Storia di Melly
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Book preview
Storia di Melly - Alenia Roianden
incredulo.
Prefazione
Questa è una vicenda nata dalla fantasia dell’autrice e ogni riferimento a fatti e persone reali è puramente casuale.
L’intento dell’autrice è quello di attirare l’attenzione della gente sulla terribile schiavitù che opprime i tanti animali che, nel nostro Paese, vivono tutta la loro esistenza al chiuso, in uno spazio ristretto e incatenati in modo da non consentir loro neppure di potersi voltare. In molti casi la catena scivola giusto la misura che occorre per permettere alle mucche di accucciarsi a ruminare per poter digerire il fieno o il mangime che viene loro somministrato.
Tutto ciò può avvenire perché la legge ancora consente, di fatto, la stabulazione fissa
per i piccoli allevamenti, sebbene questi spesso arrivino a gestire anche un centinaio di capi.
Inoltre, se per le nuove stalle sono stati fissati dei parametri spaziali che tengono, sebbene in minimo modo, conto del benessere animale, ai proprietari di stalle preesistenti all’uscita di detta normativa, si consente di continuare ad allevare il bestiame in spazi inadeguati e con modalità che tengono conto esclusivamente del profitto e della comodità di gestione.
È una grande crudeltà, a parere delle persone civili, far sopravvivere in tale modo animali che ci ricambiano nutrendoci.
marzo 2018
LA STALLA PATARANI
all’inizio della nostra storia
-1-
IO SONO MELLY
Il mio nome è Melly e sono una delle mucche che vivono nella stalla del fattore Mauro Patarani.
In questo momento siamo al completo: otto pezzate rosse e due (io e mia madre) bianche e nere.
La nostra stalla ha due ingressi: uno a est e uno a ovest. Entrando da quello a est, sulla sinistra c’è la porcilaia del maiale Ciccione che vive con noi. La fila delle nostre poste è più avanti, sulla destra.
Io occupo la prima mentre mia madre Lisette si trova nella settima.
Lo spazio nelle poste è scarso e una catena al collo ci permette solo di stare in piedi o di accucciarci per ruminare; né possiamo voltarci perché ci costringe a rimanere sempre nello stesso verso.
Di fronte alle nostre ci sono altre dieci poste, ma il padrone non le fa occupare da altre mucche: quelle che ha gli bastano; solitamente sono ingombrate da fieno e paglia, così non occorre che Gilberto, il ragazzo che aiuta il padrone, corra avanti e indietro dal fienile alla stalla.
Di seguito c’è il recinto per le vitelline da latte. Non che non nascano vitellini… ma quando accade vengono portati via quasi subito. I vitellini qui non restano. Le femmine invece, se c’è una posta libera nella fila sì, e io ne sono un esempio perché sono nata proprio in questa stalla.
-2-
IL PADRONE
Il padrone è… il padrone.
È lui che decide per noi ogni cosa, anche quando arriva il momento di farci procreare. In questo modo possiamo iniziare a dare il latte che lui può vendere, così com’è o trasformato in burro e formaggi.
Puoi restare a riposo solo se sei ancora una manzetta (troppo giovane) o se mancano due mesi al tuo parto e sei in asciutta
. Fare latte è la cosa più importante per noi: se dai abbastanza latte ti tengono nella stalla e ti danno da mangiare. Altrimenti… d’un tratto ti portano via, e chissà dove.
È la nostra grande, silenziosa domanda… ma immaginiamo che non dev’essere un posto migliore di questo.
-3-
Il mio arrivo in questo mondo
Che fortuna per me essere nata nel cuore di una notte d’estate!
Nessuno venne a disturbarci fino all’alba e la mia mamma usò ogni attimo di quel tempo prezioso per prendersi cura di me a suo modo e dirmi alcune cose importanti: Ricordati piccola mia, io sono Lisette, l’unica frisona di questa stalla. Vedi le altre? Tutte pezzate rosse. Tu invece sei come me, bianca e nera. Ricordati questo perché all’alba ci separeranno e io vorrei che al tuo ritorno tu sappia qual è la tua mamma nella fila.
Mi disse questo tra una leccata e l’altra, guardandomi con occhi colmi di struggente tenerezza. Ancora traballante sulle mie zampe nuove di zecca, l’ascoltai fiduciosa ma senza capire il significato di quell’avvertimento; allora non potevo neppure immaginare che avrei dovuto rinunciare per sempre a ciucciare serenamente il suo latte, felice e contenta.
Non sapevo che sarebbe arrivato il tempo amaro in cui avrei ben compreso il senso di quelle sue raccomandazioni, quando di lei avrei potuto scorgere solo il didietro, in fila con tutti gli altri didietro delle compagne.
In quei primi momenti, il suo forte affetto e il mio bisogno di lei erano tutto il mio mondo. Ero tanto, tanto felice, anche se il suo sguardo, a tratti pieno d’apprensione, avrebbe dovuto suggerirmi che quella beatitudine non sarebbe durata per sempre. Ma non ci badai, come potevo senza sapere? C’era la delizia del suo latte, la sua lingua ruvida e calda sulla mia testa e poi giù, sulla mia groppa ancora umida…
Le compagne, accucciate, sembravano aver ripreso a dormire in quel buio quasi completo. Solo il raggio offuscato di uno spicchio di luna attraversava il polveroso finestrone sotto il tetto e, spiovendo su noi due, ci dava l’impressione di essere sole in quel mondo: io e la mia mamma che, col suo verso sommesso, mi sussurrava tante paroline dolci, tutte per me.
Poi… accadde qualcosa.
La luna lentamente si spostò, il suo raggio svanì e, poco prima che le brume dell’alba diradassero le tenebre, un chiavistello stridette fortemente e la porta a ovest venne spalancata.
Così, la mia beatitudine… se ne volò fuori.
-4-
LA MIA PRIMA ALBA
Il chiarore dell’alba penetrò, io strizzai gli occhi e, guardando in quella direzione, vidi stagliarsi in controluce la prima figura umana della mia vita. Quando si mosse udii il suo respiro ansante farsi via via più forte mentre si avvicinava, e provai l’impulso di nascondermi tra le zampe di mia madre.
Il padrone!
muggirono le nostre compagne che, scuotendosi dall’inerzia notturna, una dopo l’altra si rizzarono in piedi, pronte per la prima mungitura. Mia madre diede solo un gemito e, contorcendosi per quanto la catena glielo permettesse, cercò di mettere la sua grossa testa sulla mia piccolina, restando a mezzo, immobile.
Con espressione torva, rabbioso per l’anticipo di quel parto che lui aveva previsto per quella mattina e che invece era già avvenuto senza il suo permesso, l’uomo ci squadrò solo per un istante prima di chinarsi per afferrarmi e tirarmi fuori dal mio rifugio. Quando mi ebbe tra le mani mi infilò una collottola di corda con la quale mi trascinò, traballante com’ero, verso una porta che mi parve lontanissima. Incurante del mio tremare e dei muggiti strazianti della mia mamma, ai quali facevano eco quelli di tutte le altre mucche, il padrone a fatica mi sollevò per lasciarmi cadere in un box pieno di paglia nella quale