutticolo di Piano di Sorrento . Di Nonna Rosa ho un ricordo alquanto vago perché mori nel 1955, all’età di settantuno anni, quando io ero ancor bambino. Secondo quanto mi è stato raccontato, nonna Rosa, era la tipica casalinga, tranquilla, laboriosa e pia., Il nonno Ciccio, invece, lo ricordo bene. Mori nel 1972 all’età di novantasette anni quando io ne avevo ventitré, ed ero andato militare. Nei miei ricordi di bambino, ci sono quelle riunioni a casa del nonno con zii e nipoti, per festeggiare il suo onomastico il 3 dicembre. Andavo a trovarlo, di tanto in tanto, assieme a mio padre e mi faceva grande tenerezza questo nonno molto anziano, uomo semplice e generoso, dall’aria burbera e che esibiva un gran paio di baffoni d’altri tempi.

    Mio padre mi raccontava che, il nonno, era molto bravo nei lavori della terra e specializzato nell’intrecciare cesti e panieri con listelli di bambù. Io identificavo i nonni paterni come e nonni e " copp e cuonti", ovvero come i nonni della zona dei Colli di Fontanelle.

    I miei nonni, ramo materno, Pasquale e Teresa, erano originari di Meta, località Trarivi, sulla Strada Meta-Amalfi. Il nonno di cognome faceva Veniero che è un cognome piuttosto diffuso nella zona di Meta di Sorrento. La nonna aveva il comunissimo cognome Esposito. Erano anche loro famiglia di contadini e avevano avuto ben otto figli. Cinque maschi Giuseppe, Luigi, Antonino, Filippo e Angelo ; e tre femmine Maria , Nunziatina e Lucia . A mia madre era stato imposto il nome Nunziatina. Qualcuno dei figli aveva continuato l’attività paterna, lavorando nel fondo che avevano in affitto a Trarivi. Altri miei zii avevano seguito strade diverse. Chi marittimo, chi impiegato comunale, chi autista prima sui camion e poi sugli autobus. Dei nonni materni ho un ricordo molto sbiadito. Il nonno mori, nel 1953 , all’età di 79 anni , quando io avevo solo 4 anni . La nonna gli sopravvisse quattro anni lasciando questo mondo nel 1957 all’età di ottantadue anni. Mi hanno raccontato che nonno Pasquale fosse una persona, molto buona,onesta e di spiccata intelligenza , capace di far fronte a qualsiasi imprevisto. Era Mastro nel costruire scale, che faceva anche di mestiere. Fino a pochi anni fa abbiamo avuto, a casa nostra, scale costruite da lui.

    I nonni paterni Francesco Saverio e Rosa.

    I nonni materni Pasquale e Teresa.

    Sono durate molte decine di anni, per cui dovevano essere veramente di grande qualità. Era anche Mastro di pagliarelle, attività che svolgeva nel periodo estivo, e aveva tanto lavoro. Era anche mastro casciaro (ovvero costruiva casse per gli agrumi) attività che svolgeva nei periodi invernali. La moglie, nonna Teresa, era una donna piuttosto burbera. Ma non poteva essere diversamente con tanti figli da crescere e con i problemi dell’esistenza quotidiana da affrontare. Si occupava della casa com’era prerogativa di tutte le donne della sua epoca. Per me erano "e nonn e Meta". (I nonni di Meta) per distinguerli da quelli paterni.

    Come si può vedere ho avuto molti zii, e una gran quantità tra cugini e pro-cugini. Con alcuni miei parenti siamo in buoni rapporti e ci si vede di tanto in tanto, ma con la stragrande maggioranza di essi , ci siamo ormai persi di vista. Anzi, alcuni zii di parte materna nemmeno li ricordo più.

    I miei genitori, Sabato e Nunziatina, si erano sposati nel settembre del 1938 quando avevano entrambi trenta anni. Una cerimonia semplice, come si usava allora, e banchetto organizzato in casa seguito da un viaggio di nozze brevissimo in qualche zona non molto lontana da Sorrento, presumibilmente a Pompei. Quando si scambiarono il fatidico SI, non fu scattata nemmeno una foto, per cui non vi è testimonianza dell’evento. Ma guardando qualche foto dei miei genitori giovani dovevano essere una bella coppia.

    Nel 1922 mio nonno paterno Ciccio aveva preso in affitto un fondo agricolo di 7500 metri quadri in Vico II S. Valerio a Sorrento, che fu gestito da un suo nipote fino al 1938. Quello stesso anno i miei genitori si sposarono e furono loro a occuparsene, negli anni a seguire.

    Annesso al fondo, c’era anche la casa nella quale i miei genitori si stabilirono. Essa era un tipico edificio rurale, sviluppato su due piani, con vani abitabili al piano superiore e i locali per la conduzione del fondo al pian terreno. Nel nostro caso al piano terra c’erano la cantina, il cellaio con il palmento sovrastante, un altro locale, dove c’era il forno a legna. C’era inoltre un vano piuttosto ampio con il portone che dava sulla strada. Sul lato sud, e annesso alla casa, era stato ricavato il pollaio, mentre dal lato opposto c’era una baracca dove si potevano mettere attrezzi agricoli. Una scala esterna portava al piano superiore, dove c’era un ampio terrazzo.

    I miei genitori Nunziatina e Sabato all’epoca

    in cui si sposarono.

    I vani abitabili erano costituiti da due camere piuttosto grandi, la cucina che era esterna e dava sul terrazzo; e il gabinetto, anch’esso esterno.

    Il fondo e la casa facevano parte di un insediamento abitativo, con spiccate caratteristiche agricole, che si trovava e, si trova tuttora, a Vico II S.Valerio, tra i due villaggi di Lavaturo (attuale Piazzetta San Valerio) e Casola. Questi due villaggi, in epoca borbonica, erano aggregati al Casale di Casarlano che era il più antico e vasto casale del territorio extraurbano di Sorrento .

    In cima alla collina vi è la parrocchia dedicata a Santa Maria di Casarlano il cui complesso, oltre alla chiesa ,comprende la casa canonica , formata da un edificio di tre piani ,i resti del piccolo convento domenicano, e il sagrato.

