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I nodi della trasparenza
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Ebook358 pages4 hours

I nodi della trasparenza

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Prefazione di Paolo Savarese. Una cartografia dei luoghi in cui il concetto di trasparenza si manifesta e allo stesso tempo subisce le sue più drammatiche torsioni: dall’analisi del mito fondativo della casa di vetro, alla descrizione del contesto concettuale all’interno del quale si incardina metafisicamente ed esteticamente l’ideologia della trasparenza, sino a fornire uno spaccato del fronteggiarsi dello Stato (e della sua ragione pubblica) e dell’uomo.
LanguageItaliano
Release dateJun 11, 2018
ISBN9788838247026
I nodi della trasparenza

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    I nodi della trasparenza - Fabio Corigliano

    Fabio Corigliano

    I nodi della trasparenza

    Tutti i volumi pubblicati nelle collane dell’editrice Studium Cultura ed Universale sono sottoposti a doppio referaggio cieco. La documentazione resta agli atti. Per consulenze specifiche, ci si avvale anche di professori esterni al Comitato scientifico, consultabile all’indirizzo web http://www.edizionistudium.it/content/comitato-scientifico-0.

    Copyright © 2018 by Edizioni Studium - Roma

    www.edizionistudium.it

    ISBN: 9788838247026

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    Prefazione

    Osservazioni introduttive

    I. La nuova civiltà del vetro

    1. Premessa

    2. Affermazione di distanze siderali

    3. L'affermazione del vetro

    GLOSSA. La superciviltà del vetro

    4. Ciò che afferma il vetro

    4-bis. Che cos’è un intérieur. Breve annotazione sulla casa

    5. Lo sguardo al di là del vetro. Conseguenze etico-politiche della trasparenza

    6. Pleonexía

    7. Panoptismo

    8. Osservazioni conclusive

    POSTILLA. Il Rousseau di Starobinski, precursore della società della trasparenza

    II. (Il primo nodo del) La trasparenza nell'idea metafisica dell'amministrazione (ovvero della trasparenza come elemento sostanziale)

    Entr’acte

    Premessa

    1. Il Giardino delle Leggi

    2. Gestell

    3. Il profilo oggettivo dell’ideologia amministrativa

    3.1. Excursus

    3.2. La fondazione

    3.2.1. Il potere amministrativo

    3.2.2. I concetti del diritto amministrativo

    3.2.3. Il metodo

    4. Il profilo soggettivo dell’ideologia amministrativa: tous les étres sont egaux en nullité

    5. La mediazione|rappresentazione

    6. Per una metafisica del principio di legalità

    GLOSSARIO: sul significato dell'amministrazione|oikonomia

    III. (Il secondo nodo del) La trasparenza nell'estetica dell'amministrazione (ovvero della trasparenza come elemento formale)

    Premessa

    1. L'immagine in quanto valore

    1.1. Lo sguardo di Medusa

    1.2. La trasfigurazione dell’icona in simulacro: la trasparenza come apologo de-formante

    2. Archeologia della trasparenza: teoria e pratica del movimento ascendente della pubblicità

    3. Movimenti discendenti della pubblicità. Ovvero di come la trasparenza sia una formula trascendentale funzionale al man-tenimento esteriore dell’impianto

    4. Il Foia e (è) la ridefinizione del concetto di pubblicità: ulteriore estensione del sistema amministrativo

    Osservazioni conclusive

    Indice dei nomi

    CULTURA

    Studium

    119.

