La campanella suona sempre due volte
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La campanella suona sempre due volte - Daniela Mancini
Daniela Mancini
LA CAMPANELLA SUONA
SEMPRE DUE VOLTE
AbelBooks
Elaborazione grafica della copertina e dei disegni Simone Palermo.
Disegni di Franca Iannuzzi.
Proprietà letteraria riservata
© 2018 Abel Books
Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico.
Le richieste per l’utilizzo della presente opera o di parte di essa in un contesto che non sia la lettura privata devono essere inviate a:
Abel Books
via Milano 44
73051 Novoli (LE)
ISBN 9788867522088
I fatti e i luoghi narrati in quest’opera, seppur ispirati alla realtà, sono frutto di rielaborazione della creatività dell’autrice.
Nota dell’autrice
Il lettore si chiederà il perché del titolo: La campanella suona sempre due volte. L’attribuzione del significato è lasciata alla sua libera interpretazione. Sottolinea che la scuola deve offrire la seconda possibilità? Non è mai troppo tardi per istruirsi? La scuola non è un treno che una volta perso non passa più? A me piace pensare che il richiamo ripetuto sia l’invito, aprendo le porte dell’accoglienza, a superare i timori per avviarsi nel percorso della formazione di un cittadino competente e critico. Ognuno scelga i riferimenti secondo le proprie sensibilità e inclinazioni.
Con questo saggio mi rivolgo a tutti, non solo a coloro che hanno a che fare con il mondo dell’istruzione, perché tutti, direttamente o indirettamente ne siamo coinvolti. Sicuramente ciascuno di noi ha comunque ricordi legati ai trascorsi scolastici e non esita a esporre giudizi e confronti tra passato e presente.
Intendo rendere giustizia alle persone che, a vario titolo, vi operano. Offro il mio contributo, come persona di scuola, per tentar di invertire la bassa considerazione che l’immaginario collettivo manifesta della professione di insegnante. Tanto è vero che alcuni di loro, diventati protagonisti di diverse fiction televisive e di film, vengono ridicolizzati per gli atteggiamenti da imbranati; maestre e professoresse sono apprezzate per altre qualità da quelle di docente, magari come investigatrici, mamme, assistenti sociali e così via. È un segno evidente che l’insegnamento non è considerato una professione vera e propria, come quella del medico o dell’ingegnere, piuttosto una sorta di volontariato retribuito che ogni laureato e anche non, saprebbe prestare. Come per insegnare vi è il convincimento che non occorrono doti specifiche, così per organizzare al meglio il servizio, la rappresentazione dei presidi è ancor più dispregiativa; si oscilla dal maniaco all’ignorante, dalla direttrice Geltrude di Gian Burrasca alla Signorina Rottenmeier di Heidi. L’attuale paragone con lo sceriffo non nobilita certo la figura. Tali pregiudizi confluiscono nei luoghi comuni che nella scuola tutti sono vagabondi, godono di tre mesi di ferie e non sono mai contenti!
Mi soffermo sulle difficoltà che oggi si presentano nelle nostre aule e cerco di fornire dei suggerimenti, fondati sull’esperienza, per affrontarle e risolverle. Non è un metodo di sopravvivenza, che sminuirebbe l’opera di quanti si impegnano nel difficile compito di promuovere il sapere nelle generazioni future, quanto un’opportunità per riflettere su come sono cambiati i bisogni degli studenti a cui occorre rispondere. Mi auguro di offrire agli insegnanti degli spunti per trovare soddisfazione nel proprio mestiere, perché la soddisfazione non può che venirci dal successo educativo degli alunni.
Ugualmente si intende porgere l’occasione ai genitori per confrontarsi e anche per sorridere su comportamenti che, pur dettati dalla preoccupazione di voler far del bene ai figli, sortiscono sovente effetti opposti.
Espongo nella prima parte una breve evoluzione del mondo della scuola negli ultimi decenni, sia da un punto di vista normativo, sia nei cambiamenti e aspettative di insegnanti, alunni e genitori.
Con particolare attenzione entro nel merito della riforma, nominata dai suoi promulgatori La buona scuola. Esamino luci e ombre delle norme e delle sue applicazioni, per comprendere le ragioni dell’unanime avversione.
Nella seconda parte affronto la relazione insegnamento-apprendimento e il funzionamento degli organi collegiali, avvalendomi di casi reali per discutere di prassi consolidate che è auspicabile possano trasformarsi.
I PARTE
LA SCUOLA
TRA PASSATO E FUTURO
Il passato è sempre migliore
Ciascuno quando ha superato la soglia della giovinezza inizia a rimpiangere il passato, a trovare e raddolcire in esso esperienze, sentimenti, relazioni che di contro vede deteriorati nel presente. È un processo comune a ogni epoca e a tutte le generazioni.
Se ritroviamo amici che non incontriamo da anni viene spontaneo rivangare episodi di gioventù e lo facciamo con serenità e buonumore, assolvendoci anche per le cose discutibili che abbiamo combinato. Se la nostalgia e un po’ di rimpianto riportano ai tempi trascorsi, senza far perdere il contatto con la realtà, sono sempre benefici e consolatori.
