Sogni a Spicchi - La Risposta
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Sogni a Spicchi - La Risposta - Francesco Federico
Indice
I
II
III
IV
V
VI
VII
VIII
IX
X
XI
XII
XIII
XIV
XV
XVI
XVII
XVIII
XIX
XX
XXI
XXII
XXIII
XXIV
XXV
XXVI
XXVII
XXVIII
XXIX
XXX
XXXI
XXXII
XXXIII
XXXIV
XXXV
XXXVI
XXXVII
XXXVIII
XXXIX
XXXX
XXXXI
XXXXII
XXXXIII
XXXXIV
I
Quella notte veramente iniziai a pensare di potercela fare.
Iniziai a pensare che la storia potesse essere cambiata. Che un pronostico apparentemente già scritto in partenza potesse essere ribaltato.
In quella notte magica dello Staples Center iniziai a pensare che un destino di sconfitta potesse essere modificato per il meglio. Sia per i Philadelphia 76ers, sia per me.
Ma evidentemente mi sbagliavo, come spesso accaduto. Nelle successive quattro partite della serie, Los Angeles massacrò Filadelfia e portò a casa l'anello. L'ennesimo e non ultimo della sua storia gloriosa.
Qui in Italia tutti sembravano fare il tifo per i Lakers, tutti fissati con Shaq e Kobe, forse perché Bryant crebbe in Italia, forse a causa del fascino glamour di L.A., non so.
Ma io invece avevo un altro culto.
Si chiamava A.I.
No, no, non mi sto riferendo all'intelligenza artificiale. Quella sigla, A.I., per me e per una schiera di altri fans idolatranti sparsi in giro per il mondo, aveva un unico significato: Allen Iverson.
A.k.a. The Answer a.k.a. Jewels a.k.a. The 3rd Degree a.k.a. Bubba Chuck. Insomma, l'unico, inimitabile fenomeno di Hampton, Virginia.
Il mio idolo assoluto, il giocatore di pallacanestro più entusiasmante di sempre. Allen Iverson era il leader dei Philadelphia 76ers in quella stagione 2000-2001, nonché il miglior giocatore di tutta l'NBA. Ovviamente facevo il tifo per lui e per la sua squadra in quella finale.
Quanto ai Lakers invece, beh, non li ho mai potuti sopportare. Forse per quelle divise giallo-viola così squallide o forse semplicemente avevano la colpa di essere dei vincenti. Ed io ho sempre avuto maggior simpatia per i perdenti, per gli underdogs, per dirla all'americana. Mi riconosco molto di più nei perdenti che nei vincenti, forse perché anche io sono un perdente. Lo sono stato fin dalla mia nascita, anzi fin dal mio concepimento.
Ancora oggi non so mio padre chi sia. Mia madre non ha mai voluto dirmi la verità. Forse lui è morto; forse se ne è andato prima che io nascessi, incapace di assumersi le dovute responsabilità; forse semplicemente sono stato il frutto di un'avventura di una sola notte. Sì, sono un figlio di puttana, e con ciò? Mia madre mi ha sempre voluto tantissimo bene, ha sempre fatto enormi sacrifici per me, non facendomi mai mancare nulla. Ed anch'io le voglio un mondo di bene, più di ogni altra persona. Voglio più bene a lei che a me stesso, probabilmente. Tuttavia il fatto di non aver un padre mi ha causato non pochi problemi. I miei coetanei più idioti me l'hanno fatto pesare durante l'infanzia e l'adolescenza. I ragazzini sanno essere davvero perfidi, anche peggio degli adulti. Ma io ho sempre saputo difendermi alla grande! Non ho mai permesso a nessuno di infangare l'onore mio e di mia madre.
Non ce la passavamo certo bene, economicamente. Anzi, non ce la passavamo bene in alcun ambito della nostra vita, a dirla tutta. Tiravamo avanti con lavori saltuari di mia madre (barista, cameriera, donna delle pulizie, ecc.) e con la misera pensione dei miei nonni, materni ovviamente.
Abitavamo tutti e quattro in un modesto alloggio di edilizia popolare, con un unico bagno a disposizione. Vi erano due camere da letto, una per i miei nonni ed una per mia madre. Io, non appena diventato troppo grande per dormire insieme a mamma, traslocai nel salone, mettendomi a dormire su un letto posto in tale stanza. Oddio, definirlo letto è dir troppo! Diciamo che si trattava di un divano il quale ogni sera andava aperto ed ogni mattina andava chiuso. Veramente scarsa la comodità, ma io mi adattavo. Non potevo fare altrimenti, del resto.
L'unico televisore era presente in cucina, la quale fungeva anche da living room.
Alcuni periodi erano davvero duri. Tuttavia le cose sembrarono cambiare nella stagione 2000-2001.
Ed è proprio questo periodo storico che voglio raccontare.
