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Amori e disavventure di un aspirante regista fallito
Amori e disavventure di un aspirante regista fallito
Amori e disavventure di un aspirante regista fallito
Ebook480 pages7 hours

Amori e disavventure di un aspirante regista fallito

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About this ebook

Sono Jacques e mi piacciono le crêpes. Odio svegliarmi presto, giro spesso in mutande e piango facilmente. Sono piuttosto cocciuto e a volte un po’ infantile ma Antoine mi vuole bene lo stesso, anche se sono disordinato e tremendamente rompiscatole.

Ho sempre la testa fra le nuvole e per questo inciampo spesso. Eppure vi confesso che inciampare su quei cavi a un minuto dalla diretta mi è stato provvidenziale, non avrei avuto la fortuna di conoscere il mio dolce divo dagli occhi blu altrimenti!

Lavoro dietro le quinte, sono un tecnico delle riprese, meglio noto come “regista fallito”, appellativo che mi porto dietro dalle scuole medie.

Ho molti sogni nel cassetto, anzi, sparsi in giro per casa, tra tutti i vestiti di Antoine non so mica se ho ancora un cassetto!

Il mio sogno numero uno è diventare un regista/scrittore affermato. Si, lo so, è un sogno un po’ ambizioso ma vi prego di non ridere. E se proprio non potete farne a meno, beh, divertitevi! Tanto un giorno sarò io a ridere, (almeno spero!)

Per adesso, tra una disavventura e l’altra, qualcosa m’inventerò, intanto voi godetevi pure lo spettacolo e lasciatemi un po’ di popcorn, ok?
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateJun 25, 2018
ISBN9788827836743
Amori e disavventure di un aspirante regista fallito

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    Amori e disavventure di un aspirante regista fallito - Elena Carnimeo

    realizzare.

    Io, nei panni di me stesso. Per farla breve,un cazzone.

    - Fanculo, un’altra nottata così e giuro che me ne vado!- Sbuffai bevendo un altro bicchiere di quella robaccia che hanno il coraggio di chiamare birra. Erano due sere che mi andava male di brutto, solo quel giorno avevo perso un mucchio di soldi al tavolo del Black-Jack!

    Non poteva andare peggio di così, pensavo, ma mi sbagliavo: c’è sempre il peggio del peggio e anche se non dovrei lamentarmi, continuo a lamentarmi lo stesso, incurante dello strazio di chi resta a sentirmi.

    -Non te la prendere amico,- Esclamò Jean Louis dandomi una pacca sulla spalla, -Ti rifarai la prossima settimana!- Io scossi la testa, ero di umore nero da quando la mia bella dea bendata aveva deciso di voltarmi le spalle. Non sopportavo l’idea che i miei soldi andassero a finire nelle tasche degli altri, ma ancor meno sopportavo perdere.

    Così, rimasi tutta la sera ad affogare i miei fallimenti e le mie delusioni nell’alcool, rimuginando com’è mio solito fare.

    -Dai Jacques, non fare così, vedrai che poi andrà meglio!- Sorrise il mio amico nel vano tentativo di tirarmi su di morale. Io sollevai dal bicchiere il mio sguardo assente e sospirai malinconico:

    -Sono un fallito...-

    -Ma cosa vai farneticando?- Rise. Un altro sorso, un altro sospiro:

    -Ah, caro Jean, sei sempre stato così ottimista, per te è sempre filato tutto liscio, mentre io, beh, se la mia vita fosse una vecchia pellicola sbiadita ne avrei di scene da tagliare e di nastri da aggiustare...- Jean scosse il capo:

    -Credimi, non serve la macchina da presa per riaggiustare tutto, ti basterebbe solo un po’ più di ottimismo e fiducia nella vita e nella tua cara dea bendata che ti sta tanto a cuore.- Io scattai in piedi e ribattei indignato:

    -Si può sapere cosa me ne faccio delle tue belle parole? Tutte stronzate! Facile parlare, non sei tu lo scemo che si è appena giocato mezza paga al Black Jack! Accidenti a te e ai tuoi stramaledetti consigli, se non ti avessi dato ascolto, a quest’ora avrei i miei ultimi risparmi in tasca!-

    -Non  ti ho detto io di dilapidarti un capitale!- Rise, -E adesso datti una calmata, non è mica la fine del mondo!-

    - Ok, forse non sarà la fine del mondo, ma ti dice niente la fine del mese? Ho i conti in rosso!-

    Poi mi lasciai andare di nuovo su quello sgabello all’angolo del bancone con le mani trai capelli al pensiero dei miei creditori dietro la porta, delle bollette scadute e l’affitto arretrato da pagare.

