Le confessioni
By Leo Tolstoy
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About this ebook
Il libro è un racconto autobiografico dell'autore in un momento della sua vita in cui attraversa una crisi di malinconia esistenziale. Descrive la sua ricerca di risposte alle domande profonde: "Cosa uscirà da ciò che faccio oggi? cosa farò domani? Cosa uscirà dalla mia vita? E "Qual è il significato della vita? ", Senza risposte per lui e che rendono la vita" impossibile ".
Tolstoj parla della sua infanzia, del suo abbandono della sua fede ortodossa russa, della sua padronanza della forza, della sua volontà di potenza e di come, dopo aver raggiunto il successo finanziario e un considerevole status sociale, la sua vita non avesse più alcun significato.
Dopo aver disperato i suoi tentativi di trovare risposte nella scienza, nella filosofia, nella saggezza orientale e nei suoi colleghi scrittori, "confessa" di aver trovato la risposta al suo dolore nelle profonde convinzioni religiose ortodosse dei cittadini comuni . Descrive come ha presentato il suo scetticismo razionale e l'orrore della "superstizione delle verità cristiane" al fine di ottenere la pace mentale di cui aveva bisogno per rendere possibile la sua "sopravvivenza".
Il termine "confessione" è stato usato perché Tolstoy era ben consapevole di essere contrario ai pregiudizi anti-religiosi / atei che dominavano gran parte dell'élite laica russa ed europea (di default a causa delle carenze dell'ortodossia ).
Leo Tolstoy
Leo Tolstoy grew up in Russia, raised by a elderly aunt and educated by French tutors while studying at Kazen University before giving up on his education and volunteering for military duty. When writing his greatest works, War and Peace and Anna Karenina, Tolstoy drew upon his diaries for material. At eighty-two, while away from home, he suffered from declining health and died in Astapovo, Riazan in 1910.
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Le confessioni - Leo Tolstoy
XVI.
Prefazione
Cercava il senso della vita e trovò Dio; trovò Dio perdendosi nell’amore degli uomini, sentendo lo spirito che vive negli uomini, desiderandolo, facendolo suo.
La lunga fatica della ragione che gli pone davanti il nulla e la volontà di vivere che non piega, che si ribella a trarre la conseguenza ultima, la negazione della vita! Speranza inconsaputa che resiste, che apre le porte alla verità, verità che inonda l’anima tutta: ― e da allora tutto fu chiaro in me.
— Compresi che era la verità; e l’accettai.
Accettar la verità: rompere le abitudini di pensiero e d’azione che ad essa contrastano, rifarsi alla verità. È qui il miracolo compiuto dai grandi cercatori di Dio: lo spirito che si ricrea. Lo spirito eroico chiama all’entusiasmo della vita, si fa santo quando è fatto solo d’amore.
Ma la ragione lo pose ancora in contrasto col mondo, con le sue istituzioni: e giudicò e condannò. Si levò in difesa degli umili, e fu amore; si allontanò da loro, ed era la ragione individuale non ancora fattasi grande come il suo cuore. Per gli umili negò il progresso, negò l’arte, ma non tutto se stesso, tutto il suo passato, per cui andava gli ultimi giorni, eterno viandante, a cercare, solo, ad interrogare il suo Dio.
Per i sacramenti, scese l’onda di grazia, fu sentito il tremore dinanzi a Dio, gli umili furono pervasi da Dio: la storia è piena del miracolo.
Al cuore niente è falso: non mi pongo contro la storia, ma l’arricchisco della mia vita.
Dio è nel mondo, ma anche lo avvolge: immanente in quanto sentito, trascendente in quanto voluto. E in quanto voluto Lo sento come il Padre ed io sono ― l’uccellino caduto dal nido, ― e la rappresentazione è in me, mi rappresento il Lontano nelle forme più belle che l’amore umano crea. E dopo che ho liberato l’anima mia, pieno del desiderio di Lui, Lo cerco per le vie fatte sacre da altre speranze, luminose del Suo passaggio.
Ma il Tolstoi chiamò all’azione.
Bisogna riconcepire Cristo: riviverlo in questa nostra vita moderna, ripensarlo nelle nostre aspirazioni. Così sentiamo la sua voce.
Introduzione alla critica della teologia dogmatica e all'esame della dottrina cristiana.
Io fui battezzato ed educato nella religione cristiana ortodossa che mi fu insegnata fin dall’infanzia, durante l’adolescenza e la gioventù. Ma a diciotto anni, cioè quando terminai il secondo anno di università, non credevo più a nulla di quanto mi era stato ripetuto; non solo: certi ricordi mi farebbero pensare di non aver mai creduto seriamente; avevo fiducia in ciò che mi si insegnava, in ciò che i maggiori confessavano davanti a me, ecco tutto, e quella fiducia era anche assai vacillante.
