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Dreamfighters - Vol. I: Il Legionario
Dreamfighters - Vol. I: Il Legionario
Dreamfighters - Vol. I: Il Legionario
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Dreamfighters - Vol. I: Il Legionario

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About this ebook

Improvvisamente, Ambra smette di sognare. Le notti per lei sono nere e vuote fino a quando, al suo quindicesimo compleanno, scopre un incredibile dono: in forma di libellula riesce a volare nei sogni degli altri. Sembra un mondo divertente, fantastico e colorato ma si rivela invece, notte dopo notte, sempre più spaventoso: è la Dimensione Onirica, dove si combatte una battaglia millenaria fra cacciatori e creature malvage, in una sorta di ‘gioco’ maledetto.
Inesperta, maldestra e ingenua, la piccola libellula dovrà scegliere da che parte stare. Conoscerà nuovi amici con i quali condividerà speranze, segreti, paure e insieme tenteranno di sconfiggere il Male.
Dal diario di Ambra:
“Forse cominci a diventare grande,
quando scopri che hai paura di giocare …”
LanguageItaliano
PublisherSara Marcante
Release dateJun 4, 2018
ISBN9788828331957
Dreamfighters - Vol. I: Il Legionario

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    Dreamfighters - Vol. I - Sara Marcante

    21

    Capitolo 1

    Per Ambra, tutto cominciò l’estate prima del liceo: improvvisamente, all’inizio di luglio, smise completamente di sognare. Dapprima pensò fosse colpa del caldo, dello studio, dell’ansia per gli esami; poi, man mano che passavano i giorni, si rese conto che ormai le sue notti erano diventate desolatamente nere e vuote. Si addormentava senza fatica ma, un attimo dopo, riapriva gli occhi ed era già mattina.

    La cosa non sembrava procurarle né stanchezza né alcun altro problema fisico; tuttavia si sentiva a disagio. Non aveva mai dato troppa importanza ai sogni, ma adesso ne sentiva disperatamente la mancanza e ogni mattina si svegliava con una sensazione simile alla sete che le prosciugava la bocca e le bruciava la lingua, per poi svanire dopo pochi istanti senza lasciare traccia.

    Non potendo confidarsi con la sua migliore amica Giulia, che era partita con la famiglia per un viaggio negli Stati Uniti, si rivolse alla mamma che, un po’ perplessa, la accompagnò dal medico.

    «Spesso i sogni non si ricordano affatto,» spiegò il vecchio Dottor Colombo dopo averla pazientemente ascoltata con la sua solita espressione bonaria e rassicurante. Era gentile, ma aveva la sgradevole abitudine di rivolgersi sempre alla madre, invece che ad Ambra.

    «Ambra è entrata in una fase di tempesta ormonale e questo le provoca probabilmente un sonno talmente profondo da non ricordare i sogni. Magari è da un po’ che le capita e non se ne è accorta…» ipotizzò, sempre rivolgendosi alla mamma.

    Ambra non disse nulla, per non contraddire il dottore e non far spaventare la mamma, ma sapeva che non era così. Ricordava benissimo quando aveva sognato per l’ultima volta: era stato il 30 giugno. Nel suo sogno si trovava in vacanza al mare, sulla riviera romagnola, con la spiaggia piena di ombrelloni colorati, l’acqua bassa e calma, la lunga e interminabile barriera di frangiflutti... Aveva camminato fino a quegli scogli scuri e mentre avanzava, l’acqua davanti a lei si era ritirata, come in una bassa marea. Il mare, placido e scuro come petrolio, sembrava voler restare al di là di quella lunga barriera. A quel punto aveva desiderato che il mare tornasse fino alla spiaggia e subito l’acqua aveva cominciato a trafilare e zampillare dalle rocce, mentre i granchi scappavano via facendo un rumore assordante con le chele. Ambra si era avvicinata per osservare gli scogli bagnati e lucidi, cercando di capire cosa avesse spaventato i granchi. Quando si era resa conto che dalle rocce stavano sgorgando densi e scuri rivoli di sangue, si era voltata per scappare ma dietro di lei non c’era più la spiaggia: c’era un deserto, e fra le piccole dune dorate si muovevano serpenti enormi. Si era svegliata di colpo, sudata e urlante.