    -Io e le mie mosse azzardate! Adesso mi toccherà elemosinare gli spiccioli a mio padre e a mia zia... Ma perché diavolo non sono nato ricco? Ei Jean ci pensi a quante cose avremmo potuto fare se fossimo stati ricchi? – Jean si strinse nelle spalle:

    -Non preoccuparti troppo, troveremo una soluzione e tu non dovrai correre a frignare dal tuo vecchio... Potresti sempre lavorare come cameriere nel mio caffè per arrotondare.-

    -Lascia stare...-Sospirai rassegnato, -Ah, la vita fa schifo, sono depresso...-

    -Eccolo che ricomincia...- Sbuffò rivolgendosi al vecchio barman che chissà quanti anni prima avrà visto quell’idiota di mio padre fare la stessa scenata, che mi diede un bicchiere e mi rivolse un’occhiata saggia:

    -Tale e quale a Gabriel... Attento ragazzo o finirai per diventare peggio di tuo padre!-

    -Dai, Jajà,-Riprese il mio amico mollandomi un’altra dolorosissima pacca sulla spalla,-non pensarci, a che serve rimuginare?- Da bravo ubriaco non gli diedi ascolto e continuai a farneticare sul mio nichilismo spicciolo:

    -Ah, com’è difficile andare avanti! Che senso ha la mia disperata esistenza?- Jean pose fine alle mie pallosissime elucubrazioni filosofiche sulla vita e sull’universo viste attraverso il fondo del bicchiere:

    -Quanto sei difficile! Falla finita con i drammi e stammi a sentire una buona volta!- Io scossi il capo rassegnato:

    -Voglio dire, dammi un solo motivo per andare avanti e mi metterò a tacere.- A quel punto Jean, decise di giocare la sua carta vincente:

    -Ti ho già detto che Antoine ritorna domani?- Nel sentire quel nome, sputai la birra per lo stupore:

    -Cosa? Perché diavolo non me l’hai detto subito?! Quando l’hai saputo? Avanti Jean Louis, rispondi!- Lo incitai tirandogli il colletto e i baveri della giacca.

    -Calma, calma, è che voleva farti una sorpresa...- Io scossi la testa sorridendo:

    -Sai che detesto le sorprese, avresti dovuto dirmelo prima!-

    -Ma se non mi dai mai ascolto!- Protestò,-Comunque acqua in bocca, se venisse a sapere che te l’ho detto, ci rimarrebbe male.-

    -Conosco il mio pollo...- Sospirai facendomi pensieroso.

    <> Pensai.

    Sono sempre stato solito a deprimermi, in quel periodo poi, entravo spesso in crisi, solo Antoine sapeva sempre come indicarmi la via d’uscita.

    <> Mi rassicurava carezzandomi i capelli, <<è questione di tempo, passerà, devi solo aspettare...>> Così, mi ritrovavo ad attendere con ansia il suo ritorno, come un artista che attende l’ispirazione e invoca le muse perché gliela concedano. O più semplicemente come un povero stronzo con il complesso dell’abbandono che sta lì a scodinzolare come un cagnolino dietro la porta ogni volta che sente qualcuno su per le scale.

    Continuai a pensare a lui fin quando qualcuno non mi riportò bruscamente alla squallida realtà:

    -Ei finocchio, non vieni a prenderti la rivincita?- Indignato mi rialzai di scatto:

    -Come scusa?- Il tipo del Black-Jack mi squadrò dall’alto della sua statura:

    -Ci senti finocchio?-

    Inutilmente Jean cercò di dissuadermi facendomi notare che quel tipo poco raccomandabile era almeno il doppio di me, che aveva ben tre amichetti grandi e grossi quanto lui e che data la mia scarsa prestanza fisica, non avrei potuto che soccombere senza il suo aiuto.

    - Jacques, no...- Mi afferrò per un braccio nel tentativo di fermarmi. Ma come al solito non gli diedi retta e lo scansai violentemente:

    -Prova a ripeterlo figlio di puttana!- Quell’attaccabrighe sputò per terra:

    -Che c’è hai paura finocchio?- Tutto il locale si girò verso di noi, spettatori di una rissa imminente.

    -Te la sei cercata bastardo!-

    Ci avventammo l’uno contro l’altro, dando inizio a una lotta, ma se non fosse stato per Jean Louis, non ce l’avrei mai fatta contro quei quattro figli di puttana tutti muscoli e niente cervello. E per mia fortuna il mio amico, seppure di indole pacifica, non esitava a venire alle mani per difendermi. E devo dire che non se la cavava affatto male, anzi, con quel destro avrebbe potuto stendere chiunque! In ogni caso, sia con le buone sia con le cattive, riusciva sempre a tirarmi fuori dai guai in cui ero solito cacciarmi per il mio caratteraccio.

    Fortunatamente ci divincolammo e riuscimmo a darci alla fuga, quella, insieme al Black-Jack era la nostra specialità. Fu così che ce ne andammo a braccetto per quei vicoli parigini, con un occhio nero, qualche ammaccatura in più, ma tutti i denti sani.

    Ok, ok, nella fretta di scappare ho dimenticato le buone maniere, come al solito non mi sono ancora presentato... dunque, vediamo subito di rimediare: sono Jacques, Giacomo all’anagrafe, ho ventitré anni, una famiglia splendida, una carriera brillante, le donne cadono ai miei piedi, non a caso mi definiscono un sex symbol. Nel tempo libero prendo il sole in costa azzurra a bordo del mio yacht privato, sorseggiando champagne dalla mattina alla sera, in compagnia di amici e di belle pollastrelle! Ah ah, ah!