Nel 2000 io avevo 14 anni, mentre mia madre ne aveva 35. Tuttavia ne dimostrava qualcuno in più, invecchiata precocemente dalla povertà e dagli eventi della vita. Rimaneva comunque graziosa nei suoi lineamenti dolci, con lo sguardo vispo che ha trasmesso anche a me. In quella stagione 2000-2001 le cose iniziarono a migliorare, sembrava finalmente sul punto di girare bene anche per noi. Anche se l'inizio non era stato così promettente. I presagi parevano i soliti, quelli di sempre. Povertà, frustrazione, ansia e paura. Niente di buono per noi. Sconfitta eterna sul parquet della vita.
Nell'estate del 2000 terminai le scuole medie. Dopo tre anni in cui avevo fatto a botte quasi con tutti, saltato numerosi giorni di scuola e litigato con professori e bidelli, riuscii miracolosamente ad ottenere la licenza media, senza essere bocciato neanche una volta! Come feci rimane tuttora un mistero. Magari fu grazie alla mia viva intelligenza, che mi permetteva di imparare nozioni complesse con poco impegno; oppure grazie alla mia innata capacità di arrampicarmi sugli specchi e cavarmela sempre, in qualche modo. Alcune interrogazioni andavano bene semplicemente perché parlavo, parlavo, parlavo, letteralmente rimbambendo i professori di chiacchiere. Sì, sono sempre stato uno sveglio, io!
Queste mie capacità evidentemente riuscirono a sopperire alla mancanza di impegno e d'interesse nonché a limitare le conseguenze negative della mia cattiva condotta.
Ad ogni modo, per me la scuola non serviva a nulla. Non mi piaceva e non m'interessava proprio! Ci andavo soltanto per forza d'inerzia e per far contenta mia madre che insisteva tanto. Pensavo dunque che con la fine delle scuole medie fosse terminata lì anche tutta la mia carriera scolastica in generale. Non volevo proprio andarci più!
Tuttavia, sin da subito, iniziai a ricevere pressioni in famiglia. I miei nonni affermavano che la scuola fosse obbligatoria fino ai 16 anni d'età; erano inoltre convinti che mi sarebbe servita a guadagnare soldi e quindi uscire fuori da un destino di povertà al quale loro si erano ormai rassegnati per sé stessi. Entrambe le loro asserzioni erano complete false, ovviamente. La scuola non è obbligatoria ed è inoltre completamente inutile a fini economici. Mia madre invece la metteva più sul piano emotivo, dicendo che le avrei dato una grossa delusione non iscrivendomi a scuola ed affermando che, al contrario, lei sarebbe stata molto contenta e fiera di me se io avessi frequentato un buon istituto superiore, magari impegnandomi anche un po' per ottenere buoni voti. Evidentemente mia madre sapeva quali tasti toccare ed infatti alla fine cedetti, decidendo di iscrivermi a scuola.
Ma quale scuola scegliere, a quel punto?
Mio nonno consigliava caldamente di iscrivermi all'istituto professionale per ottenere la qualifica di operatore elettrico.
Diceva che mi sarebbe stato molto utile per trovare un buon lavoro quando sarei diventato adulto. Ma a me non interessava proprio, né della scuola né del lavoro né della mia vita adulta. Magari non ci sarei proprio arrivato all'età adulta.
Le uniche cose che mi interessavano a quel tempo erano due, in quest'ordine: pallacanestro e ragazze. Diciamo che volevo fare canestro in vari ambiti, eh eh.
Quindi la scelta della scuola in cui iscrivermi avrebbe dovuto tener conto principalmente di questi due aspetti. Per vari motivi scartai i licei ed alla fine la mia scelta cadde sull'istituto agrario. Mi sembrava una buona scelta. Si trovava relativamente vicino a casa, bastava superare il blocco di palazzi popolari e lo trovavi lì; vi era una discreta presenza di ragazze e, cosa più importante, era presente una palestra con campo da basketball. Insomma, se proprio avessi dovuto iscrivermi, quella mi sarebbe sembrata la scelta più ragionevole e conveniente. A settembre dunque mi presentai in classe per il mio primo giorno nella nuova scuola. Ma gli inizi furono terribili! Le lezioni si rivelarono più ostiche del previsto, le ragazze non erano un granché e nessuno dei miei ex compagni delle scuole medie era iscritto lì. In classe mia conoscevo soltanto un paio di ragazzi che abitavano qualche palazzo più in là rispetto a dove alloggiavo io; tuttavia non si può dire che fossimo amici.
Ovviamente non mancarono i problemi relazionali. Fin da subito, fui preso di mira da qualcuno a causa della storia di mio padre, oltre al fatto di indossare, in pratica, sempre gli stessi vestiti poiché non potevo permettermene di nuovi. Ben presto vennero le risse, spesso le davo, ma a volte le ricevevo anche e tornavo a casa con qualche escoriazione o ferita. Mia madre non si sorprendeva più di tanto, ormai era abituata; invece mio nonno imprecava e mia nonna piangeva. Mia madre tuttavia riusciva a dare forza a tutta la famiglia. Insomma quei giorni d'autunno del 2000 sembravano quelli soliti, di una vita che non sarebbe cambiata mai. La frustrazione e la rabbia erano spesso presenti in me.
