Pizza, pasta e cazettino: Diario di una napoletana emigrante
By Ivana Greco
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Ivana però è forte, è cresciuta a Fanta e vino, ha avuto tante esperienze, mille interessi e attraversato decine di fasi, senza concluderne nessuna.
Stavolta si impegna sul serio, complice una promessa. Si siede nel treno, e scrive. Racconta di ansie, incontri con gli sconosciuti, viaggi, relazioni amorose fallimentari, traslochi, familiari poco ordinari, vicini di casa maleducati, luoghi comuni, sogni infranti e desideri nascosti.
Parla del presente e ogni tanto da una sbirciatina al passato, mentre affronta argomenti scottanti e sempre attuali: l’agitazione da partenza, gli abbinamenti difficili, le diete inutili, i corteggiatori sbagliati, lo shopping superfluo, i venditori ambulanti, i calzini bucati.
Riflette, e non sempre trova risposte. Non può fare altro che andare avanti, e guardare al futuro con occhi pieni di speranza. Vai a vedere che il treno magari arriva in orario.
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Pizza, pasta e cazettino - Ivana Greco
Ivana Greco
PIZZA, PASTA E CAZETTINO
Diario di una napoletana emigrante
UUID: ae550426-be74-11e8-91b8-17532927e555
Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write
http://write.streetlib.com
Un giorno mio padre mi chiese:
Dopo il lavoro passo dal fruttivendolo, cosa vuoi che compri?
E io gli risposi: Quello che preferisci, tranne le pere.
Al rientro a casa si presentò con un chilo di frutta, erano tutte pere.
Dal suo bianco al mio nero. Dal suo nero al mio bianco.
Questo libro è dedicato a lui.
Anni fa un compaesano andò in viaggio di nozze.
Al rientro gli chiesero: Com'era l’America?
E lui: Bella, ma Cimitile è sempre Cimitile.
Ansia
Fiumicino. Stazione di Torre in pietra – Palidoro.
Ore 7:50. Treno alle 8:08.
Vivo in una desolata frazione del comune, ma non sono di qui. Vengo da Cimitile, un paese della provincia di Napoli che in confronto a questo posto, sembra una città metropolitana. Per non farmi mancare nulla, sono anche pendolare. Ogni giorno percorro avanti e indietro più di cento chilometri per andare al lavoro. Spesso per risparmiare vado con il treno. Ma in questa stazione sperduta nel nulla ne passano pochi, e per mezz'ora di viaggio devo alzarmi alle sei. Oggi mi ha detto bene, ho un passaggio dalla stazione all'ufficio, posso prendere il treno successivo e svegliarmi più tardi. Non troppo tardi però.
Arrivo a passo lento alla stazione, ho tutto il tempo, posso fare il biglietto e andarmi a sedere alla mia panchina preferita del binario due, venti minuti prima del treno sicuramente libera, a godermi il venticello che c’è oggi e far asciugare beata il sudore (bambini a casa non lo fate).
Sono placidamente in fila alla biglietteria automatica quando arriva una ragazza trafelata, tremante dalla fretta e dall'ansia. Mi chiede se devo fare il biglietto (no, mi piace fare le file a vuoto, bah). Scalpita. Forse deve prendere il treno diretto a Roma appena annunciato. Facciamo questa buona azione dai, è venerdì e ho tutto il tempo.
«Devi prendere il prossimo treno? Ti faccio passare avanti. »
«No, quello alle otto e zero otto» risponde.
«Ah, c’è tempo!» dico io.
«Sicuro?» chiede lei.
«Mancano venti minuti!» la tranquillizzo.
Ma è poco convinta. Afflitta continua a stare in fila (stai ferma lì che ci sono prima io, ti taglio le gambe che è venerdì). Aspetta triste il turno. Chissà se sa quello che ho scoperto io l’altro giorno, rifletto mentre la osservo. Che se il biglietto costa due ero e sessanta e introduci tre euro rischi di ricevere in cambio dalle due alle otto monetine, ma se ci infili dieci centesimi in più ti dà un praticissimo cinquanta centesimi di resto.
