Equivoci
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L’equivoco è il filo conduttore che unisce i personaggi dei racconti, uno scrittore che ha evidenti problemi nei rapporti con l’altro sesso e li confida all’amico psichiatra, un commissario di Polizia alla ricerca di un maniaco omicida, un anziano colonnello in pensione con nostalgie per un colpo di Stato mancato, un innamorato sotto psicofarmaci che tiene a bada con difficoltà la sua dissociazione mentale.
Ma ciò che accomuna realmente i diversi personaggi è la loro estrema solitudine, anche quando sembrano integrati pienamente nella comunità di cui fanno parte, in una società spersonalizzante come quella attuale che non consente a nessuno, nel suo vivere nella moderna società industrializzata (“società del consumo” per dirla con Marcuse), di mostrare in modo chiaro all’esterno la molteplicità del proprio essere.
I racconti sono attraversati da una vena di leggero umorismo che, nel suo contrasto con la drammaticità della spersonalizzazione, contribuisce a renderla ancora più evidente.
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Book preview
Equivoci - Sergio Aquino
Paesi.
Emoticon
Devo farmi forza e scacciare questa voglia irrefrenabile di voltare le spalle al portone e tornarmene a casa, stappare una bottiglia di birra gelata, aprire una busta di patatine fritte, lasciarmi sprofondare nella mia poltrona preferita e sfondarmi di serial televisivi.
Ogni volta che vengo qui è un tormento.
In meno di mezz’ora Gianni mi demolisce, mi abbatte, mi distrugge, mi annichilisce, smantella ogni mia difesa mentale e mi rade al suolo, lasciando solo macerie intorno ai miei neuroni.
Io questo lo so bene, eppure finisco sempre sulla poltrona del suo studio a farmi fare a pezzi, ad essere deriso, frullato, ridicolizzato.
Dovrei chiedermi perché mi ostini a non cambiare analista, visto che Gianni, per quanto bravo, non è certamente l’unico che eserciti in città.
Ma la verità è che io non vengo da lui come paziente e non lo considero affatto il mio medico: è vero, vado al suo studio, mi sistemo in poltrona, gli racconto i miei pensieri più reconditi, le mie paure, i miei problemi, ma lo faccio come farei con un qualunque amico, se me ne fosse rimasto anche qualcun altro oltre lui.
E, d’altra parte, lui con me non fa l’analista, certo mi scava nel profondo, ma spesso mi contraddice, confuta le cose che gli dico, non crede mai a una sola parola di quello che gli racconto – e me lo dice in faccia –, si incazza quando pensa che stia esagerando nell’inventare fatti e situazioni, insomma si comporta da amico e non da professionista del profondo.
È che io ho bisogno di parlare, di confrontarmi con qualcuno che sappia tutto di me, di come sono e di come è cambiata la mia vita da quando mi sono separato da mia moglie, perdendo in un solo colpo lei, le mie due figlie ed il lavoro.
Non ho mai capito, in questo tsunami che ha colpito la mia vita, quale siano state le cause e quali, invece, gli effetti: a caldo, la ricerca delle prime mi ha fatto perdere per qualche tempo di vista l’importanza dei secondi.
Quando ho finalmente aperto gli occhi mi sono accorto di essere rimasto completamente solo, senza moglie, senza figlie, senza amici e di non avere più nessuna attenzione verso il mio lavoro, che di conseguenza ho perso dopo pochi mesi, avendo preso due cappellate da paura.
Non fosse stato per Gianni, a quel punto sarei andato alla deriva, completamente sbandato e senza appigli, non avevo più nessun punto di riferimento e, a pensarci bene, non avevo neppure una meta.
Per qualche mese dopo la separazione mi sono lasciato vivere, mangiando quel che capitava, dove capitava e soprattutto quando capitava.
Poi, per mia fortuna, una mattina di primavera Gianni mi ha visto seduto al tavolino di un bar, completamente perso davanti ad un bicchiere di Campari, così mi ha preso per un braccio, mi ha fatto alzare e mi ha portato quasi di peso a casa sua.
Lì, nell’ala riservata allo studio, è cominciata la lenta ma progressiva opera di ricostruzione della mia personalità; in meno di un anno sono tornato astemio, ho ripreso in mano la mia vita, ho cominciato a scrivere, ad accettare la mia nuova condizione di single maturo, a stare tra la gente, ad avere un ruolo nella società cittadina, in una parola ho cominciato nuovamente a vivere.