    Alcuni decenni or sono, a inizio degli anni 70 del secolo scorso è stata costruita una strada carrozzabile che in pochi minuti consente al traffico veicolare di raggiungere il centro di Sorrento ,dalla collina di Casarlano, passando per il quartiere Atigliana , ma una volta era possibile raggiungere Casarlano solamente attraverso stretti, e tortuosi sentieri pedonali . Alcuni dei quali attraversavano proprio i villaggi di Lavaturo e Casola, per congiungersi al Corso Italia, passando per Via San Valerio oppure per via Atigliana .

    Tali sentieri lastricati in pietra o gradoni sono , a tutt’oggi. uguali a com’erano 100 anni fa . Sono sentieri caratteristici , magari piacevoli da percorrere per chi ama il trekking ma che si presentano del tutto inadeguati ai ritmi , e alle esigenze , della vita di oggigiorno.

    Dal Vico II S. Valerio , ovvero dalla casa di Sabato e Nunziatina si raggiungeva la chiesa di Casarlano , percorrendo un caratteristico sentiero, fatto di lunghi gradoni , detto "Via de sciuscell" per le numerose piante di carrube che c’erano ai margini . Anche qui tutto è rimasto inalterato , anzi rispetto ad allora si presenta piuttosto degradato e privo d’illuminazione. Ma quando ero ragazzino questa strada era molto frequentata , poiché assieme a via Festola rappresentava l’unica via di comunicazione per raggiungere il centro di Sorrento ,o i comuni di S. Agnello , Piano e Meta.

    La vita in questi rioni si svolgeva in maniera semplice .Gli abitanti si conoscevano tra loro . Quasi tutti avevano un fondo di cui occuparsi , e in pochi svolgevano altri mestieri che non fossero legati all’agricoltura . La vita sociale si svolgeva attorno alla parrocchia di Casarlano.

    Oltre alle celebrazioni dei riti natalizi e pasquali o delle messe domenicali ,altri momenti di socializzazione erano le processioni che si facevano per l’Ascensione , il Corpus Domini e la Festa dell’Assunta . Tale evento si aveva il 15 agosto , e quel giorno c’era grande animazione sia in chiesa che in tutte le strade del Casale . Nei pressi del sagrato della Chiesa si piazzavano le bancarelle e la sera, dopo il rientro della processione , lo spettacolo musicale immancabilmente seguito dai fuochi d’artificio. Era uno sforzo notevole organizzare i festeggiamenti , data la mancanza di un’arteria carrozzabile per cui era necessario trasportare tutto a spalla o a dorso d’asino.

    Dopo un anno di matrimonio, nel 1939 , nacque mio fratello Franco , che prese il nome del nonno paterno , mentre un anno più tardi, nel 1940 ,nacque mia sorella Rosa che , ovviamente , prese il nome della nonna paterna . A quei tempi si usava osservare questa tradizione e qualcuno lo fa ancora oggi . Si era in pieno periodo fascista ,e alla immediata vigilia della seconda guerra mondiale, e spesso i nomi che erano dati a bambini e bambine erano Benito, Italia ,Italo e i nomi dei vari gerarchi fascisti o delle terre conquistate in Africa , ma i miei genitori molto più semplicemente preferirono rispettare la tradizione senza lasciarsi incantare dalle mode del tempo.

    Io sono nato poco prima delle quattro di mattina di un sabato di fine estate e precisamente il 17 settembre del 1949 , rispettivamente dieci e nove anni dopo mio fratello e sorella. Nato, dunque ,sotto il segno della Vergine (segno di Terra) , e con ascendente Vergine .Si dice che le persone nate sotto tale segno siano governate da Saturno.

    Mio fratello Franco e mia sorella Rosa il giorno della comunione e in una foto d’epoca.

    Saturno significa tenacia, decisione, tempra. Queste doti sono il miglior viatico per ottenere gratificazioni e risultati importanti negli studi e nella vita. A diversi dirigenti ,o capi di Stato, è capitato nascere di sabato. Si dice anche che l'intensa dedizione al lavoro, e agli impegni, può però portare a trascurare gli affetti e il lato più spensierato e romantico dell'esistenza. I figli di Saturno devono pertanto possedere un forte autocontrollo per evitare di diventare delle piccole macchine. Sono capaci di ottime decisioni e di brillanti risultati, ma povere di umanità. In loro soccorso viene la carica di fascino che li contraddistingue e che rende loro molto facile sedurre nuove prede da conquistare. Un eccessivo attaccamento alle cose materiali, può renderli suscettibili di attribuire al denaro più importanza di quanto esso abbia.

    Si dice , inoltre , che I nati sotto il segno della Vergine siano molto altruisti, coscienziosi e amano il lavoro preciso anche se sono sommersi dai grandi progetti. Sono molto analitici e spesso eccessivamente critici. Coloro che sono nati sotto questo segno hanno un livello d’intelligenza al di sopra della norma e un discreto gusto artistico. Devono imparare a moderare il loro senso critico altrimenti l'intera esistenza può risultarne alterata. I Vergini realizzano perfettamente le mansioni a essi assegnate e desiderano che nel lavoro sia tutto perfetto. Detesta agire con precipitazione: non gradisce mai di agire in fretta, deve avere il tempo di esaminare tutto con freddezza , con pazienza, con meticolosità, difficile da sopportare per chi non si trova nella stessa dimensione.

    Questo racconta l’oroscopo Non so quanto ci sia di vero in questo o nelle previsioni zodiacali, cui nemmeno credo molto come tutte le persone razionali , ma devo prendere atto , pero, che mi riconosco in alcune di queste caratteristiche .

    Nacqui tra le mura di casa , come del resto a quei tempi era pratica comune per tanti miei coetanei. Queste nascite avvenivano con la sola assistenza della levatrice, di qualche genitore o di qualche parente stretto dotato di buona volontà , intraprendenza e un minimo di esperienza . Non si riesce a immaginare come ci si comportava se qualcosa fosse andato storto senza la presenza di un medico e di attrezzature adeguate .Ovviamente nessuna idea preventiva circa il sesso del nascituro. Si scopriva al momento dell’evento. Queste cose , viste oggi , destano meraviglia , e fa sensazione scoprire che le nascite andavano quasi sempre per il verso giusto.

