La felicità è nelle tue mani
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La felicità è nelle tue mani - Daniele Lapenna
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Contenuto e scopo del libro
Con questo libro, il sottoscritto non vuole mostrare la presunzione di sostenere d' esser il miglior individuo nel poter esporre al meglio il Buddhismo, ma il desiderio di infondere la propria conoscenza in merito a una delle filosofie più seguite, più idealizzate, più mal comprese e più ridicolizzate del mondo. Già, perché vedere statue del Buddha ricoperte d' oro, o custodi di templi buddhisti che impongono un' offerta per entrarci, oppure vedere persone a mani giunte circumambulare che ripetono, per diverse volte, richieste di aiuto al Buddha, è solo una ridicolizzazione del pensiero originario di Siddhārtha.
Le nozioni riportate nel documento sono spiegazioni, in veste moderna, dei testi tratti dal Canone Pāli Buddhista. Le considerazioni inserite possono esser interpretate come consigli e come una specie di scambio di idee perché, nella vita, non c’è un’età in cui si potrà dire "Ho imparato tutto ciò che c’era da imparare", qualsiasi età si abbia. l'assenza di presunzione dall'identificarsi come saggio, come individuo integerrimo, è alla base del corretto apprendimento delle vere cause di tutto ciò che ci accade nella vita.
Questo libro non è un punto di arrivo, ma un punto di partenza che è stato arricchito con lo scambio di discussioni costruttive intercorse con altre persone e, mi auguro, con chi avrà il piacere di leggerlo. La vita è un continuo scambio di informazioni, di valutazioni e idee sul miglior modo di vivere una vita serena.
Lo scopo del libro è di spiegare, nel modo più semplice possibile, il cuore degli insegnamenti antichi del Buddha - i quali sembrano i consigli di un amico, di un genitore e, a tratti, anche di uno psicologo - adattandoli alla nostra epoca.
Ad oggi, sono in pochissimi ad aver letto i sutra che raccontano la vita e gli insegnamenti del Buddha (si tratta di oltre diecimila scritti) e quindi si studia il Buddhismo da autodidatti sulla base di libri, talvolta ben scritti altre volte palesemente discordanti dalla verità, o anche da articoli sui vari siti web. Cosa c'è di vero? Cosa non viene spiegato? Qual è il significato di certi insegnamenti? Come applicarli al giorno d' oggi? Ma soprattutto, è una religione?
Già il pensare al Buddha come una divinità è un errore, così come lo è il considerarlo un guru saccente che ha voluto creare un dogma per elevarsi spiritualmente e materialmente su chi lo credeva santo.
I testi del Canone Pāli, che raccolgono i discorsi del Buddha, sono testi storici e non religiosi: riportano i nomi di imperatori e personaggi realmente esistiti nell'India del VI secolo a.C., oltre che a descrivere molto bene i suoi insegnamenti e il suo modo di pensare. Fa un effetto strano leggere che egli stesso ammoniva dal non considerare il suo insegnamento come dogma, invitando a vivere la propria vita e imparare da essa. Non obbligava nessuno a seguirlo, a differenza di altri personaggi storico-religiosi.
Quando un asceta si recava da lui chiedendogli di spiegare il suo insegnamento solo per avere un nuovo dogma in cui credere ciecamente, il Buddha o non rispondeva, facendosi passare come colui che non sapeva nulla di ciò che insegnava, oppure faceva notare all'uomo che stava solo cercando un nuovo credo da seguire ciecamente dimenticando che solo nella vita c' era la realtà e la verità. Paragonava i suoi insegnamenti al dito che indicava la Luna: chi era consapevole, seguiva l'indicazione e guardava in direzione della Luna, ma chi prendeva per dogma il suo insegnamento, avrebbe guardato il dito, convinto che esso fosse la Luna.
La domanda che molti di voi si porranno è "a che può servirmi il leggere i consigli di un personaggio vissuto più di duemila anni fa?. La risposta è
per comprendere meglio quel qualcosa che forse già pratichi da anni, del quale però ignori la sua provenienza". Sono tante le persone che praticano il Buddhismo, ma non lo sanno: stanno attenti a non causare sofferenza alle altre persone, ragionano sulle conseguenze delle loro azioni e parole, oppure evitano di attaccarsi alla vita considerando non eterno ciò che, difatti, non lo è. Se sostieni che niente dura per sempre, che tutto può cambiare, dagli oggetti alle relazioni con le persone, sino alle sensazioni che provi, allora vuol dire che stai praticando l'insegnamento del Buddha senza saperlo.