    Nah,  come avrete avuto modo di notare, stavo solo scherzando, magari fosse vero! In realtà non me la passo proprio così bene, non ancora almeno. Diciamo che le cose sono leggermente diverse: faccio l’aiutante cameraman, mi prendono a calci nel culo dalla mattina alla sera per un salario minimo che mi basta a malapena a coprire le spese. Si fa per dire, vivo in bolletta!

    Vivo solo da quando mia madre è morta. Mio padre invece se n’è andato di casa che avevo sei anni. All’inizio ho molto sofferto, per un bambino non è facile accettare il fatto che suo padre abbia una relazione con una biondina di plastica e che preferisca i figli di secondo letto a lui, scordandosi addirittura di augurargli buone feste a Natale e di venirlo a trovare il giorno del suo compleanno!

    Fortunatamente, in questi ultimi anni il bambino è cresciuto, si è asciugato le lacrime, si è rialzato da solo, tramutando l’ammirazione in dolore, il dolore in odio. No, io non perdono, non ho dimenticato niente, se serbo ancora del rancore nei suoi confronti lo devo soltanto a lui.

    Ancora mi domando con quale faccia tosta sia riuscito a presentarsi in chiesa al funerale di Mà, come se si fosse ricordato improvvisamente di avere un altro figlio, che ipocrita! Mi viene una tale rabbia a pensarci... Ma quel giorno ero talmente triste, che per una volta, misi da parte l’ascia di guerra.

    Quando mi venne incontro, avevo appena finito di suonare la lacrimosa della messa da Requiem di Mozart o l’Ave Maria di Schubert, ero così sconvolto che non mi ricordo più. Si avvicinò a me, mi diede un abbraccio e mi disse le solite due paroline di cortesia, accompagnate da un pianterello finto e da un banalissimo scusami figlio mio. Mi veniva da piangere, così mi sfogai sulla sua spalla piangendo tutte le lacrime represse fino ad allora. Mi veniva da vomitare, questo me lo ricordo bene, tanto che passai tutto il resto della cerimonia al gabinetto, in preda al voltastomaco, maledicendo me stesso e quell’uomo, l’unicoresponsabile della rovina della nostra famiglia.

    Se me lo trovassi davanti un’altra volta non esiterei a farlo fuori, ma avrei bisogno di una 44 magnum, altrimenti avrei la peggio. Nonostante le apparenze sono un vendicativo della peggior specie, un freddo calcolatore travestito da santarellino. Ma che vado farneticando! Sono solo un ragazzino idiota che si perde nelle sue fantasie e gioca a fare il duro finché non lo fanno piangere. Forse mi sono lasciato prendere un po’ troppo la mano dalle mie gangster-stories. A chi voglio prendere in giro! Uno smidollato come me sa solo piangersi addosso, e poi, semmai sono uno stratega da tavolino, non certo un uomo d’azione.

    Ho pochi pregi e la bellezza non è certamente tra questi: statura medio/bassa sul metro e settantaqualcosa, muscolatura assente, non sono affatto sportivo, anzi, sono sempre stato una frana in tutto, specialmente nella corsa. Fisico sgraziato, un po’ in sovrappeso, ma non sono proprio ciccione, ad essere onesti peserò intorno ai settantotto e gli ottanta chili. Sfortunatamente sono uno di quelli che somatizzano molto, di conseguenza tendo a sfogarmi sul cibo. Carnagione anemica, castano di capelli, capelli mossi, troppe guance e niente zigomi, viso bambino senza un filo di barba in parte nascosto dagli occhiali e dal ciuffo ribelle sull’occhio. Sono un intellettuale e anche piuttosto introverso, a volte scontroso, ma molto emotivo, non ho tanti amici e come se non bastasse sono sfortunato in amore, insomma, un vero disastro, uno di quelli che al liceo etichettavano come sfigato.

    Eppure gli amici del club mi trovano carino e simpatico, dicono che sono un artista e come tale ho una personalità complessa ma meravigliosa, sono persino convinti che sia dotato di una spiccata sensibilità e di una genialità fuori dal comune. Che siano degli esaltati? Può darsi, ma se non ci fossero stati loro, probabilmente a quest’ora mi sarei già buttato da un ponte. La depressione è un male che affligge molte anime belle.

    Nel tempo libero, quando non mi diletto al pianoforte e a scrivere, bevo, fumo e gioco d’azzardo, e devo dire che sono anche piuttosto abile nel contare le carte, però se mi scoprono sono dolori. Altre volte mi capita di perdere e di non poter saldare i debiti di gioco, comunque in entrambi i casi sono costretto a darmi alla fuga o a piangere miseria da mia zia Concetta o nel peggiore dei casi da mio padre.