    Mi è stato raccontato che la mattina del 16 settembre, giorno precedente la mia nascita , mia madre se ne stava tranquillamente nel fondo a raccogliere le olive da terra (La raccolta delle olive era già iniziata) senza curarsi molto della gravidanza già in fase avanzatissima e dell’imminenza del parto . Conoscendo , mia madre e la sua generosità e dedizione al lavoro , non mi sorprende molto questo suo comportamento . Mio padre che, quella mattina , era uscito per delle commissioni , al suo ritorno la trovò dunque, al lavoro . La rimproverò aspramente e la fece rientrare in casa e starsene a riposo, in attesa del parto.

    La sera prima , i miei fratelli furono allontanati e andarono a dormire presso dei vicini di casa . Per il parto mia madre fu assistita oltre che dalla levatrice , da sua mamma ( nonna Teresa ) e da una vicina di casa ,amica di famiglia .Ovviamente c’era anche mio padre.

    Tanti anni dopo sono riuscito a comprare la casa in cui sono nato ed ho fatto in modo che i mobili che erano in quella stanza ritornassero al loro posto in modo da ricreare lo stesso ambiente che quel lontano 17 settembre 1949 mi vide aprire gli occhi sul mondo.

    La mattina dopo , mio fratello Franco , assieme ad un suo amico raggiunsero, a piedi la casa dei nonni paterni , che distava 4-5 chilometri ,per portare loro la notizia della mia nascita . La nonna Rosa , venne a vedermi dopo qualche giorno , percorrendo tutta la strada a piedi , lei che già allora aveva qualche difficoltà a camminare.

    Il parto pare che sia andato senza alcun inconveniente, però a mia madre portò degli scompensi , a seguito dei quali , perse il latte . Dunque fui allevato con il latte di mucca . I nonni di Meta , avevano una mucca che aveva partorito da poco e , dunque, aveva il latte "buono" che a giudizio del medico era molto più adatto ad allevare un bambino , rispetto a quello della nostra mucca che aveva partorito alcuni mesi addietro e dunque aveva latte normale. Di conseguenza ogni sera mio fratello o mia sorella si facevano a piedi il percorso da casa nostra a quella dei nonni che si trovava in località Trarivi a Meta a prendere il latte per me. Erano circa dieci chilometri tra andata e ritorno. Inoltre avevo bisogno d’integratori alimentari , per cui mio fratello andava in farmacia , un paio di volte a settimana a comprare delle pillole che si chiamavano Puer S.Anna . Va anche fatto notare che a quei tempi non esisteva assistenza sanitaria a carico dello Stato , per cui bisognava pagarsi tutto . Assistenza medica e medicine.

    Il battesimo fu celebrato una domenica ,poco dopo la mia nascita .Mi fu imposto ,ovviamente , il nome del nonno materno Pasquale, giacché i nomi dei nonni paterni erano già stati presi. Fossi nato di sesso femminile, mi sarei certamente chiamato Teresa. Fui battezzato nella chiesa di Casarlano e al battesimo fece seguito un piccolo rinfresco tenuto in casa . Una cosa molto semplice e cui parteciparono parenti stretti , la levatrice e qualche vicino.

    Dopo qualche tempo mia madre incominciò a portarmi all’Istituto Maternità e Infanzia che allora si trovava al quartiere Marano , in un edificio di fronte all’attuale Comando dei Vigili Urbani , che dava sul Corso Italia. Mi portava a giorni alterni per cui continuai a essere svezzato sotto controllo sanitario . Guardando la scheda dove erano registrati peso e misure , sembra che crescevo piuttosto bene e senza problemi.

    Qualche settimana dopo il parto mia madre aveva già ripreso a lavorare nel fondo. Quelli non erano tempi in cui ci si poteva permettere il lusso di starsene a riposare , anche se le circostanze lo avrebbero ampiamente richiesto. E allora quando ero ancora in fasce , e c’erano belle giornate di sole, mi portava con sé nel fondo adagiandomi in una grossa cesta (O spasone) dai bordi bassi che era usata per gli agrumi. O Spasone fu la mia culla quando stavo all’aria aperta . Non c’è che dire : ho respirato aria buona fin dai primi anni di vita.

    Sono nato nel 1949 e la guerra era finita da pochi anni . Solamente quattro anni . Magari nel 1949 gli anni di guerra potevano sembrare già lontani , ma se ci riferiamo a oggi, quei quattro anni di distanza dalla fine delle ostilità rappresentano un arco temporale brevissimo . Invece i miei fratelli erano già nati allo scoppio della guerra o appena dopo.

    Ma come se la passavano negli anni di guerra , sia la Penisola Sorrentina sia i miei genitori nel loro casale in via San Valerio ?

    Gli anni di guerra a Sorrento.

    Nel lontano 1922 il Fascismo aveva assunto il potere in Italia e nel clima tranquillo e conformista della Penisola Sorrentina era attecchito senza grossi traumi .In apparenza vi era stata un’adesione massiccia al fascismo , e negli ambienti rurali il cambiamento aveva portato pochi entusiasmi anche perché i contadini avevano ben altro cui pensare. In ogni caso sembra che in Penisola Sorrentina di veri antifascisti ve ne fossero pochi. Vi era stato anche qualche episodio sporadico di squadrismo, dove pare che i manganellatori provenissero da paesi oltre Scutolo.

    Nel maggio del 1927 fu reso concreto il progetto di formare la Grande Sorrento , ossia di accorpare in un unico comune i quattro comuni peninsulari (Sorrento , S. Agnello, Piano e Meta) . La sede del Municipio fu identificata in S. Agnello, dove ora c’è la sede del medesimo Comune.