Il Buddhismo non è un dogma, non impone di credere in un qualcosa, non impone di effettuare certi rituali, ma spiega cosa causa la sofferenza e come la si può, se si vuole, eliminare. Si sono riportate le parole se si vuole
perché molti di noi non vogliono realmente privarsi della sofferenza, convinti o inconsapevoli che essa causa dipendenza, che dà un falso senso alla vita e che permette di sentirsi come i più bistrattati, suscitando (o provando a suscitare) negli altri, pietà e compassione. Il desiderio d' esser compatiti è uno dei tanti ostacoli per raggiungere una piena consapevolezza e, molto spesso, non ce ne rendiamo conto.
Gli insegnamenti non dicono niente di nuovo su ciò che forse noi già sappiamo: più di duemila anni fa, molte persone considerate sagge, sparse per il pianeta, avevano compreso le cause delle sofferenze eppure, oggi, dopo duemila anni, proseguiamo a farci del male, ogni giorno, causando sofferenze a noi e agli altri.
Dov'è, dunque, il problema, se la soluzione per smettere di soffrire e di far soffrire gli altri ce l'abbiamo in mano da millenni? È come possedere la chiave per aprire la porta della nostra abitazione ma non usarla, restando fuori, dormendo sullo zerbino, esponendoci al freddo, al caldo, alla fame, solo perché non abbiamo il coraggio di usare la chiave, o perché abbiamo paura di accettare una qualche verità insita dietro quella porta.
Spesso ignoriamo una verità, ci aggrappiamo a un' idea non vera, fuggendo come un ratto nelle campagne: accade quando diamo per vere informazioni non verificate, quando siamo convinti che un certo comportamento ci faccia bene anche se, dopo, soffriamo, o quando crediamo di non preoccuparci per una persona ma la odiamo ogni minuto del giorno, pensandola continuamente e facendoci del male. Accade in varie situazioni.
Quando invece si ha in mano la verità, accade anche di usarla aizzando, in sé stessi, un sentimento di superiorità sugli altri, anziché aiutarli a capire. Se una persona soffre, essa può provare tristezza e infonderla agli altri, oppure può provare rabbia, causando irritazione anche in chi, apparentemente, par tranquillo. Non è forse vero che quando una persona è negativa o arrabbiata, ci trasmette questa sensazione di agitazione? Non è forse vero che la risata di un bambino ci contagia a tal punto da farci ridere anche se non conosciamo il motivo della sua ilarità?
Chi sa più di un’altra persona, in merito a una qualsiasi disciplina o verità, ha e dovrebbe avere il compito di infondere la sua conoscenza agli altri - sempre con estrema umiltà e assenza di imposizione - in modo da permettere a tutti di apprendere nozioni che potranno esser loro d’aiuto. Colui che ha una conoscenza, ma la tiene per sé, toglie al mondo, e alle persone, una grande ricchezza. Chi invece riceve una verità, deve appurare che lo sia, senza fidarsi ciecamente, ma cercando un riscontro egli stesso: se rifiuta a priori qualcosa di vero, si aggrapperà alla corda della menzogna che, spezzandosi, lo farà cadere nel vuoto. La stessa cosa accade quando ci reggiamo ad una presunta verità: quando scopriremo che è falsa, cadremo con lei, oppure proseguiremo a fingere sia vera, facendoci del male. Evitare l'ammissione di aver un problema è un esempio.
Molti pensatori e studiosi dei secoli passati hanno raggiunto obiettivi straordinari per merito di invenzioni eccezionali frutto delle menti di uomini dell’antichità che hanno iniziato un percorso simile: le informazioni si tramandano, si diffondono e divengono utili all’intera umanità del presente e del futuro. Nessuno ha una verità in mano, ma è la vita stessa a farci capire, con le esperienze vissute, cosa sia utile per noi e per gli altri, e cosa, invece, non lo sia.