    Difetti a parte, per compensare le mie mancanze, ho un grande pregio: la testardaggine. Un pregio? Perché mai? Direte voi. Ve lo spiego subito: è la testardaggine che mi spinge a persistere nei miei obiettivi, che mi da il coraggio di affrontare un altro giorno quando sono depresso, che mi ricorda mia madre, quando se ne stava di là in cucina a sfornare le sue torte di mele, e io tornavo da scuola e le raccontavo com’era andata, ma mentivo quasi sempre pur di renderla felice. Non potevo certo raccontarle che le maestre mi davano del buono a nulla, che i miei compagni di classe mi prendevano in giro e che mi picchiavano sempre, anche se con gli occhiali rotti e un occhio nero è un po’ difficile negare l’evidenza. Lei sapeva sempre tutto, a volte le bastava guardarmi in faccia per capire che soffrivo. Così, fingendo di nulla mi veniva vicino e mi ripeteva: Va’ sempre avanti, non arrenderti mai, promettimelo. Io annuivo senza parlare, Mà aveva sempre ragione, questa è una verità indiscutibile e l’ho imparata a mie spese.

    Essere testardi significa non arrendersi, io ho un sogno: diventare un promettente romanziere, regista e sceneggiatore, e state certi che manterrò la promessa, malgrado tutto non ho alcuna intenzione di demordere. Un giorno metterò in scena l’opera delle opere, dovessi anche metterci una vita intera per finire di scriverla.

    Amo scrivere, perché attraverso l’inchiostro, a differenza delle parole dette, posso esprimere meglio me stesso, le mie emozioni, il mio punto di vista, tutto ciò che mi circonda. Chi lavora di fantasia è come se vivesse più vite, è un eterno sognatore pronto a immedesimarsi in qualunque cosa e all’occorrenza anche a fuggire dalla realtà per meglio comprenderla. Sarò pure una frana ad esprimermi quando parlo, ma quando scrivo è tutta un’altra cosa, sono strasicuro di me e non ho paura di sbagliare, tra le righe si nasconde il vero me stesso, senza la mia maschera. Ogni volta su quelle pagine ci lascio una parte di me, in poche parole, che lo vogliate o no vi apro il mio cuore.

    Carta e penna sono le chiavi d’accesso a quel mondo fantastico che si cela dentro di me, nella mia mente e in fondo all’anima. Quasi nessuno sa che c’è, tutto il resto del mondo, ne ignora l’esistenza.

    L’arte di scrivere è tutto per me, la macchina da scrivere è il mio pianoforte, la mia tavolozza di colori, attraverso di essa do’ un senso alla vita e coloro le giornate, intrappolando l’anima di quel che mi circonda, comprese le cose più celate dietro la realtà di tutti i giorni. Quel che mi attira di più è proprio ciò che si nasconde dentro ognuno di noi, oltre le apparenze e le infinite maschere che ci portiamo dietro.

    Tutto quel che desidero dalla vita è continuare a scrivere, libri, storie, sceneggiature, canovacci di scena dietro le quinte di un vecchio teatro. Voglio dedicare corpo, anima e tutto il tempo di questo dannato mondo alla mia arte, perché è la cosa che amo di più: vivere di emozioni, regalare emozioni e vederle staccarsi dalla carta assieme ai miei personaggi, burattini del mio magico teatrino incantato. Ancora non so come avvenga la magia, ma vi assicuro che in tutta la mia vita non ho mai visto una cosa simile se non attraverso le storie: i miei personaggi non solo si staccano dalla carta, ma prendono letteralmente vita, fanno tutto di testa loro, sono pieni di pregi e difetti (difetti soprattutto), amano, odiano, fanno follie e piangono anche loro, proprio come noi. L’unica differenza è che loro sono davvero immortali, forse perché sono fatti di sogni e di pura emozione. Ed io non posso che restare incantato  di fronte a tanta meraviglia. Nella realtà di tutti i giorni mi sento uno stronzo qualunque, ma tra le righe è tutto diverso... si, quasi mi sento un dio tra le righe, dove tutto può succedere... Quando inizio a scrivere una storia non so mai dove mi porterà, quando arrivo sul finale, quasi mi piange il cuore, tanto le emozioni mi trascinano nella storia, che alla fine continua inesorabilmente a far parte di me e della mia vita, quasi fino a non poter più vivere senza fare il cantastorie del mio amato teatrino.

    Non sarò perfetto, (e probabilmente molti di voi saranno già disgustati dalla prima impressione,) ma dopotutto, chi diavolo lo è a questo mondo? Sarò pure un folle, un sognatore, un eterno bambino che si diverte a inseguire illusioni come farfalle su di un prato, il giorno prima sono il re del mondo e il giorno dopo ecco che ti divento il re degli scansafatiche, un filosofo del bicchiere, a tratti un depresso, a tratti un fallito, ma che posso farci? Sono fatto così e malgrado i miei sforzi temo (e sotto sotto spero) di non cambiare mai.

    Io e Jean camminammo in lungo e in largo, ma la notte era ancora giovane e non avevo nessuna voglia di tornare a casa nella mia solitudine.

    -E adesso che si fa? Bisca?- Azzardai.

    -Ancora? Ma se siamo al verde!- Protestò tirando un calcio a una cartaccia.

    -Non più,- Esordii tutto baldanzoso mostrandogli il bottino di guerra, -Gli ho fregato il portafogli!- Jean strabuzzò gli occhi alla vista di tutte quelle banconote:

    -Bella mossa! Sei un morto che cammina!- Rise.

