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Il viaggio e l'Europa: incontri e movimenti da, verso, entro lo spazio europeo
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Il viaggio e l'Europa: incontri e movimenti da, verso, entro lo spazio europeo
Ebook380 pages5 hours

Il viaggio e l'Europa: incontri e movimenti da, verso, entro lo spazio europeo

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Il rapporto tra l’Europa e il viaggio raccontato attraverso un volume che riunisce contributi pluridisciplinari: un insieme di studi, riflessioni e proposte che guardano al continente europeo come un luogo degli ampi spazi, per sua natura aperto allo scambio di genti e culture. Un affascinante viaggio nel tempo e nello spazio di una terra attraversata nei secoli da diverse tipologie di viaggiatori che hanno percorso, osservato e saputo tradurre su carta questo “spazio comune europeo”, mettendo in comunicazione, con i propri itinerari, porti, città, nazioni e popoli del vecchio continente.
LanguageItaliano
PublisherSette Città
Release dateMay 15, 2018
ISBN9788878536432
Il viaggio e l'Europa: incontri e movimenti da, verso, entro lo spazio europeo

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    Il viaggio e l'Europa - a cura di Raffaele Caldarelli e Alessandro Boccolini

    romanzi

    Premessa

    Raffaele Caldarelli e Alessandro Boccolini

    1.

    Lo studio del viaggio in quanto fenomeno culturale e in particolare della letteratura odeporica [1] è ormai da molti anni uno tra i vari interessi culturali e di ricerca che vengono intensamente coltivati nel DISUCOM (Dipartimento di Scienze Umanistiche, della Comunicazione e del Turismo) dell’Università della Tuscia. Si tratta di una direzione di ricerca nata e sviluppatasi nel tempo attraverso una convergenza di interessi e di energie piuttosto rara, ci si permetta di osservarlo, nel nostro mondo accademico. Un numeroso gruppo di studiosi (italianisti, storici, specialisti di varie letterature e lingue; non si fa torto a nessuno, e si rispetta la realtà dei fatti, indicando come iniziatori e corifei Vincenzo De Caprio e Gaetano Platania) ha promosso un’esperienza che progressivamente si è al tempo stesso articolata e approfondita. Molti studiosi, ripetiamo, e dei più validi, tanto che chi scrive queste note introduttive avverte qualche disagio nell’accodarsi a questa somma di esperienze e competenze. Attraverso la loro opera l’Università della Tuscia è venuta affermandosi come un centro di ricerca e didattica particolarmente qualificato nell’area di studi di cui qui si parla. Chi segue la produzione scientifica realizzata nell’Ateneo viterbese e ne frequenta la biblioteca può indubbiamente accostarsi a questa complessa tematica, per sua natura interdisciplinare e dinamica, con un’ampiezza non facilmente conseguibile altrove [2] . L’attività del DISUCOM in questo campo si è svolta lungo un percorso pluriennale e articolato, che ha visto anche la creazione di due strumenti organizzativi specifici: il CIRIV (Centro Interdipartimentale di Ricerca sul Viaggio) e l’AVIREL (Archivio Viaggiatori Italiani a Roma e nel Lazio), fondamentale risorsa elettronica creata in collaborazione con l’Istituto di Studi Romani. Si tratta di due realtà importanti non solo per il DISUCOM ma per tutto l’Ateneo.