Cerchiamo di non lottare a colpi di conoscenza, ma facciamo sì che chi non ha le nozioni che noi abbiamo apprenda ciò che non conosce (senza obbligarlo e senza sentirci obbligati a seguirle, perché ognuno deve sentirsi libero di scegliere per la propria vita), cercando di avere sempre l’umiltà di ammettere ciò che non conosciamo e di rimanere aperti a chi dice di sapere, verificando noi stessi l’argomento, dialogando in modo costruttivo, con uno scambio di opinioni che potrà esser di aiuto a entrambi, con lo scopo primario di evitare una qualunque sofferenza.
Ricordiamo inoltre che non è l'età a fare l'esperienza, ma la capacità di comprendere e imparare dai propri errori, e di essere consapevole delle nostre sensazioni e di quelle degli altri. Ci sono giovani che si dimostrano più consapevoli dei loro genitori, e persone anziane che hanno una saggezza ignorata dai più giovani. La consapevolezza è il mezzo per eliminare la sofferenza presente in noi, e gli errori commessi sono invece gli urti necessari per capire cosa ci ha fatto del male.
Cerchiamo di aver l'umiltà di ammettere i nostri errori, e i nostri errori diverranno i nostri migliori amici.
Lapenna Daniele
Le immagini presenti nello scritto sono prive di copyright e sono state prelevate da pixabay.com
Glossario
GLOSSARIO
attaccamento: incaponirsi nel considerare vero qualcosa che non lo è
arhat: degno di venerazione
, era un maestro spirituale che praticava per sé stesso, per raggiungere la perfetta Illuminazione, seguendo l'insegnamento di un Buddha
anātman: la non esistenza del sé
o insegnamento del non sé
. Il termine ātmansi riscontra anche nei Veda ma nel Buddhismo indica un' identità fissa e immutabile che non è soggetto a nascita
, trasformazione e morte
. Un foglio di carta è anātman, cioè senza un ātman, ovvero senza una identità a sé stante poiché la sua esistenza dipende da molti fattori non-foglio
come (per riportarne alcuni dei tantissimi) il legno dell'albero dal quale è stato ricavato, l'acqua che ha permesso la crescita di quell'albero, il sole, il concime e, andando a ritroso, il seme dello stesso albero, il quale deriva da un' altra pianta, e così via. Togliendo al foglio anche uno solo di questi elementi, esso non esisterebbe. Il foglio esiste grazie agli elementi non-foglio: questa è l' Originazione Interdipendente di tutte le cose. Ecco perché nascita
e morte
sono tra virgolette: senza un sé, niente prende vita da solo perché ogni cosa esistente è una continuazione di un' altro elemento
bikkhu: monaco buddhista
bikkhuni: monaca buddhista
bodhisattva:essere illuminato
, era un maestro illuminato che rifiutava, consapevolmente, di raggiungere il Nirvana (o Nibbana) per restare sulla Terra con lo scopo di proseguire a insegnare la consapevolezza a tutti coloro che non erano ancora illuminati. Tra le varie credenze delle popolazioni dell'estremo oriente, a quei tempi, vi era la rinascita nelle vite future: chi non riusciva a ottenere la completa illuminazione (i dettagli, più avanti) rinasceva sino a quando non l'avesse raggiunta
Buddhismo: termine in uso solo a partire dal XIX secolo per identificare l'insieme degli insegnamenti del Buddha Siddhārtha Gotama. In origine erano denominati Buddha-sasana (Insegnamenti del Buddha
) o Dharma-vinaya (disciplina del Dharma
)
Consapevolezza: vedi presenza mentale
Deva: sono degli spiriti divini. Non sono come quelli occidentali visto che, nel Buddhismo, essi non sono creatori, né onniscenti, né potenti, né perfetti, né superiori. Sono individui che vivono in mondi diversi da quelli della realtà e, vivendo oltre il mondo materiale dove si cade nelle passioni, sono momentaneamente impossibilitati a raggiungere lo stadio di bodhisattva. Nei testi, leggendo attentamente, si intuisce siano raffigurazioni semi―reali delle emozioni degli umani (nei quali sono inclusi gli Illuminati): appaiono per dare consigli, oppure, come spesso accade, per veder distruggere le loro opinioni dacché errate e in contrasto con la realtà. Accade, appunto, perché imperfetti
Dharma (o Dhamma): era inteso l'insieme di tutti gli insegnamenti del Buddha. Quando parlava, si diceva che «Il Buddha sta esponendo il Dharma». Il termine era ed è usato anche per altre filosofie orientali
dharma: nel buddhismo, quando non si fa riferimento all'insieme degli insegnamenti, si intendono gli oggetti mentali. Questi sono composti dai sei organi di senso (occhi, orecchie, naso, lingua, corpo e mente), dai sei oggetti dei sensi (forma e colore, suono, odore, sapore, oggetti tattili e oggetti mentali) e dalle sei coscienze dei sensi (coscienza visiva, uditiva, olfattiva, gustativa, tattile e mentale). Questi tre gruppi vengono definiti i diciotto reami (dhatu).