    Nell’agosto del 1939 la Germania scatenò il secondo conflitto mondiale che nella sua dimensione planetaria coinvolse milioni di uomini che si batterono sanguinosamente in uno sterminato campo di battaglia e che procurò milioni di morti. L’Italia entrò in guerra nel giugno del 1940 . La Penisola Sorrentina visse le vicende belliche , e politiche , stando in una posizione di retrovia anche se la guerra si avvertiva perché aveva fatalmente portato a uno stile di vita più modesto. Ma in buona sostanza l’esistenza della gente non era cambiata di molto, specialmente nelle aree rurali.

    Le cose cambiarono , decisamente nel 1943 . Il 25 luglio vi fu la caduta del fascismo e tanti pensarono che la guerra fosse finita, per cui la gente scese nelle piazze a festeggiare e a distruggere i simboli fascisti . Pare che anche a Sorrento si ebbero delle manifestazioni antifasciste.

    Le illusioni di una imminente fine della guerra caddero definitivamente la sera del 26 luglio quando il capo del Governo Badoglio, subentrato a Mussolini , proclamò alla radio :’La guerra continua perché l’Italia tiene fede alla parola data ". Questo equivoco continuò per i successivi quaranta giorni quando fu siglato l’armistizio che fu reso pubblico 8 settembre 1943.

    Intanto gli Alleati dopo aver invaso la Sicilia lanciarono l’Operazione Avalanche . Decine di navi arrivarono a Salerno e iniziarono lo sbarco intensificando i bombardamenti su Napoli , che era ancora in mano tedesca . In realtà, già nel luglio precedente Napoli era stata sottoposta a tre giorni di duri bombardamenti che avevano provocato lutti e distruzioni a questa citta.

    La Penisola Sorrentina , per la sua conformazione geografica non è un luogo adatto a operazioni militari . Difatti la barriera dei Monti Lattari ,e gli angusti accessi al territorio peninsulare , rendono difficoltose questo tipo di operazioni. Per questi motivi, dei paesi nei dintorni di Napoli , fu la sola Sorrento a essere risparmiata dagli orrori del campo di battaglia . Tanti devoti sorrentini attribuivano questo fatto all’intercessione di S. Antonino , Protettore di Sorrento. Durante la prima parte della guerra i tedeschi vi mandavano i feriti per la loro convalescenza e ,dopo che si furono ritirati sul fronte di Cassino , furono gli eserciti alleati che trasformarono Sorrento in un luogo di riposo e convalescenza.

    Oltre ai raid su Napoli gli Alleati bombardavano Castellammare di Stabia, dove c’erano i Cantieri Navali per cui da casa nostra, in Via San Valerio, i rumori della battaglia si sentivano con il fischio dei proiettili , che passavano sulla loro testa , e si vedevano i bagliori dei fuochi della contraerea . Mio padre raccontava che durante i suddetti raid e bombardamenti , non appena la sirena suonava l’allarme , portava mia madre e i bambini piccoli in una grotta sotterranea nei pressi della casa stessa , mentre lui restava vigile perché in quelle ore si aggiravano gli sciacalli che andavano a rubare nelle case. Mia sorella mi racconta che lei ,e il fratello, erano strappati dal sonno per essere portati nella grotta . Quando l’allarme era cessato e si ritornava in casa , mia madre faceva trovare , a entrambi, una caramella sul cuscino , dicendogli che la Madonnina aveva pensato a loro durante l’assenza e li aveva ricompensati perché si erano alzati di notte. Nell’estate del 1943 si restò per tre mesi senza corrente elettrica in quando la Centrale di Torre Annunziata era stata pesantemente danneggiata e in quei casi si accendeva la candela a olio per avere un minimo d’illuminazione.

    Dopo l’8 settembre 43 il fronte si spostò a Cassino che fu preso nella primavera del 44 quando gli alleati marciarono su Roma e la liberarono il 4 giugno . A quel punto la guerra , si allontanò dalle nostre contrade , ma in sostanza già qualche settimana dopo l’8 settembre non vi furono eventi bellici, e la città riprese le sue abitudini di Paese agricolo. Si può dire che, alla Penisola Sorrentina , oltre agli eventi puramente bellici gli furono risparmiate anche le forti lacerazioni della guerra civile.

    La guerra non aveva portato alla Penisola Sorrentina distruzioni materiali , ma aveva sicuramente portato strascichi di altra natura .

    La carestia si faceva sentire e tanta gente doveva industriarsi per mettere un piatto a tavola . I generi alimentari scarseggiavano . In particolare la farina. Chi aveva un fondo agricolo , come i miei genitori, riusciva in qualche modo a sopravvivere oltre che con i prodotti coltivati, anche con le galline, l’olio e le uova . Fu distribuita la tessera annonaria che dava diritto a 190 grammi di pane al giorno , a persona . .Allora si rendeva necessario barattare l’olio con un poco di farina e con questa mischiata a qualche uovo, mia madre faceva la pasta fresca . Una sorta di tagliolini che erano stesi su canne di bambù e appesi ad asciugare alle travi del soffitto. Una di queste canne , è stata conservata, per ricordo, fino a qualche anno fa.

    Una vita dura in cui bisognava darsi da fare per sopravvivere e, soprattutto riuscire a , farlo onestamente .

    Con la fine della guerra si cominciò a stare meglio e in quei pochi anni tra la fine della guerra e la data della mia nascita le cose migliorarono sensibilmente . A me , tutti questi sacrifici furono risparmiati , ma ho voluto menzionarli per dare un quadro di quello che erano gli anni appena precedenti alla mia venuta al mondo.

    Capitolo II

    Le Radici

    Il contadino

    Il mestiere di coltivare la terra ,è uno dei più antichi del mondo . Nella parola Contadino si possono includere tutti gli operatori dell’agricoltura con una menzione speciale per quelli che lo facevano a mezzadria . E’ giusto , e doveroso, rendere giustizia a un’attività raramente apprezzata , spesso dileggiata e percepita come inferiorità sociale, mentre in realtà è stata da sempre uno dei pilastri per la sopravvivenza umana!