Non si può dire altrettanto se la rievocazione investe la scuola. La severità, la selettività vengono considerate caratteristiche necessarie per essere la vera palestra della vita.
Il rammarico supera l’immaginazione, a questo segue immediatamente il confronto con la scuola di oggi, per alcuni vaso di ogni male e perversione. I genitori trasformano la percezione dei loro mitici anni scolastici in una icona a cui accendono sotto un lumino di devozione e lo ravvivano tutte le volte che per qualche motivo partecipano ai colloqui con i professori o a un Consiglio di Classe.
Gli aspiranti insegnanti che all’inizio della loro carriera pensano di riproporre il modello dei propri che avevano in simpatia, passano dall’entusiasmo alla delusione. Taluni vedono nei propri alunni solo dei giovani da contenere, alcuni sono scoraggiati e convinti di poter educare solo una élite, perché i loro studenti non somigliano più a come erano loro. A quel punto non hanno che due percorsi: resettare il passato e tentare nuove strade per insegnare a chi non vuole imparare o lasciarsi andare al rimpianto di una scuola che non c’è più e finire nella depressione.
Non sarà necessario abbandonare la tradizione, sarebbe rinunciare alla nostra identità, ma per vivificarla sarà bene perlustrare nuove strade.
Qualora il ricordo sia oggetto di riflessione sul nostro bagaglio personale e sull’esperienza di vita, diventa fruttifero e utile anche per i giovani di oggi. È ascoltando le peripezie delle avventure studentesche dei genitori che i figli acquisiscono il senso della storia.
Ieri e oggi. Ogni generazione ha le proprie reminiscenze da raccontare. Gli adulti della mia famiglia mi narravano le storie di guerra, delle lotte sociali, dei sacrifici e delle privazioni della loro gioventù. I ragazzi delle nostre scuole hanno genitori che per fortuna non hanno vissuto queste vicende e i ricordi di scuola diventano la loro epopea. Ciò contribuisce a coltivare la percezione del tempo che passa, che vi è stato un prima seguito da un poi, che il passato non è concluso, ma ci riguarda ancora. Se scaviamo nella memoria o condividiamo l’esperienza di coloro che ci hanno preceduto, scopriremo in noi le loro tracce.
Nell’era digitale dell’immediato, ognuno potrà indugiare a riflettere sulle vicende personali per riappropriarsi del proprio vissuto.
Laddove la nostalgia si fa rimpianto e volontà di ritorno al passato da parte di chi dirige e opera nella scuola, allora cominciano i guai. Le speranze e i sogni sono necessari per andare avanti e progredire, allorché gli diamo voce per tornare a un mondo anacronistico non possono che spingerci verso l’inefficienza e l’inadeguatezza.
Un grembiule non spenge le differenze di opportunità, non integra i compagni stranieri, non fornisce gli strumenti per una comunicazione digitale, tanto meno trasforma le aule in spazi accoglienti e sicuri. Ci vuol altro per rendere i bambini partecipi e non vittime della civiltà globalizzata.
Come siamo arrivati alla scuola di oggi
Molte delle istanze di rinnovamento portate avanti dagli studenti e da gran parte della società civile, in primis dal mondo della cultura, trovarono accoglienza nella legislazione scolastica degli anni Settanta. La contestazione si scagliava contro la scuola, come istituzione chiusa e il nozionismo, in particolare quest’ultimo era stigmatizzato come simbolo della protervia del potere costituito, espressione di una classe dominante meschina, corrotta, nostalgica del passato fascista. Nel contempo reclamava una scuola rinnovata, aperta alla fantasia e alla creatività. Nonostante le proteste degli studenti l’istruzione godeva di grande rispetto, i docenti erano assimilati ai padri e come loro avevano autorità; il lavoro dei bravi insegnanti che si erano guadagnati autorevolezza sul campo non era messo in discussione. Stavano perdendo progressivamente il loro ruolo sociale, venivano comunque percepiti indispensabili e insostituibili.{1}
Quando andavamo a scuola per istruirsi. La scuola era la fonte principale di formazione e informazione per il giovane, intenzionato a trasformarla, fiducioso di riuscirvi. Il patto generazionale tra genitori e maestri rendeva condivisa l’educazione tra gli adulti e si stagliava a bersaglio della ribellione dei figli. L’autonomia di giudizio, lo spirito critico reclamato per il sapere, accentuò il ruolo di mediazione dell’insegnante, con cui gli studenti cercarono alleanza per le loro richieste.
Le tecnologie erano agli esordi, gli strumenti del sapere accessibili per i selezionati dell’istruzione pubblica, percepita come efficiente e qualificata. All’estero i nostri laureati erano contesi, avevano però ancora una possibilità di scelta per accedere al sistema produttivo o alla ricerca nel nostro Paese.
Le riforme di quarant’anni fa rientravano in un clima diffuso di richieste di diritti civili per i quali i cittadini e la cultura si erano mobilitati. Sono gli anni dello Statuto dei lavoratori, della legge sul divorzio, del nuovo diritto di famiglia, della parità di trattamento salariale per la donna lavoratrice e per la tutela della maternità, della legge sull’aborto, della legge Basaglia sulla chiusura dei manicomi.
L’istituzione della Scuola Media Unica aveva rappresentato la volontà politica di educare le