discriminare: è l'atto con il quale applichiamo delle definizioni a ciò che viene a contatto con i nostri organi di senso. Un esempio: captiamo un odore e affermiamo sia un cattivo odore; un' altra persona afferma sia un profumo buono. In quel momento stiamo discriminando, categorizzando il profumo. Discriminare è, ancora un esempio, paragonare ciò che ci è gradito da ciò che non lo è, ciò che consideriamo brutto da ciò che consideriamo bello. Queste sono definizioni dettate dalle nostre visioni della realtà
dukkha: è la sofferenza, letteralmente significa difficile da sopportare
. Si tratta di una condizione alla quale nessuno può esimersi dal provare, dagli uomini agli animali, arrivando sino ai Deva. Era ciò che portò il giovane Siddhārtha a ricercare la Via del Riveglio, e l'obiettivo del Buddhismo è proprio la sua eliminazione: cessata la sofferenza, si trova (e si trasmette) la pace
pāli: è la lingua nel quale è scritto il Canone Buddhista che comprende tutti gli insegnamenti e le vicende della vita del Buddha. Si tratta di una lingua morta, utilizzata solo nella liturgia, e forse si tratta di un dialetto di una regione indiana parlata ai tempi del Buddha. Si presume derivi dal sànscrito (lingua ufficiale indiana assieme all'hindi), la lingua nella quale sono stati scritti i Veda, i testi sacri indiani.
presenza mentale: si intende l'atto di esser presenti mentalmente e fisicamente nel ciò che si sta facendo. Ad esempio stiamo chiacchierando con una persona ma, dopo un po', smettiamo di ascoltarla, distratti da altri pensieri, e così esclamiamo «Scusami, non ti stavo seguendo». Questa è mancanza di presenza mentale: non eravamo presenti mentalmente in quell'istante, il corpo era lì ma la mente stava viaggiando altrove
sangha: comunità di monaci che seguiva il Buddha
sutta (o sutra): è un testo del Canone Buddhista. Così come, ad esempio, nella Bibbia Cristiana ci sono i vari libri che la compongono (Genesi, Atti degli Apostoli, Apocalisse, etc...), nel Canone Pāli ci sono i sutra, ognuno identificato con un nome che, di solito, è preso dal protagonista della storia raccontata
upekkhā: lasciar andare
o equanimità
. È l'ultimo raggiungimento della Via del Risveglio e viene raggiunto quando si dimora, in ogni istante, nella concentrazione con estrema calma profonda, smettendo di discriminare
visione ristretta: non comprendere le vere cause e conseguenze di un' azione o una parola o un evento. Una persona ci fa notare che abbiamo commesso un errore ma noi ci arrabbiamo affermando che ci ha offeso, prendendocela con lui anziché indagare scoprendo che lo abbiamo realmente commesso, anche se rifiutiamo di ammetterlo, mentendo a noi stessi
Indice
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Momento Presente
« La vita è solo nel momento presente,
anche se la nostra mente viaggia,
inseguendo i ricordi di ieri
o i sogni di domani »
Siddhārtha Gautama
Introduzione
si fa presto a dire Buddhismo
Il Buddhismo viene visto come scienza, filosofia o religione ma, purtroppo, nessuno di questi tre termini è adatto a descriverlo. Il Buddha stesso consigliava di non attaccarsi ad alcuna dottrina, compreso il suo stesso insegnamento.
Non c'è da credere ciecamente in un qualcosa, ma c'è solo da applicare, nella propria vita quotidiana, gli insegnamenti che sono diversamente applicabili ad ognuno di noi, ma che sono uguali per tutti, e hanno,