    -Tanto non mi prenderanno mai!- Sghignazzai a mia volta.

    -Certo, finché avrai il tuo guardaspalle!-

    -Poche storie, allora, poker o roulette?- Ma Jean guardò l’orologio e scosse il capo:

    -Spiacente amico, si è fatto tardi, mia moglie mi sta aspettando, oggi tocca a me fare nottata con la piccola, pensa, è già una nottambula come il suo papà...- Sorrise compiaciuto pensando alla sua bambina.

    -È pur sempre mia nipote e come si dice, buon sangue non mente, io sono il re dei nottambuli! Beh, ci si vede paparino...- Sorrisi a mia volta dandogli una pacca sulla spalla. Jean mi guardò con quell’aria da fratello maggiore e si raccomandò con me:

    - Jacques, riguardati, e fossi in te ci penserei due volte prima di giocarmi altra grana...-

    - Nah, sta’ tranquillo, farò due passi, non c’è gusto a giocare da soli!-

    -A domani amico!- Sorrise.

    -Sì, a domani...- Lo salutai con un cenno del capo. Poi mi voltai e sconsolato m’incamminai barcollando verso casa, pronto a tornare lentamente alla mia vita.

    -A quanto pare l’abbiamo perso,- Sospirai tra me e me mollando un calcio a un sassolino, -da quando il vecchio Jean ha messo su famiglia è diventato così noioso! Sarà per questo che mio padre ha abbandonato me e  la mamma? Nah, l’ha fatto perché è un fottuto stronzo!- Convenni infine dando un altro calcio, stavolta ad una lattina, - Va’ all’inferno con tutti i miei pensieri più tristi! Stasera non sono in vena di squallidi flashback!- No, meglio cantare a squarciagola qualche vecchia canzone italiana e pensare a qualcosa di bello, magari ad Antoine...

    La prima volta che ho incrociato quello sguardo celeste, per poco non sono rimasto paralizzato, e dico sul serio, perché nella fretta di portare il programma della serata, sono scivolato sui cavi delle apparecchiature che avevamo appena montato... Che figuraccia! In quel momento ho pregato che nessuno mi avesse visto, ma dal trambusto generale era inevitabile che se ne accorgessero. Così, con la mia solita nonchalance, sono tornato alla mia postazione tra le risatine dei miei colleghi e le occhiatacce dei superiori. Ci avrei beccato una bella sgridata dalla regia, se non fosse che mancassero meno di trenta secondi alla diretta dello show di Antoine. Ma un istante prima dell’inizio, malgrado tutti i miei scongiuri, anche Antoine si è voltato verso di me mostrandomi il suo splendido sorriso... Avrei voluto morire, diavolo, anche lui stava ridendo di me! Ma è proprio il caso di dire: galeotta fu quella caduta disastrosa e la canaglia che m’ha fatto lo sgambetto con i cavi, altrimenti dubito che il mio Antoine sempre al centro della scena, si sarebbe mai accorto dell’ultimo fesso dietro le quinte degli studi televisivi. E anche se lui è convinto che non riuscissi a passare inosservato un momento, credo proprio che il mio capitombolo mi sia stato in qualche modo provvidenziale.

    Cantando e sospirando mi accorsi di aver quasi imboccato la strada di casa, ma mi sentivo stranamente sereno, come se il semplice pensiero di lui fosse bastato a rendermi di nuovo felice.

    <> Mi chiesi arrossendo come un bambino, <>

    Spesso le riprese lo tenevano lontano da me anche parecchio, ma nonostante questo riusciva sempre a trovare del tempo per noi, e tutto sommato, in cambio di tutto il suo amore, ero ben disposto a sopportare la sua assenza. Forse anche quella contribuiva a rendere speciale il nostro rapporto, un po’ come quando da piccoli si aspetta fino a Natale per avere il giocattolo tanto desiderato. Se fosse Natale tutto l’anno si perderebbe quella magia e quegli stupidi filmetti mi assillerebbero tutte le sere.

    Comunque sia dovevo essere proprio ubriaco, perché quasi mi parve un miraggio quella sottile figura di spalle che m’aspettava sotto al portone trascinandosi una valigia. Di colpo smisi di cantare e gli venni incontro come in una commedia americana:

    - Antoine? Sogno o son desto?-

    - Alla buon’ora!- Rispose guardando distrattamente l’orologio, -Sarà più di mezz’ora che suono al citofono! Quando ti toglierai il vizio di bere e vagabondare fino a mattina?- Io alzai le spalle, cercando di non trascinare troppo le parole nel tentativo di sembrare più sobrio:

    -Quando vivremo insieme ti prometto che la smetterò... amore scusami se ti ho fatto aspettare ma non pensavo di trovarti qui...-

    -Ah, non fa niente, se mi aiuti con i bagagli ti perdono...- Sorrise scuotendo la testa rassegnato al fatto di avere a che fare con un ragazzino. –Mi mancava vederti rincasare così tardi e mi mancava il tuo bel faccino, la tua voce, e il tuo adorabile accento italiano...-

    -Lo so, sono irresistibile quando canto!- Sorrisi lisciandomi i capelli per farmi bello. Ma il mio Antoine me li scompigliò di nuovo con una carezza:

    -Beh, in effetti la tua voce mi ha colpito subito, stavi cantando un pezzo molto particolare durante uno dei nostri primi incontri al piano bar...- Io feci spallucce:

    -Sai com’è, volevo spudoratamente fare colpo su di te dopo la pessima figura...-

    -E ci sei riuscito, ma proprio quando sei caduto...- Rise, -Avanti, dammi una mano...- Così, da buon cavaliere, presi la valigia domandandomi come diavolo avesse fatto a trascinarla fin sotto casa mia e rispondendomi che se il mio Antoine mi aveva più volte portato in braccio nonostante i miei quasi ottanta chili, il suo bagaglio in confronto doveva essere una passeggiata.