    Quello era stato il suo ultimo sogno.

    Dopo alcune settimane cominciò ad abituarsi a quella condizione anomala pensando che, tutto sommato, sebbene fosse un difetto se non una vera e propria malattia, la rendeva in qualche modo diversa, unica e speciale. In effetti, Ambra aveva sempre pensato di essere speciale, per il fatto di essere nata il 1° gennaio del 2000: una delle prime bambine del nuovo millennio. Le era parsa una cosa così straordinaria che aveva conservato come una reliquia il ritaglio di giornale, poco più grande di un francobollo, nel quale si riportava il suo nome come la prima bambina venuta al mondo nel duemila, nella sua città alle porte di Milano.

    A dire il vero di cose straordinarie ne aveva poi fatte ben poche, nei suoi primi quattordici anni e mezzo, eppure sentiva di essere predestinata a qualcosa di eccezionale.

    Ambra custodiva questa convinzione come un segreto, che non avrebbe mai rivelato a nessuno, o quasi. Lo conosceva infatti solo Giulia, la sua migliore e inseparabile amica con cui aveva fatto l’asilo nido, la scuola materna, le elementari e le medie, e insieme alla quale si era iscritta al liceo linguistico, in una scuola poco distante da casa. Giulia aveva quasi un anno meno di Ambra, essendo nata il 6 gennaio del 2001, ma aveva iniziato la scuola un anno prima e le due erano sempre state inseparabili.

    E proprio insieme a Giulia, Ambra affrontò il primo giorno delle superiori. Baldanzose varcarono i cancelli della scuola, cercarono le indicazioni per la loro classe, salirono le scale e si ritrovarono in mezzo a facce nuove: venti perfetti sconosciuti che sembravano non avere altro da guardare che loro due, alte uguali, vestite uguali, stesso taglio di capelli, stessa cartella.

    Superato l’imbarazzo iniziale e le prime noiosissime ore di lezione, all’intervallo cominciarono a esplorare la scuola. Fra contorti corridoi dalle pareti ricoperte di disegni, poster e bacheche, l’unica scoperta davvero degna di nota fu il bar: richiedeva una certa perizia e passo svelto, ma durante la pausa principale si poteva raggiungere questo grande e luminoso locale in cui bisognava prenotare la consumazione da un totem, una sorta di cassiera virtuale con infinita pazienza e la capacità di scomporre il resto nel maggior numero possibile di monetine.

    Osservando Giulia che armeggiava con il touch screen per scegliere cosa prendere con i due euro che aveva in tasca, Ambra si rese conto che i primini come loro erano desolatamente riconoscibili e ridicoli in mezzo alla moltitudine di ragazzi più grandi, che sembravano invece perfettamente a loro agio fra i tavolini del bar, al bancone o con quell’infernale macchinetta con lo schermo unto e bisunto che sputava monetine come una slot machine.

    Si sentivano entrambe imbranate, goffe e, anche se nessuno le degnava di uno sguardo, osservate e derise. Ambra si sistemò la frangia, sperando che nessuno notasse la sua fronte tempestata da un’infinità di brufoletti rossi.

    «Non ce la faremo mai,» piagnucolò Giulia stringendo finalmente lo scontrino in mano e strattonando Ambra per raggiungere il bancone e ritirare il suo sacchetto di patatine.

    Al termine della loro prima giornata di liceo tornarono a casa piangendo, certe che si sarebbero sempre sentite inadeguate e fuori posto in quella scuola, come pesci fuor d’acqua.

