Asciugati!
By Gianni Raugi
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In questo contesto un gruppo di amici si ritrova, ciascuno a un punto di svolta della propria vita, catturato e coinvolto da una piccola comunità itinerante dove gli abitanti del posto si fanno registi di uno spettacolo che si ripete di anno in anno, con personaggi fissi e nuove comparse. Una comunità che si rinnova per decantazione fra gli arrivi e le partenze.
Giovanni, di passaggio assieme ad Alessandro. Leonardo, che ha aperto un bistrot nel centro del paese e una piccola casa di produzione musicale e cinematografica coinvolgendo un altro amico, Luca. Valentina che sta per sposarsi, Federica che ha appena rotto una logora storia, Monica che sta cominciando a rassegnarsi che non troverà mai la persona giusta… Giacomo, il dottore, voce narrante e padre di Leonardo, che dalla sua barca ormeggiata al molo c, osserva defilato il gruppo di giovani incontrarsi. Tutti assieme riscoprono l’importanza di sentirsi parte di un contesto, di una comunità. E anche di saper ridere dei propri difetti, come fanno i buffi personaggi del luogo che però si trasformano in eroi durante le tempeste. Nel pericolo, infatti, scatta la solidarietà. I nuovi arrivati fanno propria quella parola che qui tutti ripetono continuamente: “Asciugati!” Dopo che rischiavi di annegare. “Asciugati!” Nel senso di non prenderti troppo sul serio.
Un romanzo corale, che scorre leggero e inebriante come un calice di Vernaccia di san Gimignano sorseggiato freddo in una caleidoscopica sera d’estate.
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Asciugati! - Gianni Raugi
Nobel
Prefazione
Con la sua seconda opera, Raugi, ci regala trentanove preziosi cammei, sui quali egli incide, con maestria di abile artigiano della parola, storie, luoghi, personaggi.
I luoghi di questi affreschi risultano preservati nella loro genuinità; piccole aiuole incolte sfuggite all’intento del giardiniere di mettere ordine alla bellezza
. L’autore è il giardiniere che rifugge dalla forma, dall’armonia; osserva e predilige luoghi fuori dal tempo che vanno oltre la bellezza; luoghi che attirano il suo sguardo per il misterioso affacciarsi della memoria che, come fraterna amica, abbraccia il suo pensiero. Un percorso a ritroso alla ricerca dell’essenza originaria, dell’inebriante profumo, della parola gridata, del forte abbraccio.
Episodi nati scavando tra la sabbia, alla ricerca di tracce del passato che riportano alla mente arcaiche abitudini che egli vuole gelosamente conservare.
Il luogo principe, lo spazio scenico per eccellenza, che continuamente viene descritto con sintetici periodi distillati etimologicamente, è il porticciolo: luogo arcaico delle partenze e degli arrivi.
Anche i personaggi che troviamo in questi brevi racconti rappresentano tratti pertinenti legati indissolubilmente al luogo, alla memoria.
Il suo cuore di viandante osserva e accoglie ogni persona che possa lasciare qualcosa di sé, ad arricchire un patrimonio collettivo fatto di storie, di ricordi
. Ogni persona (dall’etrusco phersu, maschera, personaggio) altro non è che una traccia primordiale unica, irripetibile che porta con sé la memoria di un luogo, di una storia, di un viaggio.
Tutta la vita dei personaggi ruota sul limen che divide la terra dal mare: zona franca ove ogni cosa ha inizio.
Il grumo del narrare si concentra in questo luogo magico: amori, amicizia, infanzia, dolori, gioie, colori, suoni, distacco, amplessi, si mescolano ogni volta in intrecci narrativi lineari, dettati dallo strumento principe dell’autore: lo sguardo.
Grazie al suo particolare punto di osservazione, al suo acuto sguardo, si intravvede la ricerca della vera autentica bellezza; bellezza non contaminata, non edulcorata; bellezza quale esperienza umana, come egli la percepisce, l’avverte, la ricerca: punto nodale che unisce l’uomo alla natura.
Lo sguardo di Raugi attraversa in maniera uniforme la scena e tende a condurci oltre, per farci gustare qualcosa di nuovo. Questo porta a una trasfigurazione della scena appena osservata, a una ricomposizione originaria della stessa.
Scriveva Rousseau: Ci si addestra a vedere come a sentire, o meglio una vista squisita non è che uno strumento delicato e fine. […] Cosa occorre dunque per coltivarlo? Addestrarsi a vedere come a sentire, a giudicare del Bello come ispezione
.
