La signora magica: Inghilterra 1880
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Ma la forza d'animo e il carattere solare della ragazza non ci mettono molto ad aprirsi un varco nel cuore del marito che, a poco a poco, finirà per avvicinarsi a lei, nonostante le proprie riserve.
Quando i due cominciano ad innamorarsi l'uno dell'altra, il passato tornerà a minare le fragili basi, sulle quali i due giovani stavano costruendo la loro unione.
Riusciranno il coraggio di Anaïs e la forza di William a superare gli ostacoli che il destino continua a mettere sulla strada che porta alla felicità?
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Book preview
La signora magica - Simona Fagiolini
L’AUTRICE
Uno
Silver Hill
07 maggio 1880
Le mani aggrappate alla balaustra appiccicosa di salmastro, il vento mi scompiglia i capelli. Si vedono già le luci della città in lontananza. Domani mattina sarò a casa, in Inghilterra. Casa, certo, lì è dove sono nata e ho vissuto fino a quattro anni, lì ci sono le tenute che appartenevano alla mia famiglia, ma io non ho alcun ricordo di quella terra, per me è solo un luogo sconosciuto, una meta ignota. Il mio umore sta diventando sempre più nero man mano che la notte si infittisce. Mio padre mi diceva sempre quando ero depressa ‘Su con la vita! Non essere pessimista come tua madre, non lo vedi che la vita è meravigliosa? Sei bella, ricca e giovane, l’avvenire per te non può che essere pieno di gioia! Ricordati, la vita è un dono stupendo!’
Che ironia che proprio lui abbia deciso di uccidersi sei mesi fa, non prima di avermi annunciato il mio imminente matrimonio con un certo Mr Lawrence, un uomo di cui non so praticamente nulla e come se non bastasse ha aggiunto di aver perso tutti i nostri possedimenti a causa di alcuni affari andati male. Quindi non mi è rimasto niente di niente. ‘L’avvenire per te non può che essere pieno di gioia!’
Ho più di qualche dubbio in proposito! Meglio cercare di riposare un po’, domani arriverà presto e sarà una lunga giornata e comunque non posso fermare il tempo, no!
La nave attracca lenta nel porto di Southampton, resto sul ponte a guardare le centinaia di persone che sgomitano per riuscire ad abbracciare i propri cari, parenti, amici, fidanzati. Io non so nemmeno chi sia venuto a prendermi. Forse proprio lui, Mr Lawrence, il mio futuro sposo. Mi faccio coraggio e inizio a scendere lentamente. Non mi sono mai sentita così sola e sperduta in vita mia. Resto impalata in mezzo alla piazza gremita di gente, guardo a destra e a sinistra senza sapere cosa o chi cercare esattamente. La gente continua a spingermi e a urtarmi. Sto quasi per sedermi rassegnata, sul mio bagaglio, quando scorgo un cartello con su scritto ‛Miss Virginia Wenthworth’. Odio quando mi chiamano Virginia, il mio nome è Anaïs, l ’inizio non è dei migliori! Dietro al cartello c’è un uomo di mezza età, calvo e cicciottello, ‘non sarà mica lui?’ penso.
Mi avvicino titubante, poi prendo il coraggio a due mani e dico: «Buongiorno! Io sono Virginia Anaïs Wenthworth».
«Oh! Buon Dio! Siete arrivata infine!» mi scruta un attimo e aggiunge: «ma non dovevate avere 16 anni?»
«Infatti ho 16 anni, quasi 17 per l’esattezza, con chi ho il piacere di parlare?» rispondo piccata.
«Oh! Scusate, sono Mr Weston, il cocchiere e tuttofare, diciamo. Mr Lawrence mi ha mandato a prendervi. Salite sul calesse, io mi occupo dei bagagli». Mi soppesa di nuovo con lo sguardo e aggiunge: «sembrate più giovane!»
Alzo gli occhi al cielo, ma in fondo sono sollevata. Non è lui il mio futuro marito, anche se non sono sicura di potermi sentire sollevata ancora! Il calesse parte sobbalzando, impiegheremo più di 3 ore per raggiungere Silver Hill e io sono già esausta. La scorsa notte praticamente non ho chiuso occhio.