    Dopo una settimana invece erano già a loro agio, perfettamente inserite nel meccanismo della macchina scolastica che inghiottiva adolescenti brufolosi e impacciati e restituiva giovani saccenti e baldanzosi.

    Poi, quando ormai pensavano di non essere più da meno del resto della popolazione liceale, arrivò il giorno di ‘San Firmino’ a ricordare alle due ragazze e ai loro compagni che erano solo dei pivelli appena arrivati. In quella imperdibile e stupida ricorrenza, che si tramandava di generazione in generazione, gli studenti più grandi avevano la dispensa scolastica per ‘bullizzare’ i nuovi arrivati, ricoprendo i visi dei malcapitati con disegni vari (per lo più organi maschili…), o firmandoli sulle braccia con i loro nomi.

    Ad Ambra spuntarono due baffi alla Salvador Dalí e una specie di stella sulla fronte, mentre Giulia si ritrovò con due cerchi intorno agli occhi, tipo occhiali. Inutile provare a lavarli, sarebbe stato peggio, così quella mattina andarono al bar tenendosi a braccetto, con le loro orrende decorazioni fatte con il pennarello nero.

    «Dove pensate di andare?» domandò una voce alle loro spalle, con uno strano accento.

    Si voltarono e videro un ragazzo con occhi e capelli nerissimi e una vistosa maglietta verde, con un pennarello rosso in mano.

    «Arrivi tardi, carino,» lo derise Ambra sollevando la frangetta per mostrare la stella.

    Lui si avvicinò sventolando il pennarello e si mise a osservare i loro disegni, con il fare pensoso di un critico d’arte.

    «Uhm,» borbottò infine, «sembra che qualcuno si sia divertito ad unire i puntini da uno a cento, sulla tua fronte!»

    «Ma come ti permetti?» strillò Ambra dandogli una spinta.

    Cercarono di proseguire oltre, ma il ragazzone si parò loro davanti impedendo il passaggio.

    «Se volete andare al bar, dovete pagare la vostra quota, ragazzine!»

    «Ambra, io ho fame!» piagnucolò Giulia.

    «Cos’altro vuoi disegnarci?» lo sfidò Ambra mostrandogli la guancia.

    «Il braccio, grazie…» le rispose lui.

    Le due ragazze si scambiarono uno sguardo scocciato, poi gli offrirono il braccio sinistro. Lui afferrò delicatamente quello di Giulia e, silenzioso e rapido, tracciò dei segni incomprensibili.

    «Cos’è? Cinese?» domandò Giulia, con il labbro sollevato di lato in una smorfia di disgusto.

    «Ti sembro cinese?» finse di offendersi lui.

    «Allora?»

    «Ti ho scritto ‘lupo’ in persiano.»

    «In che?»

    «In ogni caso, datti una mossa,» s’intromise Ambra spazientita, spingendo con poco garbo l’amica e offrendo il suo braccio, sul quale lui ripropose gli stessi segni.

    «Sa scrivere solo lupo, secondo me,» bofonchiò Ambra mentre si allontanavano verso il bar, ormai irrimediabilmente in ritardo.

    Al ritorno notarono il ragazzo di prima chiuso nella guardiola a parlare con qualcuno, forse un bidello. Quando le ragazze furono davanti al piccolo stanzino vetrato, il giovane aprì la porta per uscire, continuando a discutere con una certa arroganza:

    «Non ti farà bene restare a dormire qui stanotte, senza i miei segni sul braccio!»

    «Vai a pasticciare i ragazzini e non mi scocciare, altrimenti ti faccio chiamare in direzione!»

    «Te ne pentirai!»

    Le ragazze accelerarono il passo: erano ben oltre i tempi di un ragionevole ritardo, ma speravano che i segni collezionati in giro per la scuola fossero una valida scusante.

    «Certo che quel tipo è proprio uno scocciatore,» ansimò Giulia mentre salivano le scale facendo i gradini a due a due. «A me le sue parole sono sembrate una minaccia...»