È quindi lo sguardo delicato e fine dell’autore che consente al lettore di andare oltre la pagina, oltrepassare le parole, scavalcarle emozionalmente per giungere a un’altra storia, la vera storia che egli intende narrare: la storia della Bellezza di quei luoghi, di quei personaggi. E questa Bellezza, come libertà, ci vede non osservatori passivi della natura e dei nostri ricordi, ma parte integrante di essa, in perfetta simbiosi con l’autore.
Anche il concetto di collettività – tanto caro a Raugi – rimanda al primario corpo sociale: la comunità.
In quel piccolo porticciolo si sviluppano storie senza fine, storie cicliche che si tramandano di generazione in generazione, senza alcuno scopo se non quello di raccontare, ricordare.
In questo viaggio testuale, l’autore insegue anche lui, come i suoi personaggi, la propria libertà, in quanto comprende come esista uno stretto legame con le radici primarie della conoscenza che sola riempie un vuoto esistenziale, per giungere al succo della vita: alla verità della Bellezza ultima.
Come osserva Hillman, la Bellezza: […] è una necessità epistemologica; è il modo in cui gli Dei toccano i nostri sensi, raggiungono il cuore, ci attirano nella vita
.
La Bellezza è così elemento indefinito di ciò che abbiamo perduto e che ora, grazie allo sguardo emozionale, ritroviamo.
Che dire ancora: asciugati! E capirai!
Francesco Ruchin
1
Porti
Un porticciolo è un luogo di riparo. È fatto per accogliere, per proteggere, per avvolgere chiunque nelle sue lunghe braccia di pietra.
Ve ne sono di moderni, di piccoli e di grandi.
Solo quelli antichi però regalano quel senso di continuità e di appartenenza che ci fa sentire ospiti di una piccola comunità: una sorta di grande famiglia che lo accudisce da sempre, senza interruzione, da chissà quando e per chissà quanto ancora.
È un luogo precario.
Ogni barca che arriva racconta una sua storia, e ogni barca che parte va a scriverne una nuova e la porta via con sé. E non si sa se un giorno tornerà di nuovo per raccontarla.
La vita scorre come in un teatro dove cambiano continuamente sia gli attori sia gli spettatori. Solo alcuni personaggi rimangono costanti e quando arriviamo ci aspettiamo di trovarli. Un giorno non ci saranno più ma ne troveremo altri perché la vita si alterna.
Alcune sono figure austere, altre un po’ strampalate. Qualcuno forse è anche un poco scortese, almeno in apparenza, quando porge la cima con cui la barca si collegherà alla terraferma dando la sensazione che l’accoglienza debba ancora essere deliberata.
Le persone che arrivano si sentono giudicate, a volte derise, altre volte ammirate ma sempre sanno che troveranno riparo.
Il ritmo cambia con le stagioni e anche il paesaggio è sempre mutevole ma il porto rimane comunque luogo di quiete.
A volte è messo a dura prova.
Nelle giornate estive, il ritmo si porta sulla soglia della frenesia per accoglier quante più persone possibili che arrivano tutte assieme da ogni dove per godersi in massa il loro momento di pace.
Una volta che la barca è ben salda all’ormeggio, con due giri di corda sulle bitte, la quiete arriva comunque anche nella giornata più caotica.
Poi ci sono le tempeste... e lì viene il bello perché in quel momento ci accorgiamo che in realtà non esistono luoghi sicuri, non totalmente almeno, e allora la paura ci raggiunge.
Nelle tempeste occorre solidarietà per salvare e per salvarci, e i personaggi strambi si trasformano in eroi. L’esperienza e la conoscenza vengono condivise; le differenze e le ostilità accantonate; la stanchezza dimenticata. E sotto l’assalto delle onde, e con il vento che porta con sé grida di aiuto, tutti quanti ci prendiamo per mano: per difendere e per difenderci, per aiutare e per essere aiutati.
Poi torna la calma e si contano i danni, tutto torna come prima, si racconta e si rivive, e infine, dopo tante giornate di pace... si dimentica.
Ma le grandi dighe sono lì a monito: Ci saranno altre tempeste, sembrano volerci dire.
Dietro il porto un paesino antico con le sue case addossate senza un criterio prestabilito, e dietro, la città nuova, con i suoi palazzi vecchi, quelli moderni e quelli futuribili; poi qualche casa solitaria tra i campi coltivati e in lontananza un residuo di natura selvatica.