    Un mestiere che diventava un concentrato di tanti mestieri messi assieme ,che nel corso dell’anno richiedevano intelligenza, prontezza , forza fisica , pazienza , conoscenza dei movimenti lunari , capacità di previsione del tempo , abilità nel saper vendere bene i propri prodotti etc. Oggi buona parte delle attività agricole sono svolte avvalendosi di attrezzature moderne , ma fino a pochi decenni orsono, e quando io ero bambino , erano vissuti eroicamente , e svolti quasi sempre a mano e con utensili rudimentali .

    Nel corso dell’anno i contadini facevano tanti lavori , come vedremo più avanti . Nei periodi cosiddetti morti , si procedeva ai lavori complementari come riparazione ,o rifacimento pergole ; fare pagliarelle nuove ,manutenzione di tutti gli attrezzi.

    Da non dimenticare che c’erano gli animali domestici da accudire perché anche loro mangiano e bevono almeno due volte il giorno compresi Natale, Capodanno , Pasqua e i giorni di cattivo tempo .

    Nelle nostre zone , in Penisola Sorrentina, queste attività erano svolte , spesso , in zone scoscese , lavorando da buio a buio , col tempo inclemente , e in posti dove non esistevano nemmeno le strade.

    Eppure si andava avanti , aiutandosi l’un l’altro , scambiandosi la manodopera per i lavori importanti.

    Oggigiorno non ci si conosce nemmeno tra vicini di casa e a malapena ci si scambia un saluto , mentre allora si lavorava cantando , ci si scambiavano burle , facezie a tanta allegria (la vendemmia era una vera e propria festa) ! ) che faceva dimenticare la fatica di ogni giorno.

    Anche se spesso analfabeti , questi nostri predecessori sono stati degli autentici MAESTRI DI VITA , ed è a loro che va il mio, riverente , omaggio !

    I miei genitori e il contratto ‘ a mezzadria"

    I miei genitori erano contadini. Mio nonno paterno , Francesco Saverio, nel 1922 aveva preso in affitto a Vico II S. Valerio , a Sorrento, un fondo agricolo di circa 7500 metri quadri , nel quale si coltivavano aranci , limoni, ulivi , viti e vari tipi di frutta e verdura Questi ultimi erano coltivati, prevalentemente , per il consumo familiare.

    Questo fondo fu gestito da un cugino di mio padre fino al 1938 quando i miei genitori si sposarono e da qual momento in poi , furono loro a occuparsene . Nel fondo oltre alla casa colonica , dove andarono ad abitare , c’era , dal lato opposto , un altro caseggiato con la stalla , e il fienile sovrastante. Dunque avevano quasi sempre una , o due ,mucche , il pollaio e spesso si allevava un maiale

    In origine ,mio nonno aveva preso il fondo in affitto , ma a metà anni 30 il contratto di affitto fu tramutato in mezzadria, e cosi i miei genitori rilevarono questo tipo di contratto.

    La mezzadria era un tipo di contratto agrario, per cui il concedente, cioè il proprietario di un fondo, e il mezzadro in proprio, quale capo di una famiglia colonica, si associavano per la coltivazione di un podere e per l’esercizio delle attività connesse, al fine di dividere a metà, o in quote leggermente diverse, i prodotti e gli utili derivanti dal podere stesso.

    All’interno dei contratti di mezzadria vi erano delle postille per cui il proprietario era tenuto a comprare le piante giovani e il mezzadro doveva metterle a dimora .Per la realizzazione dei nuovi pergolati il proprietario era tenuto a fornire i pali di castagno e il mezzadro, il ferro filato per legarli . Quando moriva una pianta , il legno del tronco spettava al proprietario mentre i rami e la radice spettavano al mezzadro . Sostanzialmente il proprietario era tenuto a fornire il materiale e il mezzadro, la manodopera , ma questo non sempre si verificava , perché a volte capitava che fosse il mezzadro, a provvedere sia al materiale sia alla manodopera e , nel caso di mio padre questo avveniva quasi sempre. Poi il raccolto , e gli utili che eventualmente ne derivavano, si dividevano a metà col proprietario .

    Il contratto di mezzadria era stato introdotto ai tempi del fascismo quando i grandi latifondisti , o gli agrari , erano una classe dominante e facevano il bello e il cattivo tempo . I mezzadri non erano per niente tutelati . Non esistevano sindacati per cui poteva bastare una qualsiasi diatriba col proprietario , e questi poteva avvalersi della facoltà di revocare il contratto e mandarlo via in qualsiasi momento ; e il mezzadro rischiava di ritrovarsi fuori dal fondo e in "mezzo a una strada", assieme alla famiglia.

    In questi casi , per il mezzadro ,era una vera umiliazione . Per gente che aveva una grande dignità e che faceva dell’onore una regola di vita , un’umiliazione simile era come morire.

    Si comprende benissimo che per il mezzadro , oltre alle fatiche fisiche per mandare avanti il fondo ,e per mantenere una famiglia, aveva sulle spalle questa grande pressione che rendeva costantemente incerto il suo futuro . Una vita veramente dura, in tutti i sensi.

    Con l’avvento dei sindacati agrari , il contratto di mezzadria fu definitivamente abolito, e vietato e ,nel 1964 , fu imposto l’obbligo , a determinate condizioni, di trasformare in affitto i contratti di mezzadria prima stipulati, e da allora in poi i fittavoli risultarono giustamente tutelati dalla legge.

    I lavori della terra

    Qui di seguito una descrizione dei lavori che si facevano in un fondo agricolo e nella terra gestita da miei genitori.

    S’iniziava a gennaio con il concimare le piante con lo stallatico , o il concime chimico (che era acquistato dal mezzadro) e poi si proseguiva con la potatura delle viti e a legare i tralci . A marzo s’iniziava a zappare . Questo lavoro era fatto rigorosamente a mano , poiché le macchine per zappare sarebbero arrivate anni dopo. Poi si seminava granone ,patate , fagioli etc.. Il granone , una volta cresciuto , lo si estirpava e lo si dava da mangiare alle mucche assieme ad altri alimenti per una corretta , e sana , alimentazione, in modo da farle crescere bene e produrre dell’ottimo latte.