    È stato Gaetano Platania a lanciare nel 2017 l’idea di una nuova iniziativa dipartimentale che convogliasse una parte delle energie che nell’ambito del Dipartimento si applicavano alla tematica del viaggio. Sempre da lui partì il suggerimento di coinvolgere, almeno come punto di riferimento, la tematica europea, che appariva anche un logico sbocco per il discorso proposto più volte, e in particolare in un’iniziativa editoriale del 2015, relativo alla valorizzazione del territorio ed alla sua ragionata apertura a una fruizione virtuosa anche da parte del turismo internazionale [3] . Quando cominciammo a lavorare (con entusiasmo, possiamo ben dirlo) a questa idea, la risposta fu ampia e spontanea, forse più di quanto ci aspettassimo. Prese corpo in tempi brevi una doppia giornata di studio da realizzare con le forze del Dipartimento stesso, che potesse riunire sia colleghi con un lungo percorso di didattica e ricerca sia studiosi più giovani, alcuni ai primi passi dell’attività scientifica. Il risultato finale di questa bella risposta del Dipartimento (tutti gli autori vi operano o vi hanno operato ed hanno o hanno avuto con esso un rapporto organico) è raccolto in questo libro che presenta contenuti e approcci metodologici molto diversi. Diversità e varietà di strumenti concettuali e metodologici sono sempre stati per il nostro Dipartimento un vanto e uno stimolo: uno stimolo, magari, a rischiare qualcosa o più di qualcosa mettendosi in gioco nell’avventura della ricerca. Il minimo comune denominatore naturalmente c’è, ed è nella visione dell’Europa come luogo di partenza, di arrivo e di incontri; come realtà non statica ma internamente ed esternamente dinamica. Un grande intellettuale europeo, il ceco Václav Havel, che fu l’ultimo presidente della Cecoslovacchia federale, ricordò in un suo celebre discorso un’etimologia [4] , scientificamente non sicura ma ricca di implicazioni culturali e simboliche, di Europa come luogo ampio, luogo dove lo sguardo può spaziare [5] . Dai lavori qui raccolti ci sembra che una visione di questo tipo possa trarre alimento. Certo, non si possono ignorare le contraddizioni e i drammi della storia; tuttavia ci sembra che questa prospettiva qui in qualche misura si confermi e possa ulteriormente conferire senso alla nostra iniziativa. Un’iniziativa, mi piace qui ricordarlo, che ha coinvolto ampiamente studenti del nostro Ateneo e delle scuole del nostro territorio, ai quali si è cercato di proporre, attraverso interventi articolati e multiformi, un saggio del ruolo culturale dell’Europa come spazio di incontro e circolazione delle idee e delle culture, sia internamente sia attraverso rapporti con l’esterno. Questa visione ci sembra importante, in un momento in cui il processo di integrazione europea, dopo avere conseguito grandi risultati, in larga misura insperati, sembra denotare difficoltà e rallentamenti, mentre l’Europa rischia di dimenticare la sua vocazione di luogo degli ampi spazi (confortata o meno che sia dall’etimologia), per coltivare paure e chiusure.

    Raffaele Caldarelli

    2.

    Alla base dell’idea di Europa come luogo degli ampi spazi, suggerita poco sopra da Caldarelli, appare quanto mai necessario collocarvi la complessa fenomenologia del viaggio, studiando le storie di coloro – i viaggiatori – che tale spazio hanno percorso, osservato e voluto trasmettere attraverso le testimonianze odeporiche che ci hanno lasciato.

    È inevitabile, quando si parla del rapporto tra l’Europa e il viaggio, ricondurre tale binomio ad una stagione precisa, quella del Grand Tour, che nel suo secolo d’oro, il Settecento, ha saputo incidere in maniera decisiva per la formazione di una prima coscienza europea in senso moderno. Senza entrare nel merito di temi già approfonditi, è noto fino a che punto l’esperienza di quei giovani rampolli d’ Ancient Regime che si mettevano su strada per andare a vedere il mondo, superando gli angusti confini geografici, politici e culturali delle proprie nazioni, abbia contribuito a lanciare quelle idee di cosmopolitismo e mobilità che oggigiorno applichiamo per identificare la fisionomia dei cittadini d’Europa.

    Nonostante questo, è doveroso ricordare come alla dinamicità dei moderni touristes faceva eco quella più remota che vide come protagonisti diverse tipologie di viaggiatori – mercanti, pellegrini, ambasciatori – che già da secoli, prima e durante il medioevo, solcavano il Mediterraneo e percorrevano le vie del continente. Uomini che per mezzo dei loro viaggi mettevano in comunicazione porti, città, nazioni e popoli d’Europa, tracciando con i propri itinerari i contorni di un primissimo spazio europeo, da subito proficuo per scambi culturali, politici, sociali e religiosi.