    La Dialettica / n. 21

    Fabio Corigliano

    I NODI DELLA TRASPARENZA

    Prefazione di Paolo Savarese

    a tatà e fili

    Prefazione

    Con I nodi della trasparenza Fabio Corigliano ricostruisce, analizza e scandaglia una questione all’ordine del giorno dell’azione pubblica, sia politica che amministrativa, talmente all’ordine del giorno da essersi ormai trasformata in una sorta di mantra, da essere divenuta l’oggetto di un potentissimo processo di mitopoiesi. Il problema è reso più acuto, per il fatto che la trasparenza non è il semplice oggetto di dibattito erudito o dottrinale, ma è diventato un principio rilevantissimo del diritto positivo, in specie di quello amministrativo, e dell’intera azione pubblica. Il confronto pubblico, ad iniziare da quello politico, non può non tener conto, ormai, del requisito della trasparenza ma lo stesso accade in tutti gli ambiti comunicativi, sia pubblici che privati, per non toccare il grande regno della comunicazione digitale. Il richiamo alla trasparenza suscita entusiasmi, a dir poco ingenui, ma ingenera anche disagi e sospetti, muovendosi prima come succedaneo e poi come alternativa radicale a modalità di relazione e di comunicazione rette dal principio fiduciale. Se tutto è alla luce del sole, se tutto è in una casa di vetro, sotto lo sguardo cumulativo e costante di tutti, la fiducia non solo viene compressa nel suo senso ma lo stesso spazio interpersonale ed istituzionale in cui può estrinsecarsi, si ritrova privo degli assiomi elementari che ne possono assicurare l’ordinata espressione. Il problema del segreto , ripetutamente segnalato da Corigliano in opposizione al pubblico , che tanta parte ha comunque avuto nel processo di affermazione, sia nella rappresentanza politica che nella disciplina delle istituzioni giuridiche ed in specie amministrative, del principio di trasparenza, è solo una derivata del problema antropologicamente ben più fondamentale che affiora nei legami e nelle condotte fiduciali e dell’ancor più fondamentale problema della verità. In altri termini, la questione della trasparenza è un crocevia teoretico di prima grandezza e Corigliano lo mette ben in evidenza e ne vanno prima scovati e poi approfonditi gli interrogativi che pone, vanno identificate le zone d’ombra che si trascina dietro e cerca di occultare, va perlomeno ritrovato il filo rosso che ci può orientare non solo in questa delicata ed esplosiva materia, ma più in generale, nella nostra condizione di esseri umani facilmente sedotti dalle illusioni ed esposti alle innumerevoli trappole che promesse imprudenti o mendaci ci tendono. In questa linea, non si possono evitare interrogativi di fondo, sia per quanto concerne la ricostruzione storiografica della vicenda, almeno teorica, della trasparenza, sia per quanto riguarda la chiarificazione delle questioni filosofiche che ne sono la trama. Il problema della trasparenza: non è solo un modo di partecipazione del cittadino all’attività dell’amministrazione, se vogliamo un contributo al buon andamento dell’azione pubblica, ma un nodo problematico del campo del politico e del giuridico, delle relative istituzioni, sfuggente e di enorme complessità, che spesso nasconde in ciò che dichiara la negazione di ciò che realmente intende o persegue.

    La questione della trasparenza, che apparentemente non dà appigli ad incomprensioni o strumentalizzazioni, così all’apparenza esposta alla presa della comprensione, è in realtà un nodo, non oso dire gordiano, ma certamente molto ingarbugliato ed ancora più ingarbugliato perché ed in quanto sottrae, innanzitutto e perlopiù direbbe Heidegger, questa sua situazione alla visibilità sia del semplice cittadino, che del teorico e dell’operatore del diritto e del titolare dell’azione pubblica. Il richiamo alla trasparenza, la sua trasposizione in principio ordinamentale con grande peso in sede giurisdizionale, reca con sé molte promesse, in cui la richiesta di totale e costante, misurabile, chiarezza non è che l’involucro della riscrittura completa delle relazioni giuridico-politiche e più in generale umane, secondo l’abolizione di qualsiasi dislocazione gerarchica, qualsiasi istanza ed opera di mediazione, qualsiasi principio d’ordine che non sia interamente ed immediatamente disponibile a tutti i consociati. Ciò che il principio trasparenza reclama, come suo orizzonte utopico¸ è, riprendendo con Corigliano un termine ed una suggestione di Jan Patocka, la superciviltà del vetro, versione nel visivo e nel visuale della superciviltà in cui la tecnica diviene il grande ed incontrollabile Leviatano della tarda modernità. La versione nel medio del vetro del predominio universale ed autoccultantesi della tecnica, appare, anzi un passo avanti rispetto a quella patockiana ed è perfettamente allineata con la sua evoluzione nel digitale, ove il virtuale porta la visibilità apparentemente totale del vetro ad una chiusura totalizzante prima inimmaginata.