    Ad aprile iniziava la raccolta dei limoni che si protraeva fino a luglio inoltrato ed anche agosto, a volte. I limoni non si raccoglievano in maniera totale, e indiscriminata, ma si faceva una prima selezione , in cui erano raccolti "a misura" . Ovvero la circonferenza del frutto doveva essere 18-19-20 centimetri , che erano le dimensioni più commerciabili . Poi si andava avanti , nella raccolta ,per i mesi a seguire fino al completo esaurimento . Ovviamente i contadini non stavano a misurare la circonferenza di ciascun frutto , ma avevano l’occhio esperto nel farlo bene e , rapidamente .

    Anche questa era una fatica immane , perché le ceste (sporte) dei limoni andavano trasportate a spalla fino alla strada dove c’era il veicolo del compratore che a quei tempi era un carretto con asino o mulo . Poi sarebbero arrivati i veicoli motorizzati.

    Nei giorni del raccolto dei limoni , puntualmente arrivava il proprietario ,del fondo, che assisteva alla pesatura per poi reclamare la sua parte. Ho sentito raccontare che vi erano dei proprietari che avevano le chiavi del fondo e arrivavano a loro piacimento , ma nel nostro caso questo non succedeva.

    Parallelamente alla raccolta dei limoni , avveniva quella delle arance che iniziava qualche settimana più tardi . Le arance si cercava di venderle , se possibile e compatibilmente con i prezzi di mercato , tutte in una volta a evitare che possibili grandinate e/o colpi di calore , o altre calamità , potessero irrimediabilmente danneggiarle e farle cadere. A quei tempi le arance sorrentine erano richieste sui mercati sia italiani sia esteri , e si vendevano molto bene

    A inizio maggio s’iniziava a "curare "le viti , che nel frattempo erano germogliate . Ovvero erano trattate con il verderame . Si facevano tre o quattro trattamenti distanziati fra loro di 10-15 giorni. Si usavano delle pompe , ingegnose ma quasi rudimentali il cui uso richiedeva grande fatica. Sono riuscito a recuperarne una e tenerla come ricordo.

    Foto a sinistra : Pompa per il verderame A Destra : Pompa per lo zolfo con i tubi

    Nella seconda metà di maggio le viti erano trattate con lo zolfo . Erano necessari tre –quattro trattamenti . era usato un mantice a soffietto (Vedi foto sopra) sulla cui uscita erano montati dei tubi , a cannocchiale, in modo da raggiungere l’altezza della vite senza che lo zolfo si disperdesse. Fatalmente parte dello zolfo veniva giù ed ho nitido, nella memoria, il ricordo di mio padre al quale immancabilmente lacrimavano gli occhi dopo ognuno di questi trattamenti.

    Man mano che andava avanti la raccolta degli agrumi si toglievano le pagliarelle dai pergolati . Dell’utilità e del confezionamento delle pagliarelle parleremo dettagliatamente più avanti.

    Alla raccolta delle arance faceva seguito la potatura delle piante stesse . Le frasche erano raccolte e messe a seccare . Le foglie erano usate per darle da mangiare alle mucche mentre con i rametti si facevano le fascine che ,una volta secche , erano poi usate per accendere il fuoco ,nel focolaio, o nel forno . Le fascine in eccedenza erano vendute. Rami e tronchi erano segati a misura e spaccati con l’accetta e si faceva la legna per l’inverno . Mi piaceva moltissimo spaccare la legna e in età adulta questo lavoro l’ho sempre fatto io. Rappresentava un ottimo esercizio per il fisico senza la necessità di andare in palestra. Cosa peraltro impensabile a quei tempi.

    A maggio si piantavano pomodori, e melenzane ,che erano raccolte dalla fine di luglio, assieme a patate e fagioli . Ad agosto si confezionavano i vasetti di sottaceti e sottolio che poi erano conservate per l’inverno e infine si facevano le bottiglie con il passato di pomodoro, in numero sufficiente da bastare fino ad agosto dell’anno successivo.

    Sempre ad agosto si puliva il terreno dalle erbacce onde prepararlo per la raccolta delle olive che sarebbe iniziata qualche settimana più tardi.

    I Pergolati

    In Penisola Sorrentina gli agrumeti, hanno bisogno di essere protetti dalle gelate notturne , o dalla grandine , oltre che dalla pioggia forte , per fornire dei frutti buoni e gustosi . Per moltissimi anni sono stati quindi coperti da un tetto di pagliarelle poggiate su di un alto pergolato, ma negli ultimi decenni reti di plastica, verdi o nere, a maglia stretta hanno sostituito le tradizionali pagliarelle.

    Il pergolato (prevoli)è una costruzione tipica della Penisola Sorrentina e rappresenta una vera e propria opera di ingegneria agraria , che va spiegata , anche se per sommi capi. Mio padre sapeva farla , ma queste sono opere che , data la loro complessità, e necessità di forza fisica , richiedono il lavoro simultaneo di molte persone , e dunque mio padre si affidava a una delle tante squadre di "Mast e prevola", (Maestri di pergolato) che operavano in Penisola .Per eseguire questi lavori si sfruttavano generalmente, i periodi cosiddetti morti quando non erano previsti raccolti.

    Per queste costruzioni , che sono fatte ancora oggi anche se in misura minore , si usano pali di castagno provenienti dalle selve della Costiera Amalfitano /Sorrentina e in misura minore da Tramonti.

    I pali più robusti e diritti , detti allirti o mpieri, sono piantati nel terreno a una distanza fra di loro di 2,75 /2,85 metri in modo da formare , una griglia con tanti quadrati. Queste distanze non sono scelte a caso , ma sono importanti perché il pergolato , una volta completato, deve accomodare agevolmente le pagliarelle che sono di misura standard. Gli allirti sono piantati nel terreno per circa sessanta centimetri e fuoriescono , in altezza per 5-6 metri a seconda delle dimensioni delle piante di agrumi da coprire .