    Con il volume qui presentato non vogliamo certo investigare il binomio Europa-viaggio nella sua completezza; semmai tendiamo a rintracciare alcuni punti base per riflettere e comprendere quanto il movimento di persone da, verso, oltre lo spazio europeo abbia concorso per la creazione di un immaginario collettivo che accomuna tuttora le genti che popolano il Vecchio Continente.

    È per questo che il DISUCOM in collaborazione con il CIRIV ha deciso di organizzare nelle giornate del 15 e 16 novembre 2017 un Colloquio Interdisciplinare dedicato proprio a quei viaggiatori che nel tempo hanno solcato mari, navigato fiumi o percorso le strade di tutta Europa.

    La vocazione multidisciplinare di un dipartimento come il DISUCOM ha fatto sì che tra gli studiosi di settore – o anche semplici interessati intervenuti al colloquio – si creassero i giusti presupposti per dare anima ad un appassionato scambio di conoscenze, idee e prospettive di ricerca sul tema Europa e viaggio. Le due giornate di riflessione sono trascorse in un continuo interrogarsi e investigare il passato, dialogare con il presente e riflettere sul futuro prossimo di un continente, quello europeo, sempre più connesso, e intimamente legato a criteri di raggiungibilità, movimento e integrazione tra popoli e culture.

    È questa precisa istanza che ha indotto prima a programmare il colloquio e, in un secondo momento, a scegliere il titolo da dare al volume. Una miscellanea nata per raccogliere i numerosi interventi presentati e che attesta, in seconda battuta, la vitalità di una linea di ricerca, quella sul viaggio, che il DISUCOM porta avanti con grande successo da ormai diversi anni. Con Il viaggio e l’Europa: incontri e movimenti da, verso, entro lo spazio europeo vogliamo pertanto restituire sia l’intensità di quelle giornate di studio passate ad investigare su un binomio, Europa-viaggio, imprescindibile quando si vuole riflettere sull’identità del vecchio continente, cercando di capire se e quanto lo spazio comune europeo sia un luogo già esistente e che da secoli mette in contatto e fa incontrare i cittadini europei.

    Non è nostro scopo redigere una storia del rapporto che intercorre tra l’Europa e il fenomeno del viaggio, semmai aspiriamo a suggerire alcune tappe e momenti di una storia maggiore, quella europea, fatta di comunicazione, di incontro e unione di genti e culture tra loro diverse, e che la pratica del viaggiare ha favorito e incentivato, anche grazie alla fortuna e alla circolazione editoriale registrata dalle testimonianze odeporiche prodotte.

    Facciamo questo presentando articoli che – crediamo – accompagneranno il lettore lungo un itinerario ideale capace di collegare luoghi e momenti cruciali per la storia, la cultura e l’identità di questo straordinario continente, con argomenti e tematiche tra loro differenti, anche molto lontani nel tempo e nello spazio. Ogni saggio proposto costituirà pertanto un piccolo contributo all’interno di una riflessione più ampia che si pone l’obiettivo di mostrare fino a che punto il movimento e l’incontro tra popoli sia connaturato all’idea di Europa. Nondimeno assicuriamo al lettore tutta la libertà per muoversi autonomamente all’interno di un libro ricco di curiosità.

    Le pagine scritte da Francesca Romana Nocchi, ad esempio, ci proiettano direttamente nell’età classica attraverso la mitica figura di un viandante che è al contempo un legato e un mercante, e intorno al quale l’autrice costruisce un ragionamento appassionante sulle specificità del viaggio marittimo in età antica, tra pericoli e imprevisti, portando alla luce alcuni topoi che accomunano il viaggiatore di allora a quello odierno.

    E proprio il mare costituisce l’elemento fisico che segnava, e segna ancora oggi, una frattura fra l’Europa e il suo altrove: una barriera che divideva ma che poteva anche unire secondo Luisa Carbone, la quale avvalora la sua tesi presentando il viaggio compiuto dall’Emiro Druso, Fakhr ad-Din al Ma’ni II, in Italia tra il 1613 e il 1618. Uno sguardo orientale sul nostro occidente che capovolge le consuete direttrici di osservazione, mostrandoci quanto sia complesso e non univoco il rapporto che sussiste tra le due rive opposte del Mediterraneo.