    -Accidenti quanto pesa questa dannata valigia! Ma cosa ci hai messo? Pietre?- Chiesi tutto affaticato.

    -Solo lo stretto necessario...- Rispose accennando un sorriso. Era vero, solo l’ultimo weekend che avevamo passato fuori si era portato mezzo armadio e si era cambiato cinquanta volte mentre io ero rimasto con lo stesso jeans e la stessa maglietta.

    -Menomale che abito al primo piano, altrimenti sarei morto...- Sospirai trascinando quella cassa da morto ben più pesante delle apparecchiature di scena, - In questo sogno da mezza sbornia sembra tutto così reale...- E rivolgendomi al mio uomo, lasciai perdere i suoi bagagli, lo baciai e lo strinsi a me quasi fino a togliergli il fiato:

    -Vieni qui mio dolce miraggio da ubriaco! Dai, fatti sbaciucchiare, che mi manchi tanto!- Antoine ricambiò il mio gesto d’affetto e mi assicurò che non si trattava di un sogno:

    -Tesoro non è la sbronza, è che cominciavo ad annoiarmi senza di te, così ho pensato di tornare un po’ prima del previsto, anche perché quel gran rompiscatole del mio manager mi sta dando parecchie noie...- Io feci una giravolta per la contentezza:

    -Sogno, realtà, che importanza ha? Non svegliarmi più mio dolce incanto,  io resto qui tra le tue braccia!- O almeno così speravo. Ma un conato di voltastomaco mi costrinse a staccarmi da lui:

    -Scusa un attimo, sto per vomitare!- Antoine mi sorresse preoccupato:

    -Va tutto bene Jajà?- Dopo un paio di tentativi a vuoto, mi rialzai lentamente:

    -Falso allarme, accidenti a me e a quella robaccia che ho bevuto!- Il mio uomo scosse il capo:

    -Tu non reggi affatto l’alcool! Quante volte ti ho detto di non abusarne? Non ti fa bene giocare a far l’ubriacone...-

    -E come facevo a sognarti sennò?- Singhiozzai carezzandogli il viso, -Il mio cuore e il mio fegato hanno risentito molto della tua assenza, senza contare che sono giorni che non mangio un pasto decente... ma adesso non pensiamoci più, abbiamo un sacco di belle cosucce da fare insieme...- Sorrisi malizioso tastandogli dolcemente una natica fino a farlo arrossire.

    -Sei sempre il solito delinquente!- Mi riprese con quel suo fare da perfettino in netto contrasto con la mia indole caotica e pasticciona, -ma almeno mi fa piacere di non esserti mancato solo perché so cucinare...-

    <> Pensai, ma questo non gliel’avrei mai detto, anche a costo di mangiare pasta scotta e arrosti carbonizzati per il resto della mia vita.

    -Oh no, se permetti le coccole mi mancano di più... dai, ti prometto che d’ora in poi sarò più frequentabile e m’impegnerò a non alzare troppo il gomito, anzi, divento anche astemio se vuoi, ma tu non abbandonarmi mai più!- Antoine scosse il capo:

    - Jacques, io non ti ho mai abbandonato e non ti chiederei mai di cambiare per me...-

    -E un mese senza di te come lo chiami? Vacanza?- Protestai come un bambino.

    -Tesoro, sono stato via per meno di tre settimane e sono state tre settimane d’inferno...- Sospirò alzando gli occhi al cielo.

    -E ti pare poco? Mi hai lasciato tre settimane senza fare l’amore! Sono in crisi d’astinenza e per pochissimo non sono saltato addosso alla cameriera del mio solito caffè, e poi non dire che è colpa mia!- Mi lasciai sfuggire, ma a giudicare dal suo sguardo geloso, compresi in fretta che avrei fatto meglio a tenermi per me quel piccolo e increscioso particolare.