    A quest’altezza di 5-6 metri si crea una griglia formata da pali, messi in posizione orizzontale . Si tratta di pali un po’ più sottili degli allirti e prendono tutti il nome di currienti . Sono divisi in tre categorie : i più robusti si chiamano cavalli e sono i primi a essere legati agli allirti ; i pali sovrastanti, i cavalli e legati trasversalmente si chiamano quadrati. Sopra i cavalli , e in mezzo ai quadrati , si legano le correie . Tra i quadrati e le correie si stendono le pagliarelle. Tutti i currienti sono legati con ferro filato No. 10 e sono sistemati in modo che ogni due cavalli devono abbracciare quattro allirti, ogni due cavalli contrapposti.

    Per dare solidità alla struttura ,ed evitare sbandamenti al pergolato , sono montate le poze. Queste sono dei pali , scelti tra quelli più storti o irregolari . Sono montati in senso obliquo dall’alto verso il basso . Si usa mettere una poza alternata per le file di allirti (una fila sì e una no) e orientate verso i quattro lati del pergolato . Le poze sono legate con fil di ferro No. 14 .

    Il ferro per le legature si compra in matasse che poi è trasferito sui mazzarielli , i quali sono dei bastoncini di legno di castagno che servono anche come leva per fare una legatura stretta. Quando ero un po’ più grande ,e mi trovavo a casa, questo lavoro lo facevo io. Era anche faticoso , e poi bisognava fare in fretta , ma costituiva un buon allenamento per gli avambracci .

    Tutti i Currienti, , per essere accoppiati alle estremità , e per dare continuità alla struttura, devono essere assottigliati alla base. Quest’operazione si chiama spalettatura e si faceva con un’ascia a forma di zappa ,dopo aver bloccato il palo, posto in diagonale, contro una base di legno. Le parti tagliate si chiamavano tacche. Ricordo che mio padre era molto bravo nel fare questo lavoro . Quando lui spalettava , ero io che mantenevo, fermo il palo all’altra estremità e nella posizione più adatta a favorire lo spalettamento. Oggigiorno quest’operazione è fatta con le motoseghe portatili, guadagnando tempo e risparmiando fatica, ma a quei tempi era un’altra musica.

    Bisogna assicurarsi che il pergolato sia orientato in modo che le pagliarelle una volta stese devono mostrare la testa ai venti prevalenti , e non il fianco.

    Come dicevo , i pergolati si costruiscono ancora oggi , ma avvalendosi di attrezzature moderne . Il lavoro fisico è diminuito di parecchio a vantaggio della velocità e qualità, pur rimanendo un lavoro duro e che comunque richiede abilità sia organizzativa sia tecnica.

    Le Pagliarelle

    Le pagliarelle ,sono un’altra costruzione tipica della Costiera Sorrentina .Sono una sorta di scudi di paglia che sono stese sui pergolati per proteggere gli agrumi dalle gelate e grandinate.

    Per costruirle bisogna procurarsi dei listelli di castagno (e chierchie) che sono venduti a fasci di 2- 3- 4 metri di lunghezza . .

    Le pagliarelle hanno una misura standard di 200 x 105 centimetri, per essere compatibili con le dimensioni del pergolato. Dunque i fasci di chierchie andavano preventivamente tagliati ,a misura, per costruire il telaio della pagliarella. Pertanto un fascio di chierchie era segato in modo da ricavare listelli da due metri (perecuni e cimme), e listelle da un metro chiamate traverse.

    Una volta tagliati i fasci , venivano accatastai gli uni sugli altri e si provvedeva a bagnarli costantemente per far si che il legno si ammorbidisse . In questo modo al momento della costruzione del telaio le puntine (chiodi) penetravano agevolmente nel legno.

    Bisognava tenere pronta anche la paglia , per rivestire il telaio. La paglia di segale è adatta allo scopo (Iurmano e proveniva dalle montagne dell’avellinese (Monteforte, Forino, Chiusano) ed in misura minore da Bracigliano ,Agerola, Tramonti . Si era provato a piantare il grano anche sulle colline della Costiera Sorrentina, ma la paglia prodotta non si rivelò adatta perché’ era troppo corta.

    Inutile ricordare che la paglia doveva essere tenuta in luogo coperto e asciutto e non farla bagnare.

    La costruzione delle pagliarelle era, ed è tuttora, completamente manuale e richiedeva (richiede) una certa abilità . Essa si sviluppa in questo modo;

    Serve la disponibilità di un apposito banco , da lavoro, dalle dimensioni leggermente superiore a quello delle pagliarelle (o puosto) che è poggiato su due cavalletti.

    Ed è sul puosto, che è costruita la pagliarella.S’iniziava costruendo il telaio . I perecuni erano inchiodati sulle traverse, entrambi con la parte curva all’esterno. A quel punto vi si stendevano due strati di paglia di segale , uno opposto all’altro nel senso delle traverse. Quindi si fermava la paglia inchiodando altri quattro listelli di castagno (cimme). Per quest’operazione si usavano dei chiodi un po’ più lunghi (puntine)che dopo aver attraversato i listelli , sporgevano di diversi millimetri dall’altro lato . A quel punto si girava la pagliarella , sul puosto e si ribattevano le punte , in modo da fissare il tutto , evitando pericoli. Bisognava avere cura di ribattere le puntine nel verso perpendicolare alla chierchia onde evitare che col tempo si potesse spaccare. (Il banco per fabbricare le pagliarelle( O puosto !!

    A quel punto non restava altro che tagliare ,con la sega ,le parti sporgenti delle cimme,. Poi la pagliarella era spostata su un altro banco , formato da due lunghe lame per tagliare la paglia in eccesso sui lati , in modo da ottenere un bordo diritto e sporgente alcuni centimetri dal telaio. Anni prima per tagliare la paglia in eccesso si usavano delle accette con manico corto e per ottenere un bordo ben diritto serviva occhio e mano ferma.

    Una variante alle pagliarelle fatte con la paglia erano quelle fatte con cannucce che avevano la peculiarità di arieggiare meglio gli agrumi perché asciugavano più in fretta e avevano una vita più lunga.

    Nella nostra famiglia , ramo materno, c’era una grande tradizione di Mastri di Pagliarelle. A cominciare dal nonno Pasquale , ad alcuni zii e cugini , e a mio fratello Franco . Anche mio padre ,ovviamente , le sapeva fare. Anch’io avevo imparato a farle ,e ho lavorato in questa industria per alcuni anni durante il periodo delle vacanze estive ed ero diventato piuttosto veloce nell’inchiodare le puntine con una singola martellata. Un anno mi sono addirittura pagato gli studi con i guadagni ottenuti facendo le pagliarelle.