    La civiltà del vetro, acutamente ricostruita da Corigliano, non è semplicemente quella dell’affermazione di un nuovo materiale, che rivoluziona il modo di costruire e di abitare, perché diviene la cifra di quella eversione, nel senso di riscrittura radicale che pretende di azzerare i principi della lettura classica dell’ordine. L’ordine, sia quello cosmico ma qui primariamente quello politico e giuridico, deve ormai prendere le mosse da gruppi di assiomi interamente posti dall’operatore e perciò a lui ed ai suoi collaboratori, interamente trasparenti. Per inciso, non dimentichiamo che il vetro non è un solido, bensì un liquido, sia pur particolarmente viscoso. Da ciò, e solo da ciò, sarà possibile la società nuova, progettata utopicamente e, per definizione, mai vista, dimora dell’uomo nuovo, del tutto emancipato da qualsiasi legaccio invisibile, sia questo metafisico o politico poco importa. Tale immane progetto, però, riesce a compiersi, a chiudere il cerchio della sua realizzazione? La ricostruzione e le analisi di Corigliano del principio di trasparenza nel suo riversamento nell’amministrazione e nei suoi presupposti e risvolti epistemici, presentati sotto il cappello dell’estetica della trasparenza, fanno fortemente dubitare che quell’utopia possa raggiungere il suo compimento. Al contrario, quelle analisi mettono in luce, appunto, tante di quelle contraddizioni, tanti di quegli effetti tossici, da imporre un serio ed approfondito ripensamento del principio di trasparenza, anche nella sua dimensione operativa ed ordinamentale in maniera tale da poter tradurre le istanze di giustizia e di buon governo che alimentano le richieste di trasparenza politica ed amministrativa, affinché possano trovare una più appagante teorizzazione e, quindi, impostazione nella pratica.

    La teorizzazione del principio di trasparenza su sfondo di puro volontarismo nichilistico, che tale è una visione che annulla l’oggetto e nientifica distanze e percorsi della sua appropriazione da parte del soggetto e che riduce la realtà istituzionale prima a presenza invisibile ed impalpabile per poi trasformarla in impianto o apparato di controllo proceduralizzato, così come la sua conseguente trasposizione operativa, producono una serie di effetti paradossali. Non approfondisco il fatto che tali conseguenze vadano a configurare l’autoconfutazione teorica ed operativa di quel principio, o almeno, della sua impostazione maldestra, per limitarmi a menzionarne alcuni. La trasparenza del vetro, che sembra rendere irrilevanti distanze, scoperchiare edifici oscuri con le loro trame inconfessabili, smascherare la inconcludenza e opacità di ogni forma di mediazione, promuovendo, usando un infelice termine oggi in voga, la disintermediazione, non raggiunge il fine che perimetra, utopisticamente, la civiltà ad esso omogenea. La civiltà del vetro, da sogno architettonico ed urbanistico, diviene superciviltà del vetro, ossia modello politico ed istituzionale totale, nel momento in cui ignora le leggi dell’ottica, la presenza comunque separante della superficie vetrata, l’inestirpabilità dell’ombra che, comunque, anche un edificio, materiale o istituzionale, non può non trascinarsi dietro, l’opacità degli stessi corpi situati al suo interno, con il conseguente perdurare, magari sotto altre sembianze, della dialettica tra pubblico e segreto, l’impossibilità di annientare la distinzione tra interno ed esterno che fa parte del suo programma. L’analisi potrebbe continuare. Il punto cruciale è che un principio che intende assicurare l’annientamento di ogni ordine e gerarchia in favore della spontaneità della vita e dell’immediatezza dei comportamenti e delle relazioni, sul piano giuridico-politico in favore di una giurisdizione in cui il giudice è la stessa collettività osservante e dell’edificazione di una democrazia compiuta perché diretta ed insieme del tutto fluida, in cui l’amministrazione è azione di tutti e non più di un funzionario o magistrato personalmente responsabile delle sue decisioni e del margine di discrezionalità necessario a tal fine, quel principio si capovolge in un micidiale impianto totale, e tale proprio grazie alla trasparenza, sia pur imperfetta delle sue procedure, in cui il riconoscimento del cittadino si traduce in integrazione assimilante, in annessione non solo fisica e comportamentale ma intellettuale e spirituale, in controllo totale. Si aggiunga che quella modalità di controllo pretende la felice adesione dei controllati, illusi di essere essi stessi controllanti grazie alla diffusione totale, ma sarebbe meglio dire virale, delle immagini dei controllandi, ossia di tutti i cittadini ormai ricodificati in sudditi immaginari. Il nesso tra utopia, qui utopia della visibilità totale come medio, sic, del controllo totale, di cui è luogo e tempio l’ impianto amministrativo che conosce come sua unica legge immanente l’autoaccrescimento, e la menzogna, ossia la sostituzione della realtà con un immane apparato immaginario, è più che trasparente. Si noti, tra l’altro, che l’inarrestabile autoaccrescimento degli apparati amministrativi, ampiamente attestata empiricamente, sottintende l’erezione della quantità ad unica categoria del reale, ossia l’identificazione del reale con la quantità e quindi con la materia. Il nichilismo istituzionale, è dunque, un volto di un materialismo almeno trascendentale se non metafisico tout court. Il tutto o intero può, coerentemente, prendere consistenza, in tale quadro, solo come infinito potenziale, quantità in continua ed indefinita espansione, appunto come miraggio che sembra offrire l’approdo al processo di indefinito autoaccrescimento. Anche la sindrome da controllo che affetta ed inficia tale impianto è, da una parte necessitata da tali dinamiche, perché nulla di ciò che compare sulla scena può e deve sfuggire all’ impianto, e dall’altra, ne è sintomo caratteristico e rivelativo. Si può almeno notare che in tale perfetta società si vive decisamente male, oppressi da una cappa di sguardi senza oggetto e senza soggetto, di procedure assiomaticamente senza verità, di valori senza corrispettivo di bene, in cui si vive come cosa tra le cose, le cui relazioni hanno come unico sbocco la violenza e la disperazione? Sono temi e profili di cui è intessuto il lavoro di Corigliano.