    All’interno di una prospettiva storica del viaggio non si può certo prescindere dal potere attrattivo che la nostra penisola ha esercitato fin dal Medioevo sull’immaginario degli uomini europei, finendo col richiamare sulle strade italiane diverse tipologie di viaggiatori che vedevano la città eterna come meta eletta.

    È, appunto, il grande tema del viaggio a Roma a costituire una direttrice intorno alla quale diversi autori del volume hanno concentrato il proprio interesse.

    Giovanna Santini ed Elisa Verzilli, ad esempio, hanno puntato l’attenzione sulla figura dei romei, mostrando come il flusso costante di pellegrini e viaggiatori medievali diretti verso la Città Santa abbia contribuito alla fortuna di alcuni luoghi che, posti sulle maggiori vie di transito, sono entrati a far parte del repertorio toponomastico della letteratura latina e romanza medievale; una ulteriore testimonianza di quanto lontane siano le radici di una tradizione odeporica romana, comune e transnazionale. Una prospettiva, questa della contaminazione linguistica in età medievale, e legata alla fenomenologia del viaggio, che viene affrontata anche da Costanza Cigni, la quale riflette su situazioni di intercultura e interferenze attraverso la linguistica e la filologia germanica, sulla base di un resoconto steso da un viaggiatore tedesco del XV secolo, un certo Georg von Ehingen, cavaliere svevo al servizio degli Asburgo che peregrinò per diverse corti europee, giungendo persino in Terra santa.

    Nel Medioevo – lo sappiamo – erano numerosi i viaggiatori che animavano le strade d’Europa, soprattutto pellegrini in cammino verso le mete sacre più famose del tempo, per sciogliere un voto o anche perché chiamati da Dio. È questo il caso di Margery Kempe esposto da Daniela Giosuè: una pellegrina inglese che, a cavallo tra il XIV e il XV secolo e a seguito di un’esperienza mistica, giunse a Roma, tappa centrale di un lunghissimo viaggio che l’aveva già portata a Gerusalemme e che l’avrebbe poi condotta fino a Santiago de Compostela; uno straordinario esempio di spiritualità medievale utile per tracciare l’itinerario devozionale che univa i luoghi santi della cristianità.

    Un movimento, quello verso Roma, che in piena Controriforma registrò un deciso incremento con l’elevazione della capitale pontificia a centro della politica continentale, diventando principale destinazione anche per principi e ambasciatori che vi giungevano per riverire il Pontefice, capo indiscusso della chiesa cattolica: una dinamica in cui rientra l’ambasceria – presentata da Carlo Pelliccia – compiuta dagli inviati giapponesi, arrivati in città nel 1585 per «rendere ubidienza a Sua Santità».

    D’altra parte, per tutto secolo successivo, la corte romana avrebbe rappresentato il fulcro della diplomazia del vecchio continente; una città dalla quale partivano particolari ambasciatori – i nunzi pontifici – alla volta delle maggiori capitali d’Europa per rendersi attori protagonisti della politica continentale. È il caso riportato da Alessandro Boccolini, il quale focalizza la propria attenzione sul viaggio compiuto nel 1673 da Monsignor Buonvisi da Colonia a Varsavia in qualità di nunzio straordinario, inviato con l’obiettivo di riappacificare una Rzeczpospolita divisa dopo l’elezione del nuovo re Michał Korybut Wiśniowiecki, e minacciata dalla potenza ottomana desiderosa di entrare in un regno considerato all’epoca l’ Antemurale Christianitatis per eccellenza.

    Un rapporto quello tra Roma e la Polonia che torna anche nel testo di Gaetano Platania che lo declina rendendoci partecipi delle vicende avventurose e drammatiche vissute dal principe polacco Aleksander Sobieski, giunto a Roma in compagnia del fratello Konstanty, sulle orme della madre Maria Kazimiera già esule nella capitale pontificia dopo la morte del grande Jan III: pagine intense che si snodano tra il viaggio compiuto dal giovane verso la città eterna, il suo rientro in patria dopo la destituzione del re polacco, la prigionia dei fratelli, la sua fuga, e il definitivo ritorno tra quelle mura papaline dove avrebbe trovato di lì a poco una prematura e illacrimata morte.