Viuzze, negozietti, piccoli ristori, angolini nascosti, terrazzini fioriti, vecchietti seduti sulle panchine, bambini che giocano... tutte cose piccole, rassicuranti.
Davanti a tutto questo: il mare.
Per gli orizzonti però bisogna salire in alto. Il porto infatti ci protegge ma ci nasconde anche.
È un luogo racchiuso, un luogo di condivisione.
2
Inizio
Con l’ultimo paziente il dottor Ragiardi, il chirurgo, sta facendo un buon lavoro.
È concentratissimo, come sempre del resto.
Non riuscirebbe a godersi i suoi giorni di vacanza sapendo di aver lasciato nelle mani di un collega un intervento non eseguito alla perfezione.
Lo staff è stanco, gli infermieri sono sotto pressione. Basta una parola storta e subito qualcuno si rigira. Fuori è un gran caldo e tutti quanti hanno sulle spalle mesi di lavoro. Lavoro che non è più come una volta quando in sala operatoria talvolta ci scappava pure una risata. Risata che scaturiva dalla leggerezza del contesto.
Una squadra che lavorava in totale armonia, questo erano, sapendo che ciascuno dava il meglio; che la dirigenza, i pazienti stessi si fidavano.
Adesso invece è diverso… c’è sempre una pressione insopportabile.
Ciò non toglie che Giacomo Ragiardi sia concentratissimo ma sempre incline al sorriso ora come lo era allora.
Mentre le sue mani si muovono con sapienza e decisione nelle carni del giovane addormentato lui cerca di non pensare a niente.
Una minima distrazione e la frittata è fatta.
Drenare qui, per favore.
Un ultimo taglietto con il bisturi, un punto di sutura...
Fatto!
Il paziente ora è nelle mani dell’assistente. Tocca a lui ricucire e ripulire la ferita.
Poi occorrerà solo attendere che si svegli.
Anche l’ospedale aspetterà per un po’, perché il dottore scapperà per qualche giorno.
Via i guanti, via il camice, via la tensione. Due minuti per riordinare le idee e poi si va. Si va via da questo ospedale, da questo luogo di fatica e di tormento, di rabbia e di fastidio, di noia e di ambizione, di paura e frustrazione.
Alessandra, sua moglie, è già in vacanza da qualche giorno.
Giù al molo sta sistemando le ultime provviste nella cambusa dopo aver passato tutta la mattina con le pulizie, a piazzare le lenzuola fresche sopra la cuscineria, a sistemare gli asciugamani nuovi. Ultimi ritocchi prima di partire.
In barca ora c’è un piacevole profumo di pulito.
Salperanno nel pomeriggio giusto per essere di là prima di sera.
Il tramonto nel piccolo porto che li attende è un momento imperdibile.
Il paese intero si ferma per un po’, affacciato tutto quanto alle ringhiere dei terrazzi, alle capriate delle piazzette, sui bastioni della diga, sul muretto della calata.
Il sole che scende è lo spettacolo gratuito che si ripete ogni volta diverso sotto gli occhi di grandi e piccini, di anziani e di giovani.
Più o meno distrattamente si osserva tutti assieme il cielo dipingersi di tutte le declinazioni del rosso.
Sono solo pochi istanti, poi si torna ai propri impegni.
Ma è sufficiente per sentirsi tutti quanti parte del contesto, partecipi di qualcosa.
Tra le sfumature del cielo Giacomo cercherà le sagome delle persone care, i volti amici... Leonardo.
Lo farà in modo discreto per non dargli l’impressione di essere lì per lui.
I genitori creano sempre un po’ imbarazzo nei figli specialmente nell’età della conquista.
Per Leonardo in realtà non è così. E neppure per tutti gli altri, in questo luogo.
Qui non è come in città.
E infatti quando imboccano il porticciolo il ragazzo li ha già visti, è lì che li saluta e gli sorride da lontano. È sereno e questo riempie il cuore.
Come sempre a quest’ora lui è in cima al molo per pescare ma a Giacomo e Alessandra piace pensare che li stava aspettando.
Qualche saluto ai tanti amici, una pizza veloce, una bevuta al bar della calata, un giro veloce nel paesello. Tappe obbligate e irrinunciabili.
Poi la stanchezza di mesi ininterrotti di lavoro arriva tutta assieme.
Sarà il dondolio, sarà l’ambiente raccolto, l’odore di fresco, il salmastro che è nell’aria.
Sta di fatto che la barca è l’unico luogo