    La trasparenza assoluta, cosa ben diversa da un’adeguata ed appropriata pubblicità di atti e procedimenti, postula l’abolizione del confine ed il conseguente svuotamento di senso della soglia, in definitiva postula l’abolizione della forma e dell’ordine, per far posto a campi in cui i comportamenti si intrecciano secondo gli assiomi derivanti dal primato assoluto dell’azione. Questa si concretizza nella procedura come forma vuota, come ‘crosta’ di un movimento vuoto perché privo di fine ed eterodiretto, docile alla volontà del potere, in quanto privo del soggetto agente ed intelligentemente responsabile. La dinamica della realizzazione, del compimento secondo parametri, anche questi puramente quantitativi e postulatori, di efficacia ed efficienza, si traduce in una dialettica incompiuta, il cui unico orizzonte non può che essere il già menzionato accrescimento dell’ impianto amministrativo. È la dinamica della cattiva infinità e la sua dialettica di realizzazione non fa che manifestare le contraddizioni distruttive di quel sogno che si fa progetto, di quella promessa di felicità civile che si fa società totale, le cui architetture disegnano gli spazi, fisici e istituzionali, come campi di concentramento. L’operatività dialettica dell’ impianto trasparente rinchiude la vita umana e la sua significazione in protocolli digitali o digitalizzabili in cui il cittadino, non più compreso sullo sfondo del suo essere personale, riceve tutto, dalla vita al suo significato, da protocolli amministrativi, i quali non sono che l’approdo di una visione totalitaria della politica. Il cittadino non è nemmeno più identificabile come suddito, perché è la sua stessa ricodificazione come cittadino della città, o della superciviltà, del vetro a costituirne la radicale alienazione ed a causarne la consegna al controllo totale di ogni sua dimensione. Così si dilegua il problema stesso dell’emancipazione, che presuppone un tiranno o un ordine istituzionale oppressivo e reificante, in quanto il funzionamento autoreferenziale dell’ impianto riscrive istanze, sentimenti e pretese dei ‘cittadini’, omogeineizzandoli in toto alle invisibili metaregole dell’ impianto della trasparenza compiuta.