    Anche Raffaele Caldarelli insiste sul legame che unisce da sempre la penisola italiana al paese centro-orientale. Lo fa presentando la storia di Józef Dużyk, bibliotecario del centro studi romano dell’Accademia Polacca delle Scienze tra il 1974 e il 1982, e autore di pregevoli scritti dedicati all’Italia: su tutti W ędrówki włoskie (Vagabondaggi Italiani), un’opera all’interno della quale si avverte nitido l’eco di un viaggio nel Belpaese compiuto assieme alla famiglia in una calda estate del 1981; un insieme di pagine dense di rimandi e suggestioni colte che rinviano alla passione del loro autore verso la nostra cultura, utili ad investigare forme e motivi della tradizionale fascinazione esercitata dall’Italia sul mondo polacco.

    Del resto la Penisola italiana è stata per secoli l’approdo naturale per quanti viaggiavano attraverso il continente mossi da sensibilità artistica: qui trovavano non solo ispirazione ma anche la solidarietà di una comunità internazionale di artisti con cui poter scambiare idee, conoscenze ed esperienze. È il caso dell’inglese Richard Symonds, di cui ci parla Simona Rinaldi, uno studioso di genealogia, araldica e di tombe medievali inglesi, che soggiornò nella città eterna tra il 1649 e il 1651. A Roma, l’erudito ebbe modo di studiare le tecniche della pittura a olio, del disegno e dell’incisione, ma soprattutto di venire a contatto con le maggiori personalità che animavano l’ambiente artistico romano, tra tutti il francese Nicolas Poussin. Una intensa parentesi di vita dettagliatamente riportata nei suoi taccuini di viaggio, oggi conservati presso la British Library di Londra e la Bodleian Library di Oxford.

    Dall’esperienza condotta da Symonds a metà Seicento, la passione suscitata dall’Italia sull’animo degli stranieri – e inglesi in particolare – sarebbe cresciuta enormemente nel secolo successivo; di lì a poco, infatti, sarebbero stati numerosi i viaggiatori che decidevano di attraversare la manica per giungere nella nostra Penisola. Un flusso in costante aumento che Elisa Chiatti ripercorre sulla scorta delle esperienze condotte da alcuni viaggiatori britannici, il cui interesse archeologico verso i misteri di un’Italia minore contribuì alla nascita della moderna etruscheria.

    Oltre che per gli europei, la città eterna era una meta tanto agognata anche da artisti e letterati nostrani, attratti dalle diverse possibilità che una città cosmopolita come Roma poteva offrire loro. Tuttavia, non tutti riuscivano a trovare un felice riscontro alle grandi aspettative covate prima di varcare le mura cittadine. È il caso – ricordato da Filippo Grazzini – di Vittorio Alfieri, il quale ebbe modo di soggiornare nella capitale pontificia più volte nel corso della sua esistenza: un articolo che ci accompagna dal primo viaggio romano del tragediografo, quando giovane e inesperto del mondo dimostrava di non possedere gli strumenti adeguati per apprezzare «quell’ammirabile riunione di cose sublimi», fino ai soggiorni successivi compiuti da «uomo libero e cosmopolita» che aveva maturato, durante il suo viaggio europeo, quell’avversione nei riguardi di ogni forma di assolutismo, compreso quello pontificio.

    Un tour condotto sull’asse Europa-Italia che ha contributo a creare un immaginario del Belpaese ancora oggi molto forte, presente e ben radicato nella coscienza collettiva dell’uomo contemporaneo; un fenomeno tanto vero se consideriamo, come verifica Giovanni Fiorentino, con quanta efficacia alcuni luoghi mitici che hanno segnato la grande stagione del viaggio in Italia tornano come testimonial nelle pubblicità dei marchi italiani più famosi al mondo – emblematico il caso di Capri per D&G –. Tuttavia, al fascino che il nostro paese tuttora esercita sull’animo degli stranieri, sembra mancare una mirata strategia capace di raccogliere il testimone lasciato da una storia secolare, mancando l’opportunità di fare del turismo una solida base per il rilancio economico di un territorio. Una riflessione che emerge dal contributo di Alba Graziano, la quale ci mostra (con amara ironia) tutta l’inefficacia della segnaletica ad uso del turista presente nella penisola italiana, facendo emergere i limiti di un paese che stenta ad aprirsi ad un’Europa in cui l’inglese è ormai la lingua franca riconosciuta. Un ritardo linguistico che per Sonia Melchiorre può essere colmato attraverso un nuovo approccio alla lingua straniera in grado di avvalersi delle numerose opportunità offerte dal mondo della comunicazione, come comprova il grande successo di pubblico riscontrato da programmi radiofonici, quali Rock in Translatione e Traduzioni Pericolose, con le loro traduzione di brani rock inglesi.