    -Tu hai fatto cosa?- Chiese con aria da inquisitore spingendomi a ritrattare, -Non dirmi che l’hai fatto di nuovo!- Peccato che io non sapessi mentire di fronte a quegli occhi:

    -Ma è acqua passata! Ero ubriaco ed è stato più forte di me, ma ti giuro che tra me e lei non c’è mai stato niente! Antoine, non guardarmi così, lo sai che amo solo te!-

    -Ma bravo, e così approfitti della mia assenza per fare lo scemo ogni volta?- Sbuffò a braccia conserte. Io mi strinsi nelle spalle:

    -Sei tornato adesso e già vuoi farmi il terzo grado? Perché non rimandiamo a più tardi le inutili discussioni e non sali a prepararmi qualcosa di decente da mettere sotto i denti?- Antoine scosse la testa rassegnato:

    -Sei incorreggibile! E sai qual è il guaio? Il guaio è che sono rimasto qui ad aspettarti e a questo punto mi domando se sono io lo stupido...-

    -Dai, non dirmi che t’ho già fatto arrabbiare!- Sorrisi ammiccante, -Andiamo chéri, lo sai che sono un bravo bambino...- E davanti al mio sguardo da cucciolo, non poté che cedere:

    -Ci rinuncio, con te non si può proprio ragionare, tuttavia mi sei mancato da morire e per stavolta ti perdono, ma guai se ti ritrovo a fare lo scemo con quella strega...- E caricandosi il suo bagaglio a mano, si avviò per le scale, -Avanti sfaticato, dammi una mano se vuoi che ti prepari qualcosa...-

    -Ah, cosa non si fa per gola...- Sospirai aiutandolo a trascinare la sua valigia con lo sguardo fisso sui suoi splendidi jeans bianchi, impaziente di fare l’amore.

    -Ei Antoine, sei sicuro che non ci sia un cadavere qui dentro?-

    -Si, ci ho messo il mio manager!- Rise frugando nelle mie tasche in cerca delle chiavi.

    -Beh, in questo caso mi auguro fosse ancora vivo quando ce l’hai ficcato!- Esclamai stando al gioco girando la chiave nella toppa. Poi finalmente a casa, nel mio splendido buco d’appartamento al primo piano, con poca luce, tanto disordine e un chiassoso affaccio su strada nel quartiere latino, potemmo amarci indisturbati dal corridoio alla mia stanza da letto. Accidenti se mi era mancato!Giuro, in tutta la città non c’era amante migliore, non c’era nessuno che potesse neanche lontanamente competere con lui, o almeno così sembrava a me, ero innamorato di Antoine dal momento stesso in cui i miei occhi avevano attraversato il suo sguardo.

    E dopo esserci amati e coccolati come bambini, mi accesi una sigaretta e rimasi ad osservarlo addormentato sul mio letto al lume di una vecchia abatjour, soffermandomi prima sul suo viso d’attore e poi su quel corpo da statua greca. Tutto il contrario di me che sembro un moccioso e nessuno mi prende mai sul serio, pensavo rapito dal mio Adone, <> Sospirai malinconico convinto del fatto che i miei sogni fossero ancora lontani, molto lontani, forse troppo lontani dalla realtà... un’altra tirata, un altro sospiro. <>Mi dissi consolandomi in fretta, <> Gongolai. Poi quasi mi commossi di fronte a tanta bellezza.<> Sorrisi tra me,<povere illuse, il divo dagli occhi blu vuole me! Ma non finisce qui: oltre le apparenze si nasconde un’anima molto complessa e sensibile, Antoine non è mai com’è costretto a mostrarsi in tv. È di un’allegria contagiosa e anche quando si sente giù non vuol darlo a vedere, è un attore nato e fare la sua parte gli riesce bene. Visto dal di fuori è come uno specchio pronto a riflettere la sua immagine migliore per nascondere le sue fragilità interiori. Non è affatto forte e sicuro di sé come vuol far credere, e contrariamente a quanto si possa pensare di un animale da palcoscenico come lui, è un ragazzo timido, dolcissimo e parecchio introverso. No, Antoine non ti dirà mai se sta morendo...>>

    Qualche tempo dopo la mia rovinosa caduta ci ritrovammo soli per la prima volta dietro le quinte, ed io, imbarazzato abbassai lo sguardo e accennando un sorrisetto da ebete, lo salutai:

    -Salve...- Ma lui, con una mano sul mio viso, risollevò il mio sguardo, e con quell’aria da narcisista sicuro di sé, rispose:

    -Evitiamo i convenevoli, Jacques, chiamami Antoine, mi conoscono tutti qui.- Io lo studiai attentamente, domandandomi cosa volesse un dio come lui da un comune mortale come me, precisamente l’ultimo trai comuni mortali, l’ultimo della lista di Babbo Natale, l’ultimo della catena alimentare!

    -È vero, ti conoscono tutti. Ma tu come fai a sapere il mio nome?- Chiesi incuriosito e un po’ impacciato. Lui mi sorrise candidamente:

    -Semplice, non c’è nessuno in giro che non sappia cosa diavolo hai combinato per farti assumere...-Io annuiie rimasi a guardarlo come un baccalà. Si riferiva al fatto che per molto tempo da ragazzino mi sono intrufolato di nascosto negli studios fingendomi un dipendente e quando mi hanno scoperto, data la mancanza di personale, sono stato assunto immediatamente come addetto al trasporto materiali di scena. Notai che aveva tralasciato un particolare: il fatto che mi richiamassero in continuazione, doveva essere per quello che ognuno si ricordava il mio nome, in poco tempo ero già il clown della numero 3!