Menomale che c'era la pallacanestro a tirarmi sempre su il morale. Tra me e questo sport fu amore a prima vista. Fin dalle prime volte che, da bambino, vidi una palla a spicchi mi entusiasmai. La mia città aveva una miriade di difetti, ma almeno sulla pallacanestro si difendeva piuttosto bene. Vi era una buona cultura del basket ed un discreto interesse. La pallacanestro era il secondo sport più seguito in città, dietro soltanto al calcio, primo anche qui (come del resto in ogni parte d'Italia, ahimè). Io invece ho sempre trovato noioso il calcio. La pallacanestro invece, beh, è tutta un'altra storia. Un'eccitazione continua che dura dal primo all'ultimo secondo, un gioco veloce ed avvincente. Tutto il contrario del calcio, insomma. Non perdevo occasione di guardare le partite di pallacanestro nelle purtroppo rare occasioni in cui veniva trasmesso in televisione. Inoltre di solito le partite mandate in onda in Italia erano quelle delle nostra nazionale e dei clubs del campionato italiano. Non che mi dispiacesse, sia chiaro. Il basket è sempre bello. Ma io volevo di più, io volevo i migliori, io volevo l'NBA.
Dopo aver visto su telemontecarlo Michael Jordan e Scottie Pippen in azione nella finale tra Chicago Bulls ed Utah Jazz la pallacanestro italiana mi sembrava di un livello troppo inferiore, quasi un altro sport. Purtroppo però ad un certo punto smisero di proporre in chiaro le partite NBA, le quali divennero quindi accessibili soltanto agli abbonati della pay-TV. Ad ogni modo, io cercavo di consolarmi con la leggendaria rivista Magic Basket, la quale proponeva storie ed aggiornamenti da oltre-oceano. Purtroppo però i soldi per comprarla non sempre c'erano e mia madre inoltre appariva piuttosto riluttante ad acquistarla. Le sembravano denari buttati. Lei riteneva che non valesse la pena sacrificarsi e lavorare duramente per poi sprecare la paga di un paio d'ore di lavoro in un modo così inutile. Dal suo punto di vista, magari aveva pure ragione. Dal mio no.
Ma comunque finiva sovente con l'acquistare questa rivista e portarla a casa, per farmi contento. Spesso tornavo da scuola e trovavo Magic Basket sulla sedia dove mi sarei accomodato per pranzare. Appena andavo a sedermi, la vedevo ed iniziavo a sprizzare gioia da tutti i pori. Andavo da mia madre e l'abbracciavo. Anche lei era molto felice. Ci accontentavamo di poco, a quei tempi.
A parte ciò, comunque a mia madre non piaceva l'idea che mi interessassi così tanto di pallacanestro. Anche i miei nonni erano contrari. Tutti quanti cercavano di dissuadermi e di farmi concentrare su cose secondo loro più importanti, come ad esempio la scuola. Ragionando per stereotipi, loro mi consideravano troppo basso per praticare la pallacanestro ad alti livelli. Erano convinti che tutti i giocatori di basketball dovessero necessariamente essere alti almeno due metri. Secondo me si sbagliavano, ovviamente. È vero che non sono mai stato un gigante, ma credevo lo stesso di potermi esprimere a buoni livelli di gioco. Non contano solo l'altezza e la stazza fisica, nella pallacanestro. Il talento, la grinta, la determinazione, la sagacia e la fantasia sono ugualmente importanti, se non di più. E poi, gli esempi a cui ispirarmi certo non mancavano. Ne avevo visti tanti di piccoletti capaci di tener testa ai giganti, sia in Italia, sia negli Stati Uniti. Il primo che immediatamente mi viene in mente è Muggsy Bogues, protagonista di uno dei miei film preferiti all'epoca, Space Jam. Muggsy è alto solamente 1 metro e 60 centimetri, ma ciò non gli ha impedito di giocare nell'NBA, tra l'altro ad ottimi livelli. Earl Boykins giocava anch'egli nell'NBA.
Poi ovviamente c'era lui, il mio idolo Allen Iverson. Un talento immenso concentrato in poco più di un metro ed ottanta centimetri. Insomma, le perplessità dei miei parenti erano ridicole.
II
Mia madre non voleva che io andassi troppo in giro. Preferiva che dopo la scuola stessi a casa, sia per la compagnia sia per proteggermi da eventuali brutti giri ed amicizie pericolose. Il mio quartiere infatti era carente in molte cose, ma i criminali di certo non mancavano. Si spacciava droga ad ogni ora e di tanto in tanto qualcuno veniva arrestato, anche all'interno del mio palazzo. Una volta vi fu persino una sparatoria, nei pressi del palazzo di fronte al nostro. Per un periodo tutto il quartiere venne invaso da forze dell'ordine. Si pensava ad una possibile escalation di violenza. Dopodiché, cessata l'emergenza, le forze dell'ordine non si fecero più vedere, se non raramente;