Il nonno bugiardo
By Alki Zei
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About this ebook
Titolo selezionato dalla Commissione Europea - EACEA Education, Audiovisual and Culture Executive Agency per il progetto Lettori oggi, cittadini domani presentato da Camelozampa.
Traduzione dal greco di Tiziana Cavasino.
Cover art e illustrazioni di Andrea Antinori.
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Book preview
Il nonno bugiardo - Alki Zei
Ringraziamenti
Camelozampa
presenta
Il nonno bugiardo
Scritto da
Alki Zei
Traduzione dal greco di
Tiziana Cavasino
per Andonis
Un nonno diverso
Andonis era stanco di aspettare il nonno.
Anche se lo sapeva che non era mai puntuale, non riusciva a rassegnarsi. Ogni sera, quando lo salutava, il nonno gli diceva:
Ci vediamo domani alle cinque e cinque minuti e cinque secondi
, ma non compariva mai prima delle cinque e mezzo. E ora erano le sei meno venti e il nonno… svanito nel nulla.
Vediamo quale scusa troverà stavolta
pensava Andonis. Che il nonno fosse un gran bugiardo, lo sapeva. Come il Barone di Münchhausen. Il Barone era diventato famoso in tutto il mondo per le sue fandonie. Il nonno tuttavia non era barone e mai sarebbe diventato celebre fino ai confini della terra per le sue menzogne. La cosa veramente strana era che, spesso, le storie che il nonno inventava si rivelavano vere, e così Andonis era costretto a credergli. Ma quella che gli credeva sempre, qualsiasi cosa le dicesse, era Larissa, la collaboratrice domestica russa che lavorava a casa loro ma andava anche a casa del nonno. Larissa lo adorava. Signore nonno, lo chiamava e lui la chiamava Lara, come la protagonista di Dottor Zivago, un film ambientato in Russia che gli piaceva tanto.
Alcune delle cose che il nonno diceva che gli erano capitate, il giorno dopo le scrivevano i giornali o le mostrava la tivù al telegiornale. Non con le stesse parole con cui le aveva raccontate lui, ovviamente, ma erano così simili che tutti si convincevano che il nonno le avesse vissute. Come quella volta che era in gran ritardo e all’improvviso era arrivato con un cerotto in testa. Per un attimo Andonis aveva pensato che se lo fosse attaccato apposta, per giustificare il ritardo. Sotto il cerotto tuttavia si intravedeva del sangue rappreso. Ma anche quello ovviamente poteva esserselo fatto con un pennarello rosso – dal nonno ci si poteva aspettare di tutto.
Aveva raccontato che era andato al quartiere Monastiraki a cercare alcuni vecchi programmi di teatro – il nonno era un attore in pensione – e mentre risaliva la via Mitropoleos, si era imbattuto in un corteo di studenti. Si era unito a loro. Gli studenti si erano radunati fuori dal Ministero dell’Istruzione e chiedevano di entrare per parlare col Ministro. Le porte tuttavia erano rimaste chiuse e la polizia fuori a sorvegliarle. I ragazzi avevano cominciato a spingere i poliziotti, e il nonno anche lui a spingere, ma la polizia aveva tirato fuori i manganelli. Aveva ricevuto un colpo di striscio e aveva iniziato a sanguinare. Vergogna
gridavano gli studenti. Una ragazza lo aveva preso per mano e lo aveva trascinato via mentre gli altri facevano largo per farli passare. Lo aveva portato in una farmacia e mentre il farmacista gli disinfettava la ferita la ragazza gli aveva chiesto:
«Nonno, che ci facevi tu con gli studenti?»
«Volevo dare una mano» aveva detto il nonno e la ragazza gli aveva dato un bacio sulla guancia.
La sera al telegiornale avevano fatto vedere il corteo, gli studenti, la polizia, i manganelli e i gas lacrimogeni. Niente nonno, però, niente ragazza e niente bacio sulla guancia.
«Eh, le telecamere non riprendono tutto» aveva mormorato il nonno bugiardo.