Non ho molta voglia di chiacchierare di problemi pecuniari in realtà. Mi sa che mi defilo. Sono già le 7:55. E poi proprio ieri ho inserito cinque euro e sessanta per avere tre euro e la bastarda me li ha restituiti tutti in cinque centesimi. Mi ha fregato, tiè. Devo ancora affinare la tecnica prima di condividerla con il mondo.
Scappo, si sta facendo tardi. La panchina mi aspetta. Non vorrei rischiare di trovarla occupata. Lascio la ragazza davanti alla biglietteria ancora in agitazione di fronte agli infiniti passaggi che produrranno il tanto desiderato cartoncino.
E così ho incontrato qualcuno peggio di me.
Non l’avrei mai immaginato. Sono più serena. E ho messo la sciarpa che con questo venticello dovesse venirmi un colpo alla cervicale.
L’ansia non ha fatto sempre parte del mio modo di essere. Da piccola ero una bambina come tante, con una grande passione per la scrittura e la poesia.
All'età di nove anni la maestra, sessantotto anni e all'ultimo di insegnamento prima della pensione, assegnò a tutta la classe un tema dal titolo Eccomi in veste di radiocronista per intervistare…
. Tra i tanti personaggi che avrei potuto scegliere decisi di intervistare proprio lei. Immaginai di incontrarla per strada mentre vestita con abiti succinti vagabondava in preda ai fumi dell’alcol dopo una serata in discoteca. Dopo la pensione aveva iniziato a viaggiare in giro per il mondo e a intraprendere uno stile di vita dissoluto. Corredai il componimento con tanto di illustrazioni esplicative. Disegnare è sempre stata un’altra mia passione. Per quel compito mi diede un bravissima
. Le piacque così tanto che poco dopo riassegnò lo stesso argomento e allora scrissi il seguito dell’intervista. Probabilmente voleva sapere come sarebbe andata a finire. Poi alle medie mi sono avvicinata alla lettura. Ogni settimana la professoressa d’italiano attingeva dalla biblioteca della scuola (un armadio a due ante alto sì e no un metro e mezzo) libri a caso che trattavano gli argomenti più disparati, ci imponeva di leggerli nell'arco dei sette giorni e di terminare l’ardua impresa con un riassunto della trama. La settimana successiva ti beccavi un altro volume. Ho avuto serie difficoltà ad apprezzare la scelta educativa, leggere non mi appassionava. Tuttavia, la mia natura precoce di secchiona mi imponeva di svolgere il compito, anche quando a un giro mi toccò tristemente il libro sulle vite dei Santi. Per spronarmi e invogliarmi a leggere mia madre allora ebbe un’idea geniale: bisognava a suo parere partire da scritti semplici, romanzi poco impegnativi ma allo stesso tempo coinvolgenti. Mi comprò un romanzo rosa della collana Harmony. Poi un altro e un altro ancora. A dodici anni conoscevo tutte le posizioni possibili e le location più disparate in cui due innamorati potevano avere un incontro amoroso. Iniziai a collezionarli.
In seguito passai a Le mie prigioni di Silvio Pellico. Altrettanto dissoluto ma in altro senso. La sciagurata madre aveva trovato la strada giusta. Da allora non ho mai smesso di leggere. E di avvertire il bisogno di scrivere.
Cominciai a inventare favole per bambini. Mi muovevo a tentoni nel modo della scrittura senza una meta precisa. Decisi di redigere l’opera che avrebbe suggellato le mie doti di romanziere, assurgendomi all'olimpo degli scrittori di fama: un romanzo giallo. La trama era chiarissima nella mia mente: quattro amiche, compagne di scuola, si perdono di vista. Si ritrovano