Cry Baby
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Cry Baby - Marcella Calascibetta
Marcella Calascibetta
CRY BABY
Elison Publishing
Proprietà letteraria riservata
© 2018 Elison Publishing
www.elisonpublishing.com
elisonpublishing@hotmail.com
Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche a uso interno o didattico.
Le richieste per l’utilizzo della presente opera o di parte di essa in un contesto che non sia la lettura privata devono essere inviate a:
Elison Publishing
ISBN 9788869631757
Su di una cosa Chloe aveva ragione: era una follia. Sembrava un sabba quel maledetto sabato sera. Noi tre streghette bastarde che, tra un sospiro e una parolaccia, cercavamo di decidere come quella serata avrebbe potuto stravolgere le nostre vite. Insomma, eravamo una rivisitazione glamour della famosa banda dei drughi di Alex De Large, anche se la nostra ultra-violenza era un po’ più pacata della loro. Amber era una leader, non lo avremmo mai ammesso, ma era così. Era lei che aveva i numeri, lei era la sedicenne più sexy vivente nel New Jersey. Capelli biondi, occhi chiari da stronza, fisico da urlo e tanto, tanto narcisismo. Le sue parole quella sera erano più profetiche del solito, il suo tono era deciso e seducente. Avremmo, anche quella sera, dato ascolto a lei. Io e Chloe eravamo sedute sul mio letto, nella mia camera (ovvero l’unica stanza in cui era possibile parlare senza che nessuno ci disturbasse), Amber era seduta alla sedia girevole della scrivania, parlando e discutendo su cosa avremmo fatto quella sera.
– Sentite, l’unica cosa da fare è il Plaza, lì non ci conosce nessuno… – disse la timida Chloe, ignara di cosa la perfida Amber aveva in mente da tempo.
– Cosa? No… il Plaza è un posto per vecchi… ci va quella tardona di Frances, ha appena divorziato! E poi io devo fare una cosa… e ho bisogno del vostro aiuto… – il tono non mi piaceva, e sapevo che Amber avrebbe cercato in me una complice, e (come al solito) Chloe si sarebbe tirata indietro anche quella sera.
– Che hai in mente, diabolica? – disse la dolce Chloe.
– Non hai idea… è da un po’ che ci penso, e ci sto dedicando anima e corpo, sono ossessionata… – il discorso non portava a nulla di positivo.
– Ci stai o no? Chloe se continui a rompermi le palle sei fuori…
– … dipende da che hai in mente… – disse con tono rassegnato. Al che Amber, con gli occhi da bastarda che aveva, mi guardò, e cominciò con la solita solfa.
– … hm… Andrea, tesoro, so che su di te posso contare, vero? – ormai ero una povera sottomessa, anche se le uscite di Amber non andavano sempre a finire male. Decisi di ascoltarla.
– Oddio… dai parla… – le dissi con un tono apparentemente seccato, anche se mi incuriosiva quello che aveva da dire.
– Allora, il piano è questo… avete presente il Cry Baby
?
– Cosa!? Ma che stai dicendo Amber!? – disse la diplomatica Chloe. Per chi non lo sapesse, il Cry Baby
è un locale in un brutto posto, con una brutta fama, e un’ ancora peggiore fedina penale. In realtà era fico, un po’ a luci rosse diciamo, ci andava la gente strana, i deviati sessuali, ecc. Non c’ero mai stata, però l’avevo visto su internet. Pura curiosità. Ancora non capivo cosa ci fosse di così impareggiabile in quel posto. Amber sapeva tenermi sulle spine.
– Sta zitta… sempre lì a sputare veleno… e poi, chi se ne frega del posto… c’è qualcosa che vorrei ispezionare, ma non è il locale – disse con un mezzo sorrisino di compiacimento, la leader indiscussa.
– Ho capito, c’entra un ragazzo… vero? – non sono il tipo che usa giri di parole.
– … ragazzo? No… c’entra l’uomo più sexy del mondo… oddio, Viktor è fantastico… Dio, se lo vedeste… sembra un vichingo, non esiste nessuno come lui… – i suoi occhi brillavano, non l’avevo mai vista così presa. Il suo sguardo era diverso, era come soddisfatta di aver trovato esattamente l’uomo che voleva. Per essere così entusiasta, questo Viktor doveva essere davvero un uomo fuori dal comune. Conoscevo Amber da sempre, i ragazzi che aveva avuto erano tutti uno schianto, ma non l’avevo mai vista innamorata. O meglio, ossessionata.
– Chi è? L’abbiamo mai visto? – disse la pacata Chloe.