    «Sì, però è carino!» rise Ambra.

    La professoressa di inglese non sembrò divertita dai tatuaggi delle due ragazze e affibbiò loro una valanga di compiti extra per il giorno dopo, costringendole a passare sui libri il pomeriggio e buona parte della serata. La mattina dopo erano così stravolte che non si accorsero dell’insolito assembramento di professori davanti all’ingresso, né notarono l’ambulanza e le auto della Polizia che si allontanavano in silenzio. Entrarono in classe con stampato in faccia un sorriso di sfida e soddisfazione, pensando al disappunto della professoressa nel vedere che avevano portato a termine l’immane e, a loro dire immeritato, castigo.

    Gli sguardi attoniti dei compagni, in piedi a confabulare sottovoce, fecero capire loro che era successo qualcosa di grave e che l’atteggiamento giusto da tenere fosse un moderato stupore misto a dispiacimento, invece che quel sorriso ebete che le due si ostinavano a esibire.

    «Che cosa è successo?» domandò Ambra mentre il sorrisetto si spegneva per la delusione di non essere stata notata.

    «Non l’avete saputo?» si meravigliò Marta, una loro compagna, «hanno trovato il custode morto!»

    «Accasciato sul tavolo della guardiola…» intervenne Laura, «con gli occhi aperti e sbarrati che fissavano la porta…»

    «Sembra che in mano avesse ancora una penna e che stesse disegnando qualcosa!» riprese Marta.

    «Un lupo!» terminò Laura, a cui evidentemente piacevano i dettagli macabri.

    «Un lupo?» domandò Ambra sfregandosi il braccio dove ancora s’intravedeva, nonostante la doccia, la scritta del ragazzo.

    Laura sembrava nervosa: camminava avanti e indietro e sobbalzava alla parola ‘lupo’.

    «Cos’hai?» chiese Ambra.

    «Niente, è solo che anche mia sorella aveva sognato un lupo, quando si era fermata qui a dormire lo scorso anno. Si è spaventata talmente tanto che le è venuta la febbre!»

    «Per me è un fantasma che vive nella scuola e spaventa le persone!» intervenne Giulia, che aveva la fissa dei fantasmi.

    Il lupo, la strana minaccia del ragazzo, la morte del custode. Ambra sentiva che doveva esserci un collegamento fra questi elementi e si ripropose di indagare per scoprire la verità. Tempo una settimana se ne dimenticò invece del tutto …

    A novembre cominciarono le attività pomeridiane e due volte la settimana lei, Giulia e Laura presero l’abitudine di pranzare al bar insieme, prima di andare ai corsi. Avevano provato anche a mangiare in mensa ma era troppo cara, così si accontentavano di una pizzetta o di un panino.

    Fu proprio al bar che Ambra rivide il tipo che le aveva firmate: stava pranzando in un angolo insieme a un ragazzo su una sedia a rotelle e a una ragazza dai capelli biondissimi e corti.

    «Lasciali perdere, quelli…» bisbigliò Laura, accortasi di come Ambra li fissasse.

    «Chi sono?»

    «Sono di terza e di quarta E, dello scientifico… Stanno sempre da soli e confabulano a bassa voce, come se facessero parte di una setta.»

    «Come sai queste cose?»

    «Mia sorella è sul loro stesso corridoio. Alle medie era in classe con Conny, la ragazza bionda; è davvero antipatica.»

    Antipatica. La parola risuonò nella testa di Ambra per almeno un paio di minuti. Lo sembrava davvero, con quei capelli corti, rasati sulla nuca e quell’espressione severa, quel viso teso che pareva non sapere cosa fosse un sorriso.

