La valutazione del capitale di una azienda in crisi
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L'autore
Francesco Ausiello nasce nel 1978 a Capua. Laureato in Economia Aziendale presso la Seconda Università degli Studi di Napoli, si abilita come Dottore Commercialista e Revisore Contabile e diventa Dottore di ricerca in Economia presso l’Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale. Dopo aver conseguito varie specializzazioni ha lavorato prima nell'area contabile e marketing di diverse aziende private e, poi, dal 2005 presso la pubblica amministrazione.
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La valutazione del capitale di una azienda in crisi - Francesco Ausiello
padre
La decisione tra risanamento aziendale, cessione o liquidazione del complesso aziendale
1.1 Liquidazione o risanamento? La scelta deve puntare a valorizzare il capitale aziendale e a massimizzare l’utilità degli stakeholder.
In presenza di una crisi d’impresa, sia che s’intenda procedere alla chiusura dell’attività aziendale e, dunque, alla liquidazione della stessa, che si decida di cedere il proprio complesso aziendale o ancora di tentare il risanamento, sarà necessario stimare il valore del capitale aziendale. Va da sé che per l’importanza assunta dall’impresa nel contesto economico e nel tessuto sociale è d’obbligo quanto meno tentare la via del risanamento e compararla con la più triste liquidazione dell’attività aziendale. Salvare un’azienda e, dunque, promuoverne la sua continuità significa salvaguardare la conservazione del valore aziendale, dell’avviamento, del Know how, del capitale umano, tecnologico e relazionale e tutelare indirettamente i livelli occupazionali e di produzione. A trarne benefici non sarà solo l’imprenditore in difficoltà, ma anche i creditori che tenteranno di recuperare i loro investimenti, i lavoratori che conserveranno la propria occupazione, i fornitori che potranno continuare ad effettuare forniture di beni o servizi e lo Stato; sia direttamente attraverso i prelievi tributari che indirettamente attraverso la tutela della collettività, dell’occupazione e della ricchezza nazionale.
La vecchia legge fallimentare, tuttavia, non contemplava il principio di continuità aziendale né tanto meno le soluzioni concordate come strumento di risoluzione della crisi d’impresa. Si puntava esclusivamente a spodestare l’imprenditore dall’esercizio dell’impresa per soddisfare i creditori, poiché si riteneva che l’imprenditore insolvente andasse privato del proprio patrimonio e che gli unici interessi da tutelare fossero quelli dei creditori. La palese inadeguatezza della legge fallimentare ha portato il legislatore ad intervenire dal 2005 ad oggi più volte sulla materia: prima con il D.L. n. 35 del 14/03/2005, poi D.Lgs n. 5 del 09/01/2006 e ancora con il D.L. n. 78 del 31 maggio 2010 e il decreto sviluppo 83/2012. Il fine ditali manovre è stato quello di individuare all'interno della legge fallimentare delle procedure che permettano il risanamento e la sopravvivenza, quanto meno parziale, dell’azienda. Le procedure legislative attualmente previste dall'ordinamento giuridico, per gestire la crisi d’azienda, mirano a tutelare congiuntamente due interessi primari: il valore dell’impresa e la sua sopravvivenza nel tempo e i diritti dei creditori di veder soddisfatte le proprie pretese. Le soluzioni concordate, ponendo la crisi d’impresa, alla base dell’accordo tra debitore e creditore, permettono di offrire ad entrambi migliori garanzie ed opportunità, soprattutto grazie alla migliore valorizzazione dell’azienda.
Ciò, tuttavia, non significa che la migliore soluzione sia costituita, sempre e comunque, dalle soluzioni concordate, poiché qualora non sussistano i requisiti per un risanamento aziendale e per il ripristino dell’equilibrio economico e finanziario, le procedure liquidatorie costituiranno lo strumento più valido ed efficace per gestire la crisi d’azienda.
Non bisogna, dunque, puntare al going concern
ad ogni costo, ma la decisione tra continuare l’attività aziendale oppure procedere con la liquidazione di questa deve mirare ad evitare sterili distruzione di valore, scegliendo lo strumento che permetta di massimizzare l’utilità totale del bene impresa
e della massa dei creditori 1.
A tal fine, sarà necessario determinare se il valore dell’impresa è maggiore nel caso di interruzione dell’attività e liquidazione degli asset dell’azienda oppure nel caso di risanamento e continuazione dell’attività aziendale. Se il proseguimento dell’attività aziendale, fondato su un valido ed attendibile piano di risanamento, consente di risollevare l’azienda e ripristinare l’economicità, generando flussi, più elevati rispetto quelli generati con la liquidazione, è evidente che bisognerà puntare sulla continuità aziendale, promuovendo il ricorso ad una delle soluzioni concordate presenti nell'attuale legislazione. In tal caso, infatti, i flussi generati consentiranno di soddisfare pienamente i debitori; diversamente, invece, se i flussi rinvenibili dalla liquidazione sono più elevati rispetto al caso di proseguimento dell’attività, bisognerà orientarsi verso le procedure concorsuali basate sulla liquidazione o verso la cessione dell’azienda. Si deve evitare, in altri termini, di procedere alla liquidazione di aziende in relazione alle quali esistono validi presupposti di risanamento e di mantenere in vita aziende ormai dissestate in maniera irreversibile.
E’ doveroso, dunque, procedere ad un confronto tra il valore che assume il complesso aziendale nelle varie ipotesi delineate.
In sintesi :
se il valore aziendale in ottica di continuità > Valore di liquidazione
- CONTINUARE L’ATTIVITÀ AZIENDALE ATTRAVERSO IL RISANAMENTO
se il valore aziendale in ottica di continuità < Valore di liquidazione
- LIQUIDARE L’AZIENDA
Va da sé che, nel caso in cui il valore in ottica di continuità dovesse essere pressoché simile a quello di liquidazione, la scelta tra le due soluzioni sarebbe indifferente.
Un’altra importante valutazione da effettuare, una volta appurata la convenienza di interrompere l’attività in capo all'imprenditore, è quella tra cessione o liquidazione, procedendo ad un confronto tra il capitale economico in caso di cessione e il capitale di liquidazione. Il fatto che