– Che c’è stronza? Adesso ti interessa? Comunque è mio, e di nessun altro… – Amber era possessiva coi peluches, figuriamoci con gli uomini. Che poi la storia dell’uomo, non mi piaceva per niente. Andava bene divertirsi, ma la situazione sarebbe degenerata. Qualcosa in me aveva questo presentimento. Chloe la guardò in cagnesco, non le piaceva essere chiamata stronza, in modo particolare da Amber. Ad un certo punto mi estraniai, come se il mio effimero buon senso si fosse stancato di essere ignorato, e cercasse di mandarmi dei messaggi disperati tramite fitte e crampi allo stomaco. Lo ascoltai (teoricamente), e mi feci coraggio.
– Amber, senti… è il caso secondo te? È pericoloso… ci siamo spinte oltre parecchie volte, ma credo che questo sia troppo – dissi con tono preoccupato. Amber sapeva, in cuor suo, che era una gran cazzata, ma nel suo sguardo c’era tutta la bramosia di mettere le mani sul bottino.
– Andy, almeno tu… aiutami…
– Io me ne tiro fuori! – Chloe aveva fatto la sua scelta. Era chiaro però, che io e Amber quella sera saremmo andate al Cry Baby
. Cercavo di fare a meno di seguirla, ma c’erano momenti in cui credevo davvero che avesse bisogno di me. I suoi sentimenti erano ipocriti, d’accordo, ma non potevo sollevarmi dallo starle vicino. Forse in nome del patto di sangue che facemmo all’età di sette anni io e otto lei, sotto il cipresso del mio giardino. Lo ricordo come ieri. Eravamo sedute ai piedi del tronco, spaventate entrambe dalla vista dell’ago che ben presto ci avrebbe punto. Ci giurammo fedeltà e amicizia per sempre. Ora, che i quindici anni erano giunti per me, ormai sedici per lei, l’eco di quel patto sembrava ancora stagnante nelle nostre menti e, per un tacito accordo, decisi di seguirla ovunque sarebbe andata. Quella sera però avrei fatto meglio ad ignorarla. Chloe si alzò dal letto e andò via, chiudendo la porta dietro di sé, e non salutandoci. Io e Amber ci guardammo, lei mi sorrise. Le sorrisi di riflesso, anche se la mia convinzione che non fosse una buona idea era ancora pressante. Si alzò dalla sedia girevole, e aprì il mio armadio. Prese il mio fichissimo vestito nero del funerale di zio Josh, e andò in bagno. Sapevo che l’avrebbe preso. Pensai che stava meglio a me che a lei, forse perché il mio viso risultava spesso un po’ funereo. Sono pallida, con i capelli neri. Sta meglio a me, decisamente. Dopo esserci vestite da diciottenni, scendemmo giù e mia madre era in cucina a preparare la cena.
– Dove andate così imbellettate? – disse quell’anima pura della mia dolce mammina.
– Andiamo alla festa in maschera di Jane, torniamo tardi… – come sapevo mentire io, non sapeva nessuno. Mia madre era molto dolce e attenta, ma un po’ cieca nei riguardi della mia età. Era convinta che per me gli anni non passassero, che fossi sempre una bimba innocente. E per me era confortevole saperlo, perché a volte mi illudevo anch’io di esserlo ancora. In realtà io e Amber non facevamo niente di eccessivo, semplicemente eravamo delle minorenni a cui piaceva andare a curiosare nei locali notturni. Eravamo vergini e puritane, più o meno. Uscite di casa, prendemmo la macchina di Amber parcheggiata di fronte la casa del vicino, e partimmo alla volta del Cry Baby
. Nonostante il fatto che Amber avesse la patente da poco, guidava in modo eccelso, salvo per i semafori rossi e il rispetto delle precedenze. Inoltre la musica dei Sum 41 ci caricava e sollecitava ancora di più. Ci mettemmo circa mezz’ora per arrivare, contando anche il traffico. Parcheggiammo di fronte al locale. Quando scesi dall’auto lo vidi, era meglio che sul sito internet. L’entrata sembrava la porta dell’inferno. Forse lo era. La cosa che mi stupì era che non c’erano buttafuori, nessuno impediva l’accesso. Da lì avrei dovuto capire che era davvero la bocca dell’Ade. L’insegna luminosa Cry Baby
era rossa, come anche i neon all’entrata. Sembrava il primo giorno di scuola, eravamo un po’ agitate, ma anche su di giri. La musica si sentiva ovattata, evidentemente eravamo nella camera d’aria, c’era solo una porta scura. La aprimmo, davanti a noi l’impensabile. La musica era diventata più forte, una caterva di persone ballavano e alzavano le mani, era da urlo. Io e Amber ci guardammo come due soci in banca che azzeccano un investimento. Ci gettammo all’unisono nella mischia, e ci scatenammo. La musica andava, e noi con lei. Ad un certo punto, Amber si fermò, come