    Tutto ciò ha una lunga storia e Corigliano mostra con accuratezza l’enorme influsso del pensiero di Rousseau, l’autore più citato nel libro, con la sua pretesa di giungere alla piena immediatezza dell’azione di governo. Corigliano riconduce, correttamente, tale applicazione nel campo giuridico-politico alla pretesa del cogito cartesiano di ricominciare tutto da capo, di darsi l’inizio, allora solo epistemologico, ma in realtà antropologico e metafisico. Il passaggio attraverso Rousseau è, però, di capitale importanza, in quanto primato della volontà e dell’azione sull’essere e sulla verità che vi dà accesso, fa sì che, alla fine, solo la politica possa essere il campo che definisce l’uomo e le sue costruzioni istituzionali. Se ciò si compie in un ampio arco, in cui dalla pretesa catarsi operata dal dubbio metodico, si giunge allo sgretolamento di ogni orizzonte epistemico ed all’assiomatizzazione dei campi operativi del sapere, la ricaduta sullo statuto del sapere è la sua riduzione a cognizione tecnica e, pertanto, a potere. Ciò, a sua volta, nell’azione pubblica si realizza come controllo, appaltato dalla politica all’amministrazione ed esaltato dall’accrescimento dell’ impianto amministrativo ed esaltato dal progresso della stessa tecnica. La sfida teoretica che, su questo sfondo, pone l’era digitale fa tremare le vene e i polsi e l’esito della sfida è decisamente incerto. Il rischio, non previsto ma ben visibile nelle attuali dinamiche politiche ed amministrative, è il totale annichilamento della fiducia come cardine della relazione tra le persone e la compressione dell’interiorità fino alla sua paralisi e completa afasia.

    Insomma, nel problema oggi straripante della trasparenza amministrativa, si concentrano, condensano ed esprimono, i fili profondi della modernità e le aporie del suo compimento. Merito di Corigliano aver tratto in luce, in trasparenza, questa complessissima trama ed aver aperto piste di riflessione sulla postmodernità tecnico-amministrativa indispensabili per pensare e ripensare, oltre la parabola della modernità/postmodernità politico-giuridica ed istituzionale, il destino dell’uomo in un contesto che, sebbene plasmato dall’uomo, sembra e minaccia di togliergli ogni diritto di autentica cittadinanza.

    Occorre, però, anche notare, che la riflessione sulla trasparenza e sulle istanze di partecipazione all’esercizio del potere e della decisione, sia amministrativo che legislativo e giurisdizionale, è più che legittima e doverosa, ma non può ignorare, pena l’autodistruzione, le molte trappole e contraddizioni che l’istanza e la tutela della trasparenza nasconde, se non inquadrata in un adeguato quadro epistemico e metafisico.

    PAOLO SAVARESE

    Osservazioni introduttive

    Per una filosofia della trasparenza

    C’è bisogno, oggi, di una filosofia della trasparenza, di una riflessione, cioè, che acceda al concetto di trasparenza, e che sia allo stesso tempo anche una teoria dell’amministrazione, del governo, della comunicazione, della società, dell’uomo, della rappresentazione, dell’interpretazione. Insomma, di tutto ciò che parrebbe subordinato alle imperative necessità dell’attuale regime della visibilità totale. Una dottrina che sia in grado di effettuare uno studio insieme teorico e pratico – si direbbe una dottrina ontologicamente e metafisicamente orientata [1] – dedicato ai modi, alle manifestazioni (e ai nodi) di quel concetto che pare essere abbinato e abbinabile a tutti gli aspetti della vita umana, sia della vita del singolo vivente che di quella dell’associazione dei viventi. Si direbbe, una filosofia del diritto (il cui aspetto più importante risiede proprio nel genitivo) nell’epoca della trasparenza e dell’assoluta visibilità. Una filosofia che possa individuare la tessitura, la trama della trasparenza nei luoghi in cui si manifesta con maggior vigore (il diritto, appunto) al fine di condurre all’analisi delle sue conseguenze, sia nella comprensione della società, che in quella dell’uomo. Una filosofia del diritto, quindi, che ri-assuma le pratiche (il diritto) al fine di comprendere l’uomo in una serie rapporti: con se stesso, etici, politici e giuridici [2] .

