Il gioco
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Paolo è un aspirante attore, Agata vuole fare la scrittrice. Vivono sullo stesso pianerottolo e sono entrambi squattrinati, senza troppe prospettive e prossimi all’esaurimento nervoso. Sono anime perse e ferite. Dall’attico del loro stesso palazzo arriva una risposta inaspettata e stravagante ai loro problemi. La dottoressa Zeta, ex psicoanalista pentita e sedicente “consulente filosofica”, li introduce ad un curioso metodo di sua invenzione: il gioco delle cinque possibilità. Il “gioco” consiste nello stilare, dinanzi a una decisione da prendere, cinque possibilità di azione, sorteggiarne una e attenersi scrupolosamente a essa, mettendo in discussione il senso del Caso e del Libero Arbitrio. La dottoressa l’ha creato per cercare di aiutare i pazienti – o “allievi”, come preferisce definirli – prigionieri della depressione, incapaci di concepire una qualche azione vitale in grado di farli risalire dal baratro. Il curioso metodo sembra funzionare: scardina i blocchi, riporta alla vita, rende possibile l’impensabile. Grazie a esso dapprima Paolo, poi anche Agata, riescono a dare più di una svolta positiva alle loro esistenze. Fino a innamorarsi, a diventare coppia, a trovarsi sul punto di formare una famiglia, di diventare genitori. Ma cosa accade quando si diventa dipendenti dal “gioco” al punto di non poterne più fare a meno, tanto da rischiare di buttare all’aria tutto ciò che si è conquistato grazie a esso? Ben presto il metodo della dottoressa Zeta rivela l’altra faccia della medaglia e la relazione fra i due giovani e la loro mentore si trasforma in un triangolo pericoloso in cui i ruoli di vittima e carnefice si alternano e scambiano di continuo. Anche perché la dottoressa, dietro la maschera impenetrabile di disincanto che si è costruita, è anche lei un’anima ferita, profondamente, e oppressa dagli stessi sensi di colpa dai quali tenta di liberare i pazienti. E non cerca, forse, che una irrazionale espiazione.
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Book preview
Il gioco - Franca De Angelis
Cover
Personaggi:
La dottoressa Zeta, una donna matura
Paolo, sui trent’anni
Agata, sui trent’anni
Oggi. Ore 21.00.00
Un luogo indefinito. Un fascio di luce investe in pieno volto una donna, seduta come per essere sottoposta a un interrogatorio di polizia. Cinquant’anni circa, di una raffinatezza poco convenzionale. È la dottoressa Zeta.
DOTTORESSA ZETA (infastidita dalla luce) È proprio necessaria questa luce? Pensavo che si usasse solo nei film in bianco e nero. Posso fumare, almeno? (accende una sigaretta) No, Lorenzo Schiassi non era un mio cliente. Semmai paziente. Comunque non sarebbe una definizione corretta. È vero, ho esercitato come psicoterapeuta, ma non lo faccio più da anni. Potevo decidere fra smettere di fumare e smettere di psicanalizzare la gente, come vedete continuo a fumare. Non era una battuta. Non volevo far ridere nessuno. È solo che non comprendo perché mi trovi in questa situazione… scomoda, vogliamo dirlo? E fredda. Ho freddo. Voi non avete freddo? No, certo, ci sarete abituati. Cosa stavo dicendo? Ah, sì. Lorenzo Schiassi. Che strano, non ho voglia di fumare. Anzi, mi dà un po’ di nausea. Non mi succede mai. Nemmeno con l’influenza, eh, neppure col mal di gola. Posso avere un posacenere? Non ne avete? Cioè, qua non fuma nessuno? Butto a terra? Contenti voi. (Butta a terra il mozzicone, lo pesta con la suola della scarpa) Come dicevo, non esercito più in qualità di psicoterapeuta. Mi considero una consulente filosofica. Ordine? No, non sono iscritta a nessun ordine. La giusta definizione, sì, direi che sia questa. Quindi potrei dire che Lorenzo fosse un mio discepolo. Sì, insomma, un allievo, in un certo senso. Preferisco definirli allievi, meno pretenzioso, non trovate? Cosa imparano? Beh, io so quello che cerco di insegnare. Diciamo, a guardare ciò che accade da un diverso punto di vista.
Otto mesi e 28 giorni prima. Ore 15.11.00.
Un monolocale in disordine. L’arredamento è più che altro composto da scatoloni. Il letto è costituito dal solo materasso, adagiato sul pavimento. Un cestino per la carta straccia.
Agata sta dormendo, con la testa sotto alle coperte.
PAOLO (da fuori) C’è qualcuno in casa?
Agata non ha reazioni.
PAOLO C’è qualcuno?
AGATA (fra sé) Chi cazzo sei, sparisci.
PAOLO Non c’è nessuno?
AGATA (grida) No, non c’è nessuno!
PAOLO Mi apre, per favore?
AGATA Non c’è nessuno! Cos’è che non capisce di queste parole?
Per qualche istante c’è silenzio. Agata sprofonda di nuovo nel materasso, si tira su le coperte.
PAOLO Non voglio disturbarla! Se apre un attimo…
AGATA E invece mi sta disturbando! Vada via!
Silenzio. Agata prova a riaddormentarsi. Non ci riesce. Si alza, stordita. Fa qualche passo, sbadiglia. Alle sue spalle entra Paolo.
PAOLO Signorina, mi scusi…
AGATA (si volta gridando) Ahhh!... Chi sei, che vuoi? Come cazzo sei entrato?
PAOLO Ecco, era questo che cercavo di dirle.
AGATA Stai lontano, non ti muovere!
PAOLO Posso darle anch’io del tu?
AGATA Cosa?
PAOLO Sì, lei è passata al tu. Mi chiedevo se potevo anch’io.
AGATA Ma si può sapere chi minchia sei?
PAOLO Vuol dire sì?
AGATA Io ti conosco…
PAOLO Certo che mi conosci, voglio dire, mi hai visto. Beh, veramente quando ci incontriamo hai sempre l’aria di avere la testa fra le nuvole, ma a parte questo ci vediamo praticamente tutti i giorni. (le porge la mano) Paolo. Il ragazzo della porta accanto.
AGATA (non glie la stringe) È una battuta?
PAOLO No, affatto. Vivo all’interno cinque. Il tuo è il quattro, il mio il cinque.
AGATA E questo ti autorizza a materializzarti in casa mia?
PAOLO (le porge un mazzo di chiavi) Le hai dimenticate fuori dalla porta.
Agata le prende, spiazzata.
PAOLO Capisci che dovevo dirtelo. Poteva essere pericoloso, poteva entrare chiunque.
AGATA Infatti sei entrato.
PAOLO Ma io non sono chiunque, te l’ho detto: viviamo sullo stesso pianerottolo.
AGATA Ah certo, siamo intimi.
PAOLO In un certo senso, sì. Sai quanto tempo ci vuole perché il DNA di una specie registri un cambiamento in base ad una mutazione ambientale?
AGATA Cosa?
PAOLO Il nostro DNA, no? Beh, muta. Si sa, prima eravamo dei pesci, poi le acque si sono ritirate, e allora siamo diventati mammiferi, eccetera eccetera. Per esempio, noi siamo destinati a perdere i denti del giudizio, lo sapevi no?
AGATA Se me lo dicevi prima evitavo di farmeli togliere.
PAOLO Lo vedi? Te li sei fatti togliere. Perché? Perché non ti servono più. Non devi più strappare a morsi carne cruda. Perderemo anche il mignolo, eh. In fondo a che ci serve, ‘sto mignolo? Giusto se suoni il