Era un bravo vicino. Salutava sempre
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Adesso ha quasi trent'anni e non ha voglia di lasciare il nido di sua nonna, che tra l'altro provvede a dargli una paghetta niente male.
Un giorno si troverà ad affrontare il più terribile degli imprevisti...
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Era un bravo vicino. Salutava sempre - Riccardo Pisconti
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UNO
L'odore dei broccoli mi ha sempre fatto venire il vomito. Non saprei come spiegarvi quanto mi facciano schifo se non aveste anche voi, immagino, qualcosa di simile; un odore, o un sapore, in grado di annichilirvi come la kriptonite per Superman.
Ecco, comunque questi cavolo di broccoli (forse è un po' ripetitivo dire «cavolo di broccoli» perché in fondo i broccoli sono dei cavoletti o qualcosa comunque di imparentato coi cavoli) proprio non riesco a sopportarli, eppure mia nonna continua a rifilarmeli ogni mercoledì sera.
Che poi... magari si trattasse solo del mercoledì sera. Eh no!
Il broccolo entra in punta di piedi, con il suo tipico odore di scoreggia di diabetico, già nel tardo pomeriggio del mercoledì per poi abbandonarti il giovedì sera, se tutto va bene, come avanzo del giorno prima.
Di solito mi trovo davanti alla PlayStation a giocare a God of War o a PES, quando all'improvviso mi ritrovo ad assaporare le loffe del broccolo in precottura senza speranza di venirne fuori per le successive quattro ore.
Come minimo.
Sì, il pomeriggio gioco alla Play, e anche la mattina, e a pranzo così come anche alla sera.
Non chiamatemi fannullone.
Sappiate che ho cercato lavoro per tanti anni ma non ho mai trovato nulla. Sono arrivato a malapena al diploma, e questo mi ha precluso la possibilità di attingere alle migliaia di opportunità che il mondo del post laurea avrebbe potuto offrirmi. Come ad esempio: responsabile di magazzino a Zara o capo filiale al McDonalds.
In tutta questa sfortuna dovuta soprattutto alla mia bassa voglia di perseguire le strade battute che la società impone – quali: studia, cerca un lavoro stabile, trovati una bella donna, sposala e fai dei figli – ho avuto un immenso e morbido airbag economico, chiamato «nonna Anna», che mi ha permesso di investire nella carriera del ricercatore di sillogi medievali salentine e scappare dalle regole imposte già citate.
Ma con le sillogi non si mangia, non ci si paga il pranzo e nemmeno le bollette. A dirla tutta era un campo poco remunerato già nel medioevo, e oggi sopravvive solo grazie a qualche centinaio di collezionisti ultrasessantenni con la passione per le lingue antiche. Io ne ho ventotto, di anni, ma mi trovo più a mio agio con gli anziani che con quelli della mia età. Gli anziani hanno una prospettiva di vita ridotta, una vasta esperienza in vari campi e una passione involontaria per la storia: ciò che per me è passato per loro è ricordo. Vivono letargicamente e non chiedono continuamente di andare in discoteca a rimorchiare o in un pub a bere galloni di birra fino al coma etilico.
A me sta bene così: ho i miei ritmi biologici, le chiacchiere sul passato, la mia Playstation e nonna Anna a prendersi cura di me.
Ho perso i miei genitori quando avevo quattordici anni. Tornavano da un convegno ad Ancona quando la loro macchina ha incrociato la traiettoria di un tir fuori controllo, che dalla carreggiata opposta ha saltato in triplo salto mortale per finire direttamente su di loro.
Morti sul colpo.
Io ero a casa di mia nonna. Ricordo ancora le sue lacrime e le parole: «Mi prenderò cura io di te».
E così ha fatto.
Nonna Anna non mi giudica e appoggia pienamente le mie ricerche e inoltre, grazie alla sua pingue pensione personale – più reversibilità militare di mio nonno – riesce a garantirmi una discreta paghetta di mille e trecento euro netti, più vitto e alloggio gratis. Sono messo abbastanza bene, e quando ho bisogno di sedare i miei istinti carnali posso sempre contare sulla discrezione di nonna. Mi basta mandarle un sms almeno un'ora prima di rientrare in casa con la donna di turno per trovarmi la tavola apparecchiata romanticamente per due, una cena a base di pesce e le lenzuola fresche di bucato.
In fondo mia nonna è sempre stata una donna di mondo. Di buona famiglia, da giovane aveva viaggiato intorno al mondo e conosciuto persone influenti. Si era sposata più volte, tre per l'esattezza: con un ambasciatore, con un regista cinematografico francese e infine con mio nonno, un alto ufficiale della marina militare italiana.
Ha così tanta esperienza di vita vissuta da essere una biblioteca vivente; mi dà tanto e non chiede niente in cambio se non qualche briscoletta il sabato pomeriggio insieme ai nostri vicini e il nostro appuntamento in tivù con la telenovela Piantagione di Passione.
Sì, il mio mondo sarebbe perfetto se non fosse per l'inconveniente che mi si è palesato proprio in questo momento davanti ai miei occhi.
«Nonna, perché mi hai fatto questo?» le dico, ma in fondo non è colpa sua.
La puzza di broccoli è nauseabonda, al limite della sopportazione umana, però non trovo le forze per andare in cucina e spegnere i fornelli del gas.
Mi fissa, e io fisso lei.
Ma il mio sguardo è colmo di terrore, mentre il suo è sereno.
Devo accettare il fatto, inesorabilmente orribile e disarmante, che mia nonna non sarà più disposta a farmi vivere una vita beata e tranquilla.
Perché, purtroppo, mia nonna è appena morta.
DUE
L'idea di affrontare la morte di mia nonna mi metteva in ansia. Ho sempre cercato di non pensarci, forse perché traumatizzato dalla prematura scomparsa dei miei genitori, o perché avevo trovato il mio stato di equilibrio economico e mentale rimandando i pensieri negativi fino all'ultimo. Non sono