Lasciata la città grigia e sporca, mi perdo a guardare il paesaggio, estasiata. I colori intorno a me raccontano una natura in piena fioritura viva e palpitante. Il verde dei prati è acceso e carico, gli alberi fioriti e rigogliosi. I profumi mi inebriano freschi ed energizzanti. Provo a immaginare i miei genitori quando si incontrarono e innamorarono in questi luoghi magici e ricchi di leggende e, sognando a occhi aperti, mi ritrovo addormentata. Il calesse curva improvvisamente facendomi sbattere la testa sullo sportello. Accidenti! Ci mancava solo un bernoccolo! Mi massaggio la fronte dolorante mentre attraversiamo un enorme cancello in ferro battuto, tutto decorato, che si apre su un bellissimo viale alberato di meli in fiore. Lo stemma del cavallo alato che imprigiona un drago sotto gli zoccoli ci annuncia l’arrivo a Silver Hill, un tempo proprietà della famiglia Wenthworth ed attuale residenza di Mr Lawrence.
Il calesse prosegue spedito su per una lieve salita fino a fermarsi davanti a un immenso palazzo. Una larga scalinata conduce alla porta principale. I ricordi mi piombano addosso improvvisi come una pioggia estiva. Mia madre in cima alla scalinata si china sorridendo e allarga le braccia verso di me che salgo le scale traballante, correndole incontro, le manine tese verso di lei perché mi prenda in braccio. Mio padre mi segue premuroso, temendo uno dei miei continui capitomboli. Avevo circa due anni. Gli occhi iniziano a pungermi e un nodo mi serra la gola, ma non voglio abbandonarmi alle lacrime, non adesso. Mi incammino a testa alta verso la porta, lanciando un altro sguardo allo stemma in bassorilievo sulla facciata. Sotto c’è una scritta ‘mostra ciò che vali’, il nostro motto. Ricordalo Anaïs! Penso. Sulla soglia mi attendono una signora sulla cinquantina vestita di nero con un grembiulino candido e una cuffietta e una ragazza sui 22-23 anni, vestita nello stesso modo.
«Ben arrivata Miss Wenthworth, dovete essere sfinita. Venite, desiderate qualcosa da mangiare o da bere? Oh! scusate, io sono Mrs Potter, la governante e lei è mia figlia Juliet, per servirvi».
«Molto lieta, potete chiamarmi Anaïs, e sì, gradirei un bicchiere d’acqua, per favore».
«Anaïs? Certo Miss Wenthworth, come desiderate. Prego accomodatevi, Juliet vi mostrerà la vostra stanza, così potrete rinfrancarvi, e si occuperà di tutto ciò che vi occorre. Io intanto faccio portare immediatamente i bagagli di sopra».
Seguo la ragazza attraverso un salone enorme in fondo al quale troneggia una scalinata di marmo immensa. Il mio sguardo vaga dal pavimento di marmo lucido alle pareti elegantemente tappezzate, ai giganteschi lampadari. Se ben ricordo a destra si trovano la sala da pranzo e le cucine e, a sinistra, uno studio e la biblioteca dove mia madre amava rinchiudersi per ore intere a leggere i suoi amati libri. Sospiro, scacciando la tristezza e seguo Juliet al primo piano. Su un lungo corridoio si aprono diverse porte. La camera che apparteneva ai miei era quella in fondo.
Juliet apre la seconda porta a destra e mi fa entrare in una stanza luminosissima. Al centro c’è un enorme letto a baldacchino fiancheggiato da due grandi vetrate, dalle quali si esce su un grazioso balcone fiorito. Di fronte al letto c’è il camino acceso, davanti al quale è piazzata una grande vasca da bagno con i piedi di leone dorati. A sinistra una piccola scrivania occupa un lato e dall’altra parte c’è una toeletta con un bellissimo specchio.
La ragazza mi studia un attimo, come per valutarmi, poi si riscuote e si congeda dicendo: «mettetevi in libertà, vi porto subito il bicchiere d’acqua e poi vi preparo il bagno. Con permesso». Fa un lieve inchino e si affretta verso la porta.
«Mi scusi, Juliet», la fermo, «Mr Lawrence è in casa in questo momento?»
«No signora, Mr Lawrence è fuori per affari. Arriverà domani comunque».
«Ma domani non è il giorno delle nozze?» chiedo, non del tutto convinta, forse il lungo viaggio mi ha fatto confondere i giorni!
«Appunto!» risponde lei asciutta, poi si volta ed esce spedita. Ho l’impressione di non piacerle affatto! Mi lascio cadere sul letto avvilita.