    Un’integrazione europea, dunque, che deve necessariamente passare attraverso politiche attente e mirate, soprattutto rivolte alla formazione di un cittadino d’Europa che sappia riconoscere l’incontro tra culture diverse come un valore assoluto; un obiettivo cui concorrono alcune pratiche comunitarie già per altro attive quali, ad esempio, l’Erasmus. Una pratica formativa alla quale ricorre oggi un numero sempre maggiore di studenti europei, e che Gabriella Ciampi prende come pretesto per presentare ciò che definisce Erasmus dei ragazzi italiani, ovvero il viaggio di formazione compiuto nell’Ottocento da quei giovani che sarebbero poi stati i grandi protagonisti del nostro Risorgimento, Cavour, Sella e Santarosa, su tutti. Il passaggio dall’età adolescenziale a quella adulta, le illusioni e le disillusioni, il continuo contrasto di emozioni, la comparazione tra realtà diverse, sono solo parte degli elementi che emergono dalla lettura delle scritture private di questi giovani uomini in viaggio per l’Europa, all’interno delle quali era, tuttavia, già chiara la volontà di rendersi protagonisti, una volta tornati a casa, in una nazione tutta da costruire.

    Non solo viaggi al maschile, il volume, al contrario, raccoglie numerose testimonianze di esperienze condotte da donne: un universo variegato per epoche e tipologie di viaggio e viaggiatrici.

    Troviamo, ad esempio, il viaggio nuziale presentato da Francesca De Caprio, la quale ricostruisce le tappe dell’itinerario che portò Maria Ludovica Gonzaga Nevers da Parigi a Varsavia dove l’attendeva il re polacco Ladislao IV Wasa: una viaggio al cui seguito troviamo un gran numero di servitori, carrozze, lettighe e carri per i bagagli; un muoversi faticoso e lento, per via delle strade disagiate dovute alla mancanza di strutture ricettive, ma anche per gli effetti devastanti sul territorio provocati dalla guerra dei Trent’anni.

    Interessante è poi il caso odeporico della viaggiatrice romantica George Sand raccontato da Anna Lo Giudice: le sue Lettres d’un voyager non solo racchiudono l’esperienza di viaggio condotta dalla donna in diverse parti d’Europa nell’arco di due anni e mezzo, ma è unanimemente considerata dalla critica come una delle opere migliori della stessa scrittrice. Pagine intense con le quali l’autrice sonda costantemente le profondità dell’animo umano, agevolata in questo suo percorso dall’idea di un viaggiare inteso come prova e passaggio d’iniziazione per l’esistenza di un individuo.

    È poi singolare la riflessione sul viaggio al femminile condotta da Selena Perco attraverso l’analisi della visita romana di Madre Janet Erskine della Società del Sacro Cuore, ad inizio Novecento: un esempio che marca il ruolo avuto dal viaggio nella vita delle religiose, soprattutto in relazione alla loro emancipazione nei confronti di alcuni vincoli sociali tradizionali.

    Senza dubbio indipendente era, invece, Marguerite Yourcenar. Dal ritratto offerto da Maria Cristina Baleani emerge l’immagine di una scrittrice cosmopolita e in continuo movimento. Definita viaggiatrice cronotopica, perché curiosa, organizzata e appassionata, ma soprattutto perfettamente in grado di muoversi con la propria odeporica nello spazio e nel tempo, e insieme dentro e fuori di sé.

    È con la sua esperienza e la sua letteratura che si apre l’ultima sezione tematica del volume, una parte che volutamente si focalizza sull’odeporica come genere letterario, portandosi dietro una riflessione sul modo di intendere e vivere l’esperienza di viaggio nel terzo millennio.