Avevo circa undici anni quando venne da noi, una domenica, Volodienka M… (un allievo del ginnasio, morto da molto tempo), per annunziarci, come una grande novità, la scoperta fatta al ginnasio: Dio non esisteva, e non ci avevano insegnato che delle frottole. (Questo avveniva nel l838). Io rammento che i miei fratelli maggiori, eccitati da questa novità, mi chiamarono, e che tutti, con grande animazione, accettammo questa scoperta come qualche cosa di molto interessante e di possibilissimo. Rammento ancora che mio fratello maggiore, Dimitri, il quale era allora studente all’Università, si diede ad un tratto, con la passione propria della sua natura, alle pratiche religiose; si mise a seguire tutte le prediche, a digiunare, a condurre una vita casta, pura e morale, e noi tutti, anche i più anziani, ci mettemmo a canzonarlo, affibbiandogli, non so perchè, il soprannome di Noè. Rammento pure che Mussin Puskin, rettore dell’Università di Kazan, ci invitava a ballare, e canzonando nostro fratello, che rifiutava i suoi inviti, gli diceva che Davide stesso aveva ballato davanti all’arca. Io apprezzavo allora questi scherzi dei grandi e ne concludevo che bisognava imparare il catechismo e andare in chiesa, ma che non era necessario prender tutto questo sul serio. Rammento altresì che, da giovanissimo, leggevo Voltaire, e che le sue arguzie, anzichè ripugnarmi, mi divertivano assai.
La mia diserzione dalla religione si compiè come accadeva allora e come accade anche adesso alle persone della nostra società. Mi pare che, nella maggior parte dei casi, ciò avvenga nel modo seguente: si vive come tutti vivono, e tutti vivono fondandosi su dei principî che, non solo non hanno nulla in comune con la religione, ma soventissimo sono contrari ad essa. La religione non ha un posto nella nostra vita. Nei rapporti col nostro prossimo non ci accade mai di incontrarla e, nella nostra propria esistenza, non la consultiamo mai. La religione viene applicata qualche volta lungi dalla vita e indipendentemente da questa. Se ci si trova in contatto con essa, la si considera come un fenomeno esteriore, per nulla legato alla vita.
Osservando la vita di un uomo, i suoi atti, adesso come allora, non si può sapere s’egli creda o no. Se v’è differenza fra colui che confessa apertamente l’ortodossia e colui che la nega, questa differenza non è mai a vantaggio del primo. Adesso come allora la confessione e la pratica dell’ortodossia si trovano più sovente in persone stupide, crudeli e che si danno una grande importanza, mentre l’intelligenza, l’umiltà, la rettitudine, la semplicità, il senso morale si trovano di preferenza in persone che si dicono incredule.
Nelle scuole si insegna il catechismo e si mandano gli allievi in chiesa. Dai funzionari si esigono i certificati di comunione, ma un uomo della nostra società che non è più scolaro nè impiegato dello Stato, adesso e soprattutto in passato, può vivere delle decine d’anni senza ricordarsi una sola volta che vive in mezzo a cristiani e ch’egli stesso è creduto praticante la religione cristiana ortodossa.
In tal modo, adesso come in passato, la dottrina religiosa, accettata per fiducìa e sostenuta da qualche pressione esteriore, sparisce a poco a poco sotto l’influenza della conoscenza e dell’esperienza della vita, che son contrarie alla religione. Eppure, soventissimo, l’uomo vive persuaso di aver conservato intatta questa religione che gli venne insegnata nell’infanzia; mentre da lungo tempo non ne rimane più traccia. S… , un uomo intelligente è sincero, mi raccontò in che modo cessò di credere. Aveva ventisei anni, quando un giorno, a caccia, prima d’andar a dormire, seguendo una vecchia abitudine infantile, si mise a pregare. Suo fratello maggiore era steso sul fieno e lo guardava. S.., terminata la sua preghiera, stava per coricarsi; suo fratello gli disse: «Ah, lo fai sempre?» Non fu detto nulla di più, ma da quel giorno S… smise di pregare e di andare in chiesa; non perchè conoscesse e dividesse le convinzioni del fratello, o perchè nel profondo dell’anima sua avesse preso una decisione qualsiasi, ma unicamente perchè le parole pronunciate dal fratello erano state una leggera spinta al muro presso a crollare, trascinato dal suo proprio peso.
Quell’osservazione gli indicò soltanto che là ov’egli credeva risiedesse la sua fede, non v’era più che un posto vuoto, di modo che le parole che pronunziava, i segni di croce e le genuflessioni che faceva pregando diventavano degli atti perfettamente vuoti di senso e, una volta riconosciuta la loro vanità, gli era impossibile ripeterli.
Questo deve accadere, io penso, alla grande maggioranza. Intendo parlare degli uomini della