    Ma che cosa significa ri-assumere le pratiche? È proprio in questa ri-assunzione che si descrive tutto il lavoro che segue, sia dal punto di vista del metodo, che sotto il profilo dei temi trattati.

    Urge dapprima una piccola precisazione: la necessità di una filosofia della trasparenza è legata all’urgenza, ad essa complementare (complementarmente necessaria), di de-finire la trasparenza, di de-terminarla, cioè di darle un limite, di offrire una nozione in grado di delimitarne i confini semantici e naturalmente pratico-politico-giuridici. Nell’attuale tendenza [3] alla trasparenza, infatti, tanta è la foga, l’intensità, la frenesia nei confronti di un principio che parrebbe in grado di offrire una vera e propria rivoluzione sia nei rapporti tra l’uomo e le istituzioni che nei rapporti tra gli uomini, che il lessico utilizzato per rivendicarlo ha stravolto i contorni del principio stesso, adulterandolo, in una sorta di de-lirio [4] collettivo.

    Tale è ad esempio la confusione tra apertura e trasparenza, sintomo di un de-lirio che punta alla produzione di un significato veramente altro rispetto alla più elementare richiesta di pubblicità degli atti e delle procedure di interesse della cittadinanza.

    Come si avrà modo di notare, i due termini non sono sinonimi, anche se vengono utilizzati come se lo fossero, come se fossero espressioni interscambiabili. L’apertura rimanda ad un mondo sprovvisto di pareti divisorie, di confini, solchi ( lyra), e perciò privo di istituzioni (l’istituzione è infatti una parete, un muro, un solco, quindi una regola [5] ), la trasparenza, viceversa, si riferisce ad una modalità di comunicazione della pubblicità che necessita proprio delle istituzioni (e delle pareti, trapelanti) per avverarsi. Questa confusione che è solo apparentemente lessicale, in realtà tende a far dimenticare che il concetto di trasparenza richiede la relazione e la mediazione, e si concreta in un principio altamente relazionale, mentre il concetto di apertura nega la relazione a favore dell’immediatezza, e si concreta in un principio fortemente ir-relazionale. La differenza non è poca, ma spesso, nel discorso pubblico e anche in quello specialistico, con la parola trasparenza si intende significare l’una e l’altra espressione.

    Già in questo piccolo esempio, solo velocemente abbozzato e poi ripreso in altri luoghi di questo lavoro, si legge la necessità e l’urgenza di un’operazione di delimitazione del concetto di trasparenza: confondere la relazionalità e l’ir-relazionalità, la mediazione e l’immediatezza, può avere conseguenze veramente funeste per tutte quelle posizioni etiche, politiche e giuridiche, che legittimamente rivendicano la trasparenza delle istituzioni. Quale trasparenza, quale visibilità, ci si potrebbe e dovrebbe chiedere? Quella adulterata, che corrisponde ad un desiderio anarchico di rimozione di tutte le divisioni (e quindi di tutte le relazioni) al fine di ottenere un’apertura totale, nel nome dell’immediatezza, e che sconfina ( de-lyra) con l’incubo distopico di un mondo controllato e privo di segreti e di intimità|interiorità, oppure quella genuina, che vorrebbe più lecitamente ottenere una migliore comunicazione tra cittadini e istituzioni? E quale potrebbe essere la relazione radicale, il collegamento non direttamente visibile tra queste due nozioni?

    Ecco spiegato anche l’approccio ontologico, di ri-assunzione delle pratiche: nell’esercizio della trasparenza, nella trasparenza in atto si può trovare una risposta, seppur provvisoria, a queste domande.