    Di quel trio, l’unico che gesticolava e scherzava era il ragazzo che aveva scritto ‘lupo’ sulle loro braccia, quello che aveva minacciato il custode notturno. Il custode trovato morto... Anche il tipo in carrozzina, con un cappellino di lana calcato sulla fronte, sembrava serio, distratto e annoiato. Laura non sapeva molto di lui, né del perché fosse su una sedia a rotelle. Ambra lo fissò per alcuni secondi: aveva un viso pallido e spigoloso, sopracciglia chiarissime, quasi trasparenti, e due occhi di un azzurro pastello talmente intenso da essere visibili dall’altra parte del bar. Sembrava uno spettro.

    Ad ogni modo, anche la loro inquietante presenza diventò presto normale e le ragazze persero ogni curiosità per loro.

    Così, dopo quasi tre mesi dall’inizio delle lezioni, nonostante i bei voti, le amiche, un paio di ragazzi carini che l’avevano inutilmente invitata a uscire, Ambra iniziò a convincersi che quella scuola fosse terribilmente noiosa. Anzi, la sua stessa vita sembrava diventare ogni giorno più insipida e vuota: ogni cosa aveva perso fascino, perfino il cibo sembrava senza sapore.

    Solo la compagnia delle amiche, i loro discorsi vacui, i pettegolezzi, le davano un barlume di vivacità; ma era un attimo, poi tutto ripiombava in un grigiore spento. Le sue compagne sembravano non accorgersene. Dopotutto, con loro era sempre la stessa: allegra e divertente; eppure ogni giorno si sentiva sempre più apatica e nervosa, assetata di qualcosa cui non riusciva nemmeno a dare un nome.

    Tutto ciò che le accadeva intorno, per quanto al momento fosse interessante, sembrava destinato a essere cancellato in poco tempo dalla noia e dall’oblio. E la noia poi era nulla in confronto a quella sensazione di arsura che la consumava dentro senza una spiegazione, senza un motivo, e che cresceva, bruciandole il petto e la bocca, dopo ogni maledetta notte nera che volava via d’un soffio senza darle ristoro.

    Non immaginava di certo, la giovane Ambra, che stavano per accaderle due fatti straordinari e impensabili, destinati a cambiarle per sempre la vita.

    Dal diario di Ambra:

    "Quando perdi i tuoi sogni, quello che resta è l’abitudine.

    L’abitudine diventa noia, la noia diventa oblio.

    E l’oblio ti prosciuga la vita stessa."

    Capitolo 2

    La prima cosa straordinaria accadde proprio la notte di capodanno, dopo la solita festa in famiglia. All’una di notte, Ambra stava ancora giocando ai videogiochi sprofondata sul divano. In lontananza, i rimbombi degli ultimi fuochi d’artificio, echi di festeggiamenti che altrove si trascinavano a oltranza, mentre a casa sua, salutati gli zii e i cugini, papà iniziò a sbadigliare e spedì lei e i suoi due fratelli di dieci anni, Diego e Dario (i gemelli selvaggi, come li chiamava lei), dritti a dormire.

    Mentre la mamma ripuliva il salotto, Dario si mise a cantare una canzone in un improbabile inglese, con una voce sempre più biascicata e fioca. Diego si era invece addormentato subito e, complice una fastidiosa sinusite, aveva cominciato a russare come una motosega. Ambra poteva sentirlo anche dalla sua camera e non riusciva a chiudere occhio; pensava alla seconda festa, quella che avrebbe fatto nel pomeriggio, per il suo quindicesimo compleanno: cinema con le amiche, giro al centro commerciale, ingozzamento di popcorn e schifezze, ubriacatura di chiacchiere.

    Appena le luci in sala e in cucina si spensero e anche i genitori furono andati a letto, finalmente anche Ambra riuscì a prendere sonno. E fu allora che accadde il fatto straordinario: ricominciò a sognare.

    Almeno così credette, all’inizio: il velo nero, denso e impenetrabile del suo sonno divenne rosa e trasparente, aprendosi come un sipario per

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