    -Qui dentro sono l’ultima ruota del carro ma ho grandi ambizioni per il futuro, scrivo romanzi e sceneggiature.- Dissi poi riprendendomi il mio orgoglio,- Il mio sogno è sempre stato quello di diventare regista, in pratica ho i film in testa con tanto di colonna sonora! Per questo sono qui da quando ero poco più di un moccioso.- Affermai convinto.

    -Dunque ho di fronte un artista...- Sorrise compiaciuto.

    -Io un artista? Non prendermi in giro! Tu piuttosto, sei un divo!- Esclamai sicuro della mia evidente inferiorità.

    -Scherzi?- Rise, -Un attore non può far molto senza sceneggiatura.-

    -E una sceneggiatura non è niente senza l’attore.- Ribattei per far colpo.

    -Mi piaci Jacques...- Il suo sguardo sicuro mi mise in completo imbarazzo. Così mi accesi una sigaretta e lo squadrai attentamente, non sapevo con precisione cosa mi stesse passando per la testa. Da un lato lo invidiavo, ma dall’altro continuavo a sentirmi incredibilmente attratto da quella misteriosa e superba figura, era la prima volta dai tempi del mio buon vecchio Claude.

    -Vieni dal cielo profondo, o sorgi dall’abisso, beltà?- Sorrisi per non lasciare spazio all’imbarazzo.

    -Il tuo sguardo, infernale e divino, versa mischiandoli, beneficio e delitto, per questo ti si può comparare al vino. - Sorrise a sua volta sfiorandomi il viso.In quel momento divenni rosso come un peperone e compresi immediatamente che non potevamo essere nemici, e che dietro la maschera del bello e impossibile della tv aveva un animo sensibile. Ma non potevo ancora sapere che fin dal primo sguardo, già possedeva il mio cuore.

    Per un attimo ci guardammo senza parlare, poi lui ruppe il silenzio:

    -Ah, Baudelaire, quello si che è un vero dio!-

    Si accese una sigaretta, il discorso andò avanti, parlammo di poesia, di cinema, di musica, e senza rendercene conto saremmo stati lì per ore, se non fosse che anche stavolta mancasse poco all’inizio delle riprese. Così era bastata una smorfia di quel figlio di puttana del suo manager per farmi rispedire al lavoro a calci nel culo, non senza darmi del lavativo che stava importunando spudoratamente una giovane stella emergente. Appartenevamo a due mondi diversi, era una realtà e in seguito nessuno avrebbe più smesso di farmelo notare, ma il caro Antoine non la pensava così, infatti, un istante prima che ci dileguassimo, io dietro le quinte e lui al centro della scena, mi sussurrò all’orecchio:

    -Ci vediamo stasera al caffè di fronte agli studi...-

    <> Pensai strizzandogli l’occhio e ritornando alla mia postazione, <>

    Per tutto il resto della giornata non riuscii a fare a meno di pensarci e sospirare, ogni volta che il suo sguardo incrociava il mio poi, mi sentivo quasi il suo complice.

    Benché non volessi darlo a vedere, continuavo a sentirmi attratto da quell’avvenente figura, così diversa da me per certi aspetti, ma così uguale per altri. In un certo senso sentivo di avere a che fare con un’anima affine.

    Ero così confuso, quasi lo invidiavo ma allo stesso tempo avevo bisogno di vederlo, avevo bisogno di parlargli, per dirgli cosa poi? Non so, le parole mi sarebbero venute al momento, forse le avrei scritte, ma quella sera, non mi restava che improvvisare.

    -Puntuale come un orologio svizzero.- Mi disse non appena arrivò, –Tutto il contrario delle voci che circolano su di te... ti dipingevano come un ritardatario della peggior specie che riesce sempre a pararsi all’ultimo secondo...- Io mi accesi una sigaretta ed esclamai:

    -Non dargli retta, quelli non sono altro che un branco di lecchini senza né arte né parte! Forse sarò anche un eterno distratto, un ritardatario, uno scansafatiche, ma almeno ho delle idee che gli altri se le sognano.- Antoine sorrise compiaciuto:

    -Mi fa piacere che tu sia venuto, finalmente in quella gabbia ho avuto l’occasione di scambiare due parole con qualcuno di completamente diverso. Sono stufo di quel branco di idioti opportunisti che mi girano intorno.-

    -Fammi capire: tu non pensi che io sia uno svitato?- Chiesi inarcando il sopracciglio. Antoine scosse la testa:

    -Oh niente affatto, anzi, mi sei simpatico...Che aspetti? Entriamo a bere qualcosa, ho la gola secca a forza di cantare...-

    Entrammo, avanzai lentamente tenendomi dietro di lui di almeno tre passi, quando il mio sguardo cadde sul suo posteriore scolpito, appena visibile sotto quei jeans.

    <> Pensai, sognando di accarezzare quel corpo da statua greca. Neanche Pigmalione, lo scultore degli dei avrebbe potuto fare di meglio.

    Così ordinai un misto di whisky e arancia al sapore di alcool etilico, uno di quegli intrugli spacca budella che usano per sturare i lavandini, Antoine invece ordinò qualcosa di molto colorato dall’aria esotica e un nome interminabile, che lui chiamava

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