    Stefano Pifferi, ad esempio, riflette sul caso offerto da Wu Ming 2 – componente del collettivo di scrittori nascosti Wu Ming – con il racconto di un viaggio realmente condotto lungo la tradizionale direttrice appenninica che unisce Bologna a Firenze. Ricordi, storie e memorie ataviche dei luoghi attraversati, emergono all’interno di una scrittura dalla quale si avverte ancora intatta la forza intatta del genius loci, e con essa viene ribadita l’opportunità per l’uomo contemporaneo di riappropriarsi delle antiche forme di un viaggiare lento in una completa armonia con gli spazi attraversati; un’interessante prospettiva che ricolloca il viaggiatore e la narrazione di viaggio sul solco della tradizione odeporica d’età moderna in cui la scrittura si poneva come medium tra l’individuo e l’altro da sé.

    Differente è la linea tracciata da Cristiano Politini e Federica Gallotta, i quali si soffermano con grande attenzione nell’analisi dei nuovi modi di concepire e vivere il viaggio in una società iperconnessa quale è quella attuale: intorno a ciò, gli autori delineano la fisionomia del nuovo viaggiatore 2.0, riflettendo e presentando le modalità – tra siti web, app, travel blog e social network – che permettono oggi di condurre un’esperienza di viaggio condivisa e creare un racconto odeporico pensato per essere seguito. Certamente una delle nuove frontiere dell’Odeporica.

    Alessandro Boccolini


    [1] Ricordo che questo grecismo coesiste con letteratura di viaggio, più vicino all’etichetta inglese travel literature.

    [2] Rimandiamo il lettore non specialista che fosse indotto da questo volume a tentare un approccio più ampio alla tematica alle indicazioni fornite da Gaetano Platania nella Premessa in Viaggi e viaggiatori nella Tuscia viterbese. Itinerari di idee, uomini e paesaggi tra età moderna e contemporanea, a cura di A. Boccolini, Viterbo 2015, p. 9.

    [3] Il tema era trattato con particolare intensità in S. Pifferi , Parchi letterari. Viaggiatori, identità dei luoghi, paesaggio e giardini, in Viaggi e viaggiatori, Cit., pp. 255-268; A. Ciaschi – L. Carbone, Modelli e tecnologie per la promozione di Villa Lante a Bagnaia, ibidem, pp. 275-288.

    [4] https://www.artapartofculture.net/2014/11/22/fuoco-e-parole-vaclav-havel-cinque-discorsi-alleuropa/

    [5] Se non è sicura, è considerata comunque probabile da P. Chantraine, Dictionnaire étymologique de la langue grecque, I, Paris 1968, p. 388. Esistono, è vero, anche altre ipotesi, in particolare quella (prudentemente menzionata dallo stesso Havel) che riconduce il nome del nostro continente a forme semitiche (assiro êrêb, aramaico ed ebraico әr ā b tramonto, occidente): cfr. H. Frisk, Griechisches Etymologisches Wörterbuch, I, Heidelberg 1960, p. 593.

    Marguerite Yourcenar, una scrittrice in viaggio nel tempo e nello spazio

    Maria Cristina Baleani

    Marguerite Yourcenar, autrice di Memorie di Adriano, prima donna a essere eletta tra gli Immortali dell’Accademia Francese, fu una straordinaria scrittrice cosmopolita,una cittadina del mondo, o meglio, come amava definirsi, un’intuitiva, sempre in cammino.

    Tutte le foto la ricordano come un po’ corpulenta, solenne e imponente, dedita a esplorare e a viaggiare, a entrare in contatto con gli altri e gli altri paesi, a scrivere e a impregnarsi dei luoghi attraversati, a immergersi nei paesaggi di una natura che tanto amava o di una città di cui rimpiangeva i fasti passati. Diversi video [1] la ritraggono proprio in cammino, all’aria aperta, mentre contempla lo spazio circostante e riflette sul destino del mondo, lei così impegnata nelle lotte in difesa dell’ecologia.