È stato Gianni a convincermi ad incanalare nella parola scritta quella che lui chiama la forza follemente creativa
della mia fantasia, facendomi diventare, vicino ai 60 anni, uno scrittore seguito localmente da un pubblico molto fedele di lettori.
Gli devo molto, non ho difficoltà ad ammetterlo, ma quando mi mette nel frullatore non ha un minimo di considerazione per me, per la mia dignità, per i miei sentimenti: lui è come un rullo compressore, passa sopra ogni cosa e, però, alla fine trova sempre la soluzione ai miei problemi.
È per questo, ed anche perché so che è la persona che mi vuole più bene al mondo (anche se a questa competizione, ormai, partecipa solo lui), che quando ho un problema metto il mio orgoglio in soffitta e vado a trovarlo.
So che è libero a quest’ora perché non prende mai appuntamenti dopo le 19:00, per cui citofono senza paura di disturbare.
«Pensavo di essermela scampata, per questo mese!».
«Sempre spiritoso. Dai, apri questo portone, non perdere tempo».
«Guarda, credo che il condominio si sia dotato di un citofono di ultima generazione, uno di quelli con l’intelligenza artificiale, un apparecchio che capisce dal tono della voce se chi vuole che gli si apra il portone è una persona molesta; devo dire che funziona egregiamente: infatti a te non apre».
«Sbrigati ad aprire! Le prove per farti partecipare a Zelig le facciamo un’altra volta».
Il rumore dell’impulso elettrico che arriva alla serratura mette fine al siparietto via citofono. Prendo l’ascensore e quando raggiungo il piano e le porte si aprono, Gianni è davanti alla porta di casa sua che mi aspetta.
«Dai, sbrigati, non vedo l’ora di sapere cosa ti sei inventato questa volta per rompermi le scatole».
«Credimi Gianni: quando fai così mi viene voglia di lasciar perdere, girarti le spalle e cancellarti dalla mia vita!»
«Ma va! Dici davvero? E quanto mi costerebbe tutto questo? Se è un prezzo ragionevole, sono disposto anche a chiedere un prestito».
«Vai al diavolo, – dico, mentre lo spingo da parte e mi dirigo verso la zona studio – non ti darò mai questa soddisfazione».
Prendo posto sulla poltrona, mentre lui fa altrettanto dopo aver riempito un bicchiere di whisky per lui ed avermi messo in mano una bottiglia di acqua tonica.
«Dai, racconta: cosa è successo questa volta?»
«Intanto, devi sapere che il mese scorso, durante la presentazione del mio libro, al momento della firma dei volumi, ho notato una ragazza…».
«Una ragazza con il tuo libro in mano? Cosa voleva da te, una dedica?»
«No, no: lei aveva accompagnato qualcuno, non aveva acquistato il mio libro».
«Beh, già questo depone bene per lei».
«Oh, non ho ancora neppure iniziato e tu già mi prendi per il culo?»
«Ma no, inquadravo la ragazza nel contesto. Anni?»
«Ma sai com’è, oggi non riesci a definire bene l’età… Ai nostri tempi era diverso…»
«Ai tuoi tempi, usa i termini esatti, ai tuoi tempi. Sai bene che io sono parecchio più giovane di te».
«Tu sei solo un imbecille che si diverte a sfottermi: sono nato neppure sei mesi prima di te! Dai, torniamo seri».
«Tornare serio: detto da te sembra una freddura».
«Uffa! Stavo dicendo che oggi con la moda che c’è, i trucchi, quell’atteggiamento meno a signora
che si usa anche dai trenta anni in su, è difficile capire l’esatta collocazione anagrafica di una donna».
«Senti, se stai cercando di dirmi che ti hanno incriminato per seduzione di minore e pensi di cavartela davanti al giudice con una giustificazione del genere, sei proprio fuori strada».
«Fammi andare avanti o qui facciamo notte. Alla fine della presentazione, ti stavo dicendo, cominciano ad accalcarsi tutti i lettori per farsi fare una dedica firmata sul libro».
«Sì, penso che sia stato quello il momento in cui è stato necessario far intervenire i poliziotti a cavallo per ristabilire l’ordine, vista la