    A tale proposito mi viene alla mente un episodio , divertente , che mi capitò alcuni anni dopo quando ero militare a La Spezia . In città era arrivato un Luna Park e con alcuni amici andai a visitarlo . C’erano baracconi di tiro a segno e altri giochi di abilità che offrivano dei regali per i vincitori dei giochi che proponevano . C’era un baraccone che proponeva il seguente gioco. C’era una tavoletta di abete con una puntina appena appuntata sopra. Al concorrente veniva dato un martello e , con un solo colpo , doveva fare entrare l’intera puntina nel legno .Se il concorrente ci riusciva, vinceva una bottiglia di vermouth. Ogni tiro costava 50 lire. Decisi di cimentarmi giacché avevo ancora il braccio allenato a inchiodare le pagliarelle. Feci il primo tiro e inchiodai la puntina con un colpo solo, feci un altro tiro e vinsi ancora. A quel punto arrivò il gestore ,del baraccone, che mi tolse il martello di mano, mi diede le due bottiglie di vermouth ,che avevo vinto, e disse " Tu non puoi giocare più , perché sei un carpentiere di mestiere , e mi mandi in fallimento ". Il tutto tra le ristare dei miei amici e degli spettatori che avevano assistito alla scena.

    Verso fine agosto si usava tagliare un po’ delle foglie delle viti che coprivano l’uva per fare in modo che il sole gli facesse assumere quel bel colore biondo e che ne agevolasse la maturazione. Sperando che fino al giorno della vendemmia non si verificasse un temporale o, peggio, una grandinata. Sempre ad agosto si raccoglievano i fichi , che poi si mettevano a seccare al sole per essere mangiati in inverno assieme alle noci.

    La raccolta delle olive

    Intorno al 10 di settembre iniziava la raccolta delle olive . Nelle nostre zone le piante di ulivo sono secolari e molto alte, ergendosi al di sopra dei pergolati All’epoca non esistevano le reti per accoglierle , ma cadevano sulla nuda terra e bisognava raccoglierle a una a una.

    Dunque in previsione della raccolta si eliminavano tutte le erbacce sottostanti alle piante , per poi spazzare e pulire l’intera superfice in modo da facilitare il lavoro a chi le raccoglieva. A pensarci oggi era un lavoro pazzesco raccogliere le olive da terra a una a una, ma allora andava cosi ! Gli uomini salivano sulle piante e facevano cadere le olive percuotendo i rami con delle aste (uncini). Viste le grosse dimensioni delle piante, era anche questa un’attività piuttosto pericolosa per il rischio di cadere . C’erano delle piante di ulivo veramente molto alte ed era necessario legarsi ,per sicurezza , ma non tutti lo facevano a dire il vero .

    Non esistevano ancora i frantoi elettrici . per cui la molitura veniva fatta , versando ,le olive raccolte, nel ruoto che era una costruzione in muratura a sezione circolare alta circa un metro.. Nel ruoto girava la mola che veniva tirata a mano . Negli anni a seguire era utilizzato un asino , il quale era bendato per non fargli girare la testa nel suo movimento circolare intorno al ruoto . Dopo la molitura si passava alla pressatura . La pasta molita era raccolta e stesa nei sisculi. , che erano dei dischi di fune. Una volta riempiti ,i sisculi ,erano impilati sotto la pressa , avendo cura di accatastarli per bene onde evitare che si potessero muovere in fase di pressatura.

    La pressa era azionata facendo forza su una grossa trave di legno , operata da un verricello a mano , e si pressava fino a far abbassare di parecchio il livello della catasta dei sisculi. L’olio che fuoriusciva , assieme all’acqua , era convogliato in un pozzetto rivestito da piastrelle impermeabili che era incassato nel terreno in posizione sottostante la pressa.

    Di solito la pressatura delle olive si faceva la sera in modo che durante la notte l’olio nel pozzetto aveva il tempo di decantare . L’acqua si depositava sul fondo del pozzetto lasciando l’olio in sospensione . L’indomani mattina si raccoglieva l’olio con la caraffa, che era un recipiente col manico. Quando la superfice dell’olio si avvicinava a quella dell’acqua era necessaria attenzione ed abilità nel raccogliere solamente l’olio , e non l’acqua ,ed allora veniva usato. un sottile vassoio di stagno, di circa 30 cm di diametro, chiamato surriaturo . Dopo di che veniva liberata la pressa , tolta la sanza dai sisculi , ripulito il .pozzetto e si lasciava tutto pronto per la prossima molitura. Anche qui un lavoro immane perché veniva fatto la sera e dopo una giornata di lavoro.

    Poi arrivò l’epoca dei frantoi elettrici e tutte queste operazioni erano fatte dalle macchine . Anche per la raccolta delle olive ci fu l’avvento delle reti di nailon da stendere sotto le piante di olivo e oggi , per percuotere i rami e far cadere le olive si usano dei bracci elettrici , e dunque il lavoro fisico è decisamente molto più sopportabile e in una giornata si riesce a fare molto lavoro in più rispetto a quei tempi .

    La resa delle olive era di circa il 15% , (questa percentuale variava a seconda delle zone perché vi erano aree dove la resa arrivava a toccare il 25%) ovvero ogni quintale di olive rendeva 15 litri di olio , di cui la metà doveva essere versata al proprietario del fondo stando in essere il contratto di mezzadria.

    Di solito la raccolta delle olive , in funzione dell’annata se abbondante o meno, andava avanti fino a inizio /metà novembre. Si sono verificate anche delle annate eccezionali in cui la raccolta è stata completata a gennaio.

    La raccolta delle noci

    Nel fondo avevamo una decina di alberi di noce di grosse dimensioni . Verso il 20 di settembre si faceva la raccolta. I rami erano percossi con delle lunghe pertiche e le noci , cadute a terra , erano raccolte a una a una. Essendo alberi molto

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