    Per tutta l’esistenza è stata viaggiatrice instancabile, curiosa, organizzata [2] e, soprattutto, appassionata:Nei suoi vari carnets si legge di «mattinate a Villa Adriana; sere innumerevoli trascorse nei piccoli caffè attorno all’Olympieion; andirivieni incessante sui mari della Grecia; strade dell’Asia Minore» [3] o ancora di letture e scritture dentro una carrozza di un treno, momenti e luoghi di ispirazione da cui nascono magistrali descrizioni di paesaggi naturali di un fascino estremo, dalle regioni americane, ai deserti marocchini, dall’organizzato Giappone alla vecchia madre Europa, e soprattutto in Italia.

    Parlare di viaggio all’interno di una riflessione su Yourcenar, implica indagare su vari livelli e contesti contemporaneamente: trattiamo di una scrittrice cronotopica, se così si può dire, che viaggia nello spazio e nel tempo e contemporaneamente fuori e dentro di sé, creando una «spazializzazione del tempo e temporalizzazione dello spazio» [4] . Il viaggio nello spazio ha a che fare con la sua vita, con lo spostamento reale e continuo in molti paesi, ma riguarda anche i viaggi dei personaggi nelle sue opere, come il viaggio nel tempo: Adriano, Zenone e Natahanael, rivivono magicamente nei loro tempi, con un’operazione di tempo ricostruito. Eppure, c’è anche un tempo, proustianamente ritrovato, con un viaggio che riguarda la scrittrice stessa per ricostruire le sue origini, nella trilogia autobiografica, Il labirinto del mondo.

    Un terzo momento della sua scrittura, che focalizza sul viaggio, coinvolge sia i saggi, sia la redazione delle migliaia di lettere inviate in e da tutto il mondo a parenti, amici, conoscenti, editori e collaboratori, molte delle quali obbligatoriamente custodite inedite, per suo volere, all’Università di Harvard, fino al 2037.

    Per investigare sul rapporto tra Yourcenar e il viaggio si può partire dall’ultima opera incompiuta, Il giro della prigione [5] . Nell’aprile 1983, la scrittrice aveva avuto l’idea di un’opera che raccogliesse i resoconti di alcuni suoi viaggi in Giappone, Alaska, California, India, Thailandia, Egitto e Kenya. L’opera, rimasta incompiuta, si comporrà di soli quattordici testi, ma rivela una vera filosofa di viaggio: scrittrice attenta, Yourcenar sa ben intervallare lo sterile resoconto con le osservazioni sull’uomo, sulla cultura, sulla religione dei luoghi che visita, o su grandi temi come l’inquinamento e la fine ineluttabile di un mondo, sempre più veloce e disattento al senso della vita. Il libro è un carnet di ricco di riflessioni sul viaggio e di preziose critiche sulla letteratura, su Mishima o sul poeta Basho, dal quale prende in prestito la frase per aprire il testo:

    Il giorno e la notte sono i viaggiatori dell’eternità…Anche coloro che guidano un traghetto o conducono tutti i giorni il loro cavallo ai campi finché muoiono di vecchiaia viaggiano sempre [6] .

    Uno degli ultimi capitoli riporta la conferenza che Yourcenar tenne a Tokio il 26 ottobre 1982, proprio intitolata Viaggi nello spazio e viaggi nel tempo. Il lavoro si apre con un excursus sulle ragioni del viaggiare che, a suo avviso, sono per guadagno o per avventura, fin da Marco Polo e Ulisse. Non manca la menzione ai viaggi dei monaci per convertire, o dei filosofi greci per la ricerca della conoscenza. In ogni caso, dice la Yourcenar «si tratta di istruirsi sul mondo com’è, e di istruirsi, anche, davanti alle vestigia, su come è stato» [7] .

    Certa che il viaggio è sia una prodezza fisica, sia un’esperienza di estetica personale e momento di contatto con il sacro, ci presenta i due viaggiatori più straordinari delle sue opere: Adriano e Zenone. Leggiamo:

    Nelle mie opere, si impongono soprattutto due viaggiatori. Uno, l’imperatore Adriano, sembra aver davvero posseduto le caratteristiche più essenziali dei viaggiatori di tutti i tempi; uomo d’affari, e uomo di stato mosso da

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