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In un mare di emozioni
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Ebook81 pages59 minutes

In un mare di emozioni

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About this ebook

Ginevra e Stefano s’incontrano per caso tra le aule dell’università; il loro è un delicato amore cresciuto negli anni come bocciolo di un fiore cullato dal sole e dalla pioggia che lo ha dissetato per poi aprirsi delicatamente, petalo dopo petalo. Insieme, si ritrovano ad affrontare i sentieri irti e dolci della quotidianità. Zahira e Isabella sono le coinquiline con le quali Ginevra condivide l’appartamento presso il quale vive per l’intero percorso universitario. Nasce tra loro un’amicizia senza tempo, solida e intrisa di complicità. Le tre amiche eleggono quella che diventerà “la panchina dell’amicizia” come l’oasi cupa delle loro inquietudini e si promettono che in qualunque posto vivranno, si sarebbero ritrovate lì, potendo contare sempre l’una sull’altra. Come sfondo a questi intrecci vi è il mare che ci rivela uno spaccato delle radici dei protagonisti, dei loro ricordi più cari, di quelle origini dove il presente e passato si fondono, di quell’amore per la propria terra dove il gigante blu che la lambisce contribuisce a esaltarne l’incanto.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateApr 5, 2018
ISBN9788827822494
In un mare di emozioni

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    In un mare di emozioni - IMMA PONTECORVO

    esistenza

    Prologo

    Era una giornata di aprile, di quelle dall’aria primaverile, così dolce e gentile come la carezza di una madre. La natura era tinteggiata da una miriade di sfumature e profumi e il sole riscaldava piacevolmente con i suoi raggi dorati che facevano splendere il cielo di un azzurro intenso.

    Me ne stavo seduta in riva al mare, su questa distesa di sabbia argentata che mi divertivo a far scivolare tra le dita come seta, in ascolto della sua voce, così attraente e, al contempo, impetuosa.

    Chiusi gli occhi inalando l’odore fresco di salsedine sognando di tuffarmi nella profondità di quel mare, nella sua pace anche solo per un giorno.

    Mi sfiorai il ventre e la voce di un bambino mi costrinse ad aprire gli occhi. Avrà avuto all’incirca sei anni, con un berretto giallo in testa girato da un lato e lo sguardo da furbetto.

    «Ciao! Ma dentro la tua pancia c’è un bambino?»

    Lo guardo sorridendo. «Sì! Ma è una bambina!»

    Lo raggiunse la mamma trafelata. «Lo scusi, signora.» Era una giovane donna con le gote rosse per il correre.

    «Non si preoccupi.»

    «E come la chiamerai?» proseguì il bambino tutto eccitato.

    «Alice.»

    «Mamma, mamma, come Alice nel paese delle meraviglie!»

    La mamma gli sorrise e mi guardò.

    «Eh, sì, oramai conosce tutte le favole! La sera non si addormenta finché non gliene racconto una.»

    Sorrisi. Il suono del telefonino mi distolse dal dialogo con quel bimbo e la sua mamma. Stefano mi stava aspettando e mi invitava a raggiungerlo per la scelta delle tende che volevo acquistare. Così, mi alzai, pur se svogliatamente, salutai con affetto quel bambino dagli occhi vivaci insieme alla sua mamma e m’incamminai verso la mia auto.

    La nostra storia d’amore era cresciuta negli anni come il bocciolo di un fiore, cullato dal sole e dalla pioggia che lo ha dissetato, per poi aprirsi delicatamente petalo dopo petalo.

    Alice era l’anima del nostro amore.

    Quando iniziai a pensare a una maternità, presi a scrivere su un quaderno dalle pagine colorate tutte le mie sensazioni e ogni volta, in maniera istintiva, rivolgevo quei pensieri a una bambina.

    Non so perché, forse era solo una sensazione, un qualcosa di magico, telepatico. Quando poi scoprii di essere incinta e potei vedere l’immagine ecografica sullo schermo, ebbi la conferma dalla dottoressa che quell’esserino fosse proprio una bambina e che sarebbe nata a settembre.

    Rimasi senza parole.

    L’incredibile emozione di sentire per la prima volta il battito del suo piccolo cuoricino, di quella nuova vita che stava crescendo dentro di me intrecciata profondamente alla mia.

    Calde lacrime di gioia iniziarono a rigarmi il volto. Avevo dato un nome a quella bambina quando ancora era solo nei miei pensieri e ricordo che quando lo confidai a Stefano, lui, commosso, mi abbracciò forte in maniera complice.

    Alice. La nostra Alice. Proprio come nella favola e anch’io mi sarei immersa insieme al Cappellaio matto e al Fante di cuori in quel paese delle meraviglie!

    Ogni mattina quando mi alzavo, mi sfioravo il ventre sussurrando: «Buongiorno, mia bellissima Alice…».

    Poi, aprii il mio quaderno e le scrissi di ciò che provavo, di quello che lei era per me, di come sarebbe stata la nostra vita, di quel mare che lei di certo avrebbe amato come me e suo padre, dei castelli di sabbia che avremmo costruito, di quando le avrei insegnato a nuotare e ad andare in bicicletta, delle favole che le avrei raccontato e anche di quell’abat jour a forma di giostra che le volevo comprare e che al buio, si sarebbe illuminata decorando le pareti di una moltitudine di colori, creando uno spettacolo di luci che avrebbe accompagnato magicamente i suoi sogni di bambina.

    Le parlavo anche del suo papà, a volte troppo protettivo, ma che sicuramente speciale. Lui, che aveva perso il padre per uno di quei mali traditori, alla sola età di dieci anni, crescendo così troppo in fretta perché unico figlio maschio tra due sorelle. A denti stretti, aveva accudito da solo la sua famiglia. Voleva esaudire, però, anche il desiderio del padre… Dopo la maturità scientifica, si iscrisse alla facoltà di Chimica pagandosi gli studi, lavorando part-time in una pizzeria come cameriere e dando ripetizioni di matematica.

    Stefano, ogni volta che rientrava la sera, posava la sua valigetta sullo scrittoio e si avvicinava al mio ventre appoggiando le sue mani sempre con la medesima intensa emozione.

    Capitolo I

    Io sono nata qui, nella mia bella cittadina circondata dal mare, dove anche in inverno, sfidando la pioggia e il freddo, non mancava mai l’occasione di raggiungere la spiaggia per salutare il Tirreno.

    Rammento con lieta nostalgia i tempi della scuola quando, con le mie compagne di classe, ogni scusa era buona per correre in spiaggia con il pallone nascosto nello zaino e l’invidiabile allegria della giovinezza, distante anni luce dalla realtà della quotidianità.

    Ci alzavamo i jeans fino alle ginocchia per sentire sulla pelle l’effervescenza di quell’acqua che aveva il potere di farci

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