    Infatti nel corso dei capitoli che compongono il presente volume, soprattutto nel secondo e nel terzo capitolo, l’analisi della trasparenza dell’amministrazione non vuole essere nient’altro che l’individuazione di una pratica all’interno della quale si manifestano al più alto grado i nodi problematici della questione. La trasparenza dell’amministrazione non verrà mai trattata dal punto di vista del discorso specialistico, della disciplina che la caratterizza, ma sempre e solo in quanto concetto utile a spiegare un certo modo di essere, una certa tendenza fondamentale del nostro tempo. Per comprendere questa tendenza è necessario entrare nell’analisi di alcuni termini specialistici, di alcune parole chiave del vocabolario tecnico-giuridico, ma solamente per far emergere il concetto, la chiave di lettura di uno dei momenti più caratteristici dell’attuale modo di essere dell’amministrazione, del governo, della comunicazione, della società, dell’uomo, della rappresentazione, dell’interpretazione.

    Nella media dell’uso e delle pratiche quotidiane, si tratta di un termine che appare superficialmente neutro, o meglio neutralizzato dall’inflazione dell’uso medesimo: sotto quella scorza variopinta dell’uso e delle pratiche dimora un concetto a cui non si fa mediamente attenzione, ma che deve essere necessariamente discusso e portato al primo piano del dibattito pubblico per coglierne i motivi i modi e i nodi, e possibilmente per de-limitarne, de-terminarne il significato – che coinvolge in fin dei conti il senso e la legittimità dello stesso dibattito pubblico.

    0. Significare: apparire

    Walter Benjamin, commentando il romanzo di Paul Scheerbart intitolato Lesabéndio (che gli era stato offerto come dono di nozze da Gershom Scholem nel 1917), ebbe a notare che «la vera spiegazione ( Deutung) afferma l’estrema superficie delle cose, la loro più pura materialità; spiegazione è superamento del senso» [6] . A tal proposito Fabrizio Desideri ha constatato che « Deutung non può esser qui resa con interpretazione, va piuttosto intesa come un portare la cosa nella chiarezza, mostrarla. Spiegare intende qui il gesto dell’aprire l’involucro della cosa non per penetrarne l’essenza, il nocciolo, ma per lasciarne conoscere l’assenza. Il gesto del Deuten si risolve quindi nel mettere in evidenza il rovescio dell’involucro, il suo interno, l’altra parte delle cose» [7] , quella che risulta dalla assenza delle cose stesse, il come sarebbe il mondo senza le cose. Lo svelamento implicito nel Deuten consisterebbe proprio in questo togliere del tutto non solo il velo, ma le cose stesse.

    Si diceva poc’anzi della necessità di de-limitare i confini semantici e pratico-politico-giuridici della trasparenza: il senso più intimo e profondo di una filosofia della trasparenza potrebbe essere quindi, preliminarmente, quello di entrare, per un attimo soltanto, nelle ambiguità del significare, della significazione del Deuten, per comprendere meglio la «frattura originale della presenza che è inseparabile dall’esperienza occidentale dell’essere e per la quale tutto ciò che viene alla presenza, viene alla presenza come un luogo di differimento e di esclusione, nel senso che il suo manifestarsi è, nello stesso tempo, un nascondersi, il suo essere presente un mancare» [8] . È così che, riflettendo a fondo sui termini che potrebbero rientrare, sinonimicamente – ed etimologicamente – nell’ambito di un lessico della trasparenza, si scopre il contenuto a dir poco rivoluzionario, epocale, della trasparenza stessa. L’epoca della trasparenza come epoca della storia contrassegnata dallo sguardo, o meglio dall’esser stata costituita proprio come un’epoca dello sguardo, della visione, del vedere e dell’apparire.

    Se infatti il mondo della cultura occidentale si è formato e costituito a partire dalla «coappartenenza originaria della presenza e dell’assenza, dell’apparire e del nascondere che i Greci esprimevano nell’intuizione della verità come ἀλήθεια, svelamento» [9] , dal momento che tale coappartenenza significa allo stesso tempo interruzione del legame tra essere ed apparire, intorno alla quale si è prodotta la stessa nascita della filosofia occidentale [10] – un amore per il sapere capace di sospendere la relazione tra l’essere e l’apparire, mantenendoli distinti: Platone docet! – è indubbio che il progetto rousseauiano/moderno di sanare quella frattura originaria nel senso della trasparenza e quindi della abolizione della distinzione tra

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