Finalmente il campanello suonò tre volte. Si erano già fatte le sei meno cinque. Andonis frequentava la scuola a tempo pieno e usciva alle quattro e mezza. Dalle cinque meno un quarto era a casa. Aveva le chiavi, apriva la porta ed entrava. Il papà e la mamma, però, che tornavano a casa tardi, non volevano che stesse da solo. La mamma spesso mancava da Atene per qualche giorno. Vai di nuovo a scavare?
la punzecchiava il papà.
La mamma era archeologa e andava in varie città a fare gli scavi, come li chiamavano. Anche il papà tornava tardi e faceva giusto in tempo a vedere Andonis prima che andasse a dormire. Era architetto e lavorava in uno studio di architettura.
Quest’anno che Andonis sarebbe andato in quarta, avevano deciso di mandarlo alla scuola a tempo pieno. A dire il vero, era stato il nonno a convincere la mamma e il papà, perché loro erano titubanti.
«Farlo stare a scuola tutte quelle ore?» dicevano contrariati.
«Tu alla sua età ci stavi» disse il nonno al papà.
«Lascia perdere me» rispose il papà, «quelli erano altri tempi…»
Andonis fu l’ultimo a essere interpellato, quando il nonno aveva già organizzato tutto, e lo convinse che la scuola a tempo pieno era una meraviglia.
«Ti liberi dei compiti perché li fai a scuola e quando torni a casa hai tutto il tempo per te».
L’unico problema era chi sarebbe andato a prendere Andonis a scuola.
La mamma, che da quando Andonis era piccolo e fino all’anno prima aveva sempre lavorato solo mezza giornata, adesso diceva che il tempo non le bastava per fare bene il suo lavoro. Per non dire che aveva bisogno di andare anche in biblioteca a studiare! Una vera secchiona la mamma. Quindi sarebbe tornata a casa tardi.
Il nonno, poi, neanche a parlarne di andare a prendere Andonis a scuola così presto. Lui aveva i suoi programmi.
«Dopo le cinque tutto quello che volete» diceva loro.
Ciò nonostante il nonno ne venne a capo. Quello stesso giorno trovò la soluzione. Si mise d’accordo con la signora Vasso che aveva la rivendita a scuola. Lei avrebbe fatto attraversare la strada ad Andonis e da lì a casa erano solo due passi. Gli avrebbe dato un occhio finché non apriva il portone. Questo le aveva proposto il nonno e la signora Vasso aveva accettato immediatamente. Figuriamoci se non riusciva a convincerla!
«Cosa le hai promesso? Confessa» lo stuzzicava il papà.
«Nulla» rispondeva il nonno bugiardo.
Nel frattempo si era liberato un appartamento nel pianerottolo immediatamente sotto di loro e il papà tutto contento aveva proposto al nonno di prenderlo in affitto per lui. Loro abitavano nel quartiere Ambelokipos, in un condominio di viale Alexandra, verso la fine, in alto. Il nonno abitava lontano, quasi sotto l’Acropoli, nel quartiere Thission.
«Lasciare la mia casa? Ma siamo matti!»
Il papà aveva cercato di convincerlo dicendogli che non solo non avrebbe più fatto tutta quella strada ogni giorno per venire da Andonis, ma, se si fosse ammalato, anche solo per una semplice influenza, avrebbero potuto facilmente prendersi cura di lui.
«Non sono ancora da ricovero» aveva detto il nonno, «e anche se mi viene l’influenza posso curarmi da solo. Sì, lo so, tra poco compio ottant’anni, e allora?»
Il nonno abitava in una vecchia palazzina a tre piani senza ascensore. L’appartamento era piccolissimo, al terzo piano, e lui diceva che gli faceva bene salire e scendere le scale a piedi. Aveva due stanze in tutto e una cucina così piccola che il frigorifero aveva dovuto metterlo nel corridoio, e si riusciva appena a passare. Da una finestra, però, si vedeva l’Acropoli e dall’altra l’Osservatorio astronomico.
La verità era che quella casa aveva qualcosa di magico. Innanzitutto, le pareti erano tutte piene di locandine e fotografie; foto del nonno e dei personaggi che aveva interpretato in teatro, ma anche di altri attori, sia greci sia stranieri. In una stanza, il salone
, come lo chiamava Lara, c’era un divano che poteva anche essere vecchio, ma non si vedeva, perché era coperto da