Due
Le nozze
Sono davanti alla piccola cappella privata. Le gambe mi tremano. Quando sognavo il mio matrimonio non avevo mai preso in considerazione l’idea che mio padre non sarebbe stato lì per accompagnarmi all’altare. Né tanto meno accarezzavo l’idea di non conoscere affatto il mio sposo. A volte la vita prende strade assurde e imprevedibili. Beh! Comunque ormai è tardi per i ripensamenti. Forza Anaïs fatti coraggio e entra. L’organo inizia a suonare incitandomi a fare il mio ingresso. L’interno è buio e con il velo che mi copre il viso, riesco a malapena a vedere il prete in cima all’altare. Ci sono poche persone forse una ventina e nessuna di loro è una mia conoscenza. Mi decido a lanciare uno sguardo al mio sposo, se non altro per vedere se c’è! Rimango impietrita. È Andrè.
Deglutisco, no non è lui. Sì è biondo, ma un biondo scuro, dorato ed è più alto, con le spalle più larghe. Non riesco a vedere il viso perché è girato dall’altra parte. Accanto a lui c’è un ragazzo con i capelli castani, forse il suo testimone. Non lo vedo chiaramente in faccia, ma sono sicura che mi stia sorridendo. ‛ Almeno una faccia amica!’ penso.
Dall’altro lato della navata c’è una donna sui 30-35 anni, con un vestito strepitoso. Probabilmente è la mia testimone. Raggiungo l’altare con gli occhi incollati al pavimento. Fisso un punto per non svenire, la testa mi gira e ho lo stomaco sottosopra. Beh! Stupida, ormai è troppo tardi, dovevi pensarci prima. Cerco di concentrarmi su ciò che avviene intorno a me, ma è inutile, il mio cervello vaga solitario in qualche luogo oscuro. Un brusio e delle risatine sommesse mi riportano bruscamente al presente.
«Miss Wenthworth, dovete rispondere semplicemente ‘sì’».
Accidenti siamo già arrivati a quel punto?
«Volete voi Virginia Anaïs Wenthworth prendere il qui presente William Lawrence com…»
«Sì!» Rispondo di getto senza far terminare la frase al parroco. Il testimone dello sposo non riesce a trattenere una risatina. Rimango con lo sguardo fisso a terra e le guance in fiamme.
«Allora vi dichiaro marito e moglie. Potete baciare la sposa».
Oddio! Ci siamo. Il mio primo bacio. Certo non è proprio come lo avevo sognato! Davanti a un pubblico di sconosciuti, con un perfetto estraneo. Resto immobile.
Improvvisamente due mani forti e calde mi afferrano le spalle facendomi girare delicatamente verso di lui, mi sollevano il velo e, visto che sono totalmente incapace di muovermi, mi alza il mento con la punta dell’indice, lentamente. Il mio campo visivo inquadra un ragazzo biondo con dei bellissimi occhi verde scuro che mi fissano sorpresi. Ha una leggera barbetta incolta. Dimostra meno di 25 anni. I miei occhi si incollano alle sue labbra carnose e bellissime che, dopo un momento di incertezza, si avvicinano piano al mio viso. Istintivamente chiudo gli occhi ma la sua bocca si appoggia leggera come una piuma alla mia fronte. Dopo di che si volta e viene circondato da una folla di persone che si congratulano e gli stringono la mano. Rimango in disparte, un po’ intimidita, poi il testimone dello sposo si avvicina sorridendo.
«Finalmente ho l’immenso onore di conoscere la giovane e misteriosa sposina! Salve sono Henry Durban, un amico di William, piacere e… congratulazioni!»
Gli porgo la mano che lui avvicina alle labbra senza sfiorarla.
«Mi concedete l’onore del primo ballo?»
«Io veramente non…»
«Penso che il primo ballo spetti allo sposo, se vogliamo seguire le tradizioni, Henry!» Dice William incollando gli occhi nei miei. Avvampo di nuovo.
«Ma fammi il piacere! Questo matrimonio non ha proprio niente di tradizionale», risponde Henry trascinandomi via. «… E poi non venirmi a dire che non avevi mai visto la sposa prima di oggi, razza di ipocrita!» aggiunge senza fermarsi. William sorride scuotendo la testa rassegnato e in quel momento scopro che mio marito ha il sorriso più bello del mondo.
Henry mi guida verso una piccola orchestra che suona un valzer. Visto che maggio ci ha regalato un sole caldo e il profumo dell’erba e dei fiori riempie l’aria frizzante, il banchetto è stato allestito in giardino in modo un po’ anticonformista, ma piacevole.
Iniziamo a volteggiare e lui rompe il silenzio dicendo: «Deve essere dura non conoscere nessuno al proprio matrimonio».
«Beh, in effetti sì! Ma la cosa più dolorosa è non avere vicino i miei genitori, anche se in un certo senso ci sono, visto che sono sepolti qui».
«Già, lo sapevo, mi